Violenza sessuale sui minori infradecenni: chi è competente e da quando?
20 Gennaio 2025
Premessa L'art. 13, comma 2, lett. b), della legge 19 luglio 2019, n. 69, entrata in vigore in data 9 agosto 2019, ha modificato l'art. 609-ter, comma 2, c.p., prevedendo il raddoppio della pena prevista dall'art. 609-bis c.p. e, così, elevando a 24 anni di reclusione il massimo edittale per l'abuso sessuale ai danni di un minore di anni dieci, con conseguente radicamento della competenza per materia della corte di assise, ai sensi degli artt. 4 e 5 lett. a c.p.p. Gli effetti di tale modifica sulla competenza per materia sono inizialmente sfuggiti agli operatori, nel senso che, per lungo tempo dopo la sua entrata in vigore, processi aventi ad oggetto abusi sessuali ai danni di minori di anni dieci sono stati celebrati innanzi ai tribunali in composizione collegiale e, solo di recente, questioni relative alla competenza per materia della corte d'assise sono state sollevate – e poi affrontate dalla S.C. – sia in processi aventi ad oggetto unicamente tale reato, sia in processi in cui esso era contestato in continuazione con altri delitti di competenza del tribunale (ad esempio, i maltrattamenti contro familiari e conviventi o la produzione di materiale pedopornografico). Nelle sopra indicate sentenze della S.C. sono state trattate le seguenti questioni:
I casi Come sopra anticipato, entrambe le sentenze si sono occupate di decisioni di merito relative ad abusi sessuali su minori infradecenni commessi in data anteriore al 9 agosto 2019, uniti, nel caso della sentenza n. 28485, dal vincolo della continuazione con delitti di maltrattamenti in famiglia e di produzione di materiale pornografico utilizzando la vittima minore infradecenne. Nella vicenda esaminata dalla sentenza n. 28485 il tribunale di Caltanissetta, nel gennaio del 2023, aveva condannato l'imputato per tutti i reati a lui contestati e, il 24.10.2023, la corte d'appello di Caltanissetta aveva confermato la condanna, riducendo la pena. Contro tale sentenza era stato proposto ricorso per cassazione, con cui era stata eccepita l'incompetenza per materia del tribunale e della corte d'appello, in favore, rispettivamente, della corte d'assise e della corte d'assise d'appello. I giudici di legittimità, pur concludendo per l'inammissibilità del ricorso, hanno affermato due principi:
Nella vicenda esaminata dalla sentenza n. 42465, invece, il G.u.p. di Roma, in data 28 maggio 2021, aveva condannato l'imputato per violenza sessuale ai danni della figlia disabile per fatti commessi dal gennaio 2012 al 19 marzo 2019 (violenze iniziate quando la vittima aveva meno di 10 anni); tale sentenza era stata confermata dalla Corte di appello in data 27 novembre 2023. La S.C., in via preliminare, senza essere a ciò sollecitata dal ricorrente, si è posta la questione della competenza per materia del giudice d'appello in conseguenza dell'età della vittima - attesa la pacifica competenza in primo grado del G.u.p. in ogni caso -, pervenendo ad una conclusione opposta a quella accolta nella pronuncia n. 28485 e, cioè, affermando la competenza non della corte d'assise ma del tribunale in composizione collegiale in relazione a fatti commessi anteriormente al 9 agosto 2019, indipendentemente dal momento di esercizio dell'azione penale. Le soluzioni giuridiche Con riferimento alla prima questione, quindi, la sentenza n. 28485 ha implicitamente affermato la natura processuale della modifica introdotta dalla legge 19 luglio 2019 n. 69, ritenendo, di conseguenza, la competenza per materia della corte d'assise ex art. 5 c.p.p., per i fatti commessi prima della sua entrata in vigore (9 agosto 2019) in caso di esercizio dell'azione penale dopo tale data. Nella parte motiva i giudici di legittimità hanno testualmente invocato «il principio tempus regit actum che governa la successione nel tempo delle norme processuali», limitandosi a richiamare a sostegno di tale affermazione le Sezioni Unite n. 3821/2006 PG in proc Timofte, Rv 232592 in tema di modifiche introdotte all'art. 186 