Istanza di una parte per la correzione della sentenza (art. 288, comma 2, c.p.c.)InquadramentoAi sensi dell'art. 287 c.p.c., le sentenze e le ordinanze non revocabili possono essere corrette, su ricorso di parte, dal Giudice che le ha pronunciate, qualora egli sia incorso in omissioni o in errori materiali o di calcolo. Per effetto del successivo art. 288, comma 2, se l'istanza è chiesta da una sola delle parti, il Giudice, con decreto da notificare insieme col ricorso ai sensi dell'art. 170, comma 1 e 3, c.p.c., fissa l'udienza nella quale le parti debbono comparire davanti a lui e, all'esito della discussione, provvede con ordinanza da annotarsi sull'originale del provvedimento. FormulaTRIBUNALE DI ... ISTANZA DI UNA PARTE PER LA CORREZIONE DELLA SENTENZA [1] (ART. 288, COMMA 2, C.P.C.[2] ) Giudice Dott. ... R.G. n. ... Nell'interesse del Sig. ... nato a ..., il ..., C.F. ..., residente in ..., via ..., n. ..., rappresentato e difeso, dall'Avv. ..., con del Foro di ..., con studio in ..., via ... [3] giusta delega in calce al presente atto ed ivi elettivamente domiciliato ai fini del presente atto (per comunicazioni tel. .... [4] PEC ... ) PREMESSO CHE – Con sentenza od ordinanza n. ... emessa il ... e depositata il ... il Tribunale di ... in persona del Giudice Istruttore ... ha statuito che ... – Che in predetta sentenza o ordinanza è stato erroneamente indicato ... in luogo di .... (BREVE ESPOSIZIONI DEI FATTI E LE RELATIVE MOTIVAZIONI DI DIRITTO) Tutto ciò premesso e considerato il Sig. ..., come sopra rappresentato e difeso, chiede che il Giudice, previa fissazione, con decreto, di udienza di comparizione delle parti e concessione di termine per la notificazione del ricorso e del decreto, voglia provvedere alla correzione di predetto errore indicando esattamente ... in luogo di .... Con vittoria di spese di lite. Si offre in comunicazione copia sentenza od ordinanza n. ... del .... Luogo e data ... Firma Avv. ... Procura alle liti [5]. 1. Per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell'art. 46 disp. att. c.p.c., si rinvia al d.m. 7 agosto 2023, n. 110/2023. 2. Ai sensi dell'art. 288, comma 2 c.p.c., ciascuna delle parti di un procedimento può chiedere la correzione dell'errore di una sentenza o ordinanza. Il giudice, con decreto, fissa la data di comparizione delle parti che deve essere notificata, unitamente al ricorso, a cura dell'istante a norma dell'art. 170 c.p.c. congiuntamente la correzione di errori materiali di sentenze od ordinanze. Il procedimento di correzione termina con l'emissione di un'ordinanza del Giudice Istruttore. 3. In tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati, le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il C.F., oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50 d.l. n. 98/2011, conv., con modif., in l. n. 111/2011). 4. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato, prevista dalla precedente formulazione dell'art. 125 c.p.c., è stata soppressa a seguito della modifica exd.lgs. n. 164/2024 (cd Correttivo Cartabia). 5. La procura rilasciata al difensore nel giudizio concluso con la sentenza da correggere è valida anche per la proposizione del ricorso per la correzione di errore materiale, in quanto il procedimento di correzione non introduce una nuova fase processