Istanza di nomina del traduttoreInquadramentoCon l'istanza di nomina di un traduttore la parte sollecita il giudice ad attuare in concreto il principio della obbligatorietà della lingua italiana, posto dall'art. 122 c.p.c., nonché ad acquisire contezza effettiva del contenuto di documenti prodotti dalle parti. A differenza dell'interprete, che generalmente assiste al compimento di attività processuali contribuendo ad attuare il principio del contraddittorio mediante il superamento di difficoltà linguistiche, il traduttore opera più specificamente con riguardo ai documenti ed agli atti scritti in una lingua diversa da quella italiana e non comprensibile ad una delle parti od al giudice. L'ordinamento contempla talune eccezioni, principalmente stabilite da norme speciali per alcune Regioni e Province autonome: si pensi al d.P.R. n. 577/1988, per la Regione Trentino-Alto Adige, che ha parificato la lingua tedesca alla lingua italiana in relazione agli atti processuali; si pensi ancora all'art. 38 della l. cost. n. 4/1948 per la Valle d'Aosta in tema di utilizzo della lingua francese o all'art. 3 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, per quanto riguarda la minoranza linguistica slovena. Generalmente si ritiene che l'obbligo della lingua italiana riguardi gli atti del processo strettamente intesi e non i documenti prodotti dalle parti. FormulaTRIBUNALE DI ... ISTANZA DI NOMINA DEL TRADUTTORE [1][2] Nella causa civile n. ... / ... R.G., Il Sig. ..., rappresentato e difeso dall'Avv. ..., in forza di procura alle liti ... in atti PREMESSO - che in data ... la controparte ha prodotto in giudizio documenti redatti in lingua ...; - che occorre procedere all'esame dei suddetti documenti; - che in particolare risulta indispensabile la comprensione delle clausole negoziali contenute nei seguenti documenti (descrivere numero e documenti) nonché consentire alla scrivente difesa la piena comprensione del testo della corrispondenza inter partes di cui ai seguenti documenti (descrivere numero e documenti) potendo una superficiale e non corretta traduzione determinare un errore di giudizio e, ancora prima, una violazione del contraddittorio e dei diritti di difesa [3] ; TUTTO CIÒ PREMESSO CHIEDE Che l'Ill.mo Sig. Giudice nomini un traduttore di lingua ... Luogo e data ... Firma Avv. ... 1. Per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell'art.46 disp. att. c.p.c., si rinvia al d.m. n. 110/2023. 2. 1. Secondo l'art. 123 c.p.c. «Quando occorre procedere all'esame di documenti che non sono scritti in lingua italiana, il giudice può nominare un traduttore, il quale presta giuramento a norma dell'articolo precedente». 3. Formula esemplificativa da adattare alle caratteristiche del caso concreto. In ogni caso opportuno indicare specificamente le ragioni che giustificano la nomina del traduttore, cui peraltro il giudice può ricorrere discrezionalmente anche d'ufficio. COMMENTOIl principio di obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall'art. 122 c.p.c. si riferisce agli atti processuali in senso proprio e non anche ai documenti prodotti dalle parti, ragion per cui, quando questi ultimi siano redatti in lingua straniera, il giudice, ai sensi dell'art. 123 c.p.c. ha la facoltà e non l'obbligo di nominare un traduttore, per cui il mancato esercizio di detta facoltà, specie quando trattasi di un testo di facile comprensibilità sia da parte dello stesso giudice che dei difensori, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità (Cass. n. 19756/2005). Più recentemente, Cass. n. 33079/2022 ha stabilito che gli artt. 122 e 123 c.p.c. sono applicabili ex art. 1, comma 1 d.lgs. n. 546/1992, anche al giudizio tributario; ne consegue che anche in quest'ultimo, come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non per i documenti prodotti dalle parti. I quali, se redatti in lingua straniera, devono pertanto ritenersi acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione, avendo il giudice la facoltà, ma non l'obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, del quale può fare a meno allorché sia in grado di comprendere il significato degli stessi documenti, o qualora non vi siano contestazioni sul loro contenuto o sulla loro traduzione giurata allegata dalla parte. È stato inoltre chiarito che non è tardiva la produzione, con la memoria di cui all'art. 183, comma 6, n. 3 c.p.c., della traduzione in italiano di documenti redatti in lingua straniera tempestivamente depositati, atteso che detta traduzione non integra un nuovo mezzo di prova soggetto alle preclusioni istruttorie di cui alla norma citata in quanto l'attitudine dimostrativa di uno scritto discende dal contenuto che esso esprime, quale che sia l'idioma impiegato nella sua redazione, sicché è con la produzione del documento in lingua straniera che la parte assolve all'onere di comprovare le proprie allegazioni difensive, mentre la traduzione, che può essere disposta dal giudice ai sensi dell'art. 123 c.p.c. senza previsione di termini, è incombente meramente accessorio e facoltativo che si colloca al di fuori dell'area delle attività processuali finalizzate alla definizione del thema decidendum e del thema probandum, soggette a termini perentori (Cass. n. 12365/2018). In termini più generali, si è osservato che il principio della obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall'art. 122 c.p.c., si riferisce agli atti processuali in senso proprio e non anche ai documenti esibiti dalle parti, sicché, quando siffatti documenti risultino redatti in lingua straniera, il giudice, ai sensi dell'art. 123 c.p.c., ha la facoltà, e non l'obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, di cui può farsi a meno allorché trattasi di un testo di facile comprensibilità, sia da parte dello stesso giudice che dei difensori; ne consegue che non è configurabile la nullità di una consulenza tecnica di ufficio regolarmente redatta in lingua italiana benché fondata su pubblicazioni in inglese (Cass. n. 6093/2013). In tema di protezione internazionale, si è ritenuto che in caso di espulsione amministrativa dello straniero, grava sulla P.A. l'onere di provare l'eventuale conoscenza della lingua italiana o di una delle lingue veicolari da parte del destinatario del provvedimento, quale elemento costitutivo della facoltà di notificargli l'atto in una di dette lingue. L'accertamento in concreto se la persona conosca la lingua nella quale il provvedimento espulsivo sia stato tradotto compete al giudice di merito, il quale, a tal fine, deve valutare gli elementi probatori acquisiti al processo, tra cui assumono rilievo anche le dichiarazioni rese dall'interessato nel cd. foglio-notizie, ove egli abbia dichiarato di conoscere una determinata lingua nella quale il provvedimento sia stato tradotto. (Cass. I, n. 24015/2020). Nel giudizio di cassazione il tema dell'uso della lingua italiana si collega, necessariamente, con quello dell'autosufficienza del ricorso: Cass. civ. n. 2331/2019 ha perciò stabilito che nel caso di produzione di documenti redatti in lingua straniera, l'obbligo di utilizzo della lingua italiana va conformato alla previsione dell'art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c. che impone, in applicazione del principio di specificità, un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, previa traduzione, in italiano, nonché della specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio o accesso a fonti esterne ad esso. Con riferimento alle specificità della Provincia autonoma di Bolzano, si è ritenuto che la deroga all'uso della lingua italiana nel processo civile, prevista dagli artt. da 20 a 27 del d.P.R. n. 574/1988, che introducono il principio del bilinguismo nel processo davanti al giudice della Regione Trentino-Alto Adige, può essere estesa anche a soggetti diversi dai cittadini italiani residenti nella provincia di Bolzano, nel rispetto del principio di non discriminazione che permea il trattamento dei cittadini della UE, come affermato dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 27 marzo 2014 (causa C-32272013). (Cass. II, n. 19042/2021, con riferimento ad un cittadino austriaco che aveva iniziato il processo in lingua tedesca, ma che nulla aveva eccepito di fronte alla prosecuzione del giudizio in lingua italiana). |