Le nullità di protezione: tra regolazione multilivello del mercato, asimmetria informativa e concorrenza
Giuseppe Maria Marsico
28 Gennaio 2025
Il sistema regolatorio e il mercato, nell'accogliere le nuove istanze della c.d. behavioral finance e nel ridefinire l'impostazione precedente, si caratterizzano per l'adozione di «nudge strategies», vale a dire un insieme di politiche regolatorie che dirigono in modo soft (c.d. “spinta gentile”) le scelte dei destinatari nella direzione che il regolatore presume per questi più vantaggiosa. E così, a seguito della emanazione delle Direttive, dapprima, MiFID I e, poi, MiFID II, il quadro regolatorio dei mercati finanziari ha assunto progressivamente caratteri morfologici particolari, assimilabili – secondo una originale ricostruzione - a propaggini della clausola generale della solidarietà sociale.
Mercati finanziari e profili regolatori
Nei mercati finanziari si svolgono transazioni su credence goods, ossia su beni connotati da un elevato grado di complessità, la cui esatta individuazione, nonché la possibilità di essere effettivamente apprezzati dal risparmiatore-investitore, dipenderà quasi unicamente dalle informazioni fornite al mercato sia dagli intermediari, al momento dell'offerta dei servizi, sia dalle società emittenti strumenti finanziari. L'informazione rappresenta il veicolo per il raggiungimento della situazione di efficienza allocativa del mercato finanziario, nonché, talvolta, degli equilibri di finanza pubblica.
La nullità di protezione, in una prospettiva rimediale, di giustizia contrattuale e di rimeditazione delle categorie dogmatiche invalidatorie, assurge quale sintesi fra l'interesse pubblico alla regolazione del mercato e quello dell'autonomia privata, con la finalità di fronteggiare condotte opportunistiche contrarie a buona fede.
Le distorsioni di tipo cognitivo aumentano il rischio che gli investitori compiano scelte rischiose; esse molto spesso non sono guidate da criteri di razionalità. Ciò ha reso evidente la necessità di ridefinire il complesso di regole esistenti, in una prospettiva di mitigazione della asimmetria informativa. Pertanto, gli intermediari finanziari nel guidare gli investitori nel processo decisionale nel loro migliore interesse sono chiamati a interrogarsi – in una prospettiva solidaristica - sui bisogni reali dell'investitore al fine di correggere gli eventuali errori cognitivi da essi compiuti.
Venendo all'esame specifico del quadro europeo in materia di regolazione finanziaria, occorre premettere che, a livello sovranazionale, l'obiettivo principale è quello di favorire lo sviluppo di un mercato unico dei servizi finanziari in Europa, in cui: i) venga assicurata la trasparenza del mercato; ii) venga rafforzata la tutela degli investitori, attraverso la previsione di obblighi più stringenti idonei a garantire ai clienti che «i prodotti finanziari loro offerti siano adeguati alle loro esigenze e che i beni verso i quali indirizzano l'investimento siano adeguatamente protetti»; iii) sia assicurato il cd. “passaporto unico”, garantendo gli investimenti transfrontalieri in modo semplice e a condizioni uguali in tutti gli Stati membri.
Ciò posto, nell'ambito dell'Unione Europea, si è formato e delineato un quadro normativo e regolamentare unionale, al fine di raggiungere un sempre più crescente rafforzamento degli obiettivi di integrazione, competitività ed efficienza dei mercati finanziari, soprattutto al fine di proteggere e tutelare degli investitori e la concorrenza nei mercati.
In tale ottica, si pone la MiFID II che, nella predisposizione delle forme di tutela dell'investitore, supera il modello di architettura normativa di protezione fondata esclusivamente sulla razionalità dell'investire, nella consapevolezza che il sistema normativo debba considerare l'incidenza di altri elementi – esterni all'informazione – quali, appunto, i deficit cognitivi.
Il sistema regolatorio, nell'accogliere le nuove istanze della c.d. behavioral finance e nel ridefinire l'impostazione precedente, ha adottando delle «nudge strategies», vale a dire un insieme di politiche regolatorie che dirigono in modo soft (c.d. “spinta gentile”) le scelte dei destinatari nella direzione che il regolatore presume per questi più vantaggiosa.
E così, a seguito della emanazione delle Direttive, dapprima, MiFID I e, poi, MiFID II, il quadro regolatorio dei mercati finanziari ha assunto progressivamente caratteri morfologici particolari, assimilabili – a nostro avviso - a propaggini della clausola generale della buona fede.
