Il G.P.S.: davvero non richiede alcun controllo giudiziario?
14 Gennaio 2025
Moderne tecnologie e diritti fondamentali della persona Le moderne tecnologie oggi invadono i diritti fondamentali della persona, anche se, spesso, sono privi di una disciplina legislativa che ne regoli le modalità di impiego. È così diventata agevole la geolocalizzazione del dispositivo elettronico in uso al soggetto controllato (come lo smartphone o il tablet) attraverso diverse modalità e cioè sia con l'uso del captatore informatico, sia a mezzo di satellite (GPS), sia analizzando le App del dispositivo elettronico sequestrato, sia acquisendo i dati di localizzazione ed ubicazione delle celle telefoniche (tracciamento telefonico - c.d. positioning - possibile sia nel corso di una comunicazione, cd. dati di localizzazione, sia in assenza, cd. dati di ubicazione), del positioning (tramite tracciamento telefonico). La giurisprudenza europea La Corte europea dei diritti dell'uomo in riferimento alla localizzazione, in diverse occasioni [C EDU, V, 2 settembre 2010, Uzun c./ Germania] e Ben Faiza c. Francia [Corte EDU, V, 8 febbraio 2018, Ben Faiza c./Francia], ha riconosciuto che l'uso del G.P.S. per monitorare gli spostamenti di un soggetto interferisce con il diritto alla vita privata, tutelato dall'art. 8 § 2 CEDU. D'altra parte, secondo la stessa Corte, è inevitabile che le persone sacrifichino qualcosa della loro privacy quando escono dalla propria abitazione o utilizzano determinati servizi; tuttavia, ciò non significa che esse siano disposte a diventare “trasparenti”. In questo caso, la rinuncia alla privacy deve ritenersi “soltanto parziale”, poiché riguarda solo alcune, frammentarie informazioni e avviene per specifiche finalità. Di conseguenza – stando al medesimo orientamento – il pedinamento tramite G.P.S. può ritenersi legittimo soltanto se osservi le condizioni di cui al § 2 dell'art. 8 cit.; cioè, se il suo uso sia previsto dalla legge e rappresenti una misura che, «in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del Paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui». In altre parole, secondo la Corte, il potere d'ingerenza nella vita privata è legittimamente conferito all'autorità pubblica in quanto sia disciplinato dalla legge, e sempre che ogni atto intrusivo debba uniformarsi ai criteri di stretta necessità e di proporzionalità. La Corte EDU, nelle citate sentenze Uzun c. Germania e Ben Faiza c. Francia, ha evidenziato come l'attività di monitoraggio, attuale e continuativa, offra un dato di portata diversa da quello ottenuto attraverso l'osservazione occasionale degli spostamenti di un individuo; difatti, un controllo sistematico non può svolgersi senza perpetrare un'ingerenza nella vita privata personale, anche se di entità minore rispetto a quella determinata dall'uso di altre tecniche investigative, quale, ad esempio, quella delle intercettazioni. Inoltre, più in generale, i giudici di Strasburgo hanno stabilito che, data l'impossibilità di definire esaustivamente il concetto di vita privata, la presenza di un soggetto in luoghi pubblici non può essere considerata come un'automatica rinuncia, da parte del medesimo, alla privacy. Quindi, l'attività di osservazione di comportamenti altrui, anche se svolto in luogo pubblico, si configura come un'ingerenza nella sfera privata, se “si protrae senza limiti di durata, in modo persistente e continuativo”. In sostanza, – secondo la Corte – occorre riconoscere il diritto al rispetto della vita privata anche in un contesto pubblico, laddove si tratti di assicurare una delle condizioni per il pieno sviluppo della personalità umana. La giurisprudenza nord-americana All'insensibilità del nostro legislatore verso i diritti fondamentali si contrappone l'attenzione posta invece da altri Paesi. Ad esempio nella giurisprudenza nord-americana spicca la sentenza della Corte Suprema federale U.S.A., che ha affermato che la collocazione da