Codice di Procedura Civile art. 617 - Forma dell'opposizione.Forma dell'opposizione. [I]. Le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo [474] e del precetto [480] si propongono, prima che sia iniziata l'esecuzione, davanti al giudice indicato nell'articolo 480 terzo comma, con atto di citazione da notificarsi nel termine perentorio [153] di venti giorni (1) dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto [479 1]. [II]. Le opposizioni di cui al comma precedente che sia stato impossibile proporre prima dell'inizio dell'esecuzione [491] e quelle relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto e ai singoli atti di esecuzione si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione [484] nel termine perentorio di venti giorni (1) dal primo atto di esecuzione, se riguardano il titolo esecutivo [474] o il precetto [480], oppure dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti [530 2, 569 2]. (1) Le parole « venti giorni » sono state sostituite alle parole « cinque giorni », in sede di conversione, dall'art. 2 3 lett. e) n. 41 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dalla data indicata sub art. 476. Per la disciplina transitoria v. art. 2 3-sexies d.l. n. 35, cit., sub art. 476. InquadramentoCon l'opposizione agli atti esecutivi possono essere fatti valere vizi formali degli atti dell'esecuzione forzata nonché concernenti gli atti preliminari alla stessa. La norma in esame fa riferimento, peraltro, alla nozione di irregolarità e non a quella di nullità degli atti: una tale assimilazione induce la dottrina a ritenere che in sede esecutiva venga derogato il principio di tassatività delle nullità processuali sancito dall'art. 156 c.p.c. (Verde, Capponi, III, 223). Il termine di decadenza per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi è di venti giorni decorrente dal compimento dell'atto esecutivo oggetto della stessa ovvero dalla notifica del titolo esecutivo e dell'atto di precetto oppure, ove riguardi tali atti, dal primo atto di esecuzione. La verifica del rispetto del termine perentorio per proporre opposizione agli atti esecutivi è operata dal giudice anche d'ufficio (Cass. n. 27533/2014). Le opposizioni mediante le quali sono denunciati vizi del precetto o del titolo esecutivo vanno proposte nella forma di un'opposizione c.d. preventiva all'esecuzione forzata con atto di citazione dinanzi al giudice competente ai sensi dell'art. 480, comma 3, c.p.c. Dopo l'inizio dell'esecuzione forzata, l'opposizione ex art. 617, comma 2, c.p.c. si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione. Natura e tipologia dei viziMediante l'opposizione agli atti esecutivi possono essere denunciati vizi formali degli atti dell'esecuzione forzata nonché concernenti gli atti preliminari alla stessa. La disposizione in commento, quanto ai vizi deducibili, fa riferimento alla «regolarità» e non al più radicale vizio della nullità degli atti processuali. In realtà il sistema degli artt. 156 e ss. c.p.c. disciplina la sola nullità degli atti processuali rispetto alla quale, come si è osservato in dottrina, l'inesistenza è qualcosa di più e l'irregolarità qualcosa in meno. In particolare, alla nozione di irregolarità possono ricondursi sia difformità dal modello legale che non implicano nullità ma, sotto il profilo disciplinare, sono ad essa assimilate per alcuni profili, sia quella categoria residuale che rimane, in linea di principio, priva di sanzioni o altre conseguenze (Mandrioli, 516). Tuttavia, con l'opposizione agli atti esecutivi possono indifferentemente essere fatti valere vizi che comportano una nullità dell'atto che la stessa irregolarità: tale assimilazione fa ritenere che in sede esecutiva venga derogato, attraverso la norma in esame, il principio di tassatività delle nullità processuali enunciato dal comma 1 dell'art. 156 c.p.c. (Verde, Capponi, III, 223). Come precisato in giurisprudenza, resta peraltro fermo che l'opposizione agli atti esecutivi si risolve in una contestazione relativa a singoli atti che la legge considera indipendenti, alla quale, pertanto, è estranea la regola della propagazione delle nullità processuali indicata dall'art. 159 c.p.c., operando tale principio anche per le cd. nullità insanabili – come quelle attinenti al difetto dello ius postulandi ovvero della rappresentanza o della capacità di agire – che debbono essere fatte valere nel termine di decadenza per l'opposizione, atteso che la finalità del processo esecutivo di giungere ad una sollecita chiusura della fase espropriativa non tollera che esso possa trovarsi in una situazione di perenne incertezza (Cass. n. 14449/2016). In senso diverso si è orientata un'altra parte della giurisprudenza della medesima S.C. che riconosce un differente regime ai vizi c.d. insanabili. In tale prospettiva, è stato affermato che la richiesta rivolta dal debitore al giudice dell'esecuzione affinché ne sia dichiarata l'improcedibilità per non essere il difensore del creditore procedente munito di valida procura alle liti non ha natura di opposizione esecutiva, perché non è volta a far rilevare la nullità di un singolo atto del processo, né è necessaria per impedire che la nullità resti sanata; tale istanza, inoltre, non è soggetta ai termini di decadenza previsti per le opposizioni agli atti esecutivi, potendo la perdurante mancanza di un difensore munito di valida procura essere rilevata e dichiarata dal giudice dell'esecuzione in qualsiasi momento del procedimento anche senza l'impulso di parte (Cass. n. 8959/2016). Legittimati alla proposizione dell'opposizione agli atti sono tutte le parti del procedimento esecutivo (ossia il debitore, i creditori, e gli altri soggetti i quali, come ad esempio l'aggiudicatario, si trovino ad essere destinatari degli effetti giuridici di un provvedimento del giudice dell'esecuzione). Oggetto e interesse alla proposizione dell'opposizioneIn termini generali, la più recente giurisprudenza della S.C. ha sottolineato che possono costituire oggetto dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. soltanto gli atti esecutivi – vale a dire gli atti di parte con cui viene dato impulso all'esecuzione forzata – oppure i provvedimenti ordinatori del giudice dell'esecuzione volti all'instaurazione, prosecuzione o definizione della procedura (che si distinguono dagli atti preparatori – privi di autonoma rilevanza come momento dell'azione esecutiva e tesi alla mera direzione del processo o all'interlocuzione con le parti o gli ausiliari – posti in essere nella prospettiva della futura adozione di altri e diversi provvedimenti), a condizione che abbiano incidenza dannosa nella sfera degli interessati, tale che sia configurabile un interesse effettivo ed attuale alla rimozione dei relativi effetti (Cass. n. 22724/2023; Cass. n. 14282/2022). Per altro verso, come è stato anche da ultimo ribadito, l'opposizione agli atti esecutivi con cui si censura un vizio meramente formale è, di regola, inammissibile se l'opponente non deduce le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale ha determinato una lesione del suo diritto di difesa o un altro pregiudizio incidente sull'andamento o sull'esito del processo, salvo il caso in cui la violazione delle norme processuali abbia comportato, con immediata evidenza, la definitiva soppressione delle prerogative difensive riconosciute alla parte in relazione alle peculiarità del processo esecutivo (Cass. III, n. 903/2024). Atti preliminari all'esecuzione Ai sensi del comma 1 della disposizione in esame possono essere fatti valere con l'opposizione agli atti esecutivi, in primo luogo, i vizi concernenti la regolarità formale del titolo e del precetto. Quanto ai vizi deducibili riguardanti l'atto di precetto, occorre considerare che ai sensi dell'art. 480, comma 2, l'atto di precetto deve contenere, a pena di nullità, l'indicazione delle parti, la data di notificazione del titolo esecutivo, ove non contestuale a quella del precetto, nonché la trascrizione integrale del titolo nell'atto di precetto nelle ipotesi in cui detta trascrizione è prevista. Nonostante l'art. 480 c.p.c. sanzioni con la nullità del precetto l'omessa indicazione delle parti, la dottrina è incline a ritenere che tale vizio non sussista qualora l'identificazione delle stesse sia comunque possibile attraverso gli altri