La cornice normativa nel suo complesso si compone di un “intreccio avviluppato” di regole di svariato tipo, quali regole di hard law, e di soft law (si abbia riguardo ai sempre più numerosi orientamenti e le linee guida emanati dalle autorità di vigilanza), nonché di azioni di enforcement amministrativo e giudiziale.
Come noto, la disciplina nazionale in materia di mercati finanziari è contenuta, essenzialmente, nel Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 58 del 1998), più volte modificato nel corso degli anni, soprattutto in attuazione dei numerosi interventi normativi europei succedutesi nel tempo. Giova, peraltro, considerare che il Testo Unico rappresenta – più che un vero e proprio momento conclusivo di un iter riformatore – un vero e proprio «ponte» di transizione: da un lato, infatti, tale intervento ha «terminato (o meglio, ha consolidato) il processo di aggiornamento radicale della disciplina dei servizi di investimento e dei mercati; dall'altro, ha volutamente rappresentato il trampolino da cui ha preso slancio la riforma del diritto societario realizzata, poi, nel 2003»
Ed, invero, la caratteristica principale del T.U.F. è proprio la regolazione unitaria e coordinata «dei tre aspetti fondamentali: gli emittenti, cioè chi cerca dai soggetti economici in surplus (tipicamente i risparmiatori) risorse economiche da impiegare nell'attività imprenditoriale; gli intermediari, vale a dire chi presta un servizio per l'allocazione delle risorse delle unità in surplus indirizzandone o quanto meno eseguendone gli investimenti (sia sotto forma di servizi di investimento personalizzati sia sotto forma di gestione collettiva del risparmio); i mercati, cioè le sedi ove non solo si incrociano domanda e offerta di finanza ma nelle quali gli investitori hanno anche la possibilità di chiudere anticipatamente l'investimento cedendone ad altri soggetti la titolarità»
Asimmetria informativa: tra mercato ed educazione finanziaria.
Accanto agli strumenti di enforcement– pubblici e privati - una delle leve in grado di contribuire significativamente ad efficientare i mercati finanziari è costituita dall'empowerment del risparmiatore e dal rimedio conservativo della nullità di protezione.
L'educazione finanziaria – quale massima espressione del disposto di cui all'art. 2 Cost. - è il processo attraverso il quale i risparmiatori, gli investitori e, in generale, la più ampia platea dei consumatori dei servizi finanziari migliorano la propria comprensione di prodotti e nozioni finanziarie.
Trattasi di un processo che si compone di un insieme di attività aventi lo scopo di aumentare e/o rafforzare le capacità decisionali delle persone, incentivandone la libertà e l'autonomia. Tali attività sono precipuamente di tipo informativo e, in quanto tali, non vanno identificate con gli obblighi informativi cui sono tenute le parti professionali nell'ambito del rapporto contrattuale. Nell'ambito di rapporti finanziari la corretta educazione dell'investitore potrebbe costituire uno degli strumenti utili a rafforzarne le capacità decisionali.
Con ciò, si badi bene, non si vuole intendere che la tutela dei risparmiatori possa basarsi sull'autoresponsabilità degli stessi, quanto piuttosto che la crescita del potere degli utenti di servizi finanziari dovrebbe operare di concerto con le altre forme di disciplina e di vigilanza sui mercati.
In altri termini, attraverso l'informazione, l'istruzione e la consulenza, gli investitori sviluppano le capacità e la fiducia necessarie per diventare maggiormente consapevoli dei rischi e delle opportunità finanziari.
L'obiettivo é far sì che siano effettuate scelte più informate. Ciò ha il pregio di incrementare il livello di effettività delle norme poste a tutela dell'investitore anticipando le situazioni impreviste, così da ridurre degli interventi officiosi del giudice a salvaguardia dei diritti dei soggetti agenti del mercato.
Sotto il profilo sistemico emergono ulteriori vantaggi dell'alfabetizzazione finanziaria: si poterebbero diminuire i rischi di esclusione finanziaria e favorire l'apporto di liquidità ai mercati finanziari, incoraggiando, in tal guisa, i consumatori a prevedere e a risparmiare.
L'implementazione di strategie e buone pratiche volte a realizzare il processo di Educazione finanziaria rientra nella competenza di ciascun Paese membro dell'Unione. Pertanto, il legislatore unionale ha imposto agli Stati membri di promuovere misure volte a favorire l'educazione finanziaria dei consumatori per la prima volta con la Direttiva 2014/17/UE «sui contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali». Prima di ciò, nella Direttiva sul credito al consumo l'educazione finanziaria compariva, ma solo genericamente, nel Considerando n. 26.
Successivamente il legislatore europeo è intervenuto più attivamente al fine di favorire tale processo sviluppando molteplici iniziative culminate dapprima in una Decisione (30 aprile 2008) che ha istituito un gruppo di esperti (Expert Group on Financial Education) in materia di educazione finanziaria, e, successivamente, nella istituzione di una Banca dati sull'educazione finanziaria (The European Database for Financial Education - EDFE) avente la finalità di informare tutti gli interessati sugli strumenti di istruzione attualmente in vigore negli Stati membri.
Nel nostro ordinamento sono poste normative di rango primario che legittimano le iniziative volte a favorire un miglioramento del livello culturale dell'investitore.
Come noto, l'educazione del consumatore compare tra i primi obiettivi di politica legislativa enunciati in via programmatica dal Codice del consumo.
La ratio é educare i consumatori e renderli consapevoli dei propri interessi). Si analizzerà in chiave sistematica il disposto di cui all'art. 4, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, che recita: «Le attività destinate all'educazione dei consumatori, svolte da soggetti pubblici o privati [...] sono dirette ad esplicitare le caratteristiche di beni e servizi e a rendere chiaramente percepibili benefici e costi conseguenti alla loro scelta; prendono, inoltre, in particolare considerazione le categorie di consumatori maggiormente vulnerabili». Dalla lettera dell'art. 4 del Codice del consumo si ricava che l'educazione è diretta a rendere noti ai consumatori i propri diritti, consentendo loro di conoscere i mezzi di tutela offerti dall'ordinamento quali le azioni giudiziale o le tecniche alternative di risoluzione delle controversie) da utilizzare a fronte di comportamenti abusivi del professionista. Invero, nell'indagine si evidenzierà come l'educazione finanziaria non consista solo nel far apprendere al consumatore i propri diritti, ma piuttosto nell'offrirgli le basi per acquisire consapevolezza circa l'operazione da svolgere nel contesto del mercato di riferimento di guisa che è strumento che favorisce la conoscenza del settore di mercato in cui il consumatore intende operare.
Nonostante le suddette norme, l'analfabetismo finanziario continua a rappresentare uno dei nuclei problematici più significativi nel contesto europeo giacché, a fronte delle numerose iniziative messe in campo dall'Unione, i dati mostrano un elevato tasso di analfabetismo nei Paesi OCSE.
Ciò ha spinto il nostro legislatore, ancora una volta, ad affrontare programmaticamente la questione dell'alfabetizzazione finanziaria con il c.d. “decreto salva-banche” nel quale fissa l'obiettivo di perseguire l'incremento del livello di educazione finanziaria della popolazione in quanto fattore di benessere individuale, di crescita economica e di stabilità dei mercati.
La Banca d'Italia ha svolto due rilevazioni sull'alfabetizzazione e le competenze finanziarie degli Italiani (IACOFI), nel 2017 e nel 2020, sulla base di una metodologia sviluppata dall'International Network on Financial Education (INFE) dell'OCSE ove si evidenziano che un più basso livello di alfabetizzazione finanziaria, rispetto alla media dei dieci paesi OCSE.
Quanto detto, se calato nell'attuale contesto di crisi energetica e post pandemica (cui consegue una maggiore fragilità finanziaria di tutti i soggetti del mercato) evidenzia che il tema della implementazione del processo volto alla educazione finanziaria dei risparmiatori rappresenta, più che mai, un imperativo in considerazione dei costi dell'analfabetismo finanziario e delle sue ripercussioni sui comportamenti finanziari.
In ragione di ciò si è riaperto il dibattito tra gli studiosi del mercato sulla necessità di fornire agli investitori, soprattutto a quelli retail, un'adeguata educazione finanziaria, evidenziando l'opportunità di indirizzare la regola verso i casi di “soggetti con poca o nulla educazione finanziaria, che si siano lasciati influenzare dalla disponibilità del finanziatore a concedere credito”, giacché lo scarso livello culturale in materia finanziaria degli investitori li espone ad alti rischi di investimento. Occorre dare risposta alla duplice esigenza: da un lato, assicurare un rapporto bilanciato tra il livello di indebitamento degli investitori retail e la loro capacità reddituale; dall'altro, la necessità garantire che questi ultimi siano in grado di valutare la soglia del rischio «tollerabile» ed evitare di incorrere in sovraindebitamenti.
Sotto questo aspetto, il rafforzamento dell'autonomia degli investitori potrebbe consentire loro di valutare individualmente il rischio connesso alla scelta di investimento, sì da prevenire fenomeni – sempre più diffusi – di sovraindebitamento colpevole.
Non sfugge, tuttavia, che il rapporto tra analfabetismo finanziario e sovraindebitamento è questione assai poco indagata in dottrina e affatto considerata dal legislatore. Se si guarda attentamente il dato legislativo, si riscontra che nell'ambito delle procedure dedicate alla “soluzione delle situazioni di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte” non trovano spazio – ai fini della valutazione della colpa del debitore – elementi quali l'educazione o la diseducazione finanziaria del sovraindebitato, elementi questi dai quali potrebbero derivare condotte di investimento “poco responsabile”.
L'indagine evidenzia che per lungo tempo l'obiettivo precipuo del legislatore comunitario è stato colmare la disparità nella distribuzione delle informazioni sussistente tra intermediari ed investitori, sulla base dell'assunto che tale disparità fosse il principale fattore di pregiudizio delle scelte d'investimento di questi ultimi.
Muovendo dall'assunzione che il risparmiatore (o investitore) sia soggetto intrinsecamente debole, giacché patisce l'asimmetria informativa, si è dato avvio ad una serie di interventi di matrice paternalista e dirigista che assegna al diritto una funzione assistenzialista.
In tale logica, per lungo tempo, si è indirizzata la protezione dei soggetti deboli sul mercato.
Si avrà riguardo, infatti, alla Direttiva 2003/71/CE in materia di prospetto informativo; alla Direttiva 22/93/CEE sui servizi di investimento e alla Direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato per mezzo delle quali si agiva essenzialmente sul profilo dell'informazione e della disclosure.
Dalle regole appena passate in rassegna emerge in maniera del tutto evidente la sovrapposizione tra la figura del risparmiatore retail e la figura tradizionale del consumatore, e la propensione del legislatore dei mercati finanziari ad adottare lo stesso approccio paternalistico assunto con i consumatori, conferendo rilievo prioritario all'informazione e ai correlati oneri in capo agli intermediari.
Di qui, ai fini della tutela dell'investitore si è fatto ricorso ad una puntigliosa regolamentazione di dettaglio in ordine alla corretta comunicazione delle informazioni a carico della controparte qualificata.
Conclusioni in una prospettiva di efficienza del mercato: la nullità parziale di protezione e la regolazione multilivello
Seguendo tale prospettiva, i legislatori si sono concentrati sul problema delle asimmetrie informative, incrementando in termini quantitativi le informazioni indirizzate ai soggetti deboli, al fine di prevenire eventuali condotte fraudolente ai danni degli investitori.
Al riguardo si è posto criticamente in luce che assimilare a tutti agli effetti il risparmiatore/investitore al consumatore significa trascurare che il primo, a differenza del secondo, subisce l'asimmetria informativa relativamente alla singola operazione economica (acquisto di servizi/prodotto finanziario/assicurativo); e che, d'altro canto, l'informazione – quale bene giuridico – non è informazione “aperta” – reperibile sul mercato – giacché proviene in via unilaterale dalla stessa controparte contrattuale (ossia l'intermediario).
Tale constatazione si è accompagnata ad una ulteriore valutazione in termini critici del complessivo assetto normativo: il numero elevato di informazione finanziaria, frutto della regolamentazione di dettaglio, ha contribuito ad accrescere i bias cognitivi che vanno a inficiare la parte razionale del processo decisionale dell'investitore. Si allude qui al fenomeno della c.d. information overloading, ovvero il «sovraccarico cognitivo» ricorrente nei casi in cui un soggetto riceva informazioni per riuscire a prendere una decisione o scegliere una informazione specifica sulla quale focalizzare l'attenzione. Tutto ciò ha alimentato il dibattito sull'utilità dell'informazione quale mezzo funzionale alla efficienza e stabilità del mercato. Raggiunta la consapevolezza che la disinformazione è ciò che rende vulnerabile l'investitore, il legislatore ha ripensato agli obblighi informativi quale unico strumento impiegabile per colmare il gap informativo e parificare la posizione contrattuale delle parti; si è preso atto che la sola disciplina della trasparenza informativa fosse insufficiente a proteggere l'investitore.
Se, da un lato, come si è visto, la disciplina MiFID favoriva la concorrenza e, quindi, determinava la conseguente frammentazione degli scambi tra le sedi di negoziazione, dall'altro, per evitare che tale effetto andasse a detrimento della correttezza e del buon funzionamento dei mercati, imponeva stringenti obblighi ditrasparenza pre e post negoziazione (obbligatori per i titoli azionari e gli strumenti analoghi; facoltativo, invece, per gli altri strumenti ammessi alle contrattazioni).
