La Prima Sezione della Cassazione ha dichiarato (erroneamente?) l'inammissibilità del ricorso avanzato dal difensore a mezzo PEC, inviato al corretto indirizzo del giudice che ha emesso il provvedimento ma non a quello individuato con atto interno del Presidente della Corte.
La questione
Con due recenti decisioni la Sezione Prima si è espressa in ordine al quesito riguardante la validità del deposito da parte del difensore effettuato a mezzo PEC ad un indirizzo (talvolta) errato.
Una prima “perentoria” decisione
A qualche giorno da un commento favorevole all'approdo manifestato dalla Sezione Seconda (v. Deposito telematico: un primo interessante chiarimento della Cassazione), ha destato forti critiche la conclusione affermata dalla Sezione Prima della Cassazione nella decisione n. 47557/2024 con la quale è stata dichiarata l'inammissibilità del ricorso avanzato dal difensore a mezzo PEC: il Tribunale ha rilevato che l'istante sosteneva di avere presentato ricorso per cassazione avverso tale condanna, depositandolo all'indirizzo telematico depositoattipenali.2.ca.bari@giustizia.it, circostanza da cui era sorto un disguido con la Corte di appello, che non aveva trasmesso l'atto alla Corte di cassazione. Ha però ritenuto che tale indirizzo fosse errato, perché diverso da quello assegnato dal DGSIA all'ufficio impugnazioni della Corte di appello di Bari, e che sia stata perciò legittima l'omessa trasmissione del ricorso alla Corte di cassazione.
Contro l'ordinanza è stato proposto ricorso e fra i motivi figura l'inosservanza di norme processuali, con violazione dell'art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p. Per il ricorrente l'ordinanza ignora la disciplina transitoria in materia di deposito degli atti penali, secondo cui fino al 31/12/2024 è consentito il deposito degli atti di impugnazione sia in forma cartacea sia agli indirizzi di posta certificata indicati dal DGSIA. La sentenza impugnata è stata emessa dalla terza sezione della Corte di appello di Bari, e quindi correttamente il ricorso è stato inviato all'indirizzo PEC depositoattipenali.2.ca.bari@giustizia.it, che è uno degli indirizzi indicati dal DGSIA come abilitati a ricevere le impugnazioni. Lo stesso Procuratore Generale ha aderito alla prospettazione del ricorrente e ha chiesto l'annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per un nuovo giudizio, essendo stata l'impugnazione depositata all'indirizzo PEC della terza sezione penale.
Ciò nonostante, la Sez. I ha dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione affermando innanzitutto che avendo il ricorrente stesso ha scelto la forma di deposito dell'atto di impugnazione in via telematica, ed era pertanto tenuto al rispetto delle formalità per esso previste, in particolare quella di invio all'indirizzo telematico assegnato all'ufficio in questione, cioè l'ufficio impugnazioni della Corte di appello di Bari. In secondo luogo, dichiara che “non vi è dubbio che il ricorso per cassazione è stato inviato alla Corte di appello competente tramite il suo deposito presso l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, come attualmente stabilito dall'art. 87-bis, comma 4, d.lgs. n. 150/2022. L'art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022, come ricordato anche dal ricorrente, al comma 1 stabilisce che, sino all'entrata a regime del processo penale telematico, è consentito il deposito con valore legale, effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari, «indicati in apposito provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia». Ma, la questione involge anche i commi 3, 4 e 6 della norma appena citata in cui si prevede che l'atto di impugnazione - che non sia una richiesta di riesame o l'appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali o reali - debba essere trasmesso, secondo le modalità indicate dal citato provvedimento del DGSIA, all'indirizzo PEC dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato.