elementi del precetto o risulti dal titolo esecutivo contestualmente notificato o trascritto nell'atto (Nicoletti, 862; Persico, 563). Nella giurisprudenza di merito si è così ritenuto che l'omessa indicazione nell'atto di precetto e nel titolo del nome di battesimo dell'opponente non determina alcuna nullità dell'atto di precetto essendo dagli altri elementi emergenti da tali atti facilmente ed esattamente individuabile il destinatario del titolo e dell'atto opposto (Trib. Roma VII, n. 604/2013). Si è inoltre evidenziato che l'omissione del codice fiscale è irrilevante e non determina la nullità dell'atto giudiziario se l'atto è comunque idoneo al raggiungimento dello scopo, e tale da non determinare un'incertezza assoluta in ordine al soggetto contro il quale è stata proposta la domanda (cfr. Trib. Massa n. 688/2015, in una fattispecie nella quale l'atto di precetto è stato notificato unitamente alla sentenza di condanna, nella quale tutti i dati delle parti erano correttamente riportati e comunque vi erano elementi di fatto tali non permettere di ingenerare la minima confusione nemmeno sull'individuazione della prestazione intimata). L'indicazione della data di notifica del titolo esecutivo è richiesta, a pena di nullità, qualora la notifica del titolo sia stata effettuata separatamente, ossia prima della notificazione del precetto (Cass. III, n. 4787/2001). Colui il quale propone opposizione a precetto può limitarsi ad eccepire la mancanza di tale requisito, senza incorrere in alcun onere probatorio, gravando sull'autore dell'atto l'onere di fornire la prova dei requisiti di validità e di efficacia dell'atto che compie (Cass. III, n. 14090/2014). Il precetto privo dell'indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo, ove questa sia avvenuta separatamente, è nullo (Trib. Bari II, n. 2491/2008, in giurisprudenzabarese.it). Peraltro, la mancata o inesatta indicazione, nell'atto di precetto, della data di notifica del titolo esecutivo, non inficia il precetto se consente al debitore di individuare, senza incertezze, quale sia lo specifico titolo esecutivo azionato, in quanto lo scopo dell'atto deve dunque ritenersi raggiunto (Trib. Como 27 luglio 2007). I titoli di credito, quando sono posti a fondamento dell'esecuzione, devono essere integralmente trascritti nell'atto di precetto. È stato peraltro precisato che il precetto deve contenere la trascrizione non necessariamente integrale del titolo di credito bensì la indicazione degli elementi essenziali per la sua individuazione (Cass. n. 3593/1990). La mancata trascrizione del titolo esecutivo nel precetto intimato in base a cambiale o ad assegno, che è prescritta per la sua individuazione, ne determina la nullità, è deducibile con l'opposizione ex art. 617 (Cass. III, n. 5168/2005). La l. n. 263/2005ha ricondotto nella medesima categoria delle cambiali e degli altri titoli di credito anche le scritture private autenticate, limitandone l'efficacia esecutiva alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, ed ha altresì stabilito, come già per le cambiali e per gli altri titoli di credito, l'obbligo ai sensi dell'art. 480, comma 2, di trascrivere integralmente le dette scritture nell'atto di precetto (Castoro, 23). L'art. 12 del d.lgs. n. 28/2010, sulla mediazione obbligatoria in materia civile e commerciale, prevede che, qualora tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale qualora gli avvocati attestino e certifichino la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico, dovendo, in difetto di tali presupposti, essere richiesta l'omologa dell'accordo allegato al verbale al Presidente del tribunale che concede l'exequatur con decreto, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico (sulle modalità del controllo operato dal Presidente del Tribunale v. Trib. Modica 9 dicembre 2011). Analogamente, l'art. 5 d.l. n. 132/2014, conv., con modif., nella l. n. 162/2014, stabilisce che in materia di negoziazione assistita l'accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Sia nell'ipotesi di mediazione obbligatoria che di negoziazione assistita l'accordo deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell'art. 480, comma 2, c.p.c. Anche in ragione di tale indicazione nonché dell'assenza dell'intervento dell'autorità giudiziaria ai fini della formazione di tali titoli non sussiste alcun dubbio in ordine alla natura di titoli esecutivi stragiudiziali degli stessi di talché in sede di opposizione all'esecuzione potranno essere dedotti in via di eccezione anche fatti anteriori alla formazione del titolo. Nella vigenza della pregressa formulazione dell'art. 475 c.p.c., è stato affermato, quanto alla regolarità formale del titolo posto a fondamento della minacciata esecuzione forzata, che la denuncia dell'erronea apposizione della formula esecutiva configura opposizione agli atti esecutivi allorquando si faccia riferimento solo alla correttezza della spedizione del titolo in forma esecutiva (di cui non si ponga in dubbio l'esistenza), richiesta dall'art. 475 c.p.c., poiché in tal caso l'indebita apposizione della formula può concretarsi in una irregolarità del procedimento esecutivo o risolversi in una contestazione della regolarità del precetto ai sensi del comma 1 dell'art. 617 c.p.c. (Cass. n. 25638/2013). Il rilascio della copia del titolo in forma esecutiva a persona diversa da quella in cui favore il titolo sia stato emesso non dà luogo a nullità o inefficacia del titolo, ma costituisce una irregolarità che deve essere fatta valere a norma dell'art. 617 c.p.c. ed alla medesima irregolarità, da denunciare negli stessi modi, dà luogo la circostanza che il rilascio del titolo in forma esecutiva, per quanto avvenuto nei confronti di uno dei soggetti in cui favore sia stato emesso il titolo, sia poi notificato al debitore, antecedentemente o contestualmente al precetto, da altro soggetto in cui favore pure il titolo sia stato emesso (Cass. n. 24548/2014). Notifica del titolo esecutivo e del precetto I vizi che attengono alla notifica del titolo e/o del precetto possono essere fatti valere sia nelle forme previste dal comma 1 che dinanzi al giudice dell'esecuzione qualora, proprio per il vizio del procedimento di notifica, sia stato impossibile dedurle prima. Costituisce invero jus receptum in giurisprudenza il principio per il quale il processo esecutivo, che sia iniziato senza essere preceduto dalla notificazione o dalla valida notificazione del titolo esecutivo e/o dell'atto di precetto, è viziato da invalidità formale, che può essere fatta valere con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 1096/2021; Cass. n. 24662/2013). La natura stragiudiziale dell'atto di precetto implica che lo stesso debba essere notificato alla parte personalmente ai sensi degli artt. 137 ss. c.p.c. Il vizio di notificazione del precetto rileva solo se è di gravità tale da determinare l'inesistenza della notificazione, ovvero l'impossibilità di raggiungere il suo scopo tipico (ad esempio, lasciando a disposizione del debitore un termine per adempiere inferiore a quello minimo di dieci giorni: Cass. III, n. 14209/2014), mentre di regola detto vizio si sana in forza dell'avvenuta proposizione, da parte dell'intimato, dell'opposizione ex art. 617 (Cass. VI, n. 14495/2013). Atti dell'esecuzione forzata L'opposizione agli atti esecutivi è, poi, lo strumento generale per denunciare l'irregolarità o la nullità, oltre che del pignoramento e della notificazione dello stesso, degli atti compiuti dal giudice dell'esecuzione nel corso della procedura. Pertanto, è stato recentemente ribadito nella giurisprudenza della S.C. che l'opposizione agli atti esecutivi è esperibile esclusivamente nei confronti di atti riferibili al giudice dell'esecuzione, che è l'unico titolare del potere di impulso e controllo del processo esecutivo, sicché, ove l'atto che si assume contrario a diritto sia riferibile solo ad un ausiliario del giudice, ivi compreso l'ufficiale giudiziario, esso è sottoponibile al controllo del giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 60 o nelle forme desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato, e solamente dopo che questi si sia pronunciato sull'istanza dell'interessato diviene possibile impugnare il relativo provvedimento giudiziale con le modalità di cui