Fideiussione omnibus: aspetti normativi e soluzioni giurisprudenziali
29 Gennaio 2025
1. Caratteristiche generali La fideiussione si definisce ‘omnibus’ quando garantisce tutte le obbligazioni già assunte o da assumersi in futuro da un debitore principale nei confronti della banca. Con la fideiussione omnibus risultano, dunque, garantite tutte le obbligazioni, presenti e future, derivanti da operazioni bancarie di qualunque natura. La fideiussione omnibus e la fideiussione specifica tutelano interessi economico-individuali differenti: la prima è funzionale a garantire tutte le obbligazioni, anche future, contratte dal debitore principale nei confronti dell’istituto di credito; la seconda è finalizzata a garantire le singole e specifiche obbligazioni del cliente verso la banca. La fideiussione omnibus possiede una causa distinta rispetto a quella propria della fideiussione specifica, considerando la rilevanza dell’attività di concessione di finanziamenti – svolta in via professionale e sistematica – dagli operatori economici. Ne deriva che la posizione di debolezza del fideiussore è maggiore nell’ipotesi di fideiussione omnibus, poiché, essendo la garanzia prestata anche per le obbligazioni future e non specificamente riferibili a una determinata operazione bancaria, aumenta la possibilità per la banca di abusare della propria posizione dominante (Trib. Alessandria 12 aprile 2024 n. 352). L’art. 1938 c.c. stabilisce opportunamente che la fideiussione per obbligazione futura (quale è la fideiussione omnibus) deve sempre contenere l’espressa previsione dell’importo massimo garantito. Nella prassi bancaria, tale importo è sempre rapportato al totale degli affidamenti per rischi di credito concessi ad un soggetto, seguendo un criterio che consideri anche debitamente, oltre al cumulo nominale delle linee di credito, tutte le componenti di aggravamento del rischio di credito. Tra queste ultime rientrano, a titolo esemplificativo: sconfinamenti temporanei di qualsiasi natura, insolvenze relative a portafoglio smobilizzato, insolvenze di assegni accreditati al s.b.f. e resi disponibili prima dell’incasso, interessi convenzionali e di mora maturati o maturandi, nonché rischi di cambio per le posizioni che presentano utilizzi in valuta. Se nella fideiussione è indicato un limite massimo riferito al solo capitale, con la specificazione ‘oltre accessori e spese’, l’importo massimo garantito indicato nella fideiussione omnibus deve intendersi comprensivo, oltre il capitale, anche degli interessi ed ulteriori accessori collegati al debito garantito (Cass. 25 febbraio 2004 n. 3805). La previsione di un tetto massimo si applica a tutte le fideiussioni omnibus, non soltanto a quelle rilasciate a favore degli istituti bancari (Cass. 14 marzo 2014 n. 5951). Il disposto di cui all’art. 1938 c.c., dettato in materia di fideiussione, costituisce un principio di ordine pubblico economico - valido anche per le garanzie atipiche (ad es., la lettera di patronage ‘forte’) - in base al quale è vietata dal nostro ordinamento un’assunzione di responsabilità senza un ammontare massimo prestabilito (Cass. 26 gennaio 2010 n. 1520; v. anche Trib. Roma 18 dicembre 2002; App. Bari 6 ottobre 2014). Gli interessi imputabili al debitore principale ex art. 1942 c.c. sono ricompresi entro il massimale della fideiussione, ma non gli interessi moratori il cui decorso è direttamente imputabile allo stesso fideiussore (Cass. 22 luglio 2015 n. 15370: l’obbligazione fideiussoria cessa non appena il tetto massimo della garanzia sia stato raggiunto, anche per il cumulo degli interessi moratori che siano già maturati nella misura ultralegale pattuita. Pertanto, la mora del fideiussore non può ridare vigore alla garanzia così esaurita, ma può dar luogo unicamente – in assenza di diversa diretta pattuizione tra fideiussore e creditore – ai normali effetti di cui all’art. 1224 c.c., e, quindi, all’obbligo, per il fideiussore costituito in mora, di corrispondere, oltre il tetto massimo garantito, soltanto i correlativi interessi moratori al tasso legale, salva la prova del maggior danno; Cass. 12 giugno 2015 n. 12263, Cass. 25 febbraio 2004 n. 3805). 2. Il recesso del fideiussore In caso di recesso del fideiussore, questi è tenuto al soddisfacimento del debito esistente alla data del recesso, nella misura in cui esso risulta cristallizzato, e in tale limite deve essere rapportato il massimale della garanzia (Trib. Roma 10 giugno 2021; ABF Bologna n. 9238/2022; ABF Roma n. 428/2019; ABF Milano n. 2773/2019). È altresì obbligato, in caso di mancato tempestivo adempimento, al pagamento degli ulteriori interessi che, a titolo moratorio, maturino su tale importo fino alla data dell'effettivo pagamento, da chiunque eseguito. L’incremento che il debito del fideiussore subisce in tal modo, essendo conseguenza diretta dello specifico inadempimento del fideiussore stesso, si configura come autonomo rispetto all’efficacia ormai cessata della garanzia fideiussoria. Tale incremento, proprio perché svincolato da detta garanzia e giuridicamente rilevante in modo autonomo, non soggiace – diversamente dagli interessi (anche moratori) maturati anteriormente al recesso – al limite del massimale della fideiussione (Cass. 12 giugno 2015 n. 12263, che richiama i precedenti di Cass. 7 aprile 1998 n. 3575 e Cass. 16 gennaio 1985 n. 103; cfr. anche Cass. 15 giugno 2012 n. 9848). Tale principio, che trova applicazione nella regola generale della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., in relazione ai fatti imputabili al fideiussore medesimo, nonché nei principi del divieto di abuso del diritto e della correttezza nei rapporti tra privati, deve essere esteso anche all’ipotesi del recesso della banca dal contratto di conto corrente. Tale recesso, similmente e con analoghi effetti, comporta la cristallizzazione del debito del fideiussore per quanto concerne il capitale garantito. Quanto agli interessi moratori maturati successivamente a tale momento, il mutamento del titolo giuridico degli stessi consente di computarli oltre il limite del massimale garantito (Cass. 12 giugno 2015 n. 12263). 3. La liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c. L'art. 1956 c.c. prevede che «il fideiussore per un'obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito. Non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione». L'onere del creditore di richiedere l'autorizzazione del fideiussore prima di fare credito all'obbligato principale, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolve alla evidente finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando l'autorizzazione, all'adempimento di un'obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa (Cass. n. 7444/2017; Cass. 13 dicembre 2019 n. 32774). In altri termini, la previsione - norma imperativa, attesa l'invalidità della rinuncia preventiva - intende colpire con la sanzione dell'inefficacia della fideiussione il comportamento del creditore che, confidando sulla solvibilità del garante, continui a fare credito al debitore garantito conoscendo il peggioramento delle sue condizioni economiche al punto tale da rendere più difficile il recupero del credito. Dalla violazione di tale regola di comportamento secondo correttezza e buona fede (Cass. 5 ottobre 2021 n. 26947; Cass. 9 agosto 2016 n. 16827) discende non solo la liberazione del fideiussore, come previsto dall'art. 1956 c.c., ma anche, ove provato, un danno risarcibile. Tale rilievo costituisce un ulteriore elemento per considerare la rilevanza dell'obbligo di ‘protezione' cui è tenuto il creditore, che non si esaurisce al tempo del rilascio della fideiussione, ma permane per tutto il tempo della sua vigenza (Cass. 27 ottobre 2006 n. 23273; Cass. 13 dicembre 2019 n. 32774). Condotte a rischio sono le situazioni di scoperto o sconfinamento non autorizzate. La disposizione in commento, relativa all'erogazione o all'utilizzazione di ulteriori somme di denaro, valorizza gli obblighi di diligente e corretta gestione dei finanziamenti in essere da parte della banca. Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, nell'ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente, qualora si manifesti un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell'apertura del rapporto, tale da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, la banca creditrice, alla luce del principio cui si ispira l'art. 1956 c.c., è tenuta ad avvalersi degli strumenti di autotutela di cui dispone. Questi strumenti, che consentono di porre termine al rapporto impedendo ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l'esposizione debitoria, devono essere attivati anche a tutela dell'interesse del fideiussore inconsapevole. In caso contrario, la