Violenza sessuale sui minori infradecenni: chi è competente e da quando?

20 Gennaio 2025

In tema di violenza sessuale, a seguito della modifica introdotta dall'art. 13, comma 2, lett. b), legge 19 luglio 2019, n. 69, vigente dal 9 agosto 2019, competente per materia a giudicare del delitto, nel caso in cui sia aggravato a norma dell'art. 609-ter, ultimo comma, c.p. e il fatto risulti commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci, è la Corte d'assise e non il tribunale in composizione collegiale.

Premessa

L'art. 13, comma 2, lett. b), della legge 19 luglio 2019, n. 69, entrata in vigore in data 9 agosto 2019, ha modificato l'art. 609-ter, comma 2, c.p., prevedendo il raddoppio della pena prevista dall'art. 609-bis c.p. e, così, elevando a 24 anni di reclusione il massimo edittale per l'abuso sessuale ai danni di un minore di anni dieci, con conseguente radicamento della competenza per materia della corte di assise, ai sensi degli artt. 4 e 5 lett. a c.p.p.

Gli effetti di tale modifica sulla competenza per materia sono inizialmente sfuggiti agli operatori, nel senso che, per lungo tempo dopo la sua entrata in vigore, processi aventi ad oggetto abusi sessuali ai danni di minori di anni dieci sono stati celebrati innanzi ai tribunali in composizione collegiale e, solo di recente, questioni relative alla competenza per materia della corte d'assise sono state sollevate – e poi affrontate dalla S.C. – sia in processi aventi ad oggetto unicamente  tale reato, sia in processi in cui esso  era contestato in continuazione con altri delitti di competenza del tribunale (ad esempio, i maltrattamenti contro familiari e conviventi o la produzione di materiale pedopornografico).

Nelle sopra indicate sentenze della S.C. sono state trattate le seguenti questioni:  

  1. la modifica dell'art. 609-ter, comma 2, c.p. introdotta dall'art. 13 comma 2 lett. b legge 19 luglio 2019 n. 69 ha natura sostanziale o processuale? A chi spetta la competenza per materia a giudicare il reato di violenza sessuale aggravata per essere stato commesso ai danni di persona che non ha compiuto dieci anni in relazione a fatti commessi anteriormente al 9 agosto 2019 (data di entrata in vigore della legge 19 luglio 2019 n. 69)?
  2. in caso di connessione tra il reato di cui all'art. 609-ter comma 2 c.p. e altri delitti di competenza del tribunale si applica il regime di cui al comma 1 o al comma 3 dell'art. 21 c.p.p.  e, cioè, l'incompetenza è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado o è eccepibile entro i termini di cui all'art. 21 comma 2 c.p.p.?
  3. A quest'ultimo tema si collega l'ulteriore seguente questione:
  4. in caso di connessione tra il reato di cui all'art.609-ter comma 2 c.p. e altri delitti di competenza distrettuale ex art. 51 comma 3-bis, 3-quater, 3-quinquies c.p.p. e 328 commi 1-bis e quater c.p.p. quale autorità giudiziaria è competente per materia e territorio e a quale autorità vanno trasmessi gli atti?

I casi

Come sopra anticipato, entrambe le sentenze si sono occupate di decisioni di merito relative ad abusi sessuali su minori infradecenni commessi in data anteriore al 9 agosto 2019, uniti, nel caso della sentenza n. 28485, dal vincolo della continuazione con delitti di maltrattamenti in famiglia e di produzione di materiale pornografico utilizzando la vittima minore infradecenne.

Nella vicenda esaminata dalla sentenza n. 28485 il tribunale di Caltanissetta, nel gennaio del 2023, aveva condannato l'imputato per tutti i reati a lui contestati e, il 24.10.2023, la corte d'appello di Caltanissetta aveva confermato la condanna, riducendo la pena. Contro tale sentenza era stato proposto ricorso per cassazione, con cui era stata eccepita l'incompetenza per materia del tribunale e della corte d'appello, in favore, rispettivamente, della corte d'assise e della corte d'assise d'appello.

I giudici di legittimità, pur concludendo per l'inammissibilità del ricorso, hanno affermato due principi:

  • la modifica introdotta dall'art. 13 comma 2 lett. b legge 19 luglio 2019 n. 69, avendo natura processuale, determina l'attribuzione del delitto ex art. 609-ter, comma 2, c.p. alla competenza per materia della corte d'assise ex art. 5 c.p.p., anche se il fatto, nella sua materialità, è stato commesso in epoca antecedente all'entrata in vigore della modifica (9 agosto 2019), a condizione che, dopo tale data, il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale;
  • l'incompetenza del tribunale non può essere eccepita, per la prima volta, mediante ricorso per cassazione - come consentito dall'art. 21, comma 1, c.p.p. - in quanto, avendo la sentenza ad oggetto imputazioni tra loro connesse di competenza della corte d'assise e del tribunale, si verte in un'ipotesi di «competenza per materia determinata da ragioni di connessione» - disciplinata dall'art. 21, comma 3, c.p.p. - la cui violazione va rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro i termini di cui all'art. 21, comma 2, c.p.p. (vale a dire «prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall'articolo 491 comma 1»).

   

Nella vicenda esaminata dalla sentenza n. 42465, invece, il G.u.p. di Roma, in data 28 maggio 2021, aveva condannato l'imputato per violenza sessuale ai danni della figlia disabile per fatti commessi dal gennaio 2012 al 19 marzo 2019 (violenze iniziate quando la vittima aveva meno di 10 anni); tale sentenza era stata confermata dalla Corte di appello in data 27 novembre 2023. La S.C., in via preliminare, senza essere a ciò sollecitata dal ricorrente, si è posta la questione della competenza per materia del giudice d'appello in conseguenza dell'età della vittima - attesa la pacifica competenza in primo grado del G.u.p. in ogni caso -, pervenendo ad una conclusione opposta a quella accolta nella pronuncia n. 28485 e, cioè, affermando la competenza non della corte d'assise ma del tribunale in composizione collegiale in relazione a fatti commessi anteriormente al 9 agosto 2019, indipendentemente dal momento di esercizio dell'azione penale.

Le soluzioni giuridiche

Con riferimento alla prima questione, quindi, la sentenza n. 28485 ha implicitamente affermato la natura processuale della modifica introdotta dalla legge 19 luglio 2019 n. 69, ritenendo, di conseguenza, la competenza per materia della corte d'assise ex art. 5 c.p.p., per i fatti commessi prima della sua entrata in vigore (9 agosto 2019) in caso di esercizio dell'azione penale dopo tale data.

Nella parte motiva i giudici di legittimità hanno testualmente invocato «il principio tempus regit actum che governa la successione nel tempo delle norme processuali», limitandosi a richiamare a sostegno di tale affermazione le Sezioni Unite n. 3821/2006 PG in proc Timofte, Rv 232592 in tema di modifiche introdotte all'art. 186 C.d.S.,  per concludere che, nel caso in esame, «l'individuazione del giudice competente andava effettuata sulla base della normativa vigente, non all'epoca della consumazione del fatto, ma al momento di esercizio dell'azione penale», ferma restando «l'applicazione da parte del giudice competente delle disposizioni sanzionatorie più favorevoli al reo in considerazione della data di consumazione del reato ai sensi dell'art. 2 comma 3 c.p.».

Assai più articolato, invece, è il percorso argomentativo della sentenza n. 42465 in cui è stata affermata la natura sostanziale della modifica introdotta dall'art. 13 comma 2 lett. b legge 19 luglio 2019 n. 69 e la conseguente persistenza della competenza per materia del tribunale in composizione collegiale a giudicare gli abusi sessuali ai danni di minori di dieci anni (art. 609-ter u.c. c.p.) commessi anteriormente al 9 agosto 2019, indipendentemente dal momento di esercizio dell'azione penale.