Richiamando quanto sinora indicato, si può affermare, in estrema sintesi, che la suddetta impostazione aveva un duplice obiettivo: (i) tutelare gli investitori, i quali dovevano usufruire di informazioni appropriate per poter assumere le proprie decisioni di investimento/disinvestimento; (ii) integrare le sedi di negoziazione e, di conseguenza, rafforzare il processo di price discovery degli strumenti finanziari. Tale sistema, tuttavia, aveva portato all'emersione di alcune significative lacune, tanto da permettere che intere classi di prodotti finanziari potessero essere scambiate al di fuori dei mercati ufficiali e dei sistemi multilaterali (quindi, over the counter – “OTC”), in modo assolutamente opaco e con evidenti rischi sistemici . Al fine di prevenire ed evitare, per il futuro, il verificarsi di detti rischi, il legislatore europeo è intervenuto a disciplinare, in primo luogo, gli strumenti derivati non standardizzati e, successivamente, con un intervento di più ampio respiro, a modificare le regole di negoziazione degli strumenti c.d. quotati. Con riferimento a questo secondo aspetto, sono state introdotti, per l'appunto, la direttiva MiFID II e il regolamento Mifir , i cui scopi sono stati quelli di garantire che tutte le negoziazioni organizzate avvenissero in sedi regolamentate di negoziazione, che, per l'occasione, sarebbero state integrate (oltre alle due già note: mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione) da una terza e nuova categoria, quella dei sistemi organizzati di negoziazione (organised trading facility – “OTF”) .
A tali sedi vengono applicati requisiti uniformi di trasparenza pre e post negoziazione: quest'ultimi variano, quindi, non in base alla trading venue o sede di negoziazione prescelta, bensì in base al tipo di strumento negoziato. In particolare, vi è una macro distinzione tra quelli rappresentativi di capitale (azioni, certificati di deposito, fondi indicizzati quotati, certificati ed altri strumenti finanziari analoghi) e quelli non rappresentativi di capitale (obbligazioni, strumenti finanziari strutturati, quote di emissione e strumenti derivati), ovvero per il tipo di negoziazione prescelto, impostato sugli ordini o sulle quotazioni.
Allo stesso modo, i requisiti che riguardano gli aspetti organizzativi e la vigilanza del mercato applicabili a tutte e tre le sedi sono quasi identici. In tal modo, è stata garantita la parità di condizioni laddove esistano attività simili dal punto di vista funzionale che riuniscono gli interessi di negoziazione di terzi: caratteristica comune è la neutralità della piattaforma. I mercati regolamentati e i sistemi multilaterali di negoziazione presentano invece il maggior grado di affinità, rimanendo caratterizzati dall'esecuzione non discrezionale delle transazioni al loro interno, ovvero dal fatto che le operazioni si svolgano secondo norme predefinite.
Al contrario, il gestore di un sistema organizzato di negoziazione ha maggiori margini di discrezionalità. Nel sistema introdotto dalla disciplina MiFID, infatti, sfuggivano a una piena regolamentazione tali ultimi attori (gli OTF), in quanto sistemi di negoziazione che, pur dotati della multilateralità, non incrociavano gli ordini secondo regole di matching oggettive e predeterminate, ma in modo discrezionale, ovvero in base all'intervento del relativo gestore che decideva, di volta in volta, come abbinare le proposte di vendita con quelle di acquisto. Il sistema organizzato di negoziazione, infatti, pur mantenendo le peculiarità di un sistema multilaterale (in quanto consente l'incontro di interessi di acquisto e vendita), diverso comunque da un mercato regolamentato o da un sistema multilaterale, permette l'interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita su una serie di prodotti non equity (ovvero obbligazioni, strumenti finanziari strutturati, quote di emissione e strumenti derivati). Il margine di discrezionalità (sul modo di eseguire l'operazione) introdotto (dalla MiFID II) per i gestori di OTF viene, d'altra parte, temperato da una serie di strumenti di protezione dell'investitore sull'esercizio dell'attività e sulla migliore esecuzione nei confronti dei soggetti che si avvalgono di questo tipo di piattaforma. Quindi, per quanto sia necessario che le norme in materia di metodologia di accesso ed esecuzione di un sistema organizzato di negoziazione siano chiare e trasparenti, esse consentono comunque al gestore di prestare ai clienti un servizio qualitativamente e funzionalmente diverso dai servizi offerti nei mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione ai rispettivi membri e partecipanti.
Proprio per garantire la neutralità del gestore di un OTF in relazione a qualsiasi transazione effettuata, ed evitare che i doveri nei confronti dei clienti vengano compromessi dalla possibilità di ricavare profitti a loro discapito, è stato vietato al gestore stesso di impiegare capitale proprio nelle negoziazioni. Sembra utile analizzare il complesso fenomeno dell'asimmetria informativa, fornendo innanzitutto una definizione generale della finanza comportamentale; la chiave per inquadrare il fenomeno della finanza comportamentale risiede nel definire, innanzitutto, che cosa si intenda per psicologia, sociologia e finanza. Secondo una tesi, infatti, questi tre ambiti di studio, fusi insieme, danno forma alla finanza comportamentale.
La dottrina della finanza comportamentale ha affermato che, quando l'operatore del mercato si trova di fronte alla necessità, o volontà, di effettuare scelte finanziarie, entrano in gioco diversi fattori tra loro contrapposti che bilanciati conducono a comportamenti che possono essere ottimali o meno.
Secondo la ricostruzione ermeneutica dell'utilità classica, gli individui sono completamente razionali ed agiscono sempre cercando di massimizzare la loro utilità attesa. Questa teoria, degli inizi degli anni settanta del secolo scorso, era costruita su alcuni presupposti che col passare del tempo non sono più sembrati così realistici ed attuali. L'operatore è vittima di bias comportamentali che ne minano la completa razionalità (c.d. teoria del prospetto).
Giova rilevare, in conclusione, come la perfetta razionalità dell'investitore, una delle matrici principali della teoria classica, sia stata messa in discussione da una nuova corrente di studi chiamata finanza comportamentale. Questo nuovo filone di pensiero contrappone – come accennato - la teoria del prospetto alla teoria dell'utilità classica e dimostra come aspetti psicologici portino i soggetti a compiere scelte finanziarie non sempre razionali e ottimali, in termini allocativi. La politica legislativa, negli ultimi anni, ha tentato di contenere il proliferarsi di questi comportamenti non ottimali, indagandone oltre che le cause, anche le possibili soluzioni. Nuovi provvedimenti normativi e programmi di educazione finanziaria sono stati predisposti per proteggere l'investitore e cercare di renderlo più attento e consapevole in materia finanziaria.
L'obiettivo e la sfida principale dell'interprete sarà quello di comprendere la rilevanza e l'utilità dell'educazione finanziaria contro i bias degli individui, in una prospettiva di tutela del mercato ed efficiente allocazione delle risorse.
Sul piano rimediale, in tale prospettiva, si pone la nullità parziale, quale strumento di giustizia contrattuale. Essa riveste un'importanza cruciale, anche nella materia dei contratti dei consumatori.
Lungi dal prospettare al giudice una strada segnata, fatta di mere declaratorie e supine applicazioni del diritto cogente, questo rimedio riserva una ricca gamma di opzioni, rispetto alle quali il riferimento ai principi generali diventa decisivo. Secondo gli orientamenti ormai invalsi della Corte di giustizia, il giudice è chiamato a valutare se la nullità parziale sia rimedio effettivo, proporzionato e persino dissuasivo (c.d. disinducement o strumento di coercizione indiretta) e non potrà farlo senza interrogarsi sulle conseguenze della nullità per le sorti del contratto, sull'effettivo riequilibrio tra diritti e obblighi significativamente alterato dall'abuso del professionista, sulla ragionevolezza del rimedio in termini di deterrenza generale. In questa valutazione, condita di poteri officiosi e atti di impulso del contraddittorio tra le parti, la nullità parziale opera in combinazione quasi inscindibile con quello che, nella giurisprudenza euro-unitaria, finisce per essere un complemento determinante del rimedio invalidatorio: l'integrazione del contratto o la denegazione della stessa.
Questa nullità parziale, definita “nuda”, perché svestita del complemento ‘naturale', che il nostro art. 1374 c.c. vede in primis nella legge e poi negli usi e nell'equità, è un rimedio quasi nuovo, pronto ad assumere una chiara funzione sanzionatoria. L'analisi svolta consente di osservare i meriti di un approccio europeo capace di arricchire, in via elastica, la gamma dogmatica di rimedi classici di nuove funzioni e di proiettarli verso i traguardi di una tutela piena, effettiva, proporzionata e, in una logica di sistema, anche dissuasiva rispetto alla violazione. Al tempo stesso, lascia intravedere i molti vuoti di un dialogo tra corti nazionali e Corte di giustizia che, per forza di cose, reagisce a sollecitazioni puntuali, inserite in contesti determinati, non sempre del tutto accessibili in una prospettiva sovranazionale. Il timore è che l'argomento fondato sulla dissuasività del rimedio abbia spinto la Corte a sottovalutare il ruolo dell'etero-integrazione in funzione protettiva del consumatore e finisca così per generare tensioni non necessarie tra diritto europeo e legislatori nazionali, a cui invece potrebbe in molti casi riconoscersi il merito di una normazione suppletiva altrettanto rispettosa dei principi di effettività, dissuasività e proporzionalità delle tutele.
Ugualmente critica è, sotto questo profilo, quell'aprioristica denegazione di ruolo all'integrazione giudiziale, anche se prevista dai sistemi nazionali, come se, nello specifico ambito della determinazione degli effetti della nullità parziale, il giudice cessasse di essere l'interprete di una legislazione per principi, che lo stesso diritto europeo ha contribuito a valorizzare. Del resto, nonostante l'intenso susseguirsi di pronunce, il dialogo tra corti nazionali e Corte di Giustizia ha ancora molti traguardi da conquistare in questo ambito.
Lo stesso New Deal for consumers, con la previsione di un rimedio caducatorio a fronte della pratica commerciale scorretta, potrebbe generare nuove questioni in merito all'alternativa tra caducazione totale e caducazione parziale del contratto affetto da pratica scorretta abbinata all'uso di clausole vessatorie. Ugualmente, nel campo del credito al consumo, in cui è lo stesso diritto europeo ad aver sollecitato i legislatori nazionali ad adottare norme dispositive di riferimento (come nella determinazione del costo del credito o del valore dell'indennizzo in caso di restituzione anticipata), la sostituzione della clausola potrebbe riacquistare quel valore conformativo che le è già proprio nei sistemi nazionali, a cui forse è ragionevole rinunciare a favore di un più pesante ruolo sanzionatorio della nullità solo nei casi più gravi. In questo trascolorare della tutela civile verso orizzonti propri delle forme pubblicistiche di attuazione dei diritti, è importante riflettere sull'essenza della nullità parziale di stampo consumeristico: un rimedio che, inerente all'atto, punta al riequilibrio di posizioni individuali all'interno di una relazione strutturalmente diseguale.
Se, dunque, effettività, proporzionalità e dissuasività sono ormai comunemente applicate tanto alle sanzioni quanto ai rimedi, il loro uso dovrebbe essere correlato alla natura e alla funzione primaria di ciascuna misura disposta dal giudice. Nel caso della nullità parziale, ciò significa garantire che, attraverso il rimedio, la parte protetta dalla nullità sia in grado di recuperare effettivamente le utilità perdute, di liberarsi dagli oneri o i rischi ingiustamente assunti; non invece che, in ragione di una funzione deterrente del rimedio, consegua arricchimenti ingiustificati o vada esente da responsabilità proprie.
Del resto, il principio di proporzionalità non lo consentirebbe. In tale prospettiva, assume rilevanza peculiare la clausola generale della buona fede e il principio di solidarietà sociale. Il sistema della nullità speciale di tipo parziale, sulla scorta di un orientamento euro-unitario, consente di disegnare un assetto negoziale di intessi peculiare, in un'ottica di ottimale allocazione delle risorse economiche e finanziare, nonché del rischio di “inadempimento”, in riferimento ex multis agli obblighi informativi, alle regole di validità e alle regole di condotta (c.d. ottimo paretiano).
La nullità di protezione – in via redistributiva-compensativa e, in parte, deterrente – alloca – entro i limiti dell'exceptio doli generalis- il rischio di “inadempimento” a carico dell'intermediario. La nullità parziale – in un'ottica di analisi economica del diritto - opera quale fonte di inducement, o mezzo di coercizione indiretta, nei confronti dell'intermediario finanziario, affinché adempia all'obbligazione dedotta nel contratto e si comporti ex bona fide. L'economia comportamentale, così come la finanza comportamentale (cd. behaviuoral finance), in tale prospettiva, accetta molte delle premesse proprie del pensiero economico tradizionale, cioè che gli effetti di scelte individuali, esplicazione dell'autonomia privata, sono il frutto di atto in un determinato ambiente economico.
Gli economisti comportamentali compiono, tuttavia, un passo ulteriore, sostenendo che l'azione umana è modellata non solo dai vincoli economici presenti nel caso concreto, ma è anche influenzata dalle preferenze endogene, dalle conoscenze, dalle capacità, dalle doti a dai vari vincoli psicologici e fisici delle persone. Gli incentivi o mezzi di coercizione indiretta sono importanti e guidano il comportamento umano; i medesimi, spesso, rappresentano qualcosa in più di mera prospettiva di guadagno monetario.
La produzione e la tipizzazione di regole giuridiche, così come delle ipotesi patologiche della nullità, spesso, si basa su predizioni – secondo l'id quod plerumque accidit - circa la misura in cui le persone risponderanno alle regole giuridiche e ai vincoli istituzionali.
Molti dei primi contributi alla analisi economica del diritto sono stati profondamente influenzati da modelli di scelta razionale, della prassi contrattuale e dalle teorie comportamentali dell'azione umana, che hanno tradizionalmente fornito le basi teoretiche per tale predizione. La complessità messa in luce da queste nuove dimensioni della moderna, elastica e non più dogmatica teoria dell'autonomia privata – ex art. 1322 c.c. – e delle ipotesi di nullità classiche porteranno al graduale sviluppo di modelli economici più complessi.
