Provvedimento di nomina del traduttore

Farolfi Alessandro

Inquadramento

Con questo provvedimento il giudice attua in concreto il principio della obbligatorietà della lingua italiana, posto dall'art. 122 c.p.c. e declinato dal successivo art. 123 per i documenti di parte. L'eventuale conoscenza privata da parte del Giudice della lingua in cui è formato il o i documenti può rendere superflua la nomina dell'interprete, ma non deve però tradursi in una violazione del diritto di difesa delle parti e di un contraddittorio realmente effettivo. La mancata nomina, corrispondendo ad una mera facoltà del giudice, non può formare oggetto di censure di legittimità, salvo che la parte alleghi e dimostri una violazione concreta del proprio diritto di difesa.

A differenza dell'interprete, che generalmente assiste al compimento di attività processuali contribuendo ad attuare il principio del contraddittorio mediante il superamento di difficoltà linguistiche, il traduttore opera più specificamente con riguardo ai documenti ed agli atti scritti in una lingua diversa da quella italiana o non comprensibile ad una delle parti od al giudice.

Poiché, peraltro, anche il traduttore si qualifica come ausiliare del giudice, si applicano alla liquidazione dei relativi compensi il d.P.R. n. 115/2002 del 30 maggio 2002 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia” e, in particolare, l'onere di presentare domanda di liquidazione entro 100 gg. dal compimento delle operazioni cui il compenso si ricollega e l'utilizzo, per la liquidazione, fondamentalmente del metodo della c.d. vacazioni (euro 14,68 per la prima vacazione ed euro 8,15 per ciascuna delle vacazioni successive fino alla fine dell'incarico; possibilità di raddoppio quando l'incarico debba concludersi entro 5 gg. o di aumento fino alla metà quando l'incarico deve concludersi entro 15 gg.; ulteriore caso di raddoppio per le prestazioni di eccezionale importanza).

Formula

TRIBUNALE DI ...

Nella causa civile n. ... / ... R.G.,

IL GIUDICE

Provvedendo sull'istanza di nomina del traduttore depositata il ... da parte del Sig. ...;

Ritenuta la sussistenza dei presupposti per procedere alla nomina di un traduttore di lingua ... in relazione all'esame ed alla piena comprensione dei documenti elencati nell'istanza (ovvero dei seguenti documenti ...);

Visto l'art. 123 c.p.c.,

NOMINA

Quale traduttore di lingua ... il Sig. ..., residente a ...;

DISPONE

La convocazione del traduttore nominato all'udienza del ..., ore ..., per il conferimento dell'incarico ed il giuramento di rito [1].

Si comunichi al traduttore ed alle parti a cura della cancelleria.

Luogo e data ...

Il Giudice ...

1. In luogo della fissazione dell'udienza, così come per il consulente, la Riforma prevede la possibilità di fissazione di un termine entro il quale il traduttore fa pervenire per via telematica l'accettazione dell'incarico ed il giuramento.

COMMENTO

Dalla disposizione dell'art. 123 c.p.c. (ai sensi del quale “Quando occorre procedere all'esame di documenti che non sono scritti in lingua italiana, il giudice può nominare un traduttore ... ”) si ricava che la produzione di documenti redatti in lingua straniera e non corredati da traduzione in italiano è lecita ed ammissibile. Sulla parte interessata all'utilizzazione ai fini probatori di documenti precostituiti redatti in lingua straniera non grava dunque alcun onere di allegare traduzioni più o meno formali, restando affidato al giudice ogni provvedimento in proposito. Inoltre, al pari della nomina dell'interprete prevista dall'art. 122 c.p.c., anche la nomina del traduttore è facoltativa e ritenuta superflua quando il giudice conosce la lingua straniera nella quale è scritto il documento, anche se analoghe conoscenze non posseggono le parti o una di esse. Il giudice ha, quindi, la facoltà e non l'obbligo, di nominare un traduttore, specie quando trattasi di un testo di facile comprensibilità sia da parte dello stesso Giudice che dei difensori (così Trib. Torino 24 aprile 2008).

È stato di recente chiarito che non è tardiva la produzione, con la memoria di cui all'art. 183, comma 6, n. 3 c.p.c., della traduzione in italiano di documenti redatti in lingua straniera tempestivamente depositati, atteso che detta traduzione non integra un nuovo mezzo di prova soggetto alle preclusioni istruttorie di cui alla norma citata in quanto l'attitudine dimostrativa di uno scritto discende dal contenuto che esso esprime, quale che sia l'idioma impiegato nella sua redazione, sicché è con la produzione del documento in lingua straniera che la parte assolve all'onere di comprovare le proprie allegazioni difensive, mentre la traduzione, che può essere disposta dal giudice ai sensi dell'art. 123 c.p.c. senza previsione di termini, è incombente meramente accessorio e facoltativo che si colloca al di fuori dell'area delle attività processuali finalizzate alla definizione del thema decidendum e del thema probandum, soggette a termini perentori (Cass. n. 12365/2018).

In termini più generali, si è osservato che il principio della obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall'art. 122 c.p.c., si riferisce agli atti processuali in senso proprio e non anche ai documenti esibiti dalle parti, sicché, quando siffatti documenti risultino redatti in lingua straniera, il giudice, ai sensi dell'art. 123 c.p.c., ha la facoltà, e non l'obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, di cui può farsi a meno allorché trattasi di un testo di facile comprensibilità, sia da parte dello stesso giudice che dei difensori; ne consegue che non è configurabile la nullità di una consulenza tecnica di ufficio regolarmente redatta in lingua italiana benché fondata su pubblicazioni in inglese (Cass. n. 6093/2013).

Più recentemente, Cass. n. 33079/2022 ha stabilito che gli artt. 122 e 123 c.p.c. sono applicabili ex art. 1, comma 1 d.lgs. n. 546/1992, anche al giudizio tributario; ne consegue che anche in quest'ultimo, come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non per i documenti prodotti dalle parti. I quali, se redatti in lingua straniera, devono pertanto ritenersi acquisiti ed utilizzabili ai fini della decisione, avendo il giudice la facoltà, ma non l'obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, del quale può fare a meno allorché sia in grado di comprendere il significato degli stessi documenti, o qualora non vi siano contestazioni sul loro contenuto o sulla loro traduzione giurata allegata dalla parte.

In tema di protezione internazionale, si è ritenuto che in caso di espulsione amministrativa dello straniero, grava sulla P.A. l'onere di provare l'eventuale conoscenza della lingua italiana o di una delle lingue veicolari da parte del destinatario del provvedimento, quale elemento costitutivo della facoltà di notificargli l'atto in una di dette lingue. L'accertamento in concreto se la persona conosca la lingua nella quale il provvedimento espulsivo sia stato tradotto compete al giudice di merito, il quale, a tal fine, deve valutare gli elementi probatori acquisiti al processo, tra cui assumono rilievo anche le dichiarazioni rese dall'interessato nel cd. foglio-notizie, ove egli abbia dichiarato di conoscere una determinata lingua nella quale il provvedimento sia stato tradotto. (Cass. I, n. 24015/2020).

Con riferimento alle specificità della Provincia autonoma di Bolzano, si è ritenuto che la deroga all'uso della lingua italiana nel processo civile, prevista dagli artt. da 20 a 27 del d.P.R. n. 574/1988, che introducono il principio del bilinguismo nel processo davanti al giudice della Regione Trentino-Alto Adige, può essere estesa anche a soggetti diversi dai cittadini italiani residenti nella provincia di Bolzano, nel rispetto del principio di non discriminazione che permea il trattamento dei cittadini della UE, come affermato dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 27 marzo 2014 (causa C-32272013) (Cass. II, n. 19042/2021, con riferimento ad un cittadino austriaco che aveva iniziato il processo in lingua tedesca, ma che nulla aveva eccepito di fronte alla prosecuzione del giudizio in lingua italiana).

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