all'art. 617 c.p.c. (Cass. n. 5175/2018, in una fattispecie nella quale l'ufficiale giudiziario aveva erroneamente dato preavviso, ad un soggetto diverso dal debitore identificato dal procedente, di un successivo accesso forzoso in adempimento di una richiesta di pignoramento mobiliare). In tale pronuncia la S.C. ha ricordato che «la giurisprudenza di questa Corte, fin da prima della proposizione della domanda definita con la qui gravata sentenza e con principio ribadito costantemente anche in tempi successivi, ha escluso in radice una autonoma impugnabilità, con azione ordinaria di cognizione, degli atti compiuti da qualunque ausiliario del giudice e, tra questi, di quelli dell'Ufficiale giudiziario. Tali atti vanno, invero, sottoposti esclusivamente al controllo del giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 60 – o nelle eventualmente diverse, come nel caso dell'art. 591-ter (Cass. ord., n. 1335/2011), forme desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato – e solo dopo che il giudice stesso si sia pronunciato sull'istanza dell'interessato sarà possibile impugnare il suo provvedimento con le modalità di cui all'art. 617 (sul principio generale: Cass. n. 7674/2008; in precedenza, v. già Cass. n. 3030/1992; successivamente: Cass. n. 19573/2015; Cass. ord., n. 25317/2016). Di conseguenza, poiché il processo esecutivo comporta un sistema chiuso di rimedi e non è ammessa quindi azione in forme diverse dalle opposizioni esecutive o dalle altre iniziative specificamente previste da detto sistema processuale (tra le ultime: Cass. n. 6521/2014; Cass. n. 7708/2014; Cass. n. 23182/2014; Cass. n. 11172/2015; Cass. ord., n. 12242/2016), non può che rilevarsi come, qualunque ne fosse stata la qualificazione prospettata o poiché il processo esecutivo è articolato su di un sistema chiuso di rimedi e non è consentita azione in forme diverse dalle opposizioni esecutive o dalle altre iniziative cognitive specificamente previste da detto sistema processuale, non è ammessa la contestazione di un atto dell'Ufficiale giudiziario (nella specie: avviso di prosecuzione di operazioni di pignoramento mobiliare rivolto anche a chi non era debitrice esecutata) nelle forme di un'ordinaria azione di cognizione o di un'opposizione esecutiva, essendo anche tale atto assoggettato esclusivamente al controllo del giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 60 rimessa al giudice, l'azione di cognizione, anziché il reclamo al giudice dell'esecuzione, non potesse essere in alcun modo o caso intrapresa: ciò che impone di cassare senza rinvio la sentenza che la ha definita. Né a conclusione più favorevole per l'odierna ricorrente potrebbe oggi giungersi ove si potesse, per un solo momento e pensando di poter superare la chiara ed univoca qualificazione da lei stessa data alla sua iniziativa giudiziale come azione di cognizione e lo sviluppo processuale ad essa seguito e ripresa dal giudice nella qui gravata sentenza di definizione quale opposizione agli atti esecutivi, riqualificarla come reclamo al giudice, con conseguente riqualificazione del provvedimento, pure univocamente reso come sentenza su quella domanda, quale ordinanza ai sensi dell'art. 60, perché allora essa avrebbe potuto costituire oggetto di un'opposizione ai sensi dell'art. 617 e giammai di ricorso per cassazione. Deve trovare applicazione alla fattispecie il seguente principio di diritto: «poiché il processo esecutivo è articolato su di un sistema chiuso di rimedi e non è consentita azione in forme diverse dalle opposizioni esecutive o dalle altre iniziative cognitive specificamente previste da detto sistema processuale, non è ammessa la contestazione di un atto dell'Ufficiale giudiziario (nella specie: avviso di prosecuzione di operazioni di pignoramento mobiliare rivolto anche a chi non era debitrice esecutata) nelle forme di un'ordinaria azione di cognizione o di un'opposizione esecutiva, essendo anche tale atto assoggettato esclusivamente al controllo del giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 60 o nelle eventualmente diverse forme desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato; sicché solo dopo che il giudice stesso si sia pronunciato sull'istanza dell'interessato è possibile impugnare il suo provvedimento con le modalità di cui all'art. 617 c.p.c.». Di regola, poiché ciò potrebbe determinare un'elusione del rispetto del termine di decadenza per la proposizione dell'opposizione in esame, non può essere oggetto della stessa l'atto con il quale il giudice dell'esecuzione si sia limitato a correggere un errore materiale o di calcolo di una propria ordinanza: tuttavia l'opposizione agli atti potrà essere proposta qualora l'errore corretto sia tale da ingenerare un obbiettivo dubbio sull'effettivo contenuto dell'ordinanza, ovvero quando con la correzione sia stata impropriamente riformata la portata decisoria del provvedimento, dando luogo surrettiziamente ad una revoca o ad una modifica di ordinanza già eseguita e non più opponibile (Cass. n. 1891/2015). Per eadem ratio, di norma non potranno essere impugnati con l'opposizione ex art. 617 gli atti con i quali il giudice dell'esecuzione rigetta l'istanza di revoca o modifica di un proprio provvedimento, salva l'ipotesi nella quale il pregiudizio derivi dalle ragioni poste a fondamento del diniego (Cass. n. 3723/2012). Inoltre, non possono essere impugnati, mediante opposizione ex art. 617, che atti emanati dal giudice dell'esecuzione e non anche dagli ausiliari dello stesso (v., tra le altre, Cass. n. 5175/2018). Nella recente giurisprudenza di legittimità, è stato puntualizzato che, in tema di vendita forzata, le disposizioni adottate dal giudice dell'esecuzione nell'ordinanza di vendita o di delega circa gli adempimenti, le modalità, i termini e, in generale, le condizioni alle quali l'esperimento di vendita è soggetto sono posti a presidio delle esigenze di certezza, legittimità, trasparenza, correttezza ed efficienza che sovrintendono al sistema dell'espropriazione forzata, sicché le parti del procedimento esecutivo hanno pieno interesse a farne valere la violazione mediante opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., non essendo tenuti altresì a dimostrare di aver subito uno specifico pregiudizio (cfr. Cass. III, n. 18421/2022 la quale, in applicazione del suddetto principio, ha ritenuto sussistente, in capo al debitore esecutato, l'interesse a censurare, mediante opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso il decreto di trasferimento, il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione aveva ritenuto validamente effettuato il versamento del prezzo, da parte dell'unico offerente, oltre il termine ex art. 585 c.p.c., sul presupposto che ciò avesse determinato un'alterazione delle regole del subprocedimento e frustrato l'obiettivo della massimizzazione del ricavato della liquidazione, non potendo escludersi che altri interessati alla vendita avrebbero partecipato alla vendita se avessero avuto la certezza di poter contare su un termine più lungo per il versamento del prezzo). È consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio per il quale il provvedimento del giudice dell'esecuzione di declaratoria di estinzione atipica o di improseguibilità dell'esecuzione non soggiace al rimedio del reclamo al collegio di cui all'art. 630, bensì all'opposizione agli atti esecutivi che è lo strumento generale previsto dall'ordinamento per denunciare i vizi del processo esecutivo (Cass. n. 24775/2014). Tale provvedimento è impugnabile mediante opposizione agli atti esecutivi anche con riferimento alla sola statuizione sulle spese (Cass. n. 9837/2015). La S.C. ha per altro verso chiarito, con riferimento al processo di esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare, che l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che decida in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva non è appellabile ma reclamabile ex art. 624 c.p.c. ove tale decisione sia stata presa solo in vista di una mera sospensione della procedura (che resta pendente) in attesa dell'esito del giudizio di merito da instaurare, mentre è opponibile ai sensi dell'art. 617 c.p.c. qualora abbia dichiarato la definitiva chiusura del processo esecutivo, mentre in nessun caso è possibile la proposizione dell'appello. Ha invero evidenziato la Corte di legittimità che, pur dovendosi aderire all'orientamento più recente per il quale in tema di esecuzione forzata per obblighi di fare o di non fare, l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 612, che abbia assunto contenuto decisorio in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva, non può considerarsi, neppure quando abbia provveduto sulle spese giudiziali, come una sentenza decisiva di un'opposizione all'esecuzione (e quindi impugnabile con i rimedi all'uopo previsti), consistendo essa nel provvedimento definitivo della fase sommaria di tale opposizione, sicché la parte interessata può tutelarsi introducendo il relativo giudizio di merito ex art. 616 c.p.c., lo stesso deve essere coordinato con quello per cui nei casi in cui il giudice dell'esecuzione, esercitando il proprio potere officioso, dichiari l'improcedibilità (o l'estinzione cd. atipica, o comunque adotti altro provvedimento di definizione) della procedura esecutiva in base al rilievo della mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo o della sua inefficacia, il provvedimento adottato in via né sommaria né provvisoria, a definitiva chiusura della procedura esecutiva, è impugnabile esclusivamente con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 diversamente, se adottato in seguito a contestazioni del debitore prospettate mediante una formale opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615, in relazione alla quale il giudice abbia dichiarato di volersi pronunziare, il provvedimento sommario di provvisorio arresto del corso del processo esecutivo, che resta perciò pendente, è impugnabile con reclamo ai sensi dell'art. 624 (Cass. n. 15605/2017). Il necessario coordinamento tra tali principi porta ad affermare che – ferma restando la possibilità di instaurare il giudizio di merito, laddove sia stata proposta una opposizione – l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che nell'ambito di un processo di esecuzione per obblighi di fare o non fare decida in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva deve ritenersi reclamabile, laddove lo abbia fatto solo in vista di una mera sospensione della procedura (che resta pendente) in attesa dell'esito del giudizio di merito da instaurare, mentre è opponibile ai sensi dell'art. 617, laddove abbia dichiarato la definitiva chiusura del processo esecutivo (Cass. n. 10946/2018). Costituisce infatti assunto consolidato in giurisprudenza il principio per il quale il provvedimento che, sul presupposto dell'ineseguibilità del giudicato, ponga fine al processo esecutivo, è impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c., essendo questo il rimedio contro i provvedimenti con i quali il giudice dell'esecuzione, a ragione o a torto, addivenga a una chiusura anticipata del processo esecutivo sul presupposto che non sussistesse ab origine o sia venuta meno una condizione dell'azione esecutiva (Cass. n. 10869/2012). Casistica La competenza sull'esecuzione ai sensi dell' art. 26 c.p.c. e dell'art. 26-bis c.p.c., si inserisce nel sistema della competenza in generale e, dunque, esige la garanzia della possibilità del controllo immediato tramite il regolamento di competenza. Tale controllo, sulla base delle argomentazioni desumibili dall'art. 187 disp. att. c.p.c. si estrinseca in prima battuta non già direttamente sul provvedimento del giudice dell'esecuzione negativo della propria competenza o affermativo di essa, bensì, essendo impugnabile tale provvedimento con l'opposizione ex art. 617 attraverso l'impugnazione con il regolamento di competenza necessario della pronuncia del giudice dell'opposizione agli atti esecutivi di accoglimento o di rigetto dell'opposizione agli atti e, quindi, rispettivamente, di dissenso dalla valutazione del giudice dell'esecuzione negativa o affermativa della propria competenza sull'esecuzione forzata oppure di condivisione di quella valutazione, dovendosi tanto la sentenza di accoglimento che di rigetto intendersi impugnabili ai sensi dell'art. 187 disp. att. c.p.c., in quanto sentenze che decidono riguardo alla competenza sull'esecuzione forzata (Cass. n. 8172/2018). È inammissibile il regolamento di competenza richiesto d'ufficio per risolvere un conflitto tra giudici dell'esecuzione ed attinente all'individuazione del giudice competente per l'esecuzione forzata, posto che non viene in discussione la potestas iudicandi ma solo l'osservanza delle norme che attengono al regolare svolgimento del processo esecutivo (e, dunque, al quomodo dell'esecuzione forzata), che è assicurata per il tramite di ordinanze del giudice dell'esecuzione, avverso le quali è proponibile il rimedio generale dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. VI, n. 4506/2022). Il provvedimento di chiusura anticipata del processo esecutivo ai sensi dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c., per infruttuosità dell'espropriazione, non è suscettibile di impugnazione con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. essendo soggetto all'opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 7754/2018): invero, sebbene in relazione al provvedimento di estinzione della procedura esecutiva, i rimedi astrattamente invocabili sono il reclamo, ai sensi dell'art. 630, ovvero l'opposizione agli atti esecutivi, a seconda che si ritenga il provvedimento del giudice dell'esecuzione adottato sul presupposto di una delle ipotesi tipiche di estinzione del processo esecutivo, ovvero al fine di pervenire alla cosiddetta estinzione atipica del processo esecutivo, la chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità dell'espropriazione esula dall'estinzione del processo per inattività delle parti che soggiace al reclamo previsto dall'ultimo comma dell'art. 630, trattandosi di ipotesi estranea all'inattività delle parti e per la quale non vi è espressa previsione di reclamo sulla base della clausola iniziale dell'art. 630, comma 1 («oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge»). Pertanto, la chiusura anticipata del processo ai sensi dell'art. 164-bis disp. att. c.p.c. resta quindi impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 quale rimedio impugnatorio generale avverso i provvedimenti del giudice dell'esecuzione (Cass. n. 7754/2018). La surrogazione nei diritti del creditore procedente comporta la prosecuzione del processo esecutivo e, pertanto, non determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi già pendente, permanendo l'interesse dell'opponente a conseguire la dichiarazione di illegittimità degli atti di esecuzione e la loro conseguente caducazione (Cass. n. 9060/2018). Anche in caso di dichiarazione negativa del terzo pignorato il debitore esecutato ha sempre interesse (ex art. 100 c.p.c.) a contestare con l'opposizione ex art. 617 c.p.c. la regolarità formale di un pignoramento presso terzi ovvero l'impiego di un mezzo di espropriazione non previsto dalla legge per il tipo di bene aggredito, dato che l'opposizione agli atti esecutivi è lo strumento per far valere il vizio della procedura ed impedire che la stessa giunga a compimento, con conseguente attribuzione al creditore di un bene a cui non avrebbe avuto diritto per il tramite di un'espropriazione illegittimamente intrapresa (Cass. n. 1098/2021, la quale, in applicazione del principio, ha riconosciuto l'interesse della debitrice a proporre l'opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso il pignoramento di titoli di credito perché eseguito exartt. 543 ss. c.p.c., anziché nelle forme dell'art. 1997 c.c.). In tema di esecuzione presso terzi, con l'opposizione agli atti esecutivi proposta avverso l'ordinanza di assegnazione emessa sulla scorta della dichiarazione resa ai sensi dell'art. 547 c.p.c., il terzo pignorato non può contestare l'esistenza del credito assegnato ma solo, deducendo l'erronea interpretazione data dal giudice dell'esecuzione della dichiarazione di quantità quale dichiarazione positiva, far valere l'illegittimità dell'assegnazione dei crediti pignorati per essere stata adottata in mancanza di una dichiarazione positiva di quantità non contestata (Cass. n. 13223/2024). Avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione di esclusione di un offerente dalla partecipazione ad un esperimento di vendita è esperibile l'opposizione agli atti esecutiviexart. 