Interesse ad agire e ammissibilità della azione di accertamento
Una società impegnata nel settore della logistica conviene in giudizio una sigla sindacale ed alcuni lavoratori al fine di ottenere dal giudice una sentenza di accertamento della legittimità dei licenziamenti irrogati e di accertamento della illiceità da alcune condotte poste in essere da aderenti al sindacato nell'ambito di alcune iniziative sindacali ritenute violente di blocco delle merci.
Se non sussistono dubbi sulla sussistenza dell'interesse ad agire ad ottenere una pronunzia del giudice sulla legittimità dei licenziamenti nei confronti dei lavoratori, perplessità, invece, sussistono sulla configurabilità di un interesse ad agire nei confronti della sigla sindacale, dal momento che il sindacato viene convenuto in giudizio senza la delineazione della rivendicazione di un diritto, anche se pare evidente che l'unico diritto prospettabile nei confronti del sindacato sia di carattere risarcitorio.
A tal proposito occorre porsi il problema se siano ammissibili azioni di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ai fini della configurabilità di determinati diritti.
La Suprema Corte con la sentenza n. 29090/2022 ha affermato che «il processo, salvi casi eccezionali predeterminati dalla legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non per perseguire ulteriori effetti, soltanto possibili e futuri, non essendo proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti, che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto».
La Cassazione nega la sussistenza dell'interesse ad agire per il mero accertamento dei presupposti del diritto risarcitorio senza che sia proposta allo stesso tempo una domanda di condanna o quantomeno di accertamento del diritto al risarcimento del danno.
Sul punto occorre ricordare il caso di un lavoratore che aveva domandato l'accertamento dell'illegittimità del trasferimento disposto nei suoi confronti deducendo il proprio interesse all'accertamento dell'inadempimento datoriale, ma non vi aveva collegato alcuna domanda di condanna o di accertamento del diritto al risarcimento del danno: la Suprema Corte, in applicazione del principio esposto, aveva escluso l'interesse ad agire del lavoratore, costituendo l'inadempimento datoriale solo uno degli elementi della fattispecie determinativa del danno (Cass. 6749/2012).
In tal senso si pone anche la sentenza della Cassazione n. 30584/2021 secondo cui l'interesse ad agire richiede non solo l'accertamento di una situazione fattuale potenzialmente produttiva di effetti giuridici, ma anche che la parte prospetti l'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, «poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire». Ne consegue che non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti che costituiscano solo «elementi frazionari della fattispecie costitutiva di un diritto», il quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella sua interezza.
In questo ordine di idee, secondo la Cassazione, l'interesse ad agire difetta allorquando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche. Non sono ammissibili questioni d'interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire (cfr. anche Cass. 24 gennaio 2019, n. 2057).
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte la domanda giudiziale proposta aveva ad oggetto l'accertamento del diritto del ricorrente alla reintegra nelle mansioni corrispondenti al livello di inquadramento posseduto. La situazione giuridica fatta valere era costituita più propriamente dall'accertamento dell'inadempimento datoriale rispetto agli obblighi derivanti dall'art. 2103 c.c. in funzione del ripristino nelle mansioni proprie della qualifica di inquadramento. Una volta venuto meno il rapporto di lavoro per dimissioni del lavoratore, essendo divenuto impossibile l'ordine di ripristino, il solo accertamento dell'inadempimento datoriale costituiva uno degli elementi dell'azione proposta, non essendo stata formulata alcuna domanda risarcitoria in unione a quella ripristinatoria delle mansioni. In altri termini, il mero accertamento dell'altrui inadempimento non comporta automaticamente una pretesa risarcitoria da parte del creditore, costituendo l'inadempimento soltanto uno degli elementi della fattispecie determinativa di danno, sicché esso è insuscettibile di integrare gli estremi di una domanda autonoma.
L'accertamento giudiziale concerne, di regola, solo realtà giuridiche e non fattuali. Tale limitazione nella sede giurisdizionale si spiega in base a ragioni di economia processuale, posto che, a causa dei relativi costi pubblici, lo Stato mette a disposizione il servizio-giustizia solo per le controversie relative all'accertamento di diritti.
