La residenza fiscale delle persone fisiche tra nuova e precedente normativa
03 Febbraio 2025
Massima Qualora una persona fisica, che si sia cancellata dall'anagrafe nazionale e si sia iscritto ad una anagrafe estera, abbia fissato la sua residenza in un paese considerato a “fiscalità privilegiata” (quale il principato di Monaco), sussiste una presunzione legale di residenza in Italia e quindi di capacità impositiva, che può essere superata dalla prova contraria, a carico del soggetto che risiede formalmente all'estero. Il caso L'Agenzia delle Entrate ha eccepito la residenza fiscale italiana, in quanto parte contribuente non è riuscita a dimostrare l'effettiva residenza all'estero: ciò sarebbe emerso da intercettazioni, pedinamenti, verifiche sul territorio, utilizzo del telepass, dichiarazione di terzi, dai quali risultava la presenza costante del contribuente in Italia, la casa di residenza abituale con la sua compagna ed il garage, la residenza in Italia di tutti i suoi familiari. Non sono, quindi, bastati alcuni elementi di prova contraria addotti dal contribuente per smontare le eccezioni erariali, costituiti, a detta anche dai giudici di legittimità, da dati meramente formali, quali iscrizione all'AIRE; mancanza di legami familiari con l'Italia; abitazione disponibile in Monaco; assicurazione sull'abitazione stipulata a Monaco; autovetture di proprietà con targa monegasca; consumi energia elettrica comprovanti l'uso dell'abitazione a Monaco; documento di identità monegasco, patente monegasca e passaporto comprovante la residenza a Monaco; dichiarazioni fiscali depositate a Monaco per gli anni 2014/2015/2016/2017; pagamento a Monaco dei contributi pensionistici. Le questioni giuridiche e le soluzioni A questo punto è necessario ricordare che la normativa che disciplina la residenza fiscale in Italia per le persone fisiche è stata recentemente modificata, anche se i principi previsti per quella acquisita in paesi considerati a fiscalità privilegiata non sono stati di fatto mutati. La normativa precedente Si ricorda che la residenza fiscale per le persona fisiche è disciplinata dall'art. 2, comma 2, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito anche "TUIR). Tale norma è stato recentemente oggetto di modifica, come si vedrà di seguito. Nella precedente versione dell'articolo, che dovrebbe rimanere in vigore per i casi di trasferimento effettuati fino al 31 dicembre 2023 (così la Corte di cassazione, con sentenza n. 19843 del 18.7.2024) , è previsto che si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d'imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):
Ai sensi del comma 2-bis del citato art. 2 del TUIR, si considerano comunque residenti, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con apposito decreto Ministeriale (quello del 4 maggio 1999: si ricorda che il DM 20.7.2023 Ministero dell'Economia e delle finanze ha eliminato la Svizzera dal citato elenco). Come chiarito da una Circolare del Ministero Finanze (quella del 24 giugno 1999, n. 140, paragrafo 2), la residenza fiscale è ritenuta, in via presuntiva, sussistente per coloro che siano anagraficamente emigrati in uno degli anzidetti Stati o territori senza dimostrare l'effettività della nuova residenza. Il predetto comma 2-bis non ha creato un ulteriore status di residenza fiscale, bensì, attraverso l'introduzione di una presunzione legale relativa, ha diversamente ripartito l'onere probatorio fra le parti, ponendolo a carico dei contribuenti trasferiti, al fine di evitare che le risultanze di ordine meramente formale prevalgano sugli aspetti sostanziali (così Risposta interpello Agenzia Entrate 17.1.2023 n. 55). Le condizioni sopracitate previste dal legislatore sono tra loro alternative, con la conseguenza che anche la sussistenza di una sola delle stesse è sufficiente a radicare la residenza di una persona nel territorio dello Stato. Come ricordato da altra giurisprudenza di legittimità, il primo presupposto, rappresentato dall'iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, è formale, mentre gli altri due, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del Codice civile, non lo sono. Con la conseguenza che l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali, non risultando determinante, a tal fine, il carattere soggettivo ed elettivo della "scelta" dell'interessato, rilevante solo quanto alla libertà dell'effettuazione della stessa, ma non ai fini della verifica del risultato di quella scelta; a tal fine, dunque, per il principio dell'affidamento, il centro principale degli interessi vitali del soggetto non può che essere individuato dando prevalenza al luogo in cui vi sia l'effettività della la gestione di detti interessi e sempre che sia riconoscibile dai terzi (ordinanza della Cass. 16.1.2015 n. 677). Per questo motivo, la residenza fiscale in Italia non può essere esclusa solo con l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero (AIRE), qualora il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali (sentenza della Cass. 11.10.2022 n. 29635). Come chiarito anche da parte dell'Amministrazione finanziaria (la circolare ministeriale 2 dicembre 1997, n. 304), per configurare la residenza non è necessaria la continuità o definitività della dimora abituale, con la conseguenza che periodi anche prolungati di assenza non ne escludono il radicamento in Italia. In merito al domicilio, occorre tenere conto anche dei rapporti di natura non patrimoniale, come quelli personali e affettivi, per considerare localizzato in Italia il centro degli affari e degli interessi. In merito al concetto di domicilio, è stato chiarito come lo stesso debba essere inteso quale sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi. Con riferimento alla dimora abituale e, quindi, alla residenza, è stato riconosciuto che affinché sussista il requisito della "abitualità della dimora" non è necessaria la continuità o la definitività e che detto requisito permane anche se il soggetto lavora o svolge altre attività al di fuori del comune di residenza (del territorio dello Stato), purché conservi in esso l'abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l'intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (la Circolare Agenzia Entrate 18.8.2023 n. 25, parte I, paragrafo 1.1.). Tanto chiarito sotto il profilo della normativa italiana, occorre, tuttavia, considerare le disposizioni internazionali contenute in accordi conclusi dall'Italia con gli Stati esteri. Il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è, difatti, pacificamente riconosciuto nell'ordinamento italiano e, in ambito tributario, è sancito dall'art. 169 del TUIR e dall'art. 75 del d.P.R. n. 600 del 1973, oltre ad essere stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale (Risposta interpello Agenzia Entrate 20.1.2023 n. 127). Nel caso in cui sorga un conflitto di residenza tra i due Paesi, Infatti, come chiarito dalla stessa Agenzia delle Entrate (Risposta interpello Agenzia Entrate 4.10.2018 n. 25), è necessario fare ricorso alle disposizioni della Convenzione, ed, in particolare, all'art 4 del modello OCSE. Pertanto, come chiarito dall'Agenzia delle Entrate (Risposta interpello Agenzia Entrate 22.7.2019 n. 294), quando la persona fisica dispone di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti, sarà considerata residente, in virtù del criterio del centro degli interessi vitali, nel Paese nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette. Ove non sia possibile individuare la residenza del contribuente in base ai due criteri sopra citati, una persona fisica sarà considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente (criterio della dimora abituale). Quando i primi tre criteri non sono dirimenti, il contribuente sarà considerato residente dello Stato contraente la Convenzione di cui possiede la nazionalità. Quando, infine, una persona fisica ha la nazionalità di entrambi i Paesi o di nessuno di essi, gli Stati contraenti la Convenzione risolveranno la questione di comune accordo. A questo punto, va ricordato che la legge n. 111/2023 (legge delega per la riforma fiscale), all'art. 3 comma 1 lett. c) ha disposto la revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche. La nuova normativa Con il d.lgs. n. 209/2023 sono stati modificati i criteri relativi alla determinazione della residenza fiscale sulle persone fisiche, dando prevalenza ad alcune priorità nell'identificazione dei soggetti ai fini fiscali al fine di adeguare la prassi nazionale con quella internazionale e con le Convenzioni contro la doppia imposizione. importanti cambiamenti in merito all'individuazione della residenza fiscale delle persone fisiche tra cui:
