Servizi d’investimento e prescrizione del diritto al risarcimento del danno: aspettando la sentenza della Cassazione

03 Febbraio 2025

L'inadempimento dell'intermediario agli obblighi informativi dà luogo a un diritto al risarcimento in capo all'investitore; è, però, questione controversa quale sia il dies a quo della prescrizione di tale diritto: il contributo dà conto delle problematiche esistenti e dei diversi orientamenti giurisprudenziali - che dovrebbero essere chiariti a breve da una sentenza della Cassazione.

La questione e il suo approdo in Cassazione 

La questione verte sull'individuazione del dies a quo della prescrizione del diritto del cliente al risarcimento dei danni che gli ha provocato l'inadempimento dell'intermediario agli obblighi di informazione e/o di adeguatezza che governano il campo dei servizi d'investimento. La soluzione della medesima sta – nella sua radice prima - nell'alternativa tra il tempo dell'inadempimento e quello, invece, della verificazione del danno. Adottando questa seconda linea prospettica, occorre pure chiedersi se l'avvio del termine prescrizionale non vada allora a fissarsi sul tempo in cui il fatto di danno risulti almeno conoscibile da parte dell'utente avente diritto (naturalmente, imboccata una simile via, non mancano poi gli interrogativi ancora ulteriori: tra la misura di diligenza dovuta e la soglia dell'effettiva conoscenza).

Nel suo profilo propriamente operativo, la questione attende il pronunciamento di una sentenza della Prima Sezione della Corte di Cassazione, che si annuncia ormai prossima. A provocarla è stata, in particolare, un provvedimento ordinatorio emesso dalla stessa Sezione (in particolare da Cass., 22 dicembre 2023, n. 35891, a cui si è poi accodata Cass., 8 marzo 2024, n. 6333), che - rilevata la «particolare rilevanza» della questione e pure «tenuto conto dei riflessi su controversie analoghe» - ha appunto stabilito di rimettere la causa alla pubblica udienza (nel concreto celebratasi alla fine del mese di novembre 2024).

Nei tempi immediatamente precedenti, peraltro, la Corte (sempre per mezzo di magistrati assegnati alla prima Sezione) aveva già esaminato la questione in discorso; e, per la verità, l'aveva pure risolta senza particolari perplessità e patemi. Il riferimento va, in specie segnata, a Cass., 20 gennaio 2022, n. 1283, e a Cass., 24 gennaio 2023, n. 2066. Nell'adottare la soluzione favorevole alla posizione dei clienti, entrambe queste pronunce si sono richiamate all'autorità di Cass., 5 aprile 2012, n. 5504 (della Seconda Sezione e concernente una fattispecie sì di risarcimento da inadempimento, ma da diversa tipologia di contratto), per cui «in tema di danno contrattuale, al fine di determinare il dies a quo della prescrizione occorre verificare il momento in cui si sia prodotto nella sfera patrimoniale del creditore il danno causato». La decisione n. 2066/2023 ha altresì puntualizzato che la prescrizione dell'azione risarcitoria viene a correre solo «dal momento in cui … si concreta la manifestazione oggettiva del danno … avendo riguardo all'epoca di accadimento della conseguenza lesiva per come obiettivamente percepibile e riconoscibile». L'indirizzo seguito da queste due pronunce è stato confermato anche successivamente, sia pur in via di obiter, dalla pronuncia di Cass., Terza Sezione, 11 novembre 2024, n. 29328).

Nell'attesa della sentenza della Corte: gli altri fronti del diritto vivente

Nell'attesa che venga pubblicata la decisione assunta dalla Prima Sezione a seguito dello svolgimento della pubblica udienza, può essere non inutile riassumere brevemente anche le posizioni che sul tema specificamente in questione – e dunque con riferimento immediato all'exordium praescriptionis del diritto risarcitorio del cliente che segue all'inadempimento posto in essere dall'intermediario nello svolgimento di un servizio di investimento - stanno nell'attuale presentando gli altri formanti del diritto vivente. 

Nella giurisprudenza di merito il check sull'attuale – come pure, per vero, sui tempi precedenti – non riceve risposte di segno univoco.  Sul fronte della tutela della posizione dei clienti, la recente pronuncia di Trib. Bari, 7 novembre 2024, n. 4563 ha rilevato che la prescrizione comincia a decorrere non dalla data del fatto di inadempimento, quale «fatto storico obiettivamente realizzato», ma da quella in cui «ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all'avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi dal medesimo conosciuti e conoscibili» (cfr. altresì, tra gli interventi più vicini, quello di App. Milano, 24 ottobre 2023, n. 3015).

Sull'opposto versante la sentenza dell'App. Caltanisetta, 1° settembre 2023, n. 301, ha ritenuto che il dies a quo «non può non coincidere con il compimento delle operazioni di investimento contestate»: questa è «l'unica data in grado di offrire una certezza», posto che «i prodotti finanziari subiscono periodiche oscillazioni in positivo o in negativo, ragion per cui», se si fissasse il termine iniziale  al tempo della consapevolezza della minusvalenza, «verrebbe sostanzialmente rimessa all'arbitrio dell'investitore l'individuazione della data di decorrenza»; d'altra parte – si è altresì aggiunto -, nella specie «il danno è ravvisabile nella lesione della libertà personale dell'investitore», «le perdite [costituendo] una conseguenza dell'illecito consumato dalla banca».

Su quest'ultima linea, favorevole alla posizione dell'intermediario inadempiente, è tradizionalmente attestato – è poi da osservare - l'orientamento dell'Arbitro delle controversie finanziarie. Le decisioni di questo organismo in particolare sottolineano, oltre ai rilievi appena sopra già riportati che «l'autentica ratio dell'istituto della prescrizione deve essere ravvista nel soddisfare un'imprescindibile esigenza della certezza dei rapporti giuridici»; che il danno consiste nella «non corretta rappresentazione delle caratteristiche dello strumento finanziario», sì che il cliente «non si è potuto determinare in maniera del tutto consapevole nelle proprie scelte di investimento»; che, «nel caso di responsabilità contrattuale il fondamento del diritto al risarcimento è nella violazione di una preesistente obbligazione, ciò che allora rende obiettivamente immediatamente percepibile per il creditore … sia l'illecito che le sue conseguenze dannose»; che, comunque, «gli impedimenti di fatto (quale la mancata manifestazione del danno o la mancata scoperta del danno) non impediscono il decorso del danno».

Passando alla dottrina, è da segnalare che - se non mancano voci specificamente intese a secondare la tesi protettiva degli interessi degli intermediari (Malavasi, La decorrenza del termine di prescrizione nel contenzioso tra investitori e intermediari, in dirittobancario.it, 4 giugno 2020) – di recente, tuttavia, attenta dottrina ha manifestato e motivato la propria adesione alla soluzione di segno opposto, tutelativa degli interessi degli investitori.

«Il termine di prescrizione» - si è riscontrato (Maffeis I contratti del mercato finanziario, nel Trattato Cicu e Messineo, Milano, 2024, p. 410), con dovizia richiamando pure coerenti precedenti giurisprudenziali – «decorre solo se il diritto può essere esercitato, e quindi se il danno non solo è sorto, ma è anche divenuto percepibile con l'ordinaria diligenza».

«La lesione di un diritto» - ha rilevato un altro autore (Natoli, La prescrizione dell'azione di risarcimento dei danni patiti dall'investitore, in Liber amicorum per Rosalba Alessi, Torino, 2024, p. 1015 ss.) - «non produce automaticamente un danno risarcibile»: la tesi dell'immediata decorrenza della prescrizione «identifica il danno con l'inadempimento, così sovrapponendo i due piani, ben distinti». Posta una simile tesi – si aggiunge – il cliente, «per agire tempestivamente e paralizzare le eccezioni di prescrizione del convenuto», «dovrebbe dunque promuovere l'azione quando il danno non si è ancora prodotto»: il che è «paradossale e irrazionale». Ancora si aggiunge, in questa specifica prospettiva, che, d'altro canto, l'osservazione del dato giurisprudenziale – come nel concreto sviluppatosi specie in relazione al tema dei danni c.d. lungo latenti – mostra netta la presenza di una tendenza volta a collocare l'exordium praescriptionis al tempo della percezione del sopravvenuto danno: una soluzione diversa per la tematica dei servizi d'investimento rischierebbe di produrre una «disparità di trattamento [confliggente] con l'art. 3 Cost.».

Qualche spunto «ricostruttivo»: fattispecie formativa del diritto risarcitorio ed esigibilità del diritto ex art. 2935 c.c.