Pare evidente che il solo rimedio parzialmente demolitorio della nullità di protezione sia, astrattamente, inidoneo ad assicurare una tutela efficiente ed adeguata in capo al consumatore – parte debole. La medesima species di nullità dovrebbe – a nostro avviso - essere affiancata dalla tutela risarcitoria. Ciò dovrebbe avvenire de iure condendo al fine di evitare ipotesi di inadempimento efficiente. Sul versante delle applicazioni, il perimetro operativo dell'autonomia contrattuale ha consentito di dare rilievo alla varietà degli interessi coinvolti anche nella fase esecutiva, primo fra tutti quello alla conservazione del vincolo. Esso identifica un interesse certamente meritevole di protezione, come è dimostrato dal crescente interesse che la dottrina già da tempo riserva ai cc.dd. rimedi « manutentivi » del contratto. In generale, e per collocare il problema nel suo contesto, si osserva come la risoluzione del contratto, quale rimedio all'inesecuzione, possa implicare un'inefficienza economica in tutta una serie di casi. L'analisi economica del diritto, in particolare con la teorica dell'«efficient breach », ha posto in rilievo che la stessa logica dell'esecuzione può, in determinate ipotesi, cedere il passo a una valutazione di maggior convenienza dell'inadempimento, sanzionato esclusivamente sul piano risarcitorio.
Questo è il caso, a parere di chi scrive, della nullità totale e della nullità di protezione parziale a cui non si affianca la tutela manutentiva del risarcimento del danno. In tale complessa prospettiva, la disciplina multilivello ed, in particolare, quella regolamentare euro-unitaria in tema di tutela dell'investitore parte debole, sembra assurgere quale corollario del principio costituzionale solidaristico (art. 2 Cost.).
Lo stesso potrebbe affermarsi, a nostro avviso, con riguardo alla clausola generale della buona fede, intesa nelle sue differenti declinazioni. Sul piano applicativo, in sostanza, al fine di garantire la convivenza di due elementi apparentemente configgenti, quali la rilevabilità d'ufficio della nullità parziale, avente ad oggetto la sola clausola abusiva e la legittimazione all'azione limitata, s'impone al giudice un esercizio ragionato e non acritico del potere di rilevare ex officio la nullità del contratto; ciò è funzionale – al fine di mitigare l'asimmetria informativa - a conformare il potere officioso in modo da non essere contrastante rispetto agli interessi dell'investitore.
Si scongiura, così, il rischio di ipotesi di inadempimento efficiente o efficient breach. Al pari della tutela risarcitoria-manutentiva, le nullità di protezione assurgono, dunque, pur nella loro natura proteiforme e di tutela del mercato, a fondamentali mezzi tecnici di gestione rimediale e controllo del regolamento contrattuale.
Guida all'approfondimento
F. Capriglione, M. Sepe, Riflessioni a margine del diritto dell'economia. Carattere identitario ed ambito della ricerca, in Riv. Trim. Dir. Econ., n. 3, 2021, p. 385 ss.; D. Siclari, Costituzione e autorità di vigilanza bancaria (Italian Constitution and the banking supervisory authority), in Collana del Dipartimento di Diritto dell'economia dell'Università di Roma “La Sapienza”, n. 15, Padova, Cedam, 2007; Id., Gli intermediari bancari e finanziari tra regole di mercato e interesse pubblico (The banking and financial intermediaries between market rules and public interest), in Collana del Dipartimento di Economia e Diritto dell'Università di Roma “La Sapienza”, n. 28, Napoli, Jovene;
Necessario è il riferimento a P. Ferro - Luzzi, Lezioni di diritto bancario. Parte generale, Giappichelli, Torino, 2012; P. Gallo, Asimmetrie informative e doveri di informazione, in Riv. dir. civ., 2007, p. 642.
Vedasi, in particolare, P. Perlingieri, La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, Edizioni Scientifiche Italiane, 2010, p.. 53; P. Sirena, L'integrazione del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. dir. civ., 2004, p. 808.
Vedasi anche P. Sirena, L'integrazione del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. dir. civ., 2004, p. 808. Necessario è il riferimento a P. Ferro - Luzzi, Lezioni di diritto bancario. Parte generale, Giappichelli, Torino, 2012; P. Gallo, Asimmetrie informative e doveri di informazione, in Riv. dir. civ., 2007, p. 642
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Sommario
Conclusioni in una prospettiva di efficienza del mercato: la nullità parziale di protezione e la regolazione multilivello