banca rischia di perdere il beneficio della garanzia. Tale obbligo si conforma ai doveri di correttezza e buona fede ed è espressione del più generale dovere di salvaguardia degli interessi dell'altro contraente. Resta salva la possibilità per il fideiussore di manifestare la propria volontà di mantenere ugualmente ferma la propria obbligazione di garanzia (Cass. 22 ottobre 2010 n. 21730; Cass. 13 dicembre 2019 n. 32774; Cass. 17 febbraio 2023 n. 5017; Cass. 13 marzo 2024 n. 6685). Il 'fare credito', ai fini della norma in commento, riguarda dunque non solo l'erogazione di nuovo denaro, ma anche una accorta gestione dei finanziamenti in essere: in sostanza, l'art. 1956 c.c. è applicabile anche nei casi in cui il creditore abbia trascurato di attivare i rimedi contrattuali a sua disposizione utili ad evitare l'aggravio dell'esposizione debitoria. 3.1. ONERI PROBATORI Ai fini dell'applicazione dell'art. 1956 c.c. devono ricorrere due condizioni:
Per consolidato convincimento giurisprudenziale, il fideiussore che chieda la liberazione della garanzia prestata invocando l'applicazione dell'art. 1956 c.c. ha l'onere di provare, ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'esistenza degli elementi richiesti a tal fine. In particolare, deve dimostrare che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell'intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche (Cass. 29 ottobre 2024 n. 27857; Cass. 13 marzo 2024 n. 6685; Cass. 13 maggio 2020 n. 8883; Cass. 28 febbraio 2019 n. 5833). La Cassazione ha affermato, infatti, il seguente principio in tema di riparto degli oneri probatori:
Secondo parte della giurisprudenza di merito, clausole del seguente tenore: «il fideiussore avrà cura di tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore, e in particolare, di informarsi presso lo stesso dello svolgimento dei suoi rapporti con la banca. La banca è tenuta, a richiesta del fideiussore, a comunicargli entro i limiti dell'importo garantito, l'entità della posizione complessiva del debitore quale ad essa risultante al momento della richiesta», escludono che il fideiussore possa invocare l'applicazione l'art. 1956 c.c. (Trib. Milano 28.6.2017; App. Catanzaro 19.1.2017; Trib. Napoli 1.3.2019; Trib. Milano 14.1.2020; Trib. Siracusa 27.2.2020; Trib. Roma 21.7.2022). Di diverso tenore sono, tuttavia, le conclusioni della Cassazione, la quale, pur confermando l'ammissibilità di una clausola che obblighi il fideiussore a informarsi sull'andamento del rapporto garantito, ha precisato che ciò è condizionato al fatto che la condotta della banca sia improntata a correttezza e buona fede (Cass. 20 luglio 1989 n. 3385; Cass. 28 luglio 1999 n. 8176). La Suprema Corte ha altresì chiarito che una siffatta «clausola non può essere interpretata quale rinuncia ad avvalersi dell'art. 1956 c.c.» (Cass. 29 ottobre 2024 n. 27857; Cass. 17 luglio 2023 n. 20713). 3.2. AUTORIZZAZIONE DEL FIDEIUSSORE L'autorizzazione del fideiussore non richiede la forma scritta, non potendosene affermare la configurazione in termini di accordo a latere del contratto bancario cui la fideiussione accede. Invero, la «speciale autorizzazione» non è soggetta ex lege a una forma particolare. Occorre ribadire che l'ipotesi contemplata dall'art. 1956 c.c., ossia che il creditore, senza autorizzazione del fideiussore, abbia «fatto credito» al terzo pur essendo a conoscenza del significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali di quest'ultimo, non è necessariamente equiparabile alla instaurazione di nuovi rapporti obbligatori tra il creditore e il terzo, rapporti che debbano successivamente rientrare nell'ambito della garanzia per debiti futuri prestata dal fideiussore. La disposizione include anche la gestione di un rapporto obbligatorio già instaurato con il terzo e coperto dalla garanzia fideiussoria, senza implicare l'instaurazione di un nuovo contratto né tra la banca e il debitore, né tra la banca e il fideiussore. La norma costituisce, più semplicemente, un'applicazione del principio di buona fede nell'esecuzione dei contratti e, per tale ragione, onera il creditore di adottare un comportamento coerente col rispetto di tale principio nella gestione del rapporto debitorio, in modo da non ledere ingiustificatamente l'interesse del fideiussore (Cass. 2 marzo 2016 n. 4112). Nulla osta a che la «speciale autorizzazione» prevista dall'art. 1956 c.c. possa essere postuma, configurandosi nei termini propri di una ratifica del comportamento concretamente tenuto dalla banca: «a condizione, naturalmente, che emerga nitida in proposito la volontà del fideiussore che sia a conoscenza delle effettive connotazioni del rapporto intercorso tra il creditore garantito e il debitore principale» (così Cass. 5 ottobre 2021 n. 26947). 