parte della polizia giudiziaria di un apparecchio GPS sull'auto intestata alla moglie dell'imputato, sospettato di far parte di un'associazione finalizzata al grosso traffico di cocaina, è da considerare una perquisizione e quindi, se disposta in assenza di warrant, contrasta con il IV Emendamento (1791) alla Costituzione degli Stati Uniti, che, com'è noto, stabilisce che «il diritto dei cittadini a godere della sicurezza per quanto riguarda la loro persona, la loro casa, le loro carte e i loro effetti, contro perquisizioni e sequestri irragionevoli, non potrà essere violato; e nessun mandato giudiziario potrà essere emesso, se non in base a probable cause, appoggiata da un giuramento o da una dichiarazione sull'onore e con descrizione specifica del luogo da perquisire, e delle persone da arrestare o delle cose da sequestrare» (Supreme Court of the United States, 23.1.2012, U.S. v. Jones. Ancora più recentemente, v. il caso Carpenter v. U.S. del 2018 (Carpenter v. U.S., 585 U.S. (2018). La giurisprudenza italiana In Italia, invece, nel silenzio del legislatore, la giurisprudenza riconosce il potere degli organi inquirenti di disporre la localizzazione da remoto dell'individuo senza necessità di un'autorizzazione preventiva, né di convalida successiva del giudice né del P.M. [Cass. pen., sez. I, 27 ottobre 2020, n. 6744] senza limiti di condizione, tempo o modo quanto all'ammissibilità e all'esecuzione del “pedinamento satellitare” quando la procedura riguarda persone o cose che si trovino in luogo pubblico od aperto al pubblico (ed è denominata “tailing”, cioè “coda”, “residuo”, oppure “shadowing”, che significa “affiancamento” o “osservazione da vicino”). La giurisprudenza, considerando l'attività d'indagine volta a localizzare e a seguire, sia attraverso rilevamento satellitare con GPS, sia mediante tracciamento telefonico (positioning) gli spostamenti di un soggetto, una modalità, tecnologicamente avanzata, di pedinamento, ritiene simile operazione ammissibile in quanto attività atipica di ricerca della prova, rientrante quindi nelle attribuzioni della polizia giudiziaria, in base al combinato disposto degli artt. 55, 347 e 370 [Cass. pen., sez. V, 2 maggio 2002, Bresciani e altri, n. 16130, in Dir.Pen. e Proc., 2003, 93. Più di recente, in questo stesso senso, v. Cass. pen., sez. V, 10 marzo 2010, Z.B., n. 9667, in Dir. Pen. e Proc., 2010,1464; Cass. pen., sez. I, 28 maggio 2008, Stefanini, in CED, 240092; Cass. pen., sez. VI, 11 dicembre 2007, Sitzia, n. 15396, in Cass.Pen., 2009, 2534; Cass. pen., sez. IV, 29 gennaio 2007, Navarro Mongort, n. 8871, in CED, 236112] e l'esito di tale geo-localizzazione utilizzabile come prova nel processo penale con l'acquisizione della testimonianza dell'ufficiale di polizia giudiziaria che ha eseguito il rilevamento [Cass. pen., sez. VI, 11 dicembre 2007, Sitzia e altri n. 15396, in Cass.Pen., 2009, 2534; Cass. pen., sez. V, 2 maggio 2002, n. 16130, Bresciani e altri, in Dir. Pen. e Proc., 2003, 93, cit.]. Si può discutere se il G.P.S. rispetti le condizioni di ammissibilità dettate dall'art. 189 al fine di ritenere utilizzabile ai fini della decisione il dato probatorio ottenuto. Ma, anzitutto, tale risultato probatorio dovrebbe risultare “idoneo ad assicurare l'accertamento dei fatti”, mentre di recente si è appreso dell'esistenza di un dispositivo capace di svolgere un'attività di “disorientamento” (c.d. GNSS spoofing) del tracker G.P.S., inducendolo ad elaborare dati di ubicazione dalle coordinate errate e, perciò, “non corrispondenti al vero”. Quindi, mentre ex ante non pare discutibile l'attendibilità della tecnica G.P.S., ex post occorrerà pur sempre verificare se l'oggettività della rilevazione sia stata o no compromessa tramite strumentazioni esterne. Secondo la giurisprudenza, poiché l'attività di polizia giudiziaria consiste nella semplice trasposizione di un dato oggettivo (cioè, nella specie, quello costituito dalle coordinate