Presunzione di innocenza e divieto di pubblicare le ordinanze cautelari: tutte le novità
Alessandro Centonze
23 Gennaio 2025
Con il d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198 il legislatore italiano ha adeguato la normativa nazionale alle disposizioni della direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, rafforzando il principio di presunzione di innocenza dell'imputato e dell'indagato, nella sua accezione costituzionale e sovranazionale, intervenendo sulla previsione dell'art. 114 c.p.p., attraverso l'introduzione del divieto di pubblicazione delle ordinanze applicative di misure cautelari personali, custodiali, non custodiali e interdittive, fino a quanto non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare.
Il d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198 e la direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016
Con l'emanazione del d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198, il legislatore italiano ha provveduto ad adeguare il sistema processuale penale alle disposizioni della direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 “sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”, mirando a rinsaldare le garanzie connesse al principio di presunzione d'innocenza previsto dall'art. 27, secondo comma, Cost., che, com'è noto, recita: «L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva».
Il rafforzamento del principio di presunzione d'innocenza veniva eseguito dal legislatore attraverso la modifica dell'art. 114 c.p.p. e l'introduzione del divieto di pubblicare le ordinanze applicative di misure cautelari personali, custodiali, non custodiali e interdittive, fino a quando non sono concluse le indagini preliminari ovvero fino alla conclusione dell'udienza preliminare.
Per inquadrare questo intervento normativo, occorre muovere dalla direttiva 2016/343, come sopra richiamata, che, all'art. 3, intitolato “Presunzione di innocenza”, prevede: «Gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza».
A sua volta, questa disposizione deve essere correlata alla previsione dell'art. 4 della stessa direttiva, intitolata “Riferimenti in pubblico alla colpevolezza”, nel cui par. 1, si dispone: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Ciò lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell'indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità». Dispone, invece, il par. 2: «Gli Stati membri provvedono affinché siano predisposte le misure appropriate in caso di violazione dell'obbligo stabilito al paragrafo 1 del presente articolo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli, in conformità con la presente direttiva, in particolare con l'articolo 10». La disposizione in esame, infine, si conclude con il par. 4, che stabilisce: «L'obbligo stabilito al paragrafo 1 di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all'indagine penale o per l'interesse pubblico».
Completa il complesso dei principi funzionali a inquadrare la presunzione d'innocenza in una prospettiva costituzionale e sovranazionale il riferimento alla disposizione dell'art. 5, intitolata “Presentazione degli indagati e imputati”, che, nel suo par. 1, prevede: «Gli Stati membri adottano le misure appropriate per garantire che gli indagati e imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica». Dispone, inoltre, il par. 2 della stessa disposizione: «Il paragrafo 1 non osta a che gli Stati membri applichino misure di coercizione fisica che si rivelino necessarie per ragioni legate al caso di specie, in relazione alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi».
Nel nostro ordinamento a questa direttiva comunitaria, innanzitutto, veniva data attuazione con l'emanazione del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, recante «Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali».
A questo decreto legislativo, a distanza di poco più di un biennio, faceva seguito la legge 21 febbraio 2024, n. 15, recante «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione», che collegava i principi affermati nella direttiva 2016/343 alla presunzione d'innocenza affermata dall'art. 27, comma 2, della Cost., delegando il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Infine, il percorso attuativo della direttiva 2016/343 si completava con l'emanazione del d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198, recante «Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali», la cui portata applicativa veniva chiarita dalla disposizione dell'art. 1 del decreto in esame, che recita: «Il presente decreto reca disposizioni integrative per il rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza delle persone fisiche sottoposte a indagini o imputate in un procedimento penale in attuazione della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali».
Il d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198 e il fondamento, costituzionale e sovranazionale, del diritto alla tutela dei dati personali
Si impone, a questo punto, una ricognizione preliminare sui fondamenti, costituzionali e sovranazionali, del diritto alla tutela dei dati personali, che si collega al principio costituzionale della presunzione d'innocenza di cui all'art. 27, secondo comma, Cost., sul quale è intervenuto il d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198 attraverso la novellazione dell'art. 114 c.p.p.
Occorre, in proposito, premettere che il diritto alla tutela dei dati personali è un diritto fondamentale della persona, che costituisce una manifestazione del diritto all'intangibilità della sfera privata dell'individuo, riconosciuto da una pluralità di fonti normative, nazionali e sovranazionali (D. Piccione, Riservatezza (Disciplina amministrativa), voce, in Enciclopedia del Diritto (Annali), Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2015, pp. 722 ss.).
Sul piano nazionale, dal quale occorre muovere, devono essere prese in considerazione le disposizioni degli artt. 15 e 21 Cost., pur dovendosi precisare che non è rinvenibile nella Carta costituzionale alcun espresso riferimento testuale, né diretto né indiretto, al diritto alla tutela dei dati personali (G. Grasso, Il trattamento dei dati di carattere personale e la riproduzione dei provvedimenti giudiziari, in Foro it., 2018, V, 349).
Occorre, pertanto, muovere dalla disposizione dell'art. 15 Cost., che si articola in due commi, sui quali ci si deve soffermare partitamente.
Il primo di tali commi recita: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili»; il secondo di tali commi, invece, stabilisce: «La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge».
Tali disposizioni, a loro volta, sono collegate all'art. 21 Cost., che disciplina la libertà di stampa, di cui ai presenti fini, si ritiene utile il richiamo dei soli primi due commi.
Più precisamente, nel primo comma dell'art. 21 Cost. si prevede: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»; nel secondo di tale disposizione, invece, si stabilisce: «La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».
Sul piano sovranazionale si ritiene opportuno richiamare le previsioni degli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea; l'art. 16 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea; l'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo.
Di queste previsioni normative si impone una ricognizione preliminare, costituendo tali disposizioni il punto di riferimento indispensabile per inquadrare, sotto il profilo del diritto internazionale convenzionale applicabile, il tema che si sta affrontando.
Occorre, pertanto, prendere le mosse dalla previsione dell'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, intitolata «Rispetto della vita privata e della vita familiare», che stabilisce: «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni».
Tale disposizione normativa è strettamente collegata all'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, intitolato «Protezione dei dati di carattere personale», che si articola in tre paragrafi, che appare utile passare in rassegna.
In particolare, nel primo paragrafo del citato art. 8, si prevede: «Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano»; nel secondo paragrafo di tale disposizione, invece, si stabilisce: «Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica»; si dispone, infine, nel terzo e conclusivo paragrafo della disposizione normativa in esame: «Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità indipendente».
Queste previsioni normative devono essere ulteriormente correlate al primo e al secondo paragrafo dell'art. 16 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea.
Più precisamente, nel primo paragrafo del citato art. 16, si prevede: «Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano»; nel secondo di tali paragrafi, invece, si stabilisce: «Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell'Unione, nonché da parte degli Stati membri nell'esercizio di attività che rientrano nel campo di applicazione del diritto dell'Unione, e le norme relative alla libera circolazione di tali dati. Il rispetto di tali norme è soggetto al controllo di autorità indipendenti. Le norme adottate sulla base del presente articolo fanno salve le norme specifiche di cui all'articolo 39 del trattato sull'Unione europea».
Il quadro normativo in esame, infine, deve essere integrato con l'esame della previsione dell'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, intitolato «Diritto al rispetto della vita privata e familiare», che è articolato in due paragrafi.
Il richiamo di tale disposizione convenzionale è particolarmente utile ai presenti fini espositivi, perché in questa previsione si contemperano il diritto alla riservatezza della persona con le ragioni, espressamente indicate nel secondo paragrafo della stessa norma, che, in presenza di determinate condizioni, giustificano la compressione di tale prerogativa individuale (tra le altre, Corte EDU, Breyer c. Germania, 30 gennaio 2020, n. 50001/12; Corte EDU, Weber e Saravia c. Germania, 29 giugno 2000, n. 54934/00).
In particolare, nel primo paragrafo dell'art. 8, si prevede: «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza»; nel secondo paragrafo dell'art. 8, invece, si stabilisce: «Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».
Ricostruito, sia pure sinteticamente, il contesto normativo, nazionale e sovranazionale, nel quale devono essere inseriti i temi del diritto alla riservatezza della persona e della tutela dei dati personali, occorre adesso passare a considerare gli elementi di novità ordinamentale introdotti dal d.lgs. n. 198 del 2024 attraverso la modifica dell'art. 114 c.p.p.
Il diritto alla tutela dei dati personali e il divieto di pubblicazione degli atti affermato dall'art. 114 c.p.p.
Nella cornice ermeneutica descritta nel paragrafo precedente, deve osservarsi che l'art. 114 c.p.p., così come riformulato dal d.lgs. n. 198 del 2024, ha novellato il comma 2 della stessa disposizione, alla quale ha aggiunto la disposizione dell'art. 6-ter, prefigurando un divieto generale di pubblicazione, integrale, parziale o sintetica, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti processuali coperti da segreto o anche solo del loro contenuto.
Viene, in questo modo, introdotto un divieto assoluto di pubblicazione degli atti processuali coperti dal segreto investigativo, per inquadrare il quale occorre richiamare l'art. 329 c.p.p., che, nel suo primo comma, stabilisce: «Gli atti d'indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari».
Fanno eccezione a questo principio le ipotesi disciplinate dal secondo comma dello stesso art. 329, a norma del quale: «Quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall'articolo 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. In tal caso, gli atti pubblicati sono depositati presso la segreteria del pubblico ministero».
In questo contesto sistematico, si inseriscono le innovazioni normative introdotte dall'art. 2, lett. a) e b), del d.lgs. n. 198 del 2024, che incidono sulla disposizione dell'art. 114 c.p.p.
Più precisamente, la prima di tali modifiche normative è prevista dall'art. 2, lett. a), del d.lgs. n. 198 del 2024, che stabilisce: «al comma 2, le parole «, fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292» sono soppresse».
Per effetto di tale novella, la nuova formulazione dell'art. 114, comma 2, c.p.p., dunque, è la seguente: «È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare».
La seconda di tali modifiche normative, invece, è quella prevista dall'art. 2, lett. b), del d.lgs. n. 198 del 2024, che ha aggiunto, dopo l'art. 114, comma 6-bis, c.p.p., l'ulteriore comma 6-ter, che prevede: «Fermo quanto disposto dal comma 7, è vietata la pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare».
Occorre, in proposito, precisare che l'art. 114, comma 2, c.p.p. era già stato riformato dall'art. 2 del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, recante “Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, che aveva inserito nella disposizione in esame l'inciso «fatta eccezione per l'ordinanza cautelare indicata dall'art. 292», come detto, successivamente eliminato.
Per effetto di tale ultima novella, veniva escluso dal divieto di pubblicazione degli atti d'indagine l'ordinanza di custodia cautelare, in relazione alla quale si riteneva prevalente, rispetto al diritto alla tutela dei dati personali dei soggetti indagati o imputati, l'interesse pubblico alla conoscenza delle contestazioni cautelari e delle correlate esigenze, rilevanti ai sensi degli artt. 273 e 274 c.p.p.
Occorre precisare ulteriormente che con lo stesso art. 2 del d.lgs. n. 216 del 2017 veniva novellato l'art. 329 c.p.p., secondo cui erano coperti da segreto non soltanto gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria ma anche le richieste, avanzate dal pubblico ministero, finalizzate a ottenere l'autorizzazione al compimento di atti di indagine e i provvedimenti del giudice con cui venivano esitate tali istanze.
Tuttavia, queste modifiche normative lasciavano irrisolti alcuni, fondamentali, nodi ermeneutici, non comprendendosi se, dopo la riforma dell'art. 329 c.p.p., tra «le richieste del pubblico ministero di autorizzazione al compimento di atti di indagine e gli atti del giudice che provvedono su tale richieste» potessero essere comprese la richiesta presentata dal pubblico ministero finalizzata a ottenere la concessione di un'ordinanza di custodia cautelare e il correlato provvedimento del giudice.
Il divieto di pubblicazione degli atti d'indagine introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a) e b), del d.lgs. n. 198 del 2024 e l'osservanza dei criteri imposti dalla legge delega
Appaiono, a questo punto, evidenti le ragioni che hanno indotto il legislatore italiano a introdurre il d.lgs. n. 1998 del 2024, la cui principale novità è costituita dal fatto che, con tale disciplina, è stato introdotto il divieto di pubblicare le ordinanze cautelari applicative delle misure custodiali, non custodiali e interdittive, previsto dall'art. 114, comma 6-ter, c.p.p.
In questo contesto, il notevole rilievo sistematico di tale innovazione normativa, invero, appare evidente, se solo si considera che il divieto di pubblicare atti di indagine, che è stato introdotto dall'art. 114, comma 6-ter, c.p.p., non riguarda soltanto, com'era previsto dalla legge delega, le ordinanze di custodia cautelare, riguardando tutti i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, custodiali, non custodiali e interdittive.
In conseguenza dell'introduzione dell'art. 114, comma 6-ter, c.p.p., dunque, deve ritenersi vietata la pubblicazione delle ordinanze applicative della custodia cautelare nelle forme degli arresti domiciliari di cui all'art. 284 c.p.p.; delle ordinanze applicative della custodia cautelare in carcere di cui all'art. 285 c.p.p.; delle ordinanze applicative della custodia cautelare in un luogo di cura di cui all'art. 286 c.p.p.; delle ordinanze applicative di misure cautelari non custodiali di cui agli artt. 281,282,282-bis e 282-ter c.p.p.; delle ordinanze applicative di misure cautelari interdittive di cui agli artt. 288,289 e 290 c.p.p.
Ne discende che l'art. 2, comma 1, lett. a) e b), del d.lgs. n. 198 del 2024 ha significativamente ampliato gli spazi applicativi dalla legge n. 15 del 2024, pur distaccandosi dal tenore del provvedimento legislativo di delega, che conteneva un precetto normativo oggettivamente diverso. Disponeva, infatti, l'art. 4, comma 3, della legge n. 15 del 2024: «Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo è tenuto a osservare, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, anche il seguente principio e criterio direttivo specifico: modificare l'articolo 114 del codice di procedura penale prevedendo, nel rispetto dell'articolo 21 della Costituzione e in attuazione dei principi e diritti sanciti dagli articoli 24 e 27 della Costituzione, il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell'ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare, in coerenza con quanto disposto dagli articoli 3 e 4 della direttiva (UE) 2016/343».
Attraverso questo ampliamento veniva apportato un rimedio alla, problematica esclusione, dal novero dei provvedimenti restrittivi che non potevano essere pubblicati delle ordinanze cautelari diverse da quelle custodiali, come le misure custodiali e le misure interdittive, la cui motivazione potrebbe provocare un pregiudizio per il destinatario analogo a quello determinato da un provvedimento di natura custodiale.
A fronte di tale, comprensibile, ampliamento del divieto di pubblicazione degli atti d'indagine, è indubbio che l'introduzione dell'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 198 del 2024 non è del tutto rispettosa dei confini applicativi della delega prefigurata dall'art. 4 della legge n. 15 del 2024, che faceva testualmente riferimento alla sola “ordinanza di custodia cautelare”.
Tuttavia, questo ampliamento del divieto di pubblicazione degli atti d'indagine non appare censurabile, dovendosi, in proposito, evidenziare che la previsione di cui all'art. 76 Cost., in quanto tale, non osta all'emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentano un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, non potendo il provvedimento legislativo delegato limitarsi a eseguire pedissequamente i precetti in sede di delega.
Non può, in proposito, non richiamarsi, a sostegno della legittimità dell'operazione compiuta dal legislatore italiano, la giurisprudenza costituzionale, secondo cui «Il sindacato costituzionale sulla delega legislativa deve, così, svolgersi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, riguardanti, da un lato, le disposizioni che determinano l'oggetto, i princìpi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione e, dall'altro, le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i princìpi e i criteri direttivi della delega. Il che, se porta a ritenere del tutto fisiologica quell'attività normativa di completamento e sviluppo delle scelte del delegante, circoscrive, d'altra parte, il vizio in discorso ai casi di dilatazione dell'oggetto indicato dalla legge di delega, fino all'estremo di ricomprendere in esso materie che ne erano escluse» (C. cost., 25 luglio 2024, n. 149).
Né potrebbe essere diversamente, essendo evidente che lo spazio di discrezionalità del legislatore delegato è intrinsecamente connesso agli ambiti del suo intervento, che non possono che essere valutati teleologicamente, con la conseguenza che i principi e i criteri direttivi della delega «tracciano gli obiettivi ed esprimono le linee di fondo delle scelte del legislatore delegante, così da ampliare il potere e l'attività di riempimento demandati al legislatore delegato» (Corte cost., 25 luglio 2024, cit.).
La disciplina dell'art. 2, comma 1, lett. a) e b), del d.lgs. n. 198 del 2024 e gli atti d'indagine non pubblicabili
Risolto il problema della conformità del novellato art. 114 c.p.p. all'art. 76 Cost., occorre esaminare un'ulteriore questione, relativa alla delimitazione dell'ambito di applicazione del divieto di pubblicazione degli atti d'indagine, precisandosi che il criterio generale enunciato dall'art. 4, comma 3, della legge n. 15 del 2024, stabiliva che il decreto legislativo avrebbe dovuto prevedere «il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell'ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare».
Deve, in proposito, evidenziarsi che la nuova formulazione dell'art. 114 c.p.p. non utilizza le parole «divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell'ordinanza di custodia cautelare» impiegate dall'art. 4, comma 3, della legge n. 115 del 2024, ma afferma che «è vietata la pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali».
Tuttavia, la scelta semantica compiuta dal legislatore italiano non comporta la limitazione del divieto di cui all'art. 114 c.p.p. al solo atto d'indagine nella sua integralità contenutistica, atteso che una lettura teleologicamente orientata dall'art. 4, comma 3, della legge n. 115 del 2024 – imposta dai principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza C. cost., 25 luglio 2024, n. 149, richiamati nel paragrafo precedente – induce a ritenere che la preclusione normativa riguardi sia l'atto processuale nella sua interezza, sia le singole parti di esso, sia l'estratto del provvedimento. A sostegno di queste conclusioni, del resto, sembra muoversi il tenore letterale dell'art. 171, comma 1, lett. a), c.p.p., che prescrive la nullità della notificazione di un atto processuale, laddove il provvedimento risulta «notificato in modo incompleto, fuori dei casi nei quali la legge consente la notificazione per estratto».
In altri termini, ai fini dell'applicazione del divieto di pubblicazione previsto dall'art. 114 c.p.p., così come riformulato dall'art. 2, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 198 del 2024, non si può prospettare alcuna distinzione tra la pubblicazione integrale, la pubblicazione parziale e la pubblicazione per estratto dell'attod'indagine coperto da segreto investigativo, rilevante ai sensi dell'art. 329, commi 1 e 2, c.p.p.
Sul piano sanzionatorio, deve evidenziarsi ulteriormente che la riformulazione dell'art. 114 c.p.p. non ha introdotto alcuna modifica, compiendo una scelta legislativa inequivocabile.
Ne discende che la pubblicazione di atti d'indagine coperti da segreto concretizza la fattispecie di cui all'art. 326 c.p., che deve essere contestata al soggetto extraneus che effettua la divulgazione, eventualmente in concorso con il pubblico ufficiale, che riveste la qualità di intraneus, in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui: «Risponde del reato di rivelazione di segreti di ufficio, a titolo di concorso con il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, il soggetto extraneus che, ricevuta una notizia coperta da segreto, abbia istigato o indotto il suo informatore o terzi a conoscenza della stessa, a renderla nota ad altri soggetti» (Cass. pen., sez. VI, 31 marzo 2007, Berlusconi, n. 39428, in Cass. C.E.D., n. 264782 - 01).
La pubblicazione di atti processuali che non sono più coperti da segreto investigativo, invece, integra la fattispecie contravvenzionale prevista dall'art. 684 c.p., per inquadrare la quale occorre richiamare il seguente principio di diritto: «La previsione incriminatrice dell'art. 684 c.p., che tutela il segreto processuale, deve ritenersi a carattere plurioffensivo, essendo preordinata a garanzia non solo dell'interesse dello Stato al retto funzionamento dell'attività giudiziaria, ma anche delle posizioni delle parti processuali e, comunque, della reputazione di esse» (Cass. pen., sez. I, 21 settembre 2004, Perrone, n. 42269, in Cass. C.E.D., n. 230146 - 01).
Sotto quest'ultimo profilo, tuttavia, non può non rilevarsi che l'applicazione della fattispecie di cui all'art. 684 c.p. alle ipotesi di divulgazione di atti non coperti da segreto investigativo non può lasciare soddisfatti, non essendo le relative condotte tipizzate da sanzioni penali oggettivamente inadeguate, essendo prevista per tali comportamenti, che pure possono incidere significativamente sulla sfera privata dell'individuo, la pena dell'arresto fino a trenta giorni o con l'ammenda da 51 a 258 euro.
Senza considerare, per altro verso, che l'applicazione dell'art. 684 c.p. lascia comunque irrisolto il problema della rilevanza professionale delle condotte divulgative poste in essere dai giornalisti, per le quali non è previsto alcun collegamento tra il procedimento penale e l'eventuale procedimento disciplinare, attivabile presso l'ordine professionale competente.
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Sommario
Il d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198 e la direttiva 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016
Il d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198 e il fondamento, costituzionale e sovranazionale, del diritto alla tutela dei dati personali
Il diritto alla tutela dei dati personali e il divieto di pubblicazione degli atti affermato dall'art. 114 c.p.p.
Il divieto di pubblicazione degli atti d'indagine introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a) e b), del d.lgs. n. 198 del 2024 e l'osservanza dei criteri imposti dalla legge delega
La disciplina dell'art. 2, comma 1, lett. a) e b), del d.lgs. n. 198 del 2024 e gli atti d'indagine non pubblicabili