In tale pronuncia, infatti, i giudici di legittimità, proprio muovendo dall'esame della sentenza a Sezioni Unite n. 3821/2006, Timofte, ha differenziato i casi in cui la modifica della competenza per materia è stata direttamente introdotta dal legislatore - come appunto per il reato di guida in stato di ebbrezza, oggetto della citata pronuncia delle Sezioni Unite - da quelli in cui la modifica è conseguita indirettamente dalla variazione della pena edittale - come nel caso di specie -, evidenziando come, nella prima ipotesi, la norma abbia carattere processuale, con conseguente applicazione del principio generale tempus regit actum (e dunque immediata applicazione della nuova regola anche ai reati commessi in epoca antecedente alla data della sua entrata in vigore), e, nella seconda, carattere sostanziale, con conseguente applicazione, anche al fine di stabilire la competenza per materia, dell'art. 2, comma 3, c.p.: in altri termini, nel primo caso, la competenza per materia va determinata sulla base della normativa in vigore al momento in cui il pubblico ministero esercita l'azione penale (in applicazione del principio tempus regit actum che governa la successione nel tempo delle norme processuali), mentre, nel secondo, sulla base della normativa in vigore al momento della commissione del fatto.

Nel caso di specie, «la modifica normativa dell'art. 609-ter c.p. - che ha portato la pena nei confronti dell'infra-decenne ad anni 24 di reclusione, spostando la competenza dinanzi alia corte di assise - ha inciso direttamente sulla pena (modifica sostanziale) e solo indirettamente sulla competenza (modifica processuale), per cui alla corte di assise spetta la competenza sui fatti commessi successivamente all' entrata in vigore della legge n. 69 del 2019, ma non su quelli commessi in precedenza, e ciò anche nei casi cui l'azione penale sia stata esercitata successivamente».

Nella sentenza n. 42465 viene, altresì, ricordato come questo principio sia stato costantemente ribadito ogni qualvolta si è posto il problema: in tema di usura o di omissione di atti di ufficio (legge n. 286 del 1990) o di falsa testimonianza (legge 7 agosto 1992 n. 356) per la competenza del pretore o del tribunale, ovvero in tema di lesioni personali stradali gravi e gravissime di cui all'art. 590-bis c.p. per la competenza del tribunale o del giudice di pace per i fatti commessi in data anteriore all'entrata in vigore della legge 24 marzo 2016 n. 41 (Cass. pen., sez. I, n. 48249/2017, Coppa, Rv. 271318; Cass. pen., sez. IV, n. 46394/2018, D'Angelo, Rv. 274273)

Della seconda questione si è occupata, necessariamente, la sola sentenza n. 28485, in quanto, nel processo oggetto della sentenza n. 42465, era contestato esclusivamente il delitto di cui all'art. 609-ter, comma 2, c.p.

Ciò premesso, nella sentenza citata i giudici di legittimità, dopo essersi limitati a prendere atto che l'imputazione aveva ad oggetto anche reati di competenza di tribunale connessi al reato di abuso sessuale su minore infradecenne, hanno ritenuto pacifica l'applicabilità al caso di specie sia dell'art. 15 c.p.p. - attributivo alla corte d'assise della competenza per materia anche per reati di per sé rientranti nella competenza del tribunale in caso di connessione con reati di competenza della corte - sia del principio stabilito dal comma 3 dell'art. 21 c.p.p., in quanto esso regola tutte le ipotesi di “competenza per materia determinata da ragioni di connessione” tra cui rientra quella di cui all'art. 15 c.p.p., ritenendo, quindi, non eccepibile, per la prima volta, mediante ricorso per cassazione l'incompetenza del tribunale, atteso che essa doveva essere rilevata/eccepita, a pena di decadenza, entro i termini di cui all'art. 21, comma 2, c.p.p. (vale a dire «prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall'articolo 491 comma 1»).

Osservazioni

In relazione alla prima questione, è pienamente condivisibile la soluzione adottata dalla sentenza n. 42465, che, oltre ad essere esaurientemente argomentata, appare rispettosa dei principi generali regolanti la materia e conforme all'elaborazione giurisprudenziale precedente (Cass. pen., sez. un., n. 3821/2006, Rv. 232592 – 01)