Osserva, allora il Collegio, che l'indirizzo PEC utilizzato, pur compreso nell'elenco pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, non è riferibile all'ufficio della Corte di appello di Bari deputato a ricevere gli atti di impugnazione. A questo ufficio, infatti, risulta assegnato l'indirizzo PEC depositoattipenali.3.ca.bari@giustizia.it, diverso, quindi, da quello utilizzato dal ricorrente: la verifica sul sito web del Ministero della Giustizia consente, infatti, di accertare che il documento allegato al ricorso è incompleto, in quanto non riporta tutti gli uffici a cui è assegnato il predetto indirizzo, essendo, in particolare, privo della indicazione dell'Ufficio Impugnazione. Ai sensi dell'art. 87-bis, comma 7, lett. c), d.lgs. n. 150/2022, l'utilizzo di un indirizzo telematico diverso comporta l'inammissibilità dell'impugnazione, verificandosi il caso in cui l'atto risulta trasmesso «a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati … all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato».
Ad avviso del collegio, detta norma non può essere oggetto di interpretazioni dirette a valorizzare la capacità del deposito non legittimo di raggiungere lo scopo a cui l'atto di ricorso è diretto. Il Collegio ritiene che non possa, dunque, legittimarsi la possibilità di scrutinare, caso per caso, l'"effettività" dell'inoltro del ricorso presso indirizzi di posta non abilitati implicherebbe, infatti, l'affidamento della legittimità della progressione processuale ad imprevedibili - in quanto non imposti dal legislatore - controlli della cancelleria su caselle di posta non abilitate al ricevimento delle impugnazioni. In tal modo si contravviene alla ratio di semplificazione delle comunicazioni tanto da portare il Collegio a ribadire il principio secondo cui «In tema di impugnazioni, è inammissibile il ricorso per cassazione depositato telematicamente presso un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato nel decreto del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui all'art. 87-bis, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. La Sez. I tenuto conto della ratio, sottesa alla citata disposizione, di semplificazione delle comunicazioni tra parti e uffici giudiziari e di accelerazione degli adempimenti di cancelleria non ritiene di aderire alle statuizioni che in virtù del "raggiungimento dello scopo" finiscono per attenuare il rigore delle cause di inammissibilità previste dalla legge, nemmeno valorizzando l'idoneità della notifica effettuata» (Cass. pen., sez. II, n. 11795/2024, Rv. 286141) così come accaduto nel caso di specie.
La statuizione appare fallace e non convince l'argomentazione spesa dal Collegio per negare
il diverso indirizzo giurisprudenziale che valorizza l'idoneità della notifica al "raggiungimento dello scopo" espressione anche di quel principio del favorimpugnationis immanente al sistema delle impugnazioni ed esclude l'attribuzione al diritto vivente di una potestà integrativa della volutaslegis che consenta l'individuazione di diverse forma di presentazione del ricorso rispetto a quelle volute dal legislatore». In maniera perentoria, invece, ribadisce che, in ogni caso rimane «a carico del ricorrente il rischio che l'impugnazione, ove presentata ad un ufficio diverso, sia dichiarata inammissibile per tardività, in quanto, escluso comunque che sulla cancelleria incomba l'obbligo di trasmissione degli atti al giudice competente ex art. 582, comma 2, c.p.p., la data di presentazione rilevante ai fini della tempestività è quella in cui l'atto perviene all'ufficio competente a riceverlo».
Pertanto, non sussistendo un obbligo della cancelleria a cui è associato l'indirizzo PEC depositoattipenali.2.ca.bari@giustizia.it di trasmettere tempestivamente il ricorso ricevuto all'indirizzo corretto, ovvero all'ufficio impugnazioni, il rischio di tale omessa trasmissione, o della sua tardività, rimane a carico del ricorrente, il quale non può dolersi della dichiarazione di inammissibilità, in quanto conseguente ad un suo errore e, in questo caso, all'applicazione di una sanzione processuale stabilita esplicitamente dal legislatore.
Deve, peraltro, ricordarsi che anche nel caso della presentazione del ricorso ad un giudice incompetente, in relazione al quale l'art. 568, comma 5, c.p.p. stabilisce il dovere di trasmissione al giudice competente, questa Corte ha sempre affermato che la data di presentazione di cui tenere conto è quella in cui l'atto perviene al giudice competente, con la conseguenza che in caso di trasmissione tardiva l'impugnazione deve, in ogni caso, essere dichiarata inammissibile (Cass. pen., sez. I, n. 1419/2000, Rv. 216084).