Non è certo questa la sede per affrontare nel dettaglio i vari argomenti che sono stati formulati nell'una e nell'altra direzione. Tanto meno è possibile dar conto specifico del travaglio che, da tempo, sta vivendo l'istituto della prescrizione: combattuto, si suole dire, tra un'esigenza di certezza e un'esigenza invece di giustizia sostanziale [cfr. al riguardo Castelli, Prescrizione e impedimenti di fatto, ed. II, Milano, 2023; Roselli, in Vitucci e Roselli, La prescrizione, t. 1, ed. 3, in Codice civile commentato fondato da Schlesinger, Milano, 2024; AA. VV., La decorrenza della prescrizione, a cura di Minervini, in Giur. it., 2022, c. 2788 s.: nonché, da ultimo, il mio Sulla decorrenza della prescrizione dell'azione risarcitoria nel contesto dei servizi di investimento (con riflessioni su contesti «contigui»), in IlCaso.it]. E' qui solo possibile, quindi, esporre qualche piccola osservazione: a segnale e conforto della correttezza della soluzione che è stata adottata dalle decisione di Cass., n. 1283/2022 e da Cass. n. 2066/2023, prima cioè che la questione venisse portata al tavolo della pubblica udienza.     

Per entrare in argomento, conviene fare sponda sulla distinzione, del tutto tradizionale nel contesto degli studi sulla prescrizione, tra «impedimenti di diritto» e «impedimento di fatto». Un importante (seppur ormai risalente) studio ha dimostrato che tale distinzione, più che essere problematica o di labili confini, è proprio priva di «fondamento logico-giuridico». Nel senso che i c.d. impedimenti di diritto (: condizione sospensiva, termine iniziale, autorizzazione amministrativa, etc.) manifestano, piuttosto, la presenza di una «fattispecie complessa a formazione progressiva in corso di perfezionamento, per cui la situazione giuridica soggettiva, della cui prescrizione si discute, non esiste attualmente». Ne segue – si è opportunamente puntualizzato - che «solo dal momento del perfezionamento della fattispecie in poi, si possono verificare degli impedimenti all'esercizio del diritto, che sono esclusivamente impedimenti fattuali» (cfr. Caponi, Gli impedimenti all'esercizio dei diritti nella disciplina della prescrizione, in Riv. dir civ., 1996, I, p. 721 ss., a p. 751 s.).

Il nodo (meglio, il primo nodo da sciogliere) sta, allora, nell'individuare quando si può dire perfezionata la fattispecie formativa del diritto risarcitorio del cliente. E, in proposito, viene subito da osservare che il danno non sta dentro l'inadempimento. Se evidentemente suppone un inadempimento del debitore, Il diritto al risarcimento del danno contrattuale nello stesso tuttavia non si identifica, rimanendone staccato.

(Segue): sulle diversità tra diritto al risarcimento e diritto alla prestazione

Secondo il comune insegnamento e pure per esperienza empirica, non ogni inadempimento comporta un danno: non necessariamente produce, in particolare, un danno patrimoniale, né per forza lo produce nell'«immediato» (logicamente distinti, inadempimento e danno spesso lo sono pure materialmente: per verificarlo, non v'è neppure bisogno di ricorrere all'ipotesi dei danni lungolatenti). E quello patrimoniale è propriamente il danno che, nella tipologia delle specie in discorso, viene in segnata considerazione. A parte tutto: un conto è, già sotto il profilo concettuale, il fatto che l'inadempimento del debitore, violando legge e/o contratto, viola pure il diritto di prestazione del creditore (ciò che, tra l'altro, può portare alla risoluzione del titolo); un conto è che l'inadempimento può pure produrre un danno. Le due cose non possono venire mischiate.

Se così non fosse, del resto, non si spiegherebbe, tra l'altro, come mai il danneggiato possa chiedere il risarcimento del danno anche quando, nel contempo, scelga di agire per la risoluzione del titolo, così «rinunciando» (per così dire) al diritto di prestazione (art. 1453 c.c.). Appare assai difficile, di conseguenza, pensare che l'inadempimento perfezioni - da sé solo - la fattispecie risarcitoria. Il diritto al risarcimento deve, quindi, possedere un dies a quo autonomo per il decorso della prescrizione lo riguarda. Né mai si potrebbe pensare, mi pare, che per il creditore sia davvero «equivalente» ricevere la prestazione ovvero un risarcimento: una simile idea non è, a ben vedere, predicabile neppure per il caso della clausola penale (posto, se non altro, che la misura delle stessa può essere ridotta solo quanto è «manifestamente eccessiva», non perché semplicemente maggiore»). 

