Primi dubbi di costituzionalità sui provvedimenti di trattenimento dei migranti

10 Febbraio 2025

La Corte di cassazione solleva la questione di legittimità dell'art. 14, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

L'art. 14, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. imm.) e la disciplina dei provvedimenti di trattenimento degli immigrati clandestini

A distanza di pochi giorni dalla sentenza (Cass. pen., sez. I, 24 gennaio 2025, n. 2967, Khattou) con cui, per la prima volta, venivano delineati gli spazi applicativi della nuova formulazione dell'art. 14, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. imm.), la Prima Sezione penale della Corte di cassazione, competente ratione materiae, è intervenuta nuovamente sulla disciplina dei provvedimenti di trattenimento, presso un centro di permanenza per i rimpatri, degli immigrati clandestini che avanzano richiesta di protezione internazionale, sollevando questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, in riferimento agli artt. 3,24,111, commi 1 e 2, 117 Cost., 6, par. 1, CEDU (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia).

Occorre, in proposito, premettere che la legge 9 dicembre 2024, n. 187, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 11 ottobre 2024, n. 145, ha introdotto l'art. 18-bis, comma 1, lett. b), che non era previsto nel testo originario, modificando l'art. 14, comma 6, T.U. imm., la cui formulazione, per effetto dell'intervento novellatore, è la seguente: «6. Contro i decreti di convalida e di proroga di cui al comma 5 è proponibile ricorso per cassazione entro cinque giorni dalla comunicazione, solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'articolo 606 del codice di procedura penale. Il relativo ricorso non sospende l'esecuzione della misura. Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 22, comma 5-bis, secondo e quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69».

Occorre precisare ulteriormente che la disposizione dell'art. 14, comma 6, T.U. imm. è contestualmente richiamata – sempre ai fini della proposizione del ricorso per cassazione – dal nuovo comma 5-bis dell'art. 6 d.lgs. n. 142/2015, aggiunto in sede di conversione dall'art. 18, comma 1, lett. a), n. 2, d.l. n. 145/2024, che stabilisce: «5-bis. Contro i provvedimenti adottati ai sensi del comma 5 è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 14, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286».

Occorre, infine, precisare che i provvedimenti di cui all'art. 6, comma 5, d.lgs. n. 142/2015, sono quelli previsti per il trattenimento nei centri di permanenza per i rimpatri di cui all'art. 14 T.U. imm. dei migranti che richiedono protezione internazionale.

Il tessuto normativo su cui si innesta il novellato art. 14, comma 6, T.U. imm. e le scelte di politica normativa compiute dal legislatore

In via preliminare, allo scopo di inquadrare il tessuto normativo su cui si innesta la questione di costituzionalità che si commenta, appare opportuno evidenziare che la scelta compiuta del legislatore italiano appare espressiva dell'univoca volontà di concentrare in capo alle sezioni penali delle corti di appello la competenza a decidere sui procedimenti di convalida dei provvedimenti con cui il questore dispone o proroga il trattenimento degli immigrati clandestini nei cui confronti non è possibile eseguire l'espulsione immediata a causa della presentazione di una richiesta di protezione internazionale (A. Natalini, Trattenimenti nei Cpr: nuovo rito in cassazione e dubbi di incostituzionalità sul contraddittorio, in IUS Penale, 5 febbraio 2025).

Deve, al contempo, evidenziarsi che il novellato art. 14, comma 6, T.U. imm. stabilisce che la Corte di appello chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dei provvedimenti di trattenimento dei migranti in questione deve essere individuata nel rispetto della disposizione dell'art. 22, comma 5-bis, legge n. 69 del 2005, espressamente richiamata, che comporta l'applicazione della disciplina del mandato di arresto europeo, applicabile in quanto compatibile (E. Aprile, Convalida dell'arresto eseguito dalla P.G. a seguito di mandato di arresto europeo, in Cass. pen., 2006, n. 1007, pp. 2515 ss.).