617 c.p.c., trattandosi di un atto immediatamente lesivo del diritto dell'offerente estromesso a concorrere per l'aggiudicazione del bene staggito, il quale è legittimato alla proposizione dell'opposizione in quanto terzo destinatario degli effetti degli atti della procedura, interessato alla rimozione di quelli dai quali può derivargli pregiudizio (Cass. III, n. 23338/2022). La norma dell'art. 591- ter c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis anteriore alle modifiche di cui al d.l. n. 83/2015, in tema di operazioni di esecuzione per espropriazione di immobili delegate al notaio, quando, nel comma 2, dispone che «restano ferme le disposizioni di cui all'art. 617» dev'essere interpretata nel senso che l'opposizione agli atti esecutivi è il mezzo esperibile contro le ordinanze del giudice dell'esecuzione pronunciate, sia a seguito del reclamo delle parti del processo esecutivo contro i decreti pronunciati dal giudice dell'esecuzione su sollecitazione del notaio delegato, in relazione a difficoltà insorte nelle operazioni di esecuzione, sia a seguito del reclamo delle parti avverso gli atti del notaio delegato, restando, pertanto, esclusa ogni possibilità di diretta impugnativa in sede giurisdizionale diversa dal reclamo tanto dei suddetti decreti quanto degli atti del notaio delegato, e, quindi, la proposizione diretta dell'opposizione agli atti esecutivi contro di essi ed a maggior ragione, data l'esistenza nel sistema dell'esecuzione forzata di un rimedio generalizzato contro le invalidità del processo esecutivo, rappresentato proprio dal rimedio dell'art. 617, del ricorso straordinario ai sensi del comma 7 dell'art. 111 Cost., rimedio che, peraltro, non è esperibile anche contro le stesse decisioni emesse in sede di reclamo, atteso che esse possono essere impugnate solo con l'opposizione di cui all'art. 617 (Cass. n. 11817/2018). Con riferimento al procedimento ordinato all'emissione dell'ordinanza di autorizzazione alla vendita di cui all'art. 569, è inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione con il quale venga conferito all'esperto l'incarico per la redazione della relazione di stima del bene da vendere, con l'indicazione del relativo stato di possesso, da riportare nel successivo bando, trattandosi di provvedimento privo di natura decisoria e revocabile o modificabile da parte dello stesso giudice dell'esecuzione, che lascia impregiudicata la possibilità per l'avente interesse di far valere i vizi ad esso relativi con il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 12637/2018). Le parti del processo esecutivo hanno l'onere di denunciare con l'opposizione ex art. 617 c.p.c.l'erroneo trasferimento all'aggiudicatario di un cespite oggetto di pignoramento, essendo inammissibile l'autonoma azione da esse eventualmente proposta al fine di contrastare gli effetti dell'esecuzione, ponendoli nel nulla o limitandoli (Cass. III, n. 27677/2022, fattispecie nella quale la S.C. ha cassato senza rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto ammissibile l'azione di rivendicazione, proposta nei confronti dell'aggiudicatario da parte di un soggetto che assumeva di essere comproprietario del bene pignorato il quale, pur avendo preso parte al processo esecutivo, aveva omesso di proporre l'opposizione ex art. 617 c.p.c.). Il provvedimento di approvazione del progetto finale di distribuzione è impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi, essendo irrilevante che il giudice abbia contestualmente dichiarato (impropriamente) l'estinzione del processo, in quanto tale dichiarazione è solo una presa d'atto della chiusura fisiologica del processo di espropriazione, e non è idonea a precludere l'impugnazione dell'approvazione del progetto finale di distribuzione, che è l'ultimo atto di quel processo (Cass. n. 9175/2018). TermineIl termine di decadenza per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi è di venti giorni e decorre dal compimento dell'atto esecutivo oggetto della stessa ovvero dalla notifica del titolo esecutivo e del precetto o, sempre ove riguardi siffatti atti, dal primo atto di esecuzione. Sino alla riforma realizzata dal d.l. n. 35/2005, conv. nella l. n. 80/2005, tale termine era determinato nella misura inferiore di cinque giorni. La S.C. ha chiarito, rispetto alla disciplina transitoria, che l'art. 617 novellato in parte qua si applica anche alle opposizioni proposte contro gli atti esecutivi compiuti, anche nella vigenza della precedente disciplina, in procedimenti esecutivi pendenti alla data di entrata in vigore della nuova norma, e cioè il 1° marzo 2006, purché l'opposizione sia stata proposta con citazione notificata (o ricorso depositato) dopo la predetta data e sempre che non sia decorso il termine di cinque giorni fino ad allora in vigore (Cass. n. 14376/2014). La verifica dell'osservanza del termine perentorio per proporre opposizione agli atti esecutivi è compiuta anche d'ufficio dal giudice sulla base dei documenti acquisiti al processo (Cass. n. 89/2021; Cass. n. 27533/2014). È l'opponente – a fronte del rilievo del giudice o dell'eccezione di parte – ad avere l'onere di indicare e provare il momento in cui abbia avuto la conoscenza, legale o di fatto, dell'atto esecutivo che assume viziato, non potendosi altrimenti verificare il rispetto da parte sua del termine di decadenza per la proposizione dell'opposizione (Trib. Roma n. 6/2013). Tuttavia, tale principio deve essere coordinato con il principio dell'acquisizione probatoria, sicché l'onere è assolto anche qualora la prova della tempestività dell'opposizione emerga, comunque, dagli atti del fascicolo dell'esecuzione o da quelli prodotti dall'opposto (Cass. n. 19277/2012). L'eccezione di tardività dell'opposizione proposta ex art. 617 c.p.c. per omessa allegazione, da parte dell'opponente, del momento in cui ha avuto effettiva conoscenza della procedura esecutiva, ove non decisa dal giudice del merito e dunque non coperta da giudicato interno, può e deve essere delibata in sede di legittimità, ancorché non dedotta come motivo di ricorso, trattandosi di eccezione relativa ad un termine di decadenza processuale la cui inosservanza è rilevabile d'ufficio e che comporta la cassazione senza rinvio della sentenza ex art. 382, comma 3, c.p.c. in quanto l'azione non poteva proporsi (Cass. S.U., n. 8501/2021; Cass. n. 16780/2015). Ai sensi dell'art. 617, comma 2, c.p.c. l'opposizione avverso gli atti del giudice dell'esecuzione si propone con ricorso, che deve essere depositato in cancelleria nel termine perentorio di venti giorni, sicché, ove l'opposizione sia stata proposta con citazione anziché con ricorso, è tempestiva, in applicazione del principio di conservazione degli atti processuali, solo se il relativo atto risulti depositato nel rispetto di tale termine (Cass. n. 2490/2016). Squisitamente correlato alla previsione di un termine di decadenza per la proposizione dell'opposizione è il rigoroso orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine all'inammissibilità di nuovi motivi di opposizione dopo la proposizione della stessa (Cass. n. 11566/2013; cfr. Cass. n. 18761/2013, per la quale nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi si ha mutatio libelli quando si avanzi un motivo di contestazione della regolarità formale di un atto del processo esecutivo diverso da quello posto a fondamento dell'atto introduttivo dell'opposizione, facendo così valere una causa petendi fondata su un vizio dell'atto non prospettato prima, con l'effetto di porre un nuovo tema d'indagine e di ampliare i termini della controversia, sicché il motivo di opposizione agli atti esecutivi proposto nel corso del processo è inammissibile, a prescindere dal fatto che attenga ad un vizio dello stesso atto opposto e che comporti identico petitum di annullamento, o revoca o modifica, del medesimo atto, irrilevante essendo, altresì, la presenza nel ricorso di una riserva «di ulteriormente sviluppare i motivi», la quale non può legittimare la proposizione di motivi nuovi). Casistica L'improcedibilità del processo di espropriazione forzata in conseguenza dell'omessa o tardiva trascrizione del pignoramento o dell'omesso o tardivo deposito del documento che la dimostra configura una ipotesi di estinzione “atipica”; pertanto, il provvedimento che dispone la predetta chiusura anticipata o che la nega (anche omettendo di provvedere sulla questione) non può essere impugnato con il reclamo ex art. 630 c.p.c., mezzo che riguarda soltanto le ipotesi di estinzione tipica dell'esecuzione, ma esclusivamente con l'opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 6873/2024). Nell'espropriazione forzata l'omesso o tardivo deposito dell'istanza di venditaexart. 