3.3. AUTORIZZAZIONE 'TACITA' DEL FIDEIUSSORE. L'autorizzazione del fideiussore può essere ritenuta implicitamente concessa laddove emerga la perfetta conoscenza, da parte del garante, della situazione patrimoniale del debitore garantito. Tale perfetta conoscenza può costituire una valida base per presumere un'autorizzazione tacita alla concessione del credito, desunta dalla possibilità del fideiussore di attivarsi mediante l'anticipata revoca della fideiussione, al fine di non aggravare i rischi assunti (Cass. 2 marzo 2016 n. 4112). La protezione accordata dall'art. 1956 c.c. al fideiussore deve rispondere a una situazione di oggettiva esigenza di tutela di quest'ultimo, intesa come estraneità del garante rispetto ai reali termini dello svolgimento del rapporto garantito (Cass. 5 ottobre 2021 n. 26947). La Cassazione ha chiarito che vi possono essere casi in cui la richiesta della speciale autorizzazione di cui all'art. 1956 c.c. non è necessaria, poiché l'autorizzazione è ritenuta implicitamente o tacitamente concessa dal fideiussore. Ciò risulta coerente con il principio secondo cui per l'autorizzazione non è richiesta la forma scritta ad substantiam (Cass. 29 ottobre 2024 n. 27857). Particolare rilevanza assumono i casi in cui il fideiussore sia, rispettivamente, un familiare del debitore principale o un socio e/o legale rappresentante della società garantita. In quest'ultima ipotesi, la qualità di fideiussore e quella di legale rappresentante della società debitrice coincidono nella stessa persona fisica, con la conseguenza che la richiesta di credito proviene, sostanzialmente, dal medesimo soggetto che agisce come garante (Cass. 19 giugno 2024 n. 16822; Cass. 13 marzo 2024 n. 6685; Cass. 5 ottobre 2021 n. 26947; Cass. 29 novembre 2019 n. 31227; Cass. 23 marzo 2017 n. 7444; Cass. 2 marzo 2016 n. 4112; Cass. 15 febbraio 2016 n. 2902). Un analogo principio è stato applicato, secondo un orientamento giurisprudenziale, anche nel caso di coniuge convivente. In tale contesto, si sostiene che, qualora il credito sia concesso nonostante il deterioramento delle condizioni patrimoniali del debitore principale, la mancata richiesta di autorizzazione al fideiussore non configuri una violazione contrattuale liberatoria, laddove si possa presumere che la conoscenza delle difficoltà economiche del debitore sia comune al fideiussore. In relazione alle circostanze concrete, il coniuge convivente può essere considerato consapevole delle condizioni patrimoniali del debitore, in virtù del legame tra debitore e fideiussore, caratterizzato da una stabile comunione di vita e di interessi. Tale legame consente di presumere – in assenza di elementi contrari – sia la conoscenza sia il consenso del fideiussore. Non si tratta, infatti, di una presunzione di secondo grado, vietata ex lege, poiché il fatto noto consiste nella comunione di vita e di interessi tra fideiussore e debitore principale. A partire da tale fatto noto, si desume la conoscenza del mutamento delle condizioni patrimoniali come sintomo di un'autorizzazione tacita alla concessione del credito (Cass. 2 marzo 2016 n. 4112; v. anche App. Catanzaro 19 gennaio 2017; Trib. Milano 4 novembre 2021; Trib. Treviso 27 settembre 2022: rilevano la circostanza della coabitazione con il debitore e l'appartenenza al medesimo nucleo familiare). Nelle fattispecie sopra descritte, assume carattere decisivo la possibile esistenza di UNA «comunione di interessi» tra debitore e fideiussore o, comunque, di una «situazione di contiguità» (Bozzi), idonea a consentire al garante una costante e concreta conoscenza dell'esposizione debitoria. Questo si verifica, ad esempio, nel caso di rapporti di parentela tra garante e garantito, o di legami derivanti dalla carica rivestita o dalla partecipazione al capitale sociale nella società debitrice. Tuttavia, si deve sottolineare che, laddove questa impostazione sia riferita alla rilevanza del vincolo coniugale o parentale, essa è