Il mandato di arresto europeo, introdotto dalla legge n. 69/2005 – con la quale il nostro ordinamento si è conformato alla decisione-quadro del Consiglio europeo n. 2002/584/GAI del 13 giugno 2002 – prevede, per la consegna di un soggetto a un'autorità giudiziaria straniera, l'intervento del giudice penale ed è accomunato alla materia del trattenimento dell'immigrato clandestino che non può essere espulso dal territorio italiano, per la presentazione di una richiesta di protezione internazionale, sotto il profilo della tutela della libertà personale.

Occorre aggiungere che, con l'introduzione del mandato di arresto europeo, si è data attuazione a una decisione-quadro di fondamentale importanza per la definitiva affermazione di quel processo di internazionalizzazione delle scienze penalistiche, indispensabile per contrastare efficacemente il crimine transnazionale sul territorio continentale, in una prospettiva ispirata da finalità di cooperazione giudiziaria (L. Salazar, La lotta alla criminalità nell'Unione: passi in avanti verso uno spazio giudiziario comune prima e dopo la Costituzione per l'Europa e il Programma dell'Aia, in Cass. pen., 2004, n. 1209.1, pp. 3514 ss.).      

Tali riferimenti normativi impongono di ricondurre all'alveo della giurisdizione penale i procedimenti relativi ai provvedimenti di trattenimento dei migranti che richiedono protezione internazionale presso un centro di permanenza per i rimpatri, celebrati davanti alla Corte di cassazione; riconducibilità resa ulteriormente evidente dai motivi per i quali, secondo l'art. 14, comma 6, T.U. imm., può essere proposto ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in esame, individuati in quelli previsti dall'art. 606, comma 1, lett. a), b), c), c.p.p.

Occorre, infine, precisare che questi riferimenti normativi, sebbene risultino espressivi di una chiara volontà legislativa, fin da subito, sono apparsi forieri di possibili distonie applicative, prospettate dall'Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, soprattutto derivanti dalla «scissione tra il giudice competente a giudicare nel merito i provvedimenti relativi al riconoscimento del diritto di asilo (le Sezioni specializzate) e il giudice competente a giudicare sulla legittimità dei trattenimenti disposti nell'ambito delle medesime procedure di riconoscimento di tale diritto […]» (Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, Relazione del 2 gennaio 2025, p. 39).

La vicenda processuale e le questioni di legittimità costituzionale

In questa stratificata cornice normativa si inserisce la vicenda processuale che ha dato luogo alla questione di legittimità costituzionale che si commenta, che trae origine dal decreto adottato il 10 gennaio 2025 dal Questore di Nuoro, che aveva emesso un provvedimento di trattenimento del ricorrente presso il centro di permanenza per i rimpatri degli stranieri competente, convalidato dal Giudice di pace di Oristano il 13 gennaio 2015, ai sensi dell'art. 14, comma 5, d.lgs. n. 286/1998.

Occorre, in proposito, precisare, che, nel procedimento celebrato davanti al Giudice di Pace di Oristano, si accertava che l'interessato non aveva presentato alcuna richiesta di protezione internazionale, pur avendo fatto ingresso in Italia il 22 dicembre 2021. La richiesta di protezione internazionale dell'immigrato, infatti, veniva formalizzata solo il 15 gennaio 2025, dopo l'emissione del provvedimento di convalida da parte del Giudice di Pace di Oristano.

Occorre precisare ulteriormente che la convalida del trattenimento veniva giustificata dai precedenti penali e di polizia del migrante, richiamati dal Questore di Nuoro, che inducevano a ritenerlo pericoloso per l'ordine e la sicurezza pubblica, ai sensi dell'art. 6, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 142/2015. Tali elementi negativi, a loro volta, venivano correlati al concreto pericolo di fuga dell'immigrato sottoposto a trattenimento e alla, ritenuta, pretestuosità della domanda di protezione internazionale avanzata.

Queste argomentazioni venivano recepite dalla Corte di appello di Cagliari, che esprimeva un giudizio di piena condivisibilità della motivazione del provvedimento di trattenimento adottato dal Questore di Nuoro nei confronti dell'immigrato clandestino, respingendo le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla difesa del ricorrente ed escludendo, al contempo, che, nell'ipotesi di rimpatrio nel suo Stato di provenienza – l'Algeria –, il migrante corresse pericoli per la sua libertà personale e la sua incolumità fisica.