Secondo quanto ritiene la già richiamata sentenza di Cass., n. 5504/2012, la prescrizione del diritto al risarcimento da inadempimento contrattuale inizia a decorrere dal momento in cui il danno si viene a produrre. Una soluzione di questo genere appare - di per sé stessa almeno – non irragionevole: nel senso che la manifestazione effettiva di un danno porta appunto a «perfezione» la fattispecie risarcitoria. E pure nel senso che da tale momento – una volta compiutisi i fatti costitutivi del diritto risarcitorio - l'avente diritto dispone quanto meno dell'oggettiva, teorica, possibilità di chiedere l'adempimento della prestazione risarcitoria al debitore.

Diversamente è da pensare per il periodo anteriore: quando, pur se il fatto d'inadempimento si è (in ipotesi) materializzato nella sua interezza, non vi sono, nel concreto, danni da lamentare. In una simile situazione, in effetti, la proposizione di una richiesta di adempimento potrebbe essere solo di tratto generico ed essere formulata esclusivamente per la via ipotetica. Non a caso, la giurisprudenza della Cassazione correttamente esclude che «la riserva, pur contenuta in un atto scritto, di agire per il risarcimento di danni diversi e ulteriori rispetto a quelli effettivamente lamentati» sia idonea a interrompere il corso della prescrizione per tali riguardi: «trattandosi di espressione che, per genericità e ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi a una intimazione o a una richiesta di pagamento» (così Cass., Seconda Sezione, 31 maggio 2021, n. 15140; le enfasi sono aggiunte).

A quanto appena riscontrato potrebbe, a prima vista, sembrare obiettabile che il nostro sistema vigente consente al danneggiato di chiedere in via giudiziale una condanna generica al risarcimento dei danni (art. 278, comma 1, c.p.c.): consente, quindi, di avviare la tutela della propria posizione anche quando la relativa fattispecie costitutiva non si è ancora formata in tutte le sue componenti. A meglio vedere, però, una simile possibilità non viene a intaccare la tesi sopra accennata (per cui, prima della produzione del fatto di danno il diritto risarcitorio non è esercitabile).

E questo non solo perché il nostro sistema dà tutela anche alla posizione dell'acquirente di un diritto sottoposto a condizione sospensivaex art. 1356 c.c., laddove nessuno dubita (per quanto consta) che la presenza di una condizione sospensiva impedisca il correre della prescrizione. Ma pure perché la giurisprudenza della Cassazione correttamente ritiene che «il giudicato formatosi sulla pronuncia di condanna generica non impedisce che in sede di liquidazione del quantum, il giudice, oltre a determinare liberamente l'entità del danno, possa anche negare l'esistenza in concreto di un danno risarcibile»: l'idea che la condanna generica comporti un accertamento di danno «non corrisponde alla ratio della norma» (così, da ultimo, Cass. 28 marzo 2023, n. 8729, Seconda Sezione).

In realtà, una pronuncia giudiziale di questo tipo non pare di per sé stessa dissimile da quella compiuta in via di mero accertamento sull'esistenza di un inadempimento da parte del(l'eventuale) danneggiante. In via correlata, la condanna, che ne segue, si manifesta meramente generica e formulata in via esclusivamente ipotetica. Un accertamento, dunque, insufficiente a integrare gli estremi di un'efficiente richiesta di pagamento.

La dottrina sui servizi di pagamento ha evidenziato che costringere il cliente ad agire giudizialmente prima che si produca il fatto di danno è soluzione tanto «paradossale», quanto «irrazionale» (Natoli, op. cit.). E ha pure precisato che una simile eventualità «è incompatibile con il disposto dell'art. 111 Cost.» perché, nel caso, «vi sarebbero giudizi avviati solo per evitare l'eccezione di prescrizione», con conseguente «effetto inflattivo derivante dalla moltiplicazione di giudizi»: «in contrasto» con il principio costituzionale della «ragionevole durata del processo».            

Nei fatti, a questa osservazione è anche da aggiungere, a me pare, che ritenere che la prescrizione del diritto risarcitorio possa correre prima che si produca il fatto di danno urta pure contro la norma dell'art. 24 Cost., in punto di tutela effettiva del diritto di difesa del danneggiato. E questo per una ragione strettamente conseguente alle osservazioni sin qui svolte: ammettere che la prescrizione del diritto possa correre (per tutto il periodo di durata o anche solo per parte) per un periodo di tempo in cui l'avente diritto non può emettere una richiesta di pagamento al debitore, che abbia sostanza intimativa - e quindi sia idonea a rappresentare anche un atto di stragiudiziale interruzione della prescrizione – significa sostanzialmente dimidiare il contenuto del diritto risarcitorio.

Una simile soluzione – per cui la prescrizione corre anche prima che la fattispecie formativa del diritto si è perfezionata – non sembra, per la verità, operare all'interno di una banda di bilanciamento di opposti interessi, quanto piuttosto proteggere oltre ogni misura – e oltre ogni ragione - la zona dell'inadempimento. 

(Segue): a proposito del «tenore» della norma dell'art. 2935 c.c.

Il tema della rilevanza, ai fini del correre della prescrizione, della conoscenza/conoscibilità del danno da parte dell'avente diritto appartiene all'area dei c.d. impedimenti di fatto (o comunque all'area esterna a quella della formazione della fattispecie produttiva del diritto per cui si discute del corso della prescrizione). Esso si volge, quindi, a un fronte propriamente diverso da quello inerente alla formazione della fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento del danno. Fronte che viene subito a relazionarsi con la disposizione dell'art. 2935 c.c.

Tradizionalmente si assume in proposito che questa norma non consente alcuno spazio o possibilità operativa agli impedimenti di fatto. In tempo recenti, però, si è con enfasi sottolineato che, in realtà, «il testo dell'art. 2935 c.c. non fa espresso riferimento agli impedimenti giuridici, limitandosi a stabilire che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere esercitato, e impiega con ciò un'espressione anodina, che è idonea a evocare tanto una possibilità “giuridica”, quanto una possibilità “materiale”» (la frase è tratta da Castelli, op. cit., p. 7). Del resto – va qui pure aggiunto – i noti orientamenti della Cassazione, che danno rilevanza al fatto della sopravvenuta conoscibilità del danno, non mostrano preoccupazioni o timore di sorta davanti al testo della detta disposizione.

In effetti, la tesi tradizionale viene a essere sorretta, negli studi che l'accolgono, con il richiamo a un passo della Relazione ministeriale al codice civile (n. 1198), che effettivamente sostiene che la fattuale «impossibilità di agire» non può trovare rilevanza fuori dalle eccezioni specificamente stabilite dalla legge. La Relazione al codice, tuttavia, non è legge, sì che non vincola. D'altra parte, la formula del Guardasigilli appare, oggi, alquanto risalente nel tempo: dell'emanazione del codice civile a quelli dell'oggi sono trascorsi, infine, più di ottanta anni.   

Quest'ultima notazione potrebbe, per la verità, rivelarsi meno banale di quanto appare a prima vista. In effetti, se è vero che il testo della norma dell'art. 2935 non risolve il problema, è anche vero che quello del codice '42 è (in linea di massima) un legislatore avvertito e non incompetente. Come è vero pure che l'insieme normativo del codice non presenta - già nella sua versione originaria – un quadro uniforme e monolitico. Appare difficile, allora, pensare che la formulazione del testo normativo dell'art. 2935 c.c. sia frutto esclusivo di un errore tecnico o di una distrazione oppure del caso: al di là delle parole spese dal Ministro nella sua Relazione. D'altra parte, la successiva moltiplicazione delle leggi speciali, e delle diverse articolazioni del dies a quo che ne sono discese, non può non «relativizzare» la formulazione in discorso.

Potrebbe farsi strada, allora, l'idea che, in realtà, quella dell'art. 2935 c.c. non sia tanto una norma di confezione ambigua, quanto invece una norma che predispone una regola di contenuto aperto: disponibile, cioè, a recepire, nel caso, anche la rilevanza (per il correre della prescrizione) degli impedimenti di fatto. Non tutti e non sempre, magari; ma comunque la norma assegnando alla successiva elaborazione della letteratura il compito – o funzione – di selezionare l'eventuale rilevanza degli impedimenti di fatto fattispecie tipo per fattispecie tipo.

Non mancano, in ogni caso, margini oggettivi per poter predicare della norma dell'art. 2935 c.c. una interpretazione di segno evolutivo.

(Segue): sulla rilevanza della conoscibilità del danno

Quale che sia il rilievo da assegnare alle riflessioni appena sopra accennate, mi pare comunque fondato ritenere che la norma dell'art. 2935 c.c. non possa più essere letta, nell'oggi, nel senso di escludere la rilevanza dei c.d. impedimenti di fatto fuori dalle ipotesi tassativamente previste nella legge. Nel diritto positivo nulla autorizza, per vero, una simile e restrittiva impostazione. L'analisi va diretta, piuttosto, verso l'interpretazione sistematica.

Posta una simile prospettiva, viene immediate alla mente l'idea di accostare il diritto risarcitorio da inadempimento al diritto risarcitorio da fatto illecito: in effetti, nelle due ipotesti, la struttura del diritto risarcitorio si manifesta non diversa, solo sostituendosi – nella catena che conduce la fattispecie alla sua perfezione – al fatto illecito, perché «ingiusto» ex art. 2043 c.c., il fatto illecito perché in violazione di legge o di contratto. D'altronde, la già richiamata (e importante) pronuncia di Cass., n. 29328/2024 non ha mancato di rilevare che «la regola per la quale il termine di prescrizione decorre da quando il danneggiato ha avuto o avrebbe avuto conoscenza della ingiustizia del danno, ossia del fatto che esso si è prodotto e che va attribuito a taluno (Cass., n. 1263/2012) non cambia a seconda del titolo di responsabilità, se contrattuale o extra, vale ossia anche in caso di responsabilità contrattuale». Forse, però, in tal modo si rischia di correre un po' troppo (specie rispetto al complessivo stato di avanzamento del diritto vivente): anche perché l'idea – così come è posta – suppone, prima di ogni altra cosa, che per ogni caso di risarcimento da fatto illecito la prescrizione venga a correre dal tempo della sopravvenuta conoscibilità del fatto di danno.

Sembra allora più prudente e opportuno riparare verso più ristretti orizzonti. E quindi fare riferimento, in proposito, ai singoli, specifici insieme normativi (di settore o anche di micro-settore, per dire); e pure tenere conto – distintamente – della peculiare rilevanza valoristica di date fattispecie tipo (come supportata, nel caso, da indicazioni di livello costituzionali: il caso dei danni lungolatenti nel rapporto con l'art. 32 Cost. è esemplare in proposito). In ogni caso, microsistema per microsistema; fattispecie tipo per fattispecie tipo.

Sulla scorta di una simile impostazione sembra, dunque opportuno dirigere il discorso verso l'insieme normativo relativo ai servizi di investimenti, come attualmente focalizzato sulla normativa del TUF (e regolamentazione derivata). Per osservare, in specie, due cose.

La prima: i tempi dell'emanazione del codice civile non conoscevano una normativa ad hoc per questo settore; del resto – va aggiunto per completezza - all'epoca dell'emanazione del codice non esisteva nemmeno la Costituzione repubblicana Come potrebbe la norma dell'art. 2935 c.c. non adeguarsi al sopravvenire di queste circostanze? La seconda: la normativa del settore dei servizi di investimento – quella di trasparenza, in particolare – è funzione di protezione del cliente; è imperniata, proprio, sulle regole base dell'informazione e dell'adeguatezza; come pure sul principio dello svolgimento dell'attività per «servire al meglio l'interesse del cliente» (art. 21, comma 1, lett. a TUF). E', dunque, ragionevole, e coerente alla attuale struttura normativa di settore, che i clienti abbiano una protezione (non solo in via astratta, ma pure in via pratica) adeguata anche in punto di decorrenza della prescrizione. Tanto più – si anche aggiungere – che quella dei servizi di investimento è attività d'impresa soggetta ad autorizzazione e dunque «riservata»: ché anche un simile tratto indirizza verso un'alta protezione della domanda di mercato.   

Sulla base dell'insieme di queste considerazioni sembra, allora, sicuramente condivisibile l'orientamento delle pronunce della Cassazione che fissano il dies a quo del diritto risarcitorio del cliente deluso dal comportamento di violazione tenuto dall'intermediario al tempo dell'oggettiva conoscibilità del fatto di danno (cfr. nel n. 1): il tutto – è ragionevole pensare - facendo riferimento al criterio dell'ordinaria diligenza ex art. 1176, comma 1, c.c..

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