Provvedimento di nomina dell'interpreteInquadramentoCon questo provvedimento il giudice attua in concreto il principio della obbligatorietà della lingua italiana, posto dall'art. 122 c.p.c. L'eventuale conoscenza privata da parte del Giudice della lingua usata dal teste o da una parte od ausiliario, che pure in astratto potrebbe rendere superflua la nomina dell'interprete, non deve però tradursi in una violazione del diritto di difesa delle parti e di un contraddittorio realmente effettivo. Si ritiene inoltre che il limitato e specifico apporto al processo dell'interprete porti a qualificare lo stesso come ausiliare del giudice e non come consulente tecnico. Quanto alla scelta della persona da nominare, si è recentemente stabilito che la mancata istituzione presso il tribunale dell'albo degli esperti in interpretariato e traduzione, previsto dall'art. 67 disp. att. c.p.p., non determina alcuna nullità della nomina di un esperto appartenente a questa categoria, non essendo prevista alcuna sanzione per tale inosservanza (Cass. pen. III, n. 46584/2019, con principio che mutatis mutandis appare applicabile anche al rito civile). Poiché l'interprete si qualifica come ausiliare del giudice, si applicano alla liquidazione dei relativi compensi il d.P.R. n. 115/2002 del 30 maggio 2002 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia” e, in particolare, l'onere di presentare domanda di liquidazione entro 100 gg. dal compimento delle operazioni cui il compenso si ricollega e l'utilizzo, per la liquidazione, fondamentalmente del metodo della c.d. vacazioni (euro 14,68 per la prima vacazione ed euro 8,15 per ciascuna delle vacazioni successive fino alla fine dell'incarico; possibilità di raddoppio quando l'incarico – come è quasi sempre per l'interprete – debba concludersi entro 5 gg. o di aumento fino alla metà quando l'incarico deve concludersi entro 15 gg.; ulteriore caso di raddoppio per le prestazioni di eccezionale importanza). FormulaTRIBUNALE DI ... Nella causa civile n. ... / ... R.G., IL GIUDICE Provvedendo sull'istanza di nomina dell'interprete depositata il ... da parte del Sig. ...; Ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 122 c.p.c. in relazione alla testimonianza del Sig. ... di cui è stata disposta l'audizione con precedente ordinanza istruttoria; NOMINA Quale interprete di lingua ... il Sig. ..., residente a ...; DISPONE La convocazione dell'interprete nominato all'udienza del ..., ore ..., nella quale è già fissata l'assunzione della testimonianza del Sig. ... Si comunichi all'interprete ed alle parti a cura della cancelleria. Luogo e data ... Il Giudice ... COMMENTOLa nomina dell'interprete corrisponde ad una facoltà e non ad un obbligo del giudice. Da un lato, infatti, «Il disposto dell'art. 122 c.p.c. che prescrive l'uso della lingua italiana in tutto il processo, non esonera il giudice dall'obbligo di prendere in considerazione qualsiasi elemento probatorio decisivo ancorché espresso in lingua diversa da quella italiana, restando affidato al suo potere discrezionale il ricorso ad un interprete a seconda che sia o meno in grado di comprenderne il significato o che in ordine ad esso sorgano contrasti tra le parti» (Cass. n. 7232/1987). Dall'altro, la mancata nomina dell'interprete non costituisce di per sé un vizio denunciabile dalla parte, occorrendo che questa indichi specificamente in quale attività processuale il suo diritto di difesa sia risultato pretermesso (così Cass. n. 15634/2002). Resta fermo che non viola il principio dell'obbligatorietà dell'uso della lingua italiana negli atti processuali il provvedimento del giudice (nella specie, decreto di diniego di riconoscimento della protezione internazionale a rifugiato) che rechi in motivazione citazioni di fonti di conoscenza in lingua inglese di facile comprensibilità, tali da non recare pregiudizio al diritto di difesa delle parti (Cass. I, n. 22979/2019). Sempre in tema di protezione internazionale, si è ritenuto che in caso di espulsione amministrativa dello straniero, grava sulla P.A. l'onere di provare l'eventuale conoscenza della lingua italiana o di una delle lingue veicolari da parte del destinatario del provvedimento, quale elemento costitutivo della facoltà di notificargli l'atto in una di dette lingue. L'accertamento in concreto se la persona conosca la lingua nella quale il provvedimento espulsivo sia stato tradotto compete al giudice di merito, il quale, a tal fine, deve valutare gli elementi probatori acquisiti al processo, tra cui assumono rilievo anche le dichiarazioni rese dall'interessato nel cd. foglio-notizie, ove egli abbia dichiarato di conoscere una determinata lingua nella quale il provvedimento sia stato tradotto. (Cass. I, n. 24015/2020). Più recentemente, Cass. n. 33079/2022 ha stabilito che gli artt. 122 e 123 c.p.c. sono applicabili ex art. 1, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, anche al giudizio tributario; ne consegue che anche in quest'ultimo, come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non per i documenti prodotti dalle parti. I quali, se redatti in lingua straniera, devono pertanto ritenersi acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione, avendo il giudice la facoltà, ma non l'obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, del quale può fare a meno allorché sia in grado di comprendere il significato degli stessi documenti, o qualora non vi siano contestazioni sul loro contenuto o sulla loro traduzione giurata allegata dalla parte. Nel giudizio di cassazione il tema dell'uso della lingua italiana si collega, necessariamente, con quello dell'autosufficienza del ricorso: Cass. civ. n. 2331/2019 ha perciò stabilito che nel caso di produzione di documenti redatti in lingua straniera, l'obbligo di utilizzo della lingua italiana va conformato alla previsione dell'art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c. che impone, in applicazione del principio di specificità, un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, previa traduzione, in italiano, nonché della specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio o accesso a fonti esterne ad esso. Con riferimento alle specificità della Provincia autonoma di Bolzano, si è ritenuto che la deroga all'uso della lingua italiana nel processo civile, prevista dagli artt. da 20 a 27 del d.P.R. n. 574/1988, che introducono il principio del bilinguismo nel processo davanti al giudice della Regione Trentino-Alto Adige, può essere estesa anche a soggetti diversi dai cittadini italiani residenti nella provincia di Bolzano, nel rispetto del principio di non discriminazione che permea il trattamento dei cittadini della UE, come affermato dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 27 marzo 2014 (causa C-32272013) (Cass. II, n. 19042/2021, con riferimento ad un cittadino austriaco che aveva iniziato il processo in lingua tedesca, ma che nulla aveva eccepito di fronte alla prosecuzione del giudizio in lingua italiana). |