Tale percorso argomentativo, infine, veniva censurato dalla difesa del ricorrente sotto una pluralità di profili ermeneutici, che assumevano un'ineludibile valenza costituzionale.

Si deduceva, innanzitutto, che la disciplina controversa, riducendo il termine per proporre ricorso per cassazione a cinque giorni, ai sensi dell'art. 14, comma 6, T.U. imm., finiva per discriminare, in violazione dell'art. 3 Cost., il soggetto sottoposto al provvedimento di trattenimento rispetto agli individui destinatari di altre misure restrittive, ai quali erano riservati termini più ampi per predisporre la propria difesa.

Si deduceva, al contempo, che la disciplina del ricorso per cassazione contro i provvedimenti di trattenimento degli immigrati clandestini presso un centro di permanenza per i rimpatri si poneva in contrasto con le disposizioni degli artt. 24, comma 1, e 111, commi 1 e 2, Cost., laddove attribuiva la competenza a decidere sulla legittimità della misura a un giudice penale privo di specializzazione nella materia; profilo di problematicità, quest'ultimo, già segnalato dall'Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione (Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, Relazione del 2 gennaio 2025, cit., pp. 39 e 40).

Si deduceva, in ultimo, che l'attuale disciplina dei provvedimenti di trattenimento degli immigrati clandestini presso un centro di permanenza per i rimpatri si poneva in contrasto con gli artt. 10,117 Cost. e 3CEDU, laddove prevedeva la possibilità di rimpatriare il migrante senza tenere conto dei pericoli per la sua incolumità fisica, che dovevano essere valutati prioritariamente alla luce delle condizioni politiche e istituzionali del Paese di provenienza del soggetto trattenuto, che, nel caso di specie, erano state disattese nonostante le specifiche allegazioni difensive.

La rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 6, T.U. imm.

La Prima Sezione penale della Corte di cassazione, nell'accogliere l'incidente di costituzionalità proposto dalla difesa del ricorrente, esaminava anzitutto la rilevanza della questione di legittimità del novellato art. 14, comma 6, T.U. imm., evidenziando che la disposizione censurata prevede che il ricorso per cassazione sia presentato nella cancelleria della corte di appello che ha emesso il provvedimento impugnato, che lo trasmette alla Corte di cassazione, con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo, unitamente a tutti gli altri atti del procedimento (A. Natalini, Trattenimenti nei Cpr: nuovo rito in cassazione e dubbi di incostituzionalità sul contraddittorio, in IUS Penale, 5 febbraio 2025, cit.).

Ricevuti gli atti, la Corte di cassazione, nel termine di sette giorni dalla ricezione, provvede, in camera di consiglio, senza l'intervento dei difensori, sui motivi del ricorso per cassazione – che devono essere proposti per i vizi di cui all'art. 606, comma 1, lett. a), b), c), c.p.p. – e sulle richieste del procuratore generale, depositando la decisione con la contestuale motivazione a conclusione dell'udienza e dando contestualmente corso agli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, l. n. 69/2005.

In questo contesto, la Corte rimettente evidenziava che il legislatore non aveva espressamente previsto le conseguenze dell'inosservanza del termine di sette giorni indicato normativamente per la decisione sul provvedimento di trattenimento, pur dovendosi ritenere che tale indicazione temporale dovesse essere rispettata, per effetto del combinato disposto degli artt. 124, comma 1, c.p.p., 2, 3, 13, comma 1, e 14 Cost.

Tuttavia, tali, stringenti, termini venivano ritenuti dalla Corte di cassazione «strutturalmente inidonei a garantire l'ordinato svolgimento del contraddittorio […]», essendo evidente che la complessità delle questioni relative ai provvedimenti di trattenimento, riguardanti una materia complessa e stratificata normativamente, non sempre poteva essere affrontata nel rispetto della sequenza procedimentale prefigurata dall'art. 14, comma 6, T.U. imm. (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

Né era possibile ritenere congruo il termine di sette giorni dalla ricezione degli atti, essendo evidente che il trattenimento del migrante in un centro di permanenza per i rimpatri deve essere valutato nel rispetto del combinato disposto degli artt. 2 e 3 Cost., alla luce del quale occorre riconoscere a tutti gli individui, a prescindere dalla loro nazionalità, la tutela dei diritti inviolabili della persona (C. cost., n. 120/1967).

D'altra parte, come opportunamente evidenziato nell'ordinanza di rimessione che si commenta, gli interessi pubblici che vengono in rilievo nella materia migratoria, pur implicando delicati problemi di sicurezza e di ordine pubblico, collegati alla problematica gestione dei flussi illegali, non possono incidere negativamente sul «carattere universale della libertà personale […]», la cui tutela è riconosciuta ai migranti non in conseguenza della loro appartenenza a una determinata comunità nazionale o sovranazionale, ma nella loro qualità di esseri umani, garantita, come detto, dal combinato disposto degli artt. 2 e 3 Cost. (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

A sostegno di tali conclusioni, si richiamava la sentenza della Corte costituzionale 21 febbraio 2001, n. 105, nella quale, in termini che si attagliavano perfettamente al caso in esame, si evidenziava: «Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani […]». Tali conclusioni, del resto, apparivano corroborate dalla previsione dell'art. 13, comma 3, Cost., a tenore del quale «il provvedimento di trattenimento dell'autorità di pubblica sicurezza deve essere comunicato entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e che, se questa non lo convalida nelle successive quarantotto ore, esso cessa di avere ogni effetto» (C. cost., n. 120/1967).

La non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale 

Occorre, quindi, soffermarsi sulle ragioni che inducevano la Corte di cassazione a ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 6, T.U. imm., evidenziando che, secondo il Giudice rimettente, la soluzione normativa prescelta dal legislatore italiano presentava profili di indeterminatezza della sequenza procedimentale attraverso cui veniva garantito il contraddittorio tra le parti.

Si evidenziava, in proposito, che la previsione del termine di sette giorni dalla ricezione degli atti, per la decisione della Corte di cassazione, rendeva inapplicabile il modello processuale previsto dall'art. 611 c.p.p., che presupponeva un'articolazione temporale non compatibile con la disciplina censurata.

Si evidenziava, al contempo, che l'individuazione di un termine assegnato alla Corte di cassazione per la decisione non consentiva una lettura adeguatrice dell'art. 14, comma 6, T.U. imm., inevitabilmente condizionata dalla natura particolarmente stringente della relativa sequenza procedimentale. Nel caso di specie, del resto, non veniva «in rilievo un mero silenzio legislativo […] o una mera non intenzionale lacuna […], ma una precisa scelta normativa che costituisce, anche in nome di fondamentali esigenze di certezza, legate al principio di legalità processuale, una barriera insuperabile per l'attività interpretativa […]» (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

A sostegno di queste conclusioni, si osservava che lo svolgimento del contradditorio presuppone un'articolazione rigorosa dei segmenti processuali attraverso cui le parti possono svolgere le loro difese, consentendo al giudice di apprezzarle sulla base della loro compiuta esposizione. Tale articolazione, peraltro, diventava addirittura necessaria laddove, come nel caso in esame, non ci si trova di fronte a «forme di consenso o di rinuncia ritualmente espresse dai protagonisti della vicenda, che razionalmente giustificano semplificazioni processuali fondate sulle autonome scelte degli stessi, come appunto accade nella disciplina dettata, in tema di esecuzione dei mandati di arresto europeo, dall'art. 22 della l. n. 69/2005» (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

Né poteva rilevare, in senso contrario, l'assenza di previsioni normative volte a disciplinare lo svolgimento del contraddittorio nel procedimento celebrato davanti alla Corte di cassazione. L'eventuale assenza di una disciplina processuale, infatti, non poteva determinare, di per sé solo, l'esonero o il venir meno delle garanzie del contraddittorio tra le parti, comportando, più semplicemente, l'assenza di vincoli formali predeterminati per il giudice procedente, che aveva comunque il dovere di assicurare una dialettica tra accusa e difesa, effettiva e adeguata alle esigenze del caso concreto.

Su questi profili, a ben vedere, la Corte costituzionale, con la sentenza 3 maggio 1995, n. 435, espressamente richiamata nella pronuncia che si commenta, si era già espressa in termini univoci, osservando che «poiché la garanzia del contraddittorio è certamente un connotato essenziale del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, oltreché, ovviamente, un cardine del vigente sistema processuale, è del tutto evidente che tale diritto può dirsi assicurato solo nella misura in cui si dia all'interessato la possibilità di partecipare ad una effettiva dialettica processuale». Ne consegue che la mancanza di una disciplina appositamente finalizzata a disciplinare il contraddittorio in un determinato procedimento, come nel caso in esame, significa «soltanto che il legislatore non ha inteso vincolare il giudice all'obbligo di determinate forme, lasciandolo libero di scegliere, caso per caso, quelle ritenute più opportune per assicurare sia pure in modo celere e semplificato, una effettiva dialettica tra accusa e difesa […]» (C. cost., n. 434/1995).

L'applicazione al caso di specie di questi principi rendeva evidenti le disarmonie normative del modello procedimentale prefigurato dagli artt. 14, comma 6, T.U. imm. e delle norme correlate, non essendo il difensore messo nelle condizioni di interloquire, con un congruo termine, sulle richieste presentate dal Pubblico ministero, che, in una materia complessa e stratificata normativamente, come quella dei provvedimenti di trattenimento dei migranti che richiedono protezione internazionale, generalmente presentano un grado di complessità particolarmente elevato (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

I dubbi di costituzionalità sulle garanzie del contraddittorio tra le parti nel procedimento davanti alla Corte di cassazione

Il percorso argomentativo seguito dalla Corte di cassazione appare meritevole di essere segnalato favorevolmente anche alla luce del fatto che affronta il tema delle garanzie costituzionali delle parti processuali, riconosciute dal combinato disposto degli artt. 24, comma 2, e 111, commi 1 e 2, Cost., funzionali ad assicurare le regole del contraddittorio.

Sotto questo profilo, quello che assume rilievo non è tanto la discrezionalità di cui dispone il legislatore nel garantire, caso per caso, il contraddittorio tra le parti processuali, quanto, piuttosto, la compatibilità di tali garanzie costituzionali con gli obiettivi di celerità ai quali punta il modello processuale introdotto dall' art. 14, comma 6, T.U. imm.

Il perseguimento di questi obiettivi di celerità procedimentale, infatti, non può incidere sulle garanzie costituzionali tese ad assicurare il contraddittorio tra le parti processuali, ai sensi degli artt. 24, comma 2, e 111, commi 1 e 2, Cost., condizionando negativamente il diritto di difesa della parte ricorrente – rappresentata, nel nostro caso, dall'immigrato clandestino trattenuto a causa della sua richiesta di protezione internazionale –, come affermato dalla Corte costituzionale, nell'arresto, risalente ma insuperato, già citato (C. cost., n. 434/1995, cit.).

Tali conclusioni, innanzitutto, traggono il loro fondamento sistematico nell'art. 24, comma 2, Cost., che assicura la difesa come «diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento», prefigurando un diritto soggettivo perfetto direttamente azionabile dall'imputato o dall'indagato. In questa prospettiva, costituzionalmente orientata, occorre assicurare la più ampia tutela del contraddittorio tra le parti, che, ai sensi dell'art. 24, comma 2, Cost., impone di assicurare la massima espansione a tale diritto di difesa.

Tali criticità sistematiche, a ben vedere, risaltano ulteriormente alla luce della disposizione dell'art. 111 Cost., nel cui primo comma si afferma: «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge»; norma che, ai presenti fini, assume un rilievo ancora più significativo se esaminata in correlazione al suo secondo comma, che stabilisce: «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata».

