La Corte di cassazione afferma alcuni principi di diritto che, pur rispettosi della legge, evidenziano, nel giudizio abbreviato, profonde lesioni della garanzia giurisdizionale, del diritto di difesa e della segretezza delle comunicazioni.
Una pronuncia emblematica
Interessante pronuncia in tema di revisione di una sentenza di condanna nel giudizio abbreviato, basata per lo più su intercettazioni di comunicazioni, le quali, però, in parte non furono autorizzate, e in parte non furono depositate per la difesa né le registrazioni, nè i verbali con i brogliacci: ciononostante l'istanza di revisione è stata dichiarata inammissibile così come il successivo ricorso sulla considerazione che non si tratti di “prove nuove”, le uniche che legittimano la revisione della condanna, ma delle stesse prove già valutate. Si esige, infine, la verifica da parte del ricorrente della c.d. “prova di resistenza”, di esclusiva matrice giurisprudenziale e che nel giudizio di revisione risulta ancora più problematica.
Per giungere a tale conclusione la Corte di cassazione afferma alcuni principi di diritto che, pur rispettosi della legge, evidenziano comunque una normativa che provoca profonde lesioni della garanzia giurisdizionale, del diritto di difesa e della segretezza delle comunicazioni.
In particolare, la pronuncia della Corte di cassazione in commento è emblematica della scarsa tutela che, nel giudizio abbreviato, è assicurata dalla legge alle sanzioni processuali della nullità e della inutilizzabilità.
Si trattava, nella fattispecie concreta, di valutare le conseguenze della mancanza dei decreti di autorizzazione di alcune intercettazioni e dell'omesso deposito sia dei supporti sui quali erano registrate le comunicazioni intercettate, sia dei verbali e dei brogliacci di altre intercettazioni.
Ma davvero l'inutilizzabilità per mancanza di autorizzazione all'intercettazione non è rilevabile nel giudizio abbreviato?
La mancanza dei decreti di autorizzazione all'intercettazione costituisce notoriamente una grave violazione di legge, tanto da essere causa di inutilizzabilità dei risultati della stessa intercettazione, a norma degli artt. 267 e 271, comma 1, c.p.p.
Tuttavia, l'art. 438, comma 6-bis, c.p.p. stabilisce che la richiesta di giudizio abbreviato determina la sanatoria delle nullità a regime intermedio e di quelle relative ed esclude la rilevabilità delle inutilizzabilità, “salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio”, oltre a precludere ogni questione sulla competenza per territorio del giudice.
Sulla scia della precedente sentenza di Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 2006, n. 6757, Gatti, Rv. 233106, la Corte ribadisce che la sanzione della inutilizzabilità di cui all'art. 271 c.p.p. non è rilevabile nel giudizio abbreviato perché «non rientrante tra quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio, da intendersi come "inutilizzabilità patologica" - che afferisce solo alle prove acquisite contra legem e che costituisce un'ipotesi estrema e residuale - ravvisabile solo con riguardo a quegli atti la cui assunzione sia avvenuta in modo contrastante con i principi fondamentali dell'ordinamento o tale da pregiudicare in modo grave ed insuperabile il diritto di difesa dell'imputato».
In questo modo, la Corte, non inquadrando l'inutilizzabilità ex art. 271 c.p.p. tra quelle “derivanti dalla violazione di un divieto probatorio”, esclude la rilevabilità nel giudizio abbreviato del vizio più grave che possa colpire le intercettazioni: il fatto di non essere autorizzate dal giudice e quindi abusive.
La disciplina legislativa suscita perciò il dubbio se il nostro ordinamento giuridico tolleri un simile vulnus, ancorchè nel giudizio abbreviato.
Com'è noto, l'inutilizzabilità “patologica” per violazione di diritti fondamentali non deve confondersi con la “fisiologica” inutilizzabilità come prova degli atti compiuti al di fuori del dibattimento (ad es. un atto di indagine del pubblico ministero o del difensore), che, per definizione, non possono avere efficacia di prova nel dibattimento, dal momento che il giudice può utilizzare al momento della decisione soltanto le prove legittimamente acquisite nel dibattimento (art. 526 c.p.p.). Tuttavia, la giurisprudenza ha, nel tempo, allargato la nozione di inutilizzabilità “fisiologica” anche a violazioni dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione e dalle fonti internazionali, come tali, assoluti e irrinunciabili e il legislatore, come accade ormai troppo spesso, con la l. n. 103/2017, ha recepito il principio giurisprudenziale, stabilendo la non rilevabilità dell'inutilizzabilità, “salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio”. La sentenza in commento segue la giurisprudenza e considera l'inutilizzabilità prevista per le intercettazioni dall'art. 271 c.p.p. come non derivante dalla “violazione di un divieto probatorio”, pur trattandosi di una gravissima lesione sia della garanzia giurisdizionale, sia degli “inviolabili” diritti alla segretezza delle comunicazioni e al diritto di difesa. Ligia alla legge la sentenza, assai biasimevole, invece, il legislatore per la disposizione introdotta che oscura le invalidità degli atti processuali. Infatti, le violazioni prese in considerazione dall'art. 271 c.p.p. pregiudicano in modo grave e insuperabile il diritto della difesa e, in particolare, la mancanza di autorizzazione all'intercettazione lede, ad un tempo, anche la garanzia giurisdizionale e la segretezza delle comunicazioni.
Nemmeno l'omesso deposito dei brogliacci è causa di nullità o inutilizzabilità?
Altro principio affermato dalla sentenza in esame, richiamando un precedente nello stesso senso (Cass. pen., sez. III, 23 marzo 2015, n. 36350, Bertini, Rv. 265630), sostiene che l'omesso deposito del cosiddetto "brogliaccio" non sarebbe sanzionato da alcuna nullità.
L'affermazione non può essere condivisa.
Com'è noto, il cosiddetto “brogliaccio di polizia”, che, com'è noto, non è altro che un riassunto delle conversazioni intercettate, eseguito dalla polizia giudiziaria che ha proceduto alle operazioni di intercettazione, deve essere depositato – al termine delle operazioni di intercettazione o comunque al termine delle indagini – insieme al verbale delle operazioni, a norma degli artt. 268, commi 4 e 5, c.p.p.
Ed è proprio la funzione del deposito del brogliaccio in favore della difesa che fa comprendere come l'eventuale omissione di tale deposito privi il difensore di uno strumento importante per individuare il contenuto di ogni singola conversazione intercettata. Di conseguenza, il compito della difesa, anziché essere agevolato, come peraltro la legge prescrive, diventa assai più arduo, se non impossibile, costringendo il difensore ad ascoltare ogni singola comunicazione intercettata per trovare quelle di rilievo difensivo. Poiché spesso nel processo, il numero delle intercettazioni è di centinaia se non di migliaia, si comprende quale agevolazione rappresenti per la difesa, ma anche per il giudice, poter consultare agevolmente i brogliacci per reperire le conversazioni di rilievo e quale pregiudizio derivi invece al difensore dal non poter contare su tale strumento.
La conseguenza è che l'omissione del deposito dei brogliacci, al termine delle operazioni di intercettazione o alla conclusione delle indagini, comporta una nullità di carattere generale a regime intermedio, attinente all'assistenza dell'imputato, exart. 178, comma 1 lett. c), c.p.p. e quindi deve essere rilevata anche d'ufficio nel dibattimento fino la deliberazione della sentenza di primo grado, ma è sanata dalla richiesta di giudizio abbreviato.
La pronuncia in commento ribadisce pure un altro principio e cioè che la sanzione dell'inutilizzabilità, prevista dall'art. 271 c.p.p. in caso di inosservanza delle disposizioni di cui all'art. 268 stesso codice, riguarda l'omessa redazione dei verbali e non l'omesso deposito dei cd. brogliacci, che si distinguono dai primi perché, “contengono solo la sintesi delle conversazioni intercettate e non la sommaria indicazione delle operazioni svolte”. Anche tale affermazione è agganciata ad un precedente giurisprudenziale (Cass. pen., sez. III, 26 maggio 2016, n. 24702, n. 21968, Amato, Rv. 267075). Tale affermazione deve, invece, essere condivisa.
Infatti, è vero che l'art. 268, comma 1, c.p.p. impone la redazione del verbale delle operazioni di intercettazione e il comma 2 prescrive altresì che il contenuto, anche sommario, delle comunicazioni intercettate deve essere trascritto nello stesso verbale, per cui si tratta di un unico, non frazionabile, atto processuale.
Ma l'art. 271, comma 1, c.p.p. riconnette la sanzione dell'inutilizzabilità soltanto alla violazione dell'art. 268, commi 1 e 3, c.p.p. e non menziona il comma 2 che riguarda i brogliacci.
L'omesso deposito per il difensore delle registrazioni comporta una nullità a regime intermedio, ma è sanata dal giudizio abbreviato
È pure condivisibile, perché rispettosa della legge, l'affermazione della Corte secondo cui l'omesso deposito dei supporti magnetici sui quali è incisa la registrazione delle comunicazioni intercettate ed il conseguente mancato accesso agli stessi da parte dei difensori dà luogo ad una nullità̀ di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, lett. c), c.p.p., ma tale invalidità non è più deducibile, in quanto sanata, con la scelta del giudizio abbreviato (in tal senso, v. già Cass. pen., sez. VI, 15 dicembre 2011, n. 21265/2012, Bianco, Rv. 252850).
L'omesso deposito delle registrazioni lede il diritto della difesa alla conoscenza dell'integrale fascicolo, come riconobbe la Corte costituzionale allorché precisò che «la trasmissione dell'intero fascicolo processuale da parte del p.m. comporta, infatti, da un lato, che nessuno atto inerente alle indagini espletate fino all'udienza preliminare possa essere sottratto alla piena conoscenza delle parti; dall'altro, che nessuna indebita limitazione possa essere apposta alla cognizione del G.i.p. ai fini dell'adozione delle determinazioni allo stesso spettanti» (C. cost. n. 145/91, in Cass. pen., 1991, II, 486).
Davvero la Costituzione e la U.E. tollerano che il giudice possa giudicare su intercettazioni non autorizzate e quindi abusive?
Come si vede, la sentenza, in parte, rispetta il dettato legislativo, in parte lo interpreta non certo in senso costituzionalmente orientato.
Purtroppo, è la legge che ha sostanzialmente eluso i principi costituzionali e convenzionali di legalità, il diritto di difesa e la segretezza delle comunicazioni, rendendo sanabili le nullità, escluse quelle assolute, e le inutilizzabilità, fatta eccezione per quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Resta però alquanto incerta la individuazione di quali siano le inutilizzabilità derivanti da un divieto probatorio.
Sono, infatti, innumerevoli gli esempi di divieti probatori nel codice di rito penale: art. 64, comma 2, c.p.p. (che vieta nei confronti di imputato o indagato l'impiego di metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti), art. 188 c.p.p. (che vieta l'utilizzazione, neppure con il consenso della persona interessata - testimone, perito, consulente, imputato, imputato in procedimento connesso - di metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti: sul punto v. Cass. civ., sez. un., 1 febbraio 2008, n.2444, ha affermato che la violazione del divieto di cui all'art. 188 dà luogo ad inutilizzabilità in quanto è rivolto a tutelare un valore quale la libertà personale, avente rilievo costituzionale e non è disponibile neppure dal soggetto interessato), art. 191, comma 2-bis, c.p.p. (secondo cui le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale), art. 193 c.p.p. (che vieta qualsiasi prova in materia di stato di famiglia e di cittadinanza), art. 194, comma 1, c.p.p. (che vieta al testimone di deporre sulla moralità dell'imputato), art. 194, comma 3, c.p.p. (che vieta al testimone di deporre «sulle voci correnti nel pubblico o di esprimere apprezzamenti personali, salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti»), art. 194, comma 4, c.p.p. (che vieta agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni), art. 198, comma 2, c.p.p. (che vieta di obbligare il testimone a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale), art. 195, comma 6, c.p.p. (che vieta di esaminare i testimoni «su fatti comunque appresi dalle persone» vincolate al segreto professionale o al segreto d'ufficio e conosciuti per ragione del loro ufficio, «salvo che le predette persone abbiano deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati»), art. 197,comma 1, c.p.p. (che vieta l'assunzione della testimonianza di soggetto incompatibile come testimone), art. 197-bis, comma 4, c.p.p. (che vieta di obbligare il testimone assistito a deporre sui fatti che riguardano la sua responsabilità), art. 199, comma 1, c.p.p. (che vieta di obbligare a deporre i prossimi congiunti dell'imputato), art. 220, comma 2, c.p.p. (che non ammette, nel processo di cognizione, la perizia personologica, psicologica o criminologica, cioè quella diretta a «stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche»), art. 234, comma 3, c.p.p. (che vieta l'acquisizione di documenti contenenti informazioni sulle voci correnti nel pubblico o sulla moralità in generale delle parti, dei testimoni, dei periti e dei consulenti tecnici), art. 236 c.p.p. (che vieta l'acquisizione dei documenti inerenti il giudizio sulla personalità dell'imputato o della persona offesa dal reato, diversi da quelli elencati nello stesso art. 236), art. 240, comma 1, c.p.p. (che vieta l'acquisizione e l'utilizzazione di documenti anonimi), art. 240, comma 2, c.p.p. (che vieta di effettuare copia in qualunque forma e in qualunque fase del procedimento dei documenti, supporti e atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati e acquisiti o documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni e sancisce l'inutilizzabilità del loro contenuto), art. 472, comma 3-bis, c.p.p. (che, nei procedimenti per i delitti previsti dagli artt. 600,600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601,602,609-bis, 609-tere 609-octies c.p., non ammette domande «sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto»).
Talvolta il legislatore prevede insieme un divieto probatorio e un divieto di utilizzazione, per cui l'inutilizzabilità è insieme generale e speciale (ad es. artt. 103,197-bis, 203 c.p.p.).
Certo si può discutere se l'art. 271 c.p.p. ponga un divieto probatorio: in realtà prescrive una modalità di esecuzione delle operazioni di intercettazione, per cui, in senso stretto, non è un divieto probatorio, anche se potrebbe sostenersi che, indicando l'unica modalità esecutiva, vieta quelle diverse da essa.
Ma la domanda è: la Costituzione e le fonti sovranazionali tollerano, ancorché nel giudizio abbreviato, un simile vulnus? Davvero il rito abbreviato può derogare all'equo processo fino al punto di consentire che il giudice possa giudicare su intercettazioni non autorizzate e quindi abusive?
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Ma davvero l'inutilizzabilità per mancanza di autorizzazione all'intercettazione non è rilevabile nel giudizio abbreviato?
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