497 c.p.c. determina la perdita di efficacia del pignoramento e, quindi, l'estinzione della procedura esecutiva, che la parte interessata deve far valere a norma dell'art. 630 c.p.c. e, in caso di rigetto dell'eccezione, col reclamo previsto dalla citata disposizione, non già con l'opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 35365/2023). In materia di espropriazione forzata, la contestazione da parte del creditore procedente – o di quello intervenuto in base a titolo esecutivo, ovvero in forza dei presupposti processuali speciali di cui alla seconda parte del comma 1 dell'art. 499 c.p.c., circa la ritualità, per carenza dei presupposti di ammissibilità, dell'intervento di altro creditore, non rientrante nelle categorie testé indicate, dà luogo, sempre che una lite siffatta non sia insorta in precedenza ad impulso di altri tra i soggetti del processo esecutivo, ad una controversia in sede distributiva non soggetta al termine ex art. 617 c.p.c., potendo, pertanto, essere instaurata dalla data del dispiegamento dell'intervento o da quella di conoscenza dello stesso (Cass. n. 7107/2015). Ai sensi dell'art. 512 c.p.c., tutte le controversie distributive vanno introdotte e trattate nelle forme di cui all'art. 617 c.p.c., a prescindere dalla circostanza che la causa petendi sia costituita dalla denuncia di vizi formali del titolo esecutivo di uno dei creditori partecipanti alla distribuzione ovvero da qualsiasi altra questione – anche relativa ai rapporti sostanziali – che possa dedursi in tale sede. Pertanto, il giudizio introdotto ex art. 512 c.p.c. (con l'impugnazione del provvedimento del giudice dell'esecuzione) è destinato a concludersi in ogni caso con sentenza non appellabile (Cass. n. 19122/2020). In tema di opposizione agli atti esecutivi, la nullità della comunicazione del provvedimento del giudice dell'esecuzione – avvenuta senza la trasmissione del testo integrale della decisione comprensivo del dispositivo e della motivazione (in violazione dell'art. 45, comma 4, disp. att. c.p.c.) – è suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo, anche ai fini del decorso del termine per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi, qualora l'oggetto della comunicazione sia sufficiente a fondare in capo al destinatario una conoscenza di fatto della circostanza che è venuto a giuridica esistenza un provvedimento del giudice dell'esecuzione potenzialmente pregiudizievole; in tal caso è onere del destinatario, nonostante l'incompletezza della comunicazione, attivarsi per prendere utile e piena conoscenza dell'atto per valutare se e per quali ragioni proporre tempestivamente l'opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. oppure, alternativamente, incombe all'opponente dimostrare l'inidoneità in concreto della ricevuta comunicazione ai fini dell'estrinsecazione, nei predetti termini, del suo diritto di difesa (Cass. n. 5172/2018). In sostanza, in base al principio generale della sanatoria della nullità degli atti processuali per raggiungimento dello scopo, la comunicazione di cancelleria del provvedimento del giudice dell'esecuzione è idonea a determinare il decorso del termine per proporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. anche qualora sia avvenuta in non esatta ottemperanza del disposto di cui all'art. 45, comma 2, disp. att. c.p.c. (come nel caso in cui abbia avuto ad oggetto il testo non integrale del provvedimento), purché abbia determinato in capo al destinatario la conoscenza di fatto della giuridica esistenza di un provvedimento potenzialmente pregiudizievole ed in tal caso, è onere del destinatario, nonostante l'incompletezza della comunicazione, attivarsi per prendere piena conoscenza dell'atto, senza che ciò impedisca il decorso del termine complessivo di venti giorni dalla comunicazione incompleta, ed incombe all'opponente dimostrare, se del caso, l'inidoneità in concreto della ricevuta comunicazione ai fini dell'estrinsecazione, in detti termini, del suo diritto di difesa (Cass. n. 15193/2018). In tema di espropriazione forzata presso terzi, il termine per proporre l'opposizione agli atti esecutivi,exart. 617 c.p.c., avverso l'ordinanza di assegnazione di cui all'art. 553 c.p.c., decorre, per il terzo pignorato, dal momento in cui ha avuto conoscenza legale tramite notificazione da parte del creditore, e non, se effettuata successivamente, dalla data di notificazione dell'atto di precetto, che costituisce il titolo per agire in executivis nei confronti del terzo (Cass. n. 25110/2015). L'irregolarità del pignoramento di un diritto di credito, incorporato in un titolo di credito emesso da un terzo, eseguito nelle forme del pignoramento presso terzi anziché in quelle del pignoramento diretto presso il debitore, va contestata con l'opposizione agli atti esecutivi e non nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo secondo il regime anteriore all'attuale testo dell'art. 549 c.p.c. (Cass. n. 20338/2020, fattispecie nella quale la S.C., nel confermare la decisione di merito, ha precisato che, in relazione ai crediti in questione, rappresentati da titoli cambiari, non sussisteva il paventato rischio per il terzo pignorato del «doppio pagamento»; infatti, poiché il pignoramento di detti titoli era avvenuto non nelle forme dell'espropriazione diretta presso il debitore, ma in quelle dell'espropriazione dei crediti presso terzi, il processo esecutivo aveva ad oggetto il rapporto obbligatorio causale sottostante e non quello cambiario, con la conseguenza che il terzo debitore, una volta effettuato il pagamento dell'obbligazione cambiaria dopo il pignoramento, benché non potesse opporre tale pagamento al creditore assegnatario, era tutelato dal diritto, a lui riconosciuto dall'art. 66, comma 3, l. camb., alla restituzione degli effetti emessi). In tema di pignoramento presso terzi, la contestazione del credito oggetto di assegnazione per fatti anteriori alla pronuncia dell'ordinanzaexart. 553 c.p.c., fondata sull'erroneità della qualificazione come positiva della dichiarazione del terzo, può essere fatta valere soltanto con l'impugnazione dell'ordinanza stessa ai sensi dell'art. 617 c.p.c., da proporsi entro il termine di decadenza che decorre dalla conoscenza legale del provvedimento di assegnazione (Cass. n. 3712/2016). In tema di espropriazione forzata presso terzi, il termine per proporre opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione pronunciata fuori udienza decorre, per il debitore esecutato, dal momento in cui questi ne abbia conoscenza, legale o di fatto, e non già dalla data del deposito in cancelleria di detta ordinanza (Cass. n. 27533/2014). Il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 560, comma 3, c.p.c., come novellato dal d.l. n. 59/2016, conv. con modif. dalla l. n. 119/2016, ordina la liberazione dell'immobile pignorato non costituisce autonomo titolo esecutivo idoneo a fondare una separata esecuzione per rilascio, bensì atto del processo di espropriazione immobiliare suscettibile di attuazione deformalizzata direttamente da parte degli ausiliari del giudice che lo ha emesso, con la conseguenza che i soggetti coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento possono trovare tutela delle loro ragioni esclusivamente nelle forme dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 9670/2024). Nella vendita forzata l'aggiudicatario del bene pignorato, in quanto parte del processo di esecuzione, ha l'onere di far valere l'ipotesi di aliud pro alio con il solo rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi, che va esperita – nel limite temporale massimo dell'esaurimento della fase satisfattiva dell'espropriazione, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione – comunque entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell'atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria (Cass. n. 7708/2014). In