Ancora una volta, come d'abitudine, il formalismo ricade sulla difesa e quello digitale è un'arma che da tempo il “nuovo” legislatore sta agitando per ridurre, anche per tale via, il (ritenuto ed eccessivo) carico delle impugnazioni, attuando quell'efficientismo tanto caro negli ultimi tempi al legislatore e alla magistratura, dimenticando che così statuendo passa in giudicato una decisione che (potenzialmente) il difensore con la devoluzione ad “altro” giudice intende sollevare censure ed errori dei quali l'atto potrebbe essere affetto. Ma le perplessità sono destinate ad aumentare non appena si consideri che poco dopo la medesima Sez. I ha espresso un principio di diritto opposto e corretto.
La corretta interpretazione normativa
Una più “equilibrata” decisione più recente offre, invece, una corretta interpretazione normativa delle menzionate norme: la stessa Sezione I con la decisione n. 654/2025 ha affermato che la patologia che preclude la valutazione di merito deve essere dichiarata, ai sensi del comma 7 dell'art. 87-bis cit., dal giudice a quo: la norma sancisce è il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato che dichiara, anche d'ufficio, con ordinanza l'inammissibilità̀ dell'impugnazione. Tra i casi previsti dal comma 7 lett. c) è annoverato quello dell'inammissibilità̀ dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 591, comma 3, c.p.p., quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1, all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato.
Ma ciò che conta è che il Collegio, da un lato rinnova il principio di diritto secondo il quale, in tema di impugnazioni, è inammissibile il gravame depositato telematicamente, presso un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato nel decreto del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui all'art. 87-bis, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (tra le altre, Cass. pen., sez. IV, n. 48804/2023, Ciattaglia, Rv. 285399). La sentenza si uniforma, correttamente, a quanto affermato in altre occasioni dalla Cassazione secondo una posizione condivisibile per cui a nulla rileva se l'indirizzo di posta certificata dell'Ufficio giudiziario destinatario dell'impugnazione è un indirizzo comunque dedicato (cfr. Cass. pen., sez. V, n. 24953/2021, Garcia Genesis De Jesus, Rv. 281414 - 01), il suo utilizzo non è causa – correttamente - d'inammissibilità̀ dell'impugnazione.
La Corte, in tale occasione, conferma che non è, dunque, causa di inammissibilità̀ dell'impugnazione la sua trasmissione a un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dell'Ufficio giudiziario di destinazione, diverso da quello indicato come abilitato dal provvedimento organizzativo del Presidente del Tribunale, ma, comunque, compreso nell'elenco allegato al provvedimento del Direttore generale dei Sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il provvedimento contiene, infatti, l'individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e la sanzione processuale è prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. e), d.l. cit. esclusivamente in caso di utilizzo di indirizzi PEC di destinazione non ricompresi neppure nell'allegato del citato provvedimento direttoriale.
Ebbene, tale decisione appare condivisibile posto che il provvedimento istitutivo del 9/11/2020 con l'allegato n. 1, modificato, da ultimo, il 16/6/2021 con la sola aggiunta di una casella per il deposito presso la Corte di cassazione, si limita ad attribuire ad ogni ufficio giudiziario una o più caselle, senza in alcun modo attribuire alle stesse una determinata funzione in relazione al tipo di atto da inviare. Deriva, infatti, dalle singole determinazioni dei capi degli uffici l'adozione dei provvedimenti organizzativi interni ammissibili sì ma non dotate di forza normativa, con i quali si è inteso destinare le singole caselle a differenti attività o uffici interni, la cui inosservanza non può dunque rappresentare una violazione di Legge, né dar luogo alla declaratoria di inammissibilità di un'impugnazione.
È questa la sola lettura corretta delle norme che si conforma ai principi di legalità e tassatività che regolano la materia e, altresì, i principi logico-sistematici sui cui riposa lo statuto dei “controlli” pena, altrimenti, l'inaccettabile compressione del diritto di impugnazione, espressione e forma di garanzia del diritto di difesa e del controllo dell'esercizio della giurisdizione che, anche per mezzo di essa, trova esplicazione.
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