C.d.S., per concludere che, nel caso in esame, «l'individuazione del giudice competente andava effettuata sulla base della normativa vigente, non all'epoca della consumazione del fatto, ma al momento di esercizio dell'azione penale», ferma restando «l'applicazione da parte del giudice competente delle disposizioni sanzionatorie più favorevoli al reo in considerazione della data di consumazione del reato ai sensi dell'art. 2 comma 3 c.p.». Assai più articolato, invece, è il percorso argomentativo della sentenza n. 42465 in cui è stata affermata la natura sostanziale della modifica introdotta dall'art. 13 comma 2 lett. b legge 19 luglio 2019 n. 69 e la conseguente persistenza della competenza per materia del tribunale in composizione collegiale a giudicare gli abusi sessuali ai danni di minori di dieci anni (art. 609-ter u.c. c.p.) commessi anteriormente al 9 agosto 2019, indipendentemente dal momento di esercizio dell'azione penale. In tale pronuncia, infatti, i giudici di legittimità, proprio muovendo dall'esame della sentenza a Sezioni Unite n. 3821/2006, Timofte, ha differenziato i casi in cui la modifica della competenza per materia è stata direttamente introdotta dal legislatore - come appunto per il reato di guida in stato di ebbrezza, oggetto della citata pronuncia delle Sezioni Unite - da quelli in cui la modifica è conseguita indirettamente dalla variazione della pena edittale - come nel caso di specie -, evidenziando come, nella prima ipotesi, la norma abbia carattere processuale, con conseguente applicazione del principio generale tempus regit actum (e dunque immediata applicazione della nuova regola anche ai reati commessi in epoca antecedente alla data della sua entrata in vigore), e, nella seconda, carattere sostanziale, con conseguente applicazione, anche al fine di stabilire la competenza per materia, dell'art. 2, comma 3, c.p.: in altri termini, nel primo caso, la competenza per materia va determinata sulla base della normativa in vigore al momento in cui il pubblico ministero esercita l'azione penale (in applicazione del principio tempus regit actum che governa la successione nel tempo delle norme processuali), mentre, nel secondo, sulla base della normativa in vigore al momento della commissione del fatto. Nel caso di specie, «la modifica normativa dell'art. 609-ter c.p. - che ha portato la pena nei confronti dell'infra-decenne ad anni 24 di reclusione, spostando la competenza dinanzi alia corte di assise - ha inciso direttamente sulla pena (modifica sostanziale) e solo indirettamente sulla competenza (modifica processuale), per cui alla corte di assise spetta la competenza sui fatti commessi successivamente all' entrata in vigore della legge n. 69 del 2019, ma non su quelli commessi in precedenza, e ciò anche nei casi cui l'azione penale sia stata esercitata successivamente». Nella sentenza n. 42465 viene, altresì, ricordato come questo principio sia stato costantemente ribadito ogni qualvolta si è posto il problema: in tema di usura o di omissione di atti di ufficio (legge n. 286 del 1990) o di falsa testimonianza (legge 7 agosto 1992 n. 356) per la competenza del pretore o del tribunale, ovvero in tema di lesioni personali stradali gravi e gravissime di cui all'art. 590-bis c.p. per la competenza del tribunale o del giudice di pace per i fatti commessi in data anteriore all'entrata in vigore della legge 24 marzo 2016 n. 41 (Cass. pen., sez. I, n. 48249/2017, Coppa, Rv. 271318; Cass. pen., sez. IV, n. 46394/2018, D'Angelo, Rv. 274273) Della seconda questione si è occupata, necessariamente, la sola sentenza n. 28485, in quanto, nel processo oggetto della sentenza n. 42465, era contestato esclusivamente il delitto di cui all'art. 609-ter, comma 2, c.p. Ciò premesso, nella sentenza citata i giudici di legittimità, dopo essersi limitati a prendere atto che l'imputazione aveva ad oggetto anche reati di competenza di tribunale connessi al reato di abuso sessuale su minore infradecenne, hanno ritenuto pacifica l'applicabilità al caso di specie sia dell'art. 15 c.p.p. - attributivo