materia di espropriazione immobiliare, l'opposizione agli atti esecutivi con la quale l'aggiudicatario deduca la nullità del decreto di condanna ai sensi degli artt. 587, comma 2, c.p.c. e art. 177 disp. att. in ragione della mancata comunicazione, nelle forme prescritte, del decreto, ad esso presupposto, con il quale sia stata dichiarata la propria decadenza dall'aggiudicazione, ove formulata oltre il termine di cui all'art. 617, comma 2, c.p.c. dall'ultimo atto del procedimento (nella specie l'atto di precetto fondato sul decreto di condanna), è da ritenersi tempestiva soltanto se l'opponente alleghi e dimostri quando è venuto a conoscenza dell'atto presupposto nullo (cioè della sua mancata comunicazione e, quindi, della relativa nullità) e di quelli conseguenti, ivi compreso l'ultimo, e la medesima opposizione risulti avanzata nel termine di venti giorni da tale sopravvenuta conoscenza di fatto (Cass. n. 13043/2018). In tema di espropriazione immobiliare, il termine per proporre opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento del giudice dell'esecuzione che, su richiesta dell'aggiudicatario, abbia prorogato il termine per il versamento del prezzo decorre dall'adozione del provvedimento stesso ovvero dal rigetto dell'istanza per la sua revoca e non dall'emissione del decreto di trasferimento, in quanto non può essere invocata la nullità dell'atto susseguente se non è stato fatto valere il vizio dell'atto presupposto, salvo che l'opponente abbia incolpevolmente ignorato l'esistenza di quest'ultimo (Cass. n. 32136/2019; contra, Cass. n. 7446/2007). Il decreto di trasferimentoex art. 586 c.p.c. è un atto esecutivo della procedura di espropriazione ma costituisce anche titolo esecutivo per il rilascio, sicché le censure riguardanti non il «modo» in cui si è svolta l'espropriazione (e, quindi, l'idoneità del decreto a determinare il trasferimento in favore dell'aggiudicatario), bensì l'efficacia del decreto come titolo per l'esecuzione ex art. 2930 c.c., costituiscono materia di opposizione a tale (diversa) esecuzione per rilascio, ove si discuta se il decreto di trasferimento abbia i requisiti per valere come provvedimento di questo tipo, ovvero se non sia giuridicamente inesistente, oppure se è proprio l'immobile di cui si chiede il rilascio ad essere stato trasferito con il decreto (Cass. n. 12523/2016). In tema di esecuzione di obblighi di fare e di non fare, l'impugnazione, da parte del creditore procedente, dell'ordinanza di liquidazione delle spese a carico del debitore esecutato, pronunciata in caso di estinzione atipica del procedimento esecutivo, va proposta non già nelle forme dell'opposizione al decreto ingiuntivo, bensì con l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., che costituisce il rimedio tipico per contestare i provvedimenti del giudice dell'esecuzione regolanti l'andamento del relativo processo (Cass. n. 14604/2020). In tema di procedimento esecutivo, la contestazione della possibilità per il creditore di iniziare o proseguire l'esecuzione forzata individuale in costanza del fallimento del debitore, ai sensi dell'art. 51 l.fall., attiene al diritto di procedere all'esecuzione forzata (individuale) e non semplicemente alla regolarità di uno o più atti della procedura ovvero alle modalità di esercizio dell'azione esecutiva, sicché va qualificata come opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. e non è assoggettata al regime, anche quanto al termine di decadenza per la proposizione, di cui all'art. 617 c.p.c. (Cass. n. 14449/2016). L'opposizione agli atti esecutivi è esperibile esclusivamente nei confronti di atti riferibili al giudice dell'esecuzione, che è l'unico titolare del potere di impulso e controllo del processo esecutivo, sicché, ove l'atto (anche eventualmente omissivo) che si assume contrario a diritto sia riferibile solo ad un ausiliario del giudice, ivi compreso l'ufficiale giudiziario, esso è sottoponibile al controllo del giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 60 c.p.c. o nelle forme desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato, e solamente dopo che questi si sia pronunciato sull'istanza dell'interessato diviene possibile impugnare il relativo provvedimento giudiziale con le modalità di cui all'art. 617 c.p.c. (Cass. n. 19573/2015). Sanatoria del vizio per raggiungimento dello scopoIn alcuni casi, la natura dei vizi è tale che la stessa proposizione dell'opposizione ai sensi della disposizione in esame comporta la sanatoria degli stessi per raggiungimento dello scopo dell'atto ex art. 156, comma 3, c.p.c. In tale solco interpretativo si colloca la giurisprudenza, anche di legittimità, per la quale l'opposizione al precetto sana la nullità del precetto stesso, derivante dalla mancata indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo in virtù del principio di ordine generale, sancito dall'art. 156 c.p.c., secondo chi la nullità non può essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo cui era destinato (Cass. n. 25433/2014). Nell'ipotesi di notificazione del precetto eseguita da un ufficiale giudiziario territorialmente incompetente, la conseguente nullità, non impedendo il perseguimento delle finalità del precetto stesso, è da considerarsi sanata in forza dell'avvenuta proposizione, da parte dell'intimato, dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. (Cass. n. 14495/2013). Peraltro, non è sanabile per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell'art. 156, ultimo comma, c.p.c., la nullità del precetto conseguente all'omissione della notificazione del titolo esecutivo: e ciò sia quando venga proposta opposizione agli atti esecutivi per far valere il vizio della mancata osservanza dell'art. 479, comma 1, c.p.c.; sia quando, unitamente a quest'ultima, vengano proposti motivi di opposizione ex art. 615 c.p.c. (Cass. n. 23894/2012). È stato precisato, di contro, che la nullità della notificazione dell'atto di pignoramento è sanata per il raggiungimento dello scopo quando l'opposizione agli atti esecutivi è proposta al solo scopo di lamentare tale nullità, non anche a quello di far valere la nullità correlata all'ordinanza di assegnazione, quale atto conclusivo del processo esecutivo, che sia stato invalidamente introdotto, e di chiedere, quindi, la revoca o l'annullamento dell'ordinanza medesima (Cass. n. 9903/2021; Cass. n. 17349/2011). Sopravvenuto difetto di interesse ad una decisione sul merito dell'opposizione agli atti esecutiviAnche alcuni eventi del processo esecutivo possono far venire meno l'interesse dell'opponente ad una decisione nel merito dell'opposizione: ciò avviene, in particolare, laddove l'esecuzione si sia estinta o quando sia stato revocato l'atto. Invero, l'estinzione del procedimento esecutivo comporta la cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse a proseguire il giudizio di opposizioni agli atti esecutivi (Cass. n. 15761/2014). Sotto altro profilo, poiché il potere del giudice dell'esecuzione di revocare i propri provvedimenti, ai sensi dell'art. 487 c.p.c., concorre con quello delle parti di impugnarli con opposizione agli atti esecutivi, con la conseguenza che, qualora, proposta tale opposizione, il giudice revochi l'ordinanza opposta, l'opponente perde interesse all'instaurazione del giudizio di merito sull'opposizione, finalizzato alla rimozione del provvedimento stesso (Cass. n. 26185/2011). Per converso, la S.C. ha chiarito che la surrogazione nei diritti del creditore procedente comporta la prosecuzione del processo esecutivo e, pertanto, non determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi già pendente, permanendo l'interesse dell'opponente a conseguire la dichiarazione di illegittimità degli atti di esecuzione e la loro conseguente caducazione (Cass. n. 9060/2018). Competenza e procedimento