Il giudice del Tribunale di Milano ha ritenuto sussistente l'interesse ad agire (pagg. 4 e 5 della sentenza) sostenendo che «… risulta proprio che l'attrice abbia instaurato questo processo per risolvere lo stato di incertezza giuridica in ordine alle condotte sindacali censurate la cui lesività è stata oggetto di specifiche deduzioni. Lo stato di incertezza sulla liceità (o meno) del comportamento sindacale denunciato risulta tale, sulla scorta delle prospettazioni in ricorso, da arrecare all'attrice, ove questa non proponga l'accertamento giudiziale, un pregiudizio alla propria attività di impresa».
In particolare il Tribunale di Milano nel giustificare la propria tesi richiama quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui «l'interesse ad agire, consistente nell'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, presuppone, nell'azione di mero accertamento, uno stato di incertezza oggettiva - cioè dipendente da un fatto esteriore od un atto e non considerazioni meramente soggettive - sull'esistenza di un rapporto giuridico, tale da arrecare all'interessato, ove questi non proponga l'accertamento giudiziale sulla concreta volontà della legge, un pregiudizio concreto ed attuale, ancorché non implicante necessariamente la lesione di un diritto»).
In sostanza sarebbe la situazione di incertezza in ordine alla legittimità di alcune condotte dei lavoratori organizzati dalla sigla sindacale convenuta in giudizio nell'ambito di una manifestazione sindacale a sostanziare la ammissibilità della iniziativa giudiziale. In tal senso secondo il Tribunale «la riserva attorea di agire in un eventuale separato giudizio per l'accertamento e la quantificazione dei danni asseritamente subiti non vanifica il vantaggio obiettivo che la società intende conseguire in questa sede, essendo stata prospettata l'esigenza di rimuovere lo stato di incertezza relativamente al diritto o meno del sindacato di porre in essere le condotte in controversia (speculare al dovere o meno dell'azienda di tollerare tali condotte); e, quindi, di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice».
Il Tribunale ritiene che sussista l'interesse ad agire, motivando sulla base di un presunto “stato di incertezza” in merito alla legittimità delle condotte del sindacato ed argomentando sulla attualità del danno che tale situazione di incertezza sarebbe idonea a generare. In sostanza la società ricorrente avrebbe un interesse qualificato ad ottenere una pronuncia giudiziale che stigmatizzi in un'ottica futura le condotte del sindacato convenuto tese a favorire nel corso delle manifestazioni sindacali episodi di violenza e di blocco delle merci.
Il giudice di primo grado ha valutato la sola attualità o potenzialità degli effetti lesivi di determinate condotte richiamando alcune sentenze della Cassazione che rilevano la sussistenza dell'interesse ad agire a fronte di «uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico o sulla esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti».
Tuttavia, nell'esaminare le sentenze citate si riscontra un dato contrario a quello assunto. Infatti, nella fattispecie esaminata dalla sentenza della Cassazione n.16262/2015 i giudici di merito si sono occupati, nell'ambito di un contratto di lavoro subordinato, di accertare la validità o meno della cessione del rapporto di lavoro ad altro soggetto, sicché l'incertezza riguardava la titolarità del rapporto di lavoro. Nel caso esaminato dalla pronunzia della Cassazione n. 6859/1993 i giudici di merito, nell'ambito di un contratto di locazione, hanno avuto il compito di accertare la qualità di locatore di un soggetto che, subentrato quale erede nella titolarità dell'immobile, pretendeva di aumentare il canone di locazione: in tale ipotesi la Cassazione ha ritenuto che non sussistesse l'interesse ad agire. Entrambe le sentenze hanno ad oggetto, tuttavia, rapporti giuridici di natura contrattuale e la loro esecuzione, mentre nella controversia in esame non si riscontra alcun rapporto giuridico tra la società ricorrente e la sigla sindacale.
Peraltro la stessa società ricorrente afferma nel ricorso che “l'accertamento richiesto costituisce sul piano tecnico processuale il presupposto per la condanna dei resistenti ai rilevanti danni economici patiti” (pag. 5 del ricorso) rilevando che “l'accertamento dell'illegittimità delle azioni contestate ai resistenti costituisce, per altro verso, il presupposto giuridico dell'esperenda azione di quantificazione e condanna al pagamento del danno subito dalla Ricorrente per effetto di tale illegittimità” (pag. 21 del ricorso).