Va, infatti, osservato che

  • l'applicabilità di una modifica normativa incidente sull'individuazione dell'autorità giudiziaria competente a decidere anche a delitti materialmente commessi prima della sua entrata in vigore si lega alla natura - sostanziale o direttamente processuale - della norma modificativa, perché, ai fini della applicazione della modifica, e con essa del nuovo regime di competenza, rileva, nel primo caso, la data di consumazione del reato e, nel secondo, quella di esercizio dell'azione penale;
  • la norma modificativa va qualificata come avente natura processuale quando incide direttamente sulla competenza, individuando esplicitamente il giudice competente (nel senso che la competenza per materia muta per effetto di una specifica attribuzione normativa, come ad esempio accadde per il reato di guida in stato di ebbrezza con il d.l. 27 giugno 2003, n. 151, convertito nella legge 1 agosto 2003, n. 214 ), mentre va qualificata come norma avente natura sostanziale, se si limita a inasprire (o ridurre) la pena edittale e tale variazione di pena  comporta l'effetto processuale riflesso della modifica della competenza a giudicare il reato interessato dalla modifica
  • infatti, se la competenza a giudicare muta per effetto di un aumento di pena, ai fini della successione delle leggi nel tempo vanno applicati i principi regolanti il diritto penale sostanziale, perché vi è mutamento di competenza solo se e in quanto (e da quando) una determinata fattispecie incriminatrice è sanzionata con una pena che, secondo i criteri generali di cui agli artt. 4 e 5 lett. a c.p.p., fa scattare la competenza del giudice superiore (dopo l'abrogazione dell'art. 7 c.p.p., e più in generale delle preture, è rimasta solo la norma relativa alla corte d'assise);
  • se la competenza a giudicare un determinato reato è direttamente stabilita dalla norma modificativa, ai fini della successione delle leggi nel tempo va applicato il principio, che governa la successione nel tempo delle norme processuali, tempus regit actum, con la conseguenza che la competenza per materia va determinata sulla base della normativa in vigore al momento in cui il pubblico ministero esercita l'azione penale in una qualsiasi delle forme previste dal sistema processuale (Cass. pen., sez. un., n. 3821/2006, Timofte, Rv. 232592 - 01; Cass. pen., sez. IV, n. 37603/2007, Monachino; Rv. 237775 - 01; Cass. pen., sez. I, n. 26787/2005, Mezzalana, Rv. 231845 - 01; Cass. pen., sez. I, n. 12148/2005, Norcini, Rv. 231844 - 01)
  • tale distinzione, come sopra ricordato, risulta esposta in modo chiaro già nella sentenza delle Sezioni Unite n. 3821/2006 Rv. 232592, - che dunque risulta invocata in modo non pertinente nella sentenza n. 42465;
  • nel caso di specie, il legislatore, all'art. 13, comma 2, lett. b della legge 19 luglio 2019, n. 69 (entrata in vigore il 9.8.2019), ha elevato la pena prevista per gli abusi sessuali aggravati dall'essere stati commessi in danno di minori di anni dieci (art. 609 ter, ultimo comma, c.p.), stabilendo che gli stessi sono sanzionati con il doppio della pena prevista per il delitto non aggravato e, di conseguenza, alzando a 24 anni di reclusione (cioè il doppio di dodici anni, limite edittale per la fattispecie semplice) il massimo edittale fissato per questa ipotesi criminosa;
  • per effetto di tale modifica, la competenza per materia a decidere il delitto di abuso sessuale in danno di minori di anni dieci (art. 609-ter, ultimo comma, c.p.), commesso dopo il 9.8.2019, spetta, ai sensi degli artt. 4 e 5 lett. a c.p.p., alla corte di assise nel cui circondario è stato commesso il delitto, atteso che la competenza per materia giudicare il delitto di cui all'art. 609-bis appartiene al tribunale in composizione collegiale (art. 33-bis lett. c c.p.p.), ma rientra nella competenza della corte d'assise, ai sensi dell'art. 5 lett. a c.p.p., quando, a causa delle aggravanti ad effetto speciale (di cui si deve tener conto ex art. 4 c.p.p.) la pena massima edittale non è inferiore a 24 anni;

    

Ne deriva che alla disposizione normativa dell'art. 13 della legge 19 luglio 2019, n. 69, va attribuita natura sostanziale, ovvero di modificazione della pena edittale, e non invece di disposizione processuale con precipua funzione regolatrice della competenza, sicché la modifica alla regola processuale, che pure consegue in virtù dei nuovi e superiori limiti edittali, deve ritenersi posta indirettamente e non in maniera autonoma.