Opposizione a precetto Le opposizioni mediante le quali sono denunciati vizi del precetto o del titolo esecutivo vanno proposte nella forma di un'opposizione c.d. preventiva all'esecuzione forzata con atto di citazione dinanzi al giudice competente ai sensi dell'art. 480, comma 3, c.p.c. A riguardo, il comma 3 dell'art. 480 c.p.c. stabilisce che il precetto deve contenere anche la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione, precisando che, in difetto di tale indicazione, le opposizioni al precetto si propongono davanti al giudice del luogo in cui è stato notificato, e le notificazioni alla parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice stesso (per una recente applicazione v. Cass. n. 8402/2018, la quale ha ritenuto che, in tema di opposizione a cartella esattoriale, ove siano dedotti vizi formali – omessa notifica dell'invito al pagamento, carenza di motivazione, mancata indicazione dell'autorità giudiziaria competente – la relativa impugnativa deve essere qualificata come opposizione agli atti esecutivi con la conseguenza che, ai sensi degli artt. 617, comma 1, e 480, comma 3, c.p.c., la competenza territoriale spetta al giudice del luogo in cui la cartella è stata notificata). Pertanto il comune nel quale il creditore, con l'atto di precetto, abbia dichiarato la propria residenza od eletto il proprio domicilio, ai sensi dell'art. 480, comma 3, c.p.c. deve ritenersi coincidente con quello in cui ha sede il giudice dell'esecuzione, e, pertanto, vale a determinare la competenza territoriale sull'opposizione al precetto medesimo proposta prima dell'instaurazione del procedimento esecutivo (art. 26 e 27 c.p.c.), mentre l'eventuale contestazione di detta coincidenza (per non esservi in quel comune beni appartenenti all'esecutando, né la residenza del debitore di quest'ultimo), può essere sollevata soltanto dall'opponente, al fine di invocare la competenza del diverso giudice del luogo in cui è stato notificato il precetto, e non anche dallo stesso creditore, che resta vincolato alla suddetta dichiarazione od elezione (Cass. III, n. 13219/2010). Sul comma 3 della disposizione in esame è intervenuta la Corte Costituzionale con una fondamentale pronuncia interpretativa di rigetto, mediante la quale è stato chiarito – nel dichiarare non fondata, in riferimento agli artt. 3,24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 480, comma 3, nella parte in cui, ove il creditore nel precetto abbia eletto domicilio in un comune diverso da quello in cui vi siano beni esecutabili del debitore precettato, consentirebbe che la notificazione dell'opposizione a precetto possa essere eseguita presso la cancelleria del giudice del luogo ove è stato notificato l'atto – che Il debitore, infatti, in forza del «diritto vivente» può proporre opposizione al precetto al giudice del luogo di notifica di quest'ultimo ogni volta che egli deduca (anche implicitamente) l'inesistenza di suoi beni (o della residenza di suoi debitori) in tale luogo, ma può notificare la sua opposizione presso la cancelleria di tale giudice soltanto quando il creditore precettante abbia del tutto omesso la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio; ove tale dichiarazione o elezione vi sia, anche se in luogo che, secondo il debitore, mai potrebbe essere quello «dell'esecuzione», la notificazione dell'opposizione deve necessariamente farsi nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto (C. cost. n. 480/2005). Dopo tale decisione è consolidato l'assunto secondo cui, in virtù di un'interpretazione costituzionalmente orientata, il comma 3 dell'art. 480 c.p.c. nella parte in cui consente al debitore di eseguire la notificazione dell'atto di opposizione all'esecuzione presso la cancelleria del giudice del luogo in cui gli è stato notificato il precetto soltanto qualora il creditore precettante abbia del tutto omesso l'indicazione della residenza o l'elezione di domicilio, mentre, in caso contrario, la notifica dell'atto di opposizione deve essere effettuata nel luogo indicato dal creditore e non nella cancelleria, diversamente potendo il creditore precettante ignorare l'intervenuta opposizione (Cass. III, n. 18040/2013; Cass. III, n. 12540/2009; cfr., in sede applicativa, Trib. Novara n. 700/2010; Trib. Roma n. 18018/2015, per le quali, in tema di foro relativo all'opposizione a precetto, se la parte istante elegge domicilio in un comune in cui il debitore della prestazione pecuniaria da realizzarsi coattivamente non possiede beni, od in cui non risiede un terzo debitor debitoris, l'elezione di domicilio resta priva di effetti ed il debitore può proporre opposizione a precetto davanti al giudice del luogo nel quale gli è stato notificato il precetto stesso, essendo onere del creditore dimostrare nel relativo giudizio che nel comune in cui ha eletto domicilio sarebbe stato possibile sottoporre a pignoramento beni o crediti del debitore). È stato precisato che l'elezione di domicilio contenuta nel precetto, notificato unitamente alla sentenza titolo esecutivo, opera unicamente in relazione al processo esecutivo, di cui il precetto è atto prodromico, ma non produce l'effetto di cui all'art. 330, comma 1, ai fini dell'individuazione del luogo di notificazione delle impugnazioni (Cass. III, n. 27527/2014). Opposizione successiva all'inizio dell'esecuzione forzata Dopo l'inizio dell'esecuzione forzata, l'opposizione ex art. 617, comma 2, c.p.c. si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione. Peraltro, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno da lungo tempo chiarito che le forme previste dagli artt. 615, comma 2, e 617, comma 2, c.p.c. non sono richieste a pena di nullità e le predette opposizioni possono, pertanto, essere proposte anche oralmente all'udienza davanti al giudice dell'esecuzione, ovvero mediante deposito, in tale udienza, di una comparsa di risposta, essendo anche tali forme idonee al raggiungimento dello scopo (costituzione del rapporto processuale cognitivo) proprio degli atti predetti; ne consegue che, una volta proposta in uno dei predetti modi l'opposizione, non è necessario un formale atto di costituzione da parte dell'opponente, che deve ritenersi, anche in mancanza di esso, ritualmente presente e costituito nel processo instaurato a norma dell'art. 618 c.p.c. (Cass. S.U., n. 10187/1998). Con una recente pronuncia, inoltre, la S.C. ha chiarito che, in tema di opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi, il decreto con il quale il giudice dell'esecuzione fissa davanti a sé l'udienza per la fase sommaria, assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso e dello stesso decreto all'opposto, non è soggetto a comunicazione, a cura della cancelleria, al ricorrente, sicché ove quest'ultimo lasci scadere il termine perentorio fissato, incorre nella declaratoria di inammissibilità dell'opposizione, senza potere beneficiare della rimessione in termini. Invece, se il ricorso è stato regolarmente notificato, la mancata comparizione delle parti non incide sull'ammissibilità della domanda e non preclude la possibilità di pervenire ad una pronuncia nel merito, in quanto la regolare instaurazione del contraddittorio pone le condizioni minime per l'attivazione dei poteri officiosi del giudice dell'esecuzione in ordine alla verifica dei presupposti di procedibilità dell'azione espropriativa (Cass. n. 11291/2020). Nella prima fase c.d. sommaria dinanzi al giudice dell'esecuzione lo stesso procederà nelle forme cameraliexart. 185 disp. att. c.p.c. limitandosi, all'esito, a decidere con ordinanza sull'istanza di sospensione dell'esecuzione e sulla competenza e concedendo termine per l'eventuale introduzione del giudizio di merito (v. commento sub art. 616). Con una recente decisione, la Corte di cassazione ha chiarito che nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi è ammissibile la domanda riconvenzionale quando il provvedimento dal giudice dell'esecuzione venga contestualmente ad incidere non solo sull'interesse dell'opponente, ma anche su quello dell'opposto ed a condizione che essa sia spiegata, a pena di decadenza, nel termine perentorio di cui all'art. 617 c.p.c., decorrente dal compimento o dalla conoscenza dell'atto esecutivo opposto, perché, in mancanza, si determina la sanatoria dell'atto stesso (Cass. n. 13151/2024 la quale ha annullato la sentenza impugnata che, in un giudizio di opposizione agli atti esecutivi, aveva dichiarato ammissibile la domanda riconvenzionale dell'opposto sebbene tardivamente introdotta soltanto nella fase di merito del giudizio di opposizione agli atti esecutivi e, dunque, quando era ormai ampiamente decorso il termine di venti giorni decorrente dalla conoscenza dell'ordinanza conclusiva del procedimento ex art. 612 c.p.c.). 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