sostenibile soltanto in presenza di circostanze concrete che possano ragionevolmente giustificare una tale presunzione. Non è ammesso alcun automatismo inferenziale che scaturisca dal solo rapporto parentale o affettivo. Come chiarito dalla giurisprudenza, la mera esistenza di un vincolo parentale non costituisce, di per sé, un elemento significativo né sotto il profilo dell'autorizzazione implicita alla concessione di credito ex art. 1956 c.c., né sotto altri profili rilevanti (Cass. 7 gennaio 2021 n. 54; Cass. 5 ottobre 2021 n. 26947: la nuda circostanza della sussistenza di un legame parentale o di affinità non si manifesta fenomeno in sé stesso espressivo di nessun comportamento concludente: né autorizzativo di concessioni di credito ex art. 1956 c.c., né di altro. Tale circostanza neppure indica, a ben vedere, che il fideiussore - perché appunto parente o affine del debitore principale o di chi ne gestisce le sorti - sia edotto dei termini effettivi dello svolgimento dei rapporti bancari in essere, né delle condizioni patrimoniali (stabili, migliorate o invece peggiorate) in cui viene a versare il debitore principale (non diversamente, è da aggiungere, avviene per il nudo fatto della parentela o affinità corrente con uno dei soci dell'ente debitore; Cass. 29 ottobre 2024 n. 27857). 3.4. La liberazione del fideiussore. Premesso che la eventuale liberazione del garante per violazione dell'art. 1956 c.c. (concessione di credito in costanza del peggioramento delle condizioni economiche del debitore principale) ha carattere giudiziale, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la banca che conceda finanziamenti al debitore principale, pur conoscendo le difficoltà economiche di quest'ultimo, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informarlo dell'aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in una violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e di buona fede contrattuale. In particolare, nel caso di fideiussione per obbligazioni future (art. 1938 c.c.), la giurisprudenza ritiene nulla la garanzia fideiussoria qualora il comportamento della banca beneficiaria della fideiussione non risulti conforme ai principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto. Tale situazione si configura quando la concessione di nuovi crediti avvenga nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore principale, in modo tale da lasciare presumere che la banca abbia agito nella consapevolezza di un'irreversibile situazione di insolvenza, trascurando la necessaria tutela dell'interesse del fideiussore. A supporto di tale orientamento, si richiamano numerosi precedenti giurisprudenziali che ribadiscono il principio secondo cui la nuova concessione di credito, in condizioni di conclamato deterioramento economico del debitore, senza il rispetto dei doveri di correttezza verso il fideiussore, comporta la liberazione di quest'ultimo dalla garanzia prestata (Cass. 9 agosto 2016 n. 16827, che richiama Cass. 23 novembre 2006 n. 394 e Cass. 16 maggio 2013 n. 11979; Cass. 13 dicembre 2019 n. 32774; Cass. 29 ottobre 2024 n. 27857). 4. Conclusioni L’istituto della fideiussione omnibus pone rilevanti questioni giuridiche derivanti dalla sua funzione di garanzia generale e dall’ampia esposizione del fideiussore. La previsione di un importo massimo garantito, ai sensi dell’art. 1938 c.c., rappresenta un limite normativo essenziale volto a prevenire l’assunzione di obbligazioni indefinite. Il recesso del fideiussore delimita il suo obbligo entro i limiti della garanzia prestata, restando comunque dovuti gli interessi moratori per eventuali inadempimenti personali. La disciplina della liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c., che impone al creditore obblighi di diligenza e correttezza nella gestione del rapporto garantito, costituisce una tutela contro possibili abusi. Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che l’autorizzazione del fideiussore può essere espressa, tacita o successiva, purché risulti inequivocabilmente dalla sua condotta. Grava sul fideiussore l’onere di dimostrare che il creditore ha concesso credito al debitore principale pur in presenza di un peggioramento delle condizioni patrimoniali di quest’ultimo e, conseguentemente, la sussistenza delle condizioni richieste per la liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 1956 c.c. |