alla corte d'assise della competenza per materia anche per reati di per sé rientranti nella competenza del tribunale in caso di connessione con reati di competenza della corte - sia del principio stabilito dal comma 3 dell'art. 21 c.p.p., in quanto esso regola tutte le ipotesi di “competenza per materia determinata da ragioni di connessione” tra cui rientra quella di cui all'art. 15 c.p.p., ritenendo, quindi, non eccepibile, per la prima volta, mediante ricorso per cassazione l'incompetenza del tribunale, atteso che essa doveva essere rilevata/eccepita, a pena di decadenza, entro i termini di cui all'art. 21, comma 2, c.p.p. (vale a dire «prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall'articolo 491 comma 1»). Osservazioni In relazione alla prima questione, è pienamente condivisibile la soluzione adottata dalla sentenza n. 42465, che, oltre ad essere esaurientemente argomentata, appare rispettosa dei principi generali regolanti la materia e conforme all'elaborazione giurisprudenziale precedente (Cass. pen., sez. un., n. 3821/2006, Rv. 232592 – 01) Va, infatti, osservato che
Ne deriva che alla disposizione normativa dell'art. 13 della legge 19 luglio 2019, n. 69, va attribuita natura sostanziale, ovvero di modificazione della pena edittale, e non invece di disposizione processuale con precipua funzione regolatrice della competenza, sicché la modifica alla regola processuale, che pure consegue in virtù dei nuovi e superiori limiti edittali, deve ritenersi posta indirettamente e non in maniera autonoma. In conseguenza di ciò, per iCorte di appelloza sessuale su minore infradecenne commessi prima del 9 agosto 2019 (data di entrata in vigore della predetta modifica normativa) la competenza spetta al tribunale in composizione collegiale, essendo applicabile il regime normativo di cui all'art. 2, comma 4, c.p. e non quello di cui agli artt. 5 e 6 c.p.p. e, in caso di gravame, alla corte di appello, indipendentemente dal fatto che l'esercizio dell'azione penale sia avvenuto sotto il vigore della nuova norma, mentre per i reati commessi dal 9 agosto 2019 in poi la competenza per materia è rispettivamente della corte di assise e della corte di assise di appello. D'altra parte, la tesi contraria porterebbe all'assurdo di individuare il giudice competente (corte d'assise) esclusivamente come effetto indiretto di una pena edittale che poi quel giudice non potrebbe applicare, essendo comunque vincolato dall'art. 2 comma 4, c.p. ad applicare la pena più mite vigente all'epoca della consumazione del fatto di reato. Assai più complessa è la seconda questione. Sul piano normativo il regime di deducibilità delle violazioni delle regole di competenza per materia è disciplinato in modo chiaro: l'incompetenza per materia, ai sensi dell'art. 21 co.1 c.p.p., è rilevata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo, con le sole eccezioni dell'incompetenza per materia in favore di “un giudice di competenza inferiore” (art. 23 comma 2 c.p.p.) e dell'incompetenza per materia derivante da connessione (art. 21 comma 3 c.p.p.) in cui il vizio deve essere rilevato o eccepito, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare o, se questa manca, entro il termine previsto dall'articolo 491 comma 1 c.p.p. La violazione delle regole sulla competenza per materia determina, ex art. 178, comma 1, lett. a) e 179, comma 1, c.p.p., una nullità assoluta e, pertanto, insanabile e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ivi compreso quello di legittimità (sul punto Cass. pen., sez. V, n. 31673/2017, Rv. 270879). In assenza di una specifica indicazione normativa, il problema interpretativo sorge nei casi in cui pende innanzi al tribunale un processo in cui sono contestati contestualmente sia un delitto di competenza della corte d'assise (come, appunto, il delitto di abuso sessuale ai danni di minore infradecenne), sia altri delitti appartenenti alla competenza del tribunale ad esso connessi (ad esempio il delitto di maltrattamenti): in tali casi, stando alla lettera dell'art. 21 c.p.p.