ottenute dal G.P.S.) nelle annotazioni della stessa polizia giudiziaria o nelle sue relazioni di servizio, si dovrebbe escludere che la mancanza del supporto informatico contenente gli originali dei tracciati possa in alcun modo inficiare l'attendibilità e la oggettiva valenza probatoria dei medesimi dati, concernenti le suddette coordinate [Cass. pen., sez. IV, 27 novembre 2012, n. 48279, in Giust.Pen., 2013, III, 434; Cass. pen., sez. I, 7 gennaio 2010, Congia, n. 9416, in Cass.Pen., 2012, 1062]. Nello stesso senso si afferma che i rilevamenti satellitari del sistema GPS costituiscono prova documentale pienamente utilizzabile anche e i relativi tracciamenti siano stati curati dalla società privata che ne gestisce la rilevazione, essendo del tutto irrilevante che tali dati non siano stati acquisiti dalla p.g., né la loro utilizzabilità probatoria è condizionata dall'acquisizione del dispositivo elettronico da cui siano stati estrapolati o del relativo supporto informatico, che rappresenta solo un diverso strumento di raccolta del dato che può essere riprodotto tanto su documento cartaceo che su documento digitale. Piuttosto, l' attendibilità della rilevazione del dato spazio-temporale estrapolato dall'apparato satellitare attiene unicamente al diverso profilo della valutazione della prova e non a quello della utilizzabilità del supporto materiale che lo documenta, che può essere indifferentemente acquisito agli atti del processo sia in formato cartaceo che in formato digitale [Cass. pen., sez. IV, 17 maggio 2022, n. 25555, Giardino, in Guida Dir., 2022, n. 31-32, p. 105, in una fattispecie in cui è stato ritenuto utilizzabile il rilevamento GPS effettuato a cura della società proprietaria di un veicolo dato in noleggio, di cui l'imputato aveva simulato il furto]. Ma la presenza del supporto informatico è invece essenziale per verificare che la annotazione o la relazione di servizio non contenga errori, non potendosi prestar fede ciecamente nella documentazione di un'attività senza il controllo della fonte, almeno quando è possibile. Ma, soprattutto, ci si deve domandare se tale tecnica investigativa possa o no implicare – talora – una compressione del diritto alla riservatezza, rectius «al rispetto della vita privata» tutelato dall'art. 8 CEDU. Infatti, la privacy – in cui è compreso il concetto di riservatezza – ha due componenti fondamentali: la facoltà di trattenere nella propria sfera privata determinate notizie personali e quella di controllare la rivelazione e l'uso pubblico di tali dati. Pertanto, laddove la localizzazione satellitare implichi un monitoraggio occulto, anche di comportamenti tenuti in pubblico, eseguito attimo per attimo, in modo continuativo, per un ampio periodo di tempo, e i dati acquisiti, in esito a tale attività, vengano registrati nonché trattati sistematicamente, tale specifica ipotesi d'indagine potrà determinare una violazione della privacy; sia questa intesa come diritto al riserbo sulle proprie vicende individuali oppure come facoltà di “autodeterminazione informativa” quanto ai propri dati personali. La Corte di cassazione precisa che la localizzazione degli spostamenti tramite sistema di rilevamento satellitare GPS (c.d. pedinamento elettronico) è mezzo di ricerca della prova atipico non implicante un accumulo massivo di dati sensibili da parte del gestore del servizio, sicchè le relative risultanze sono utilizzabili senza necessità di autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria, non trovando applicazione per analogia la disciplina di cui all'art. 132, comma 3, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e successive modifiche, in tema di tabulati, e neppure i principi affermati dalla sentenza dalla sentenza della Corte giust. U.E. del 5.4.2022- C 140/2020, relativa alla compatibilità di data retention con le direttive 2002/58/CE e 2009/136/CE sul trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni (Cass. pen., sez. VI, 