Giudizio di “meritevolezza”: la condotta della banca che non ha svolto i controlli non esclude la colpa grave del consumatore

La Redazione
07 Febbraio 2025

Il Tribunale di Locri dichiara inammissibile un ricorso per l’omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore, attribuendo a quest’ultimo una condotta dolosa o, comunque, gravemente colposa, e valutando la violazione dell’art. 124-bis d.lgs. n. 385/1993 da parte della banca non idonea ad “elidere” tanto il dolo quanto la colpa grave (e dunque la violazione dell’art. 69, comma 1, c.c.i.i.).

Massima (non ufficiale)

In tema di valutazione della “meritevolezza” del consumatore che chiede l'omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, l'eventuale mancata verifica del “merito creditizio” da parte dell'istituto di credito non “elide” né la condotta dolosa del consumatore (consistente, nel caso di specie, nell'omessa dichiarazione di consistenti debiti maturati già da diversi anni), né l'aver determinato il sovraindebitamento con colpa grave.

La decisione

La motivazione del giudice si sviluppa attorno al dettato dei due commi dell'art. 69 c.c.i.i.:

  • il comma 1 relativo alle condizioni ostative – all'accesso alla procedura – in capo al consumatore, tra cui, per quanto qui interessa, l'aver determinato la situazione di indebitamento con colpa grave, malafede o frode;
  • il comma 2 dedicato alle condizioni ostative – alla presentazione di opposizione o reclamo in sede di omologa per contestare la convenienza della proposta – in capo al creditore, tra cui, sempre per quanto qui interessa, l'aver violato i principi di cui all'art. 124-bis d.lgs. n. 385/1993 (i principi sul “merito creditizio”).

Il Giudice estensore prende le mosse dalla questione relativa alla malafede o frode del consumatore. La debitrice, per accedere al finanziamento, aveva compilato su richiesta dell'istituto di credito un questionario sul merito creditizio dichiarando, tra le altre cose, di non avere ulteriori “finanziamenti” in essere, intesi come ulteriori “prestiti, mutui o altri impegni finanziari” non trattenuti sulla busta paga. A parere del giudice estensore, la locuzione “in essere”, nell'ambito di un questionario per la valutazione del merito creditizio, «riguarda più in generale i debiti “in essere” derivanti da prestiti, mutui o impegni finanziari, perché l'informazione richiesta al consumatore era necessaria per valutare se il prestito potesse essere concesso e pertanto rilevavano tutti i debiti che il richiedente dovesse comunque onorare». La circostanza che, come avvenuto nel caso di specie, l'istituto di credito abbia fatto affidamento solo sulle dichiarazioni rese dalla richiedente e non abbia, come prescrive l'art. 124-bis d.lgs. n. 385/1993, consultato una “banca dati pertinente” per verificare le predette informazioni può incidere sul requisito della meritevolezza nel caso in cui si riscontri (soltanto) una “colpa” in capo al consumatore. Ma, avendo la debitrice omesso di dichiarare i propri consistenti debiti maturati già da diversi anni, «questa avrebbe posto in essere una condotta che non può essere connotata da “mera leggerezza”, ma che si deve ritenere essere dolosa». L'eventuale violazione dell'art. 124-bis da parte della banca, dunque, non potrebbe “elidere” tale condotta e far ritenere “meritevole” la debitrice ai sensi dell'art. 69 c.c.i.i.

In secondo luogo, il Tribunale vaglia pure l'ipotesi in cui la debitrice avesse effettivamente “mal compreso” l'espressione “impegni finanziari in essere” (intendendola come “pendenti”) e non si trovasse quindi in “malafede” o “frode”. Anche in questo caso, a parere del giudice, la condotta della banca consistente nel non aver applicato i criteri del “merito creditizio” non sarebbe idonea ad “elidere” la colpa grave ravvisabile in capo alla debitrice. Infatti, l'ulteriore indebitamento sarebbe, a detta del giudice, gravemente colpevole, perché la debitrice era al corrente – oppure, con l'ordinaria diligenza che si può richiedere a chiunque, in base a un semplice calcolo matematico consistente nella differenza tra le entrate stabili e le uscite, ella era in grado di rendersi conto – del fatto che la sua situazione economica fosse già insostenibile.

In conclusione, afferma il giudice che, qualora non si ritenga che la debitrice non sia incorsa in “malafede” o non abbia commesso un atto in frode nei confronti dei propri creditori quando ha sottoscritto il questionario, si deve comunque concludere nel senso della mancanza del requisito di cui all'art. 69, comma 1, c.c.i.i.

Il ricorso viene, pertanto, dichiarato inammissibile.

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