Pertanto, il legislatore ha apportato importanti cambianti alla previgente disciplina modificando i criteri di individuazione della residenza fiscale delle persone fisiche previsti dall'art. 2 comma 2 TUIR nel modo seguente:
I primi chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate sono stati forniti con la Circolare n. 20/E del 4.11.2024 Osservazioni Come sopra precisato, il comma 2 bis dell'art. 2 del TUIR considera fiscalmente residente in Italia il cittadino italiano cancellato dalle anagrafi della popolazione residente e trasferito in Stati o paesi a fiscalità privilegiata, come lo è Montecarlo, salvo prova contraria. Infatti, come precisato dalla Circolare n. 140/E/1999 di Agenzia delle Entrate, un lavoratore dipendente può dimostrare la propria residenza mediante la cancellazione dall'anagrafe della popolazione residente e la contestuale iscrizione all'AIRE, oltre che dall'assunzione di un rapporto di lavoro con lo stato in cui si è stabilito e, altresì, mediante l'interruzione di significativi rapporti con lo Stato italiano. Ecco, quindi, che il contribuente potrà utilizzare qualsiasi mezzo di prova di natura documentale e dimostrativa per stabilire che: - detiene la dimora abituale nel paese a fiscalità privilegiata, sia personale del contribuente, sia del suo nucleo familiare. A tal proposito, si rammenta che, per il trasferimento all'estero, la presenza della famiglia è fondamentale; - i figli sono iscritti e frequentano regolarmente gli istituti scolastici o di formazione del paese estero; - sia stato stipulato un contratto di acquisto o di locazione dei beni immobili residenziali; - vi siano effettivamente le fatture relative ai consumi di luce, gas, telefono e di tutti gli altri canoni tariffari. In assenza di queste prove contrarie, la residenza fiscale viene individuata per presunzione di legge in Italia, salva l'applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi eventualmente stipulata tra l'Italia ed il paese estero, al fine di evitare l'attribuzione di una doppia residenza fiscale qualora, in base alla normativa locale si siano verificati i presupposti per essere considerati fiscalmente residenti anche nel paese a fiscalità privilegiata. Il trasferimento di residenza fiscale in un paese c.d. black list comporta l'applicazione della presunzione di legge relativa di cui al comma 2-bis del TUIR. Pertanto, il soggetto italiano che si trasferisce in un Paese a fiscalità privilegiata rimane con residenza fiscale italiana fino al momento in cui non si trova di fronte la possibilità di poter concretamente fornire la prova contraria. Operativamente, tuttavia, la prova contraria è possibile fornirla solamente in via accertativa e, di conseguenza, il soggetto espatriato iscritto all'AIRE non perde la presunzione della residenza fiscale in Italia e, inoltre, graverà su di lui l'onere di provare l'effettivo trasferimento di residenza. Ai fini della dimostrazione dell'effettività del trasferimento della residenza, il soggetto espatriato dovrà anticipare tutta la documentazione comprovante il trasferimento stesso nel paese a fiscalità privilegiata. Conclusioni Di recente, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 35284 del 18.12.2023, ha affermato come il contribuente possa dimostrare la propria residenza avvalendosi dei criteri convenzionali. Dunque, il soggetto, per fornire la prova contraria in merito all'assenza dei criteri che determinano la residenza nel territorio dello Stato, potrà utilizzare dei documenti, come, ad esempio, i consumi delle utenze utilizzate, i movimenti bancari, le carte di credito e/o debito per attestare gli acquisti di beni di prima necessità o acquisti di beni quotidiani effettuati nel Paese, spese sanitarie, abbonamenti di mezzi pubblici, frequentazione di palestre, cinema etc. |