9 marzo 2023, n. 15422, in Cass. Pen., 2023, p. 3294; in senso conforme, Cass. pen., sez. II, 13 febbraio 2013, n. 21644]. Si afferma persino che, nel caso di utilizzo a fini investigativi del c.d. GPS, se lo stesso viene collocato nel territorio italiano su veicolo o altra cosa che poi successivamente si sposta all'estero, l'utilizzazione dei risultati del tracciamento degli spostamenti avvenuti all'estero non necessita di rogatoria internazionale (nella specie, l'apparecchio era stato allocato su un natante di cui erano stati ricostruiti anche gli spostamenti avvenuti fuori dal le acque nazionali) (Cass. pen., sez. I, 1 marzo 2023, n. 20859, in Guida Dir., n. 30/2023, p. 92]. Si è anche affermato che la geolocalizzazione costituisce un dato ricavabile dal sistema di intercettazione della telefonia mobile, dunque un dato che promana dalla medesima fonte delle conversazioni intercettate, ma gli altri elementi di prova che devono, ai sensi della norma transitoria di cui all'art. 1, comma 1-bis, d.l. 30 settembre 2021, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2021, n. 178, corroborare i dati relativi al traffico telefonico, ai fini del giudizio di colpevolezza, possono essere di qualsiasi tipo e natura, in quanto non predeterminati nella specie e nella qualità, sicché possono ricomprendere non solo le prove storiche dirette, ma anche quelle indirette, legittimamente acquisite e idonee, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a confortare le acquisizioni inerenti ai predetti tabulati telefonici (Cass. pen., sez. IV, 5 dicembre 2023, n. 50102; Cass. pen., sez. V, 24 febbraio 2022, n. 8968, Rv. 282989 – 02). G.P.S. compatibile con le direttive U.E. La giurisprudenza ribadisce che la localizzazione degli spostamenti tramite sistema di rilevamento satellitare G.P.S. (c.d. pedinamento elettronico) è mezzo di ricerca della prova atipico non implicante un accumulo massivo di dati sensibili da parte del gestore del servizio, sicché le relative risultanze sono utilizzabili senza necessità di autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria. Non trova, pertanto, applicazione per analogia la disciplina di cui all'art. 132, comma 3, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e successive modifiche, in tema di tabulati, e neppure i principi affermati dalla sentenza della Corte giust. U.E. del 05/04/2022, C. 140/2020, relativa alla compatibilità di data retention con le Direttive 2002/58/CE e 2009/136/CE, sul trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni [Cass. pen., sez. II, 18 settembre 2024, n. 37395; in senso conforme, Cass. pen., sez. II, 4 aprile 2019, n. 23172 secondo cui la geolocalizzazione a mezzo sistema di rilevamento satellitare G.P.S. – che costituisce una forma di osservazione e controllo eseguita con strumenti tecnologici, non assimilabile in alcun modo all'attività di intercettazione – non ha natura irripetibile, atteso che le operazioni di rilevazione delle distanze (effettuate nel caso di specie attraverso il sistema “Google Maps”) possono essere controllate e ripetute illimitatamente e, dunque, non sono sottoposte alle garanzie previste dall'art. 360 c.p.p. Conclusioni In conclusione, siccome la Corte europea considera il “pedinamento satellitare” come un'invasione nel diritto alla vita privata tutelata dall'art. 8 CEDU, il legislatore italiano, anche per rispettare i “diritti inviolabili” tutelati dall'art. 2 Cost., deve dettare finalmente una disciplina di questa tecnica investigativa, indicando tassativamente i casi, cioè i reati per i quali l'uso del G.P.S. è consentito, le rispettive modalità preparatorie ed esecutive, l'autorità pubblica legittimata ad adottare la misura, la forma della corrispondente documentazione e la durata dell'ingerenza. Sarebbe pure opportuno che il legislatore prevedesse le sanzioni processuali per l'eventuale violazione dei presupposti legittimanti l'uso dello strumento de quo. |