La S.C., nella sentenza in esame, con motivazione succinta, ha ritenuto pacifica l'estensione del principio relativo a modi e termini di rilevamento dell'incompetenza per connessione («l'incompetenza per materia o per territorio derivante da connessione ai sensi degli artt. 15 e 16 c.p.p., non rilevata d'ufficio o eccepita prima della conclusione dell'udienza preliminare o, quando questa manchi, subito dopo il compimento per la prima volta dell'accertamento della costituzione delle parti in dibattimento, non può essere né eccepita né rilevata per la prima volta in sede di legittimità, ostandovi il disposto dell'articolo 21, comma 3, c.p.p.») in casi come quello in esame, e cioè in casi in cui sono contestati, oltre al delitto di competenza della corte d'assise, anche altri reati connessi di competenza del tribunale. In altri termini, la S.C., nella citata sentenza, ritiene applicabile a tutti i reati oggetto del processo il regime di rilevabilità del comma 3 dell'art. 21 c.p.p. benché, per uno dei reati contestati (cioè l'abuso sessuale in danno del minore infradecenne), la competenza per materia sia, in realtà, "pura", diretta e non derivante dalla connessione – e dunque di per sé normativamente sottoposta al regime dell'art. 21, comma 1, c.p.p. -, mentre per le residue imputazioni, diverse ma connesse a quella rientrante originariamente nella competenza della corte d'assise, la competenza per materia sia “indiretta”, cioè, determinata da ragioni di connessione e disciplinata dall'art. 15 c.p.p. Tale soluzione è stata criticata dalla giurisprudenza di merito e in dottrina con vari argomenti. In particolare:
In questo contesto, a fronte di condivisibili obiezioni soprariportate, appaiono prospettabili due soluzioni alternative a quella accolta nella esaminata sentenza. Una prima soluzione si fonda sul dato “letterale”, per cui, nei casi in cui pende innanzi al tribunale un processo in cui sono contestati sia un delitto di competenza della corte d'assise (come l'abuso sessuale ai danni di minore infradecenne), sia altri delitti appartenenti alla competenza del tribunale ad esso connessi (come un delitto di maltrattamenti), per ognuno di tali delitti opera il regime di deducibilità dell'incompetenza per materia “proprio” di quel delitto, con la conseguenza che:
In sostanza, nell'ipotesi di questione sollevata dopo il termine di decadenza di cui all'art. 21 comma 3 c.p.p. (cioè nel corso del giudizio di primo grado davanti al tribunale ovvero nel giudizio di appello su una sentenza dibattimentale ovvero in sede di legittimità), si dovrebbe dichiarare l'incompetenza solo in relazione al delitto per cui sussiste un'incompetenza per materia "pura" e diretta (nel caso di specie l'abuso sessuale aggravato), respingendo l'eccezione in relazione agli altri reati per cui l'incompetenza derivante dalla connessione non é stata eccepita o rilevata tempestivamente. Critica: Tale soluzione sarebbe contraria ad elementari principi di economia processuale, oltre che alle disposizioni regolanti la riunione e la separazione dei processi. Una seconda soluzione, proposta dalla giurisprudenza di merito sopra richiamata, è quella per cui il regime di deducibilità dell'eventuale incompetenza è unico per l'intera platea delle contestazioni elevate nei confronti dell'imputato e, nei casi di cui ci stiamo occupando (cioè in caso di contestazione di una pluralità di delitti tra cui uno per cui il giudice procedente si trova in una situazione di incompetenza per materia “pura”, diretta e non derivante dalla connessione), il regime di deducibilità da applicare è quello di cui all'art. 21 comma 1 c.p.p. per tutti i reati. Critica: Tale soluzione renderebbe sempre inapplicabile il regime di cui all'art. 21, comma 3, c.p.p. nei casi in cui la violazione delle regole sulla competenza per connessione determina l'incompetenza per materia, di fatto privando di ogni significato l'inciso finale dell'art. 21, comma 1. c.p.p. (che recita: «l'incompetenza per materia è rilevata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo, salvo quanto previsto dal comma 3»). Per attribuire significato a tale inciso finale, infatti, si deve necessariamente ritenere che «in taluni casi l'incompetenza per materia soggiaccia al regime dell'incompetenza derivante da connessione» e debba, dunque, essere rilevata o eccepita entro l'udienza preliminare (ovvero, se questa manchi, subito dopo l'accertamento della costituzione delle parti). Tale critica appare, però, superabile alla luce della constatazione che l'adozione di tale opzione ermeneutica non si traduce, in realtà, in un'interpretazione abrogatrice della deroga contemplata all'art. 21, comma 1, c.p.p., in quanto il criterio derogatorio di cui al comma 3 avrebbe comunque un proprio ambito applicativo:
In relazione alla terza questione, cioè l'individuazione dell'autorità giudiziaria cui trasmettere gli atti in caso di declaratoria di incompetenza per materia, si evidenzia che:
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