In sostanza la società intende ottenere un provvedimento giudiziale che accerti il verificarsi di alcune condotte riconducibili alla sigla sindacale resistente per poter successivamente formulare una azione giudiziale di accertamento di danni che vengono semplicemente richiamati all'interno del ricorso introduttivo senza alcuna specifica descrizione.
Tuttavia, non sussiste un interesse giuridico a fondamento della scelta di agire con autonomo giudizio per l'accertamento dei soli presupposti della illiceità della condotta. Tali presupposti, costituendo solo elementi costitutivi di un diritto al risarcimento del danno solo ipotizzato e non oggetto di domanda di accertamento, non rappresentano delle questioni suscettibili di accertamento autonomo con efficacia di giudicato.
Occorre sempre ricordare che “la tutela giurisdizionale è tutela di diritti (art. 24 Cost., art. 2907 c.c., artt. 99 e 278 c.p.c). I fatti possono essere accertati dal giudice solo come fondamento di un diritto fatto valere in giudizio e non ex se per gli effetti possibili e futuri.
La società ricorrente non chiede l'accertamento della sussistenza di un danno, né tantomeno la condanna al risarcimento di un danno da quantificare in un successivo momento, ma si limita a chiedere l'accertamento di un segmento della fattispecie risarcitoria, ossia della illiceità della condotta. E, infatti, la sentenza di accoglimento del giudice di primo grado in aderenza al petitum accerta soltanto l'illegittimità delle condotte del sindacato, senza accertare la sussistenza di un danno e senza accertare la natura di tale eventuale responsabilità che potrebbe essere di natura contrattuale o extracontrattuale.
A fondamento della sussistenza dell'interesse ad agire, il giudice del Tribunale di Milano pone il «pregiudizio alla…attività di impresa» (pag. 4 della sentenza) che deriverebbe dalla situazione di incertezza: tuttavia, la sola incertezza circa lo status giuridico di alcuni comportamenti avvenuti nel passato non può assurgere a diritto autonomo e degno di tutela giurisdizionale. Peraltro, non si tratta di un provvedimento giudiziale idoneo ad incidere su una situazione fattuale presente, in quanto la incertezza prospettata nel ricorso riguardava condotte ormai passate avvenute diversi mesi prima del deposito del ricorso. L'accertamento della illiceità di determinate condotte non esclude che nel futuro non si verifichino condotte simili.
L'accertamento di uno solo dei presupposti della fattispecie di risarcimento del danno non è idoneo a produrre alcuna utilità giuridica: anche in un eventuale successivo giudizio di risarcimento del danno; infatti, dovrebbero essere allegati e provati il danno, il nesso di causalità con le condotte ed il titolo cui tale danno potrebbe essere imputato: elementi il cui accertamento non è stato richiesto e su cui, infatti, la sentenza non si pronuncia. In sostanza la azione giudiziale si risolve nella richiesta di un parere al Giudice sulla legittimità o meno di alcune condotte che sono imputabili al sindacato.
Non è specificata nel ricorso l'utilità perseguita dalla società ricorrente: e difatti la stessa società afferma nel ricorso che l'iniziativa giudiziale è finalizzata ad un «obiettivo politico-sindacale di carattere generale» (pag. 5 del ricorso). Nel ricorso si afferma che «l'obiettivo anche di interesse generale di contrastare la degenerazione che il sistema delle relazioni industriali sta subendo nel settore della logistica per effetto del comportamento sopra descritto del Si-Cobas. Prima che altri possano essere tentati di imitarlo» (pag. 5 del ricorso).
In sostanza nella vicenda in esame sembra che il procedimento giudiziale sia stato utilizzato al fine di risolvere una problematica di carattere politico-sindacale che era ormai prossima alla degenerazione: la società ricorrente considera la sentenza del giudice uno strumento utile per riuscire a risolvere anche per il futuro alcuni rapporti con una determinata sigla sindacale nella gestione di un conflitto sindacale oramai diventato particolarmente aspro. Ma la funzione giurisdizionale non può esplicare una efficacia paradigmatica sul dover essere dei comportamenti umani né tantomeno una funzione di consulenza nei confronti delle parti.