Questo inquadramento del diritto al contraddittorio tra le parti trae il suo fondamento anche dall'art. 6, par. 1, CEDU, secondo cui ogni persona «ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti […]»; connotazioni garantistiche, queste, incentrate sulla previsione dell'art. 6, par. 1, CEDU, su cui la Corte strasburghese, in più occasioni, si è soffermata negli ultimi anni (Corte EDU, Bhiarki c. Islanda, 15/03/2022, n. 30965/17, § 49; Corte EDU, 08/03/2002, Tonkov c. Belgio, n. 41115/14, § 38; Corte EDU, 18/12/2018, Murtazaliyeva c. Russia, n. 36658/05, § 117).

Sul piano del diritto internazionale, peraltro, la disposizione dell'art. 6, par. 1, CEDU appare speculare all'art. 14, par. 3, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, sottoscritto a New York il 19 dicembre 1966 e ratificato in Italia dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881, che riconosce all'accusato un contenuto minimo di garanzie, indispensabili per consentire al cittadino straniero di esercitare i suoi diritti di difesa, tra cui quello, previsto dalla lettera a), di «essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta».

La Corte di cassazione, al contempo, rilevava che, pur in un contesto di particolare celerità procedimentale, l'art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, legge n. 69/2005, prefigura «per il caso di procedura contrassegnata dall'assenza del consenso o della rinuncia cui fa riferimento l'art. 14, comma 1, l. n. 69/2005, un modello che, attraverso il richiamo all'art. 127 c.p.p. consente un ordinato svolgimento del contraddittorio attraverso il riferimento ad un procedimento adeguato al contrasto di posizioni delle parti» (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

Queste considerazioni, secondo la Corte rimettente, finivano per mettere in evidenza «anche l'ulteriore dubbio di legittimità, relativo alla ragionevolezza della scelta di optare per una disciplina processuale costruita sul presupposto di una scelta consensuale del destinatario della richiesta di consegna laddove, nel caso di specie, il procedimento è contrassegnato da una manifesta contrapposizione degli interessi in gioco» (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

Le conclusioni alle quali giungeva la Corte di cassazione e i dubbi sollevati dall'Ufficio del Massimario e del Ruolo della Cassazione

Sulla scorta delle argomentazioni che si sono richiamate, veniva dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 6, d.lgs. T.U. imm., nella parte in cui, rinviando alla disposizione di cui all'art. 22, comma 5-bis, l. n. 69/2005, prevedeva che la Corte di cassazione giudichi in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori, affidando «alla creazione dell'autorità giudiziaria l'individuazione delle scansioni processuali idonee a realizzare il contraddittorio nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti previsto per la decisione […]» (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

Si riteneva, infatti, che la sequenza procedimentale disciplinata dall'art. 14, comma 6, T.U. imm. e delle norme correlate, in astratto, si poteva porre in contrasto con gli articoli 3,24,111, commi 1 e 2, 117 Cost., in riferimento all'art. 6, par. 1 CEDU, non garantendo, anche tenuto conto della particolare complessità della materia, un adeguato contraddittorio tra le parti, pregiudicando i diritti di difesa del migrante.

Sulle garanzie del contraddittorio del procedimento di cui all'art. 14, comma 6, T.U. imm., dunque, la Corte di cassazione si è mossa con esemplare tempestività, segnalando i problemi di compatibilità del modello processuale introdotto dall'art. 18-bis, comma 1, lett. b), d.l. n. 145 /2 024, con le norme costituzionali e convenzionali sopra richiamate.

Resta, invece, irrisolto, almeno per il momento, l'altro profilo di criticità sistematica della normativa in esame, fin da subito segnalato dall'Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, riguardante la separazione delle competenze tra giudice civile e giudice penale, relativa alle ipotesi di trattenimento dei migranti, presso un centro di permanenza per i rimpatri, che richiedono protezione internazionale  (Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, Relazione del 2 gennaio 2025, cit., pp. 39-41).

Si evidenziava, in proposito, che, per effetto della scissione di competenze operata dal legislatore per le ipotesi di trattenimento dei migranti che richiedono protezione internazionale, si assisteva a «una duplicazione di sindacato giurisdizionale sulla sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro, in sede di esame della domanda di protezione internazionale ed in sede di convalida di trattenimento» (Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, Relazione del 2 gennaio 2025, cit., p. 40).

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