In conseguenza di ciò, per iCorte di appelloza sessuale su minore infradecenne commessi prima del 9 agosto 2019 (data di entrata in vigore della predetta modifica normativa) la competenza spetta al tribunale in composizione collegiale, essendo applicabile il regime normativo di cui all'art. 2, comma 4, c.p. e non quello di cui agli artt. 5 e 6 c.p.p. e, in caso di gravame, alla corte di appello, indipendentemente dal fatto che l'esercizio dell'azione penale sia avvenuto sotto il vigore della nuova norma, mentre per i reati commessi dal 9 agosto 2019 in poi la competenza per materia è rispettivamente della corte di assise e della corte di assise di appello.

D'altra parte, la tesi contraria porterebbe all'assurdo di individuare il giudice competente (corte d'assise) esclusivamente come effetto indiretto di una pena edittale che poi quel giudice non potrebbe applicare, essendo comunque vincolato dall'art. 2 comma 4, c.p. ad applicare la pena più mite vigente all'epoca della consumazione del fatto di reato.

Assai più complessa è la seconda questione.

Sul piano normativo il regime di deducibilità delle violazioni delle regole di competenza per materia è disciplinato in modo chiaro: l'incompetenza per materia, ai sensi dell'art. 21 co.1 c.p.p., è rilevata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo, con le sole eccezioni dell'incompetenza per materia in favore di “un giudice di competenza inferiore” (art. 23 comma 2 c.p.p.) e dell'incompetenza per materia derivante da connessione (art. 21 comma 3 c.p.p.) in cui il vizio deve essere rilevato o eccepito, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manca, entro il termine previsto dall'articolo 491 comma 1 c.p.p.

La violazione delle regole sulla competenza per materia determina, ex art. 178, comma 1, lett. a) e 179, comma 1, c.p.p., una nullità assoluta e, pertanto, insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ivi compreso quello di legittimità (sul punto Cass. pen., sez. V, n. 31673/2017, Rv. 270879).   

In assenza di una specifica indicazione normativa, il problema interpretativo sorge nei casi in cui pende innanzi al tribunale un processo in cui sono contestati contestualmente sia un delitto di competenza della corte d'assise (come, appunto, il delitto di abuso sessuale ai danni di minore infradecenne), sia altri delitti appartenenti alla competenza del tribunale ad esso connessi (ad esempio il delitto di maltrattamenti): in tali casi, stando alla lettera dell'art. 21 c.p.p. 

  • in relazione al primo, l'incompetenza per materia, ai sensi del comma 1, sarebbe rilevabile, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo
  • in relazione ai secondi, la competenza per materia della Corte d'assise é determinata dalla connessione ai sensi dell'art. 15 c.p.p., con la conseguenza che il vizio sarebbe sanato se non rilevato o eccepito nei termini, previsti a pena di decadenza, dal comma 3.

    

La S.C., nella sentenza in esame, con motivazione succinta, ha ritenuto pacifica l'estensione del principio relativo a modi e termini di rilevamento dell'incompetenza per connessione («l'incompetenza per materia o per territorio derivante da connessione ai sensi degli artt. 15 e 16 c.p.p., non rilevata d'ufficio o eccepita prima della conclusione dell'udienza preliminare o, quando questa manchi, subito dopo il compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti in dibattimento, non può essere né eccepita né rilevata per la prima volta in sede di legittimità, ostandovi il disposto dell'articolo 21, comma 3, c.p.p.») in casi come quello in esame, e cioè in casi in cui sono contestati, oltre al delitto di competenza della corte d'assise, anche altri reati connessi di competenza del tribunale. In altri termini, la S.C., nella citata sentenza, ritiene applicabile a tutti i reati oggetto del processo il regime di rilevabilità del comma 3 dell'art. 21 c.p.p. benché, per uno dei reati contestati (cioè l'abuso sessuale in danno del minore infradecenne), la competenza per materia sia, in realtà, "pura", diretta e non derivante dalla connessione – e dunque di per sé normativamente sottoposta al regime dell'art. 21, comma 1, c.p.p. -, mentre per le residue imputazioni, diverse ma connesse a quella rientrante originariamente nella competenza della corte d'assise, la competenza per materia sia “indiretta”, cioè, determinata da ragioni di connessione e disciplinata dall'art. 15 c.p.p.

Tale soluzione è stata criticata dalla giurisprudenza di merito e in dottrina con vari argomenti. In particolare:

  • in primo luogo, pur muovendo dalla condivisione del punto di partenza della criticata sentenza – secondo cui, per stabilire la competenza per materia del giudice e, di conseguenza, il correlato regime di deducibilità dell'eventuale incompetenza, si deve avere riguardo all'intera platea delle contestazioni elevate nei confronti dell'imputato – si è osservato che la conclusione cui pervenire doveva essere quella opposta cui sono pervenuti i giudici di legittimità, cioè quella di estendere - in casi come quello in esame in cui per uno dei delitti contestati si verte in una ipotesi di incompetenza per materia “pura”, diretta e non derivante dalla connessione - il regime di deducibilità di cui all'art. 21 comma 1 c.p.p. (normativamente stabilito solo per quel delitto) anche per gli altri reati che, in sé considerati, sarebbero di competenza del tribunale (e della corte d'appello), ma che, data la connessione con un delitto di competenza della corte d'assise, sono attratti da quest'ultima ai sensi dell'art. 15 c.p.p.;  
  • in secondo luogo, si è osservato che la soluzione contraria, cioè quella adottata nella sentenza n. 28485, violerebbe il principio di uguaglianza, in quanto perviene «alla conclusione esegetica del tutto irrazionale di consentire la deduzione della incompetenza per materia anche ex officio in ogni stato e grado del procedimento […] nel caso in cui il procedimento abbia ad oggetto un solo delitto di competenza della corte d'assise e non anche nel caso in cui, oltre a detto delitto radicante la competenza funzionale della corte d'assise, siano contestati all'imputato anche altri reati di competenza del tribunale, con una differenziazione dei regimi in relazione allo stesso delitto (appunto radicante la competenza dell'assise) che non trova alcuna logica né giuridica giustificazione e che risulterebbe all'evidenza in contrato con il dettato degli artt. 3 e 24 della Carta Fondamentale» (Così, Corte d'appello di Torino, sez. II pen., 18 luglio 2024 (dep. 22 luglio 2024), n. 3935).

    

In questo contesto, a fronte di condivisibili obiezioni soprariportate, appaiono prospettabili due soluzioni alternative a quella accolta nella esaminata sentenza.

Una prima  soluzione  si fonda sul dato “letterale”, per cui, nei casi in cui pende innanzi al tribunale un processo in cui sono contestati sia un delitto di competenza della corte d'assise (come l'abuso sessuale ai danni di minore infradecenne), sia altri delitti appartenenti alla competenza del tribunale ad esso connessi (come un delitto di maltrattamenti), per ognuno di tali delitti opera il regime di deducibilità dell'incompetenza per materia “proprio” di quel delitto, con la conseguenza che: 

  • in relazione al delitto di competenza della corte d'assise, l'incompetenza per materia, ai sensi del comma 1, sarebbe rilevabile, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo
  • in relazione agli altri delitti appartenenti alla competenza del tribunale ad esso connessi; l'incompetenza per materia determinata dalla connessione ai sensi dell'art. 15 c.p.p. non potrebbe essere rilevata o eccepita oltre ai termini previsti a pena di decadenza dal comma 3.

   

In sostanza, nell'ipotesi di questione sollevata dopo il termine di decadenza di cui all'art. 21 comma 3 c.p.p. (cioè nel corso del giudizio di primo grado davanti al tribunale ovvero nel giudizio di appello su una sentenza dibattimentale ovvero in sede di legittimità), si dovrebbe dichiarare l'incompetenza solo in relazione al delitto per cui sussiste un'incompetenza per materia "pura" e diretta (nel caso di specie l'abuso sessuale aggravato), respingendo l'eccezione in relazione agli altri reati per cui l'incompetenza derivante dalla connessione non é stata eccepita o rilevata tempestivamente.

Critica:

Tale soluzione sarebbe contraria ad elementari principi di economia processuale, oltre che alle disposizioni regolanti la riunione e la separazione dei processi.

Una seconda soluzione, proposta dalla giurisprudenza di merito sopra richiamata, è quella per cui  il regime di deducibilità dell'eventuale incompetenza è unico per l'intera platea delle contestazioni elevate nei confronti dell'imputato e, nei casi di cui ci stiamo occupando (cioè in caso di contestazione di una pluralità di delitti tra cui uno per cui il giudice procedente si trova in una situazione di incompetenza per materia “pura”, diretta e non derivante dalla connessione), il regime di deducibilità da applicare è quello di cui all'art. 21 comma 1 c.p.p. per tutti i reati.

Critica:

Tale soluzione renderebbe sempre inapplicabile il regime di cui all'art. 21, comma 3, c.p.p. nei casi in cui la violazione delle regole sulla competenza per connessione determina l'incompetenza per materia, di fatto privando di ogni significato l'inciso finale dell'art. 21, comma 1. c.p.p. (che recita: «l'incompetenza per materia è rilevata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo, salvo quanto previsto dal comma 3»).

Per attribuire significato a tale inciso finale, infatti, si deve necessariamente ritenere che «in taluni casi l'incompetenza per materia soggiaccia al regime dell'incompetenza derivante da connessione» e debba, dunque, essere rilevata o eccepita entro l'udienza preliminare (ovvero, se questa manchi, subito dopo l'accertamento della costituzione delle parti).

Tale critica appare, però, superabile alla luce della constatazione che l'adozione di tale opzione ermeneutica non si traduce, in realtà, in un'interpretazione abrogatrice della deroga contemplata all'art. 21, comma 1, c.p.p., in quanto il criterio derogatorio di cui al comma 3 avrebbe comunque un proprio ambito applicativo:  

  • nei processi plurisoggettivi in cui solo alcuni degli imputati sono investiti dalla contestazione che radica la competenza per materia della corte d'assise, perché, nel processo pendente innanzi alla corte d'assise, gli imputati non attinti dalla contestazione del reato di competenza dell'assise possono chiedere la separazione della propria posizione da quella degli imputati del reato radicante la competenza della corte d'assise in modo da essere giudicati dinanzi al “proprio giudice”, ma solo entro i termini di decadenza di cui al comma 3 dell'art. 21 c.p.p.; ciò in virtù del consolidato principio di diritto secondo cui, in tema di competenza determinata dall'ipotesi di connessione oggettiva fondata sull'astratta configurabilità del vincolo della continuazione, l'identità del disegno criminoso perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l'episodio o gli episodi riguardino lo stesso o gli stessi imputati;
  • nei processi monosoggettivi aventi ad oggetto reati connessi a quello di competenza della corte d'assise ma instaurati in modo autonomo rispetto al procedimento avente ad oggetto il reato di competenza della corte d'assise, perché, nel processo pendente innanzi al tribunale, l'imputato può eccepire l'incompetenza derivante da connessione con il reato di corte di assise già oggetto di altro procedimento, ma solo entro i termini di decadenza di cui al comma 3 dell'art. 21 c.p.p. (in quanto in tal caso si tratterebbe di incompetenza per materia non “pura” o “diretta”, ma derivante da connessione di cui all'art. 21, comma 3, c.p.p.).

    

In relazione alla terza questione, cioè l'individuazione dell'autorità giudiziaria cui trasmettere gli atti in caso di declaratoria di incompetenza per materia, si evidenzia che:  

  • nella generalità dei casi, gli atti vanno trasmessi al pubblico ministero presso il giudice competente ai sensi dell'art. 23 c.p.p. come interpretato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 76/1993;
  • nel caso in cui il delitto di competenza della corte d'assise sia connesso con un delitto di competenza della Procura e del G.u.p. Distrettuale ai sensi degli artt. 51 comma 3-bis, 3-quater e 3-quinquies c.p.p. e 328 comma 1-bis e quater c.p.p. (ad esempio, il delitto di pornografia minorile per aver filmato l'abuso sessuale su minore infradecenne) gli atti vanno trasmessi, non al P.M., ma orizzontalmente alla corte di assise territorialmente competente, a meno che non si tratti di corte di assise di altro distretto o che le funzioni di PM e G.u.p. non siano state svolte da P.M. e G.u.p. distrettuale (vedi Cass. pen., sez. un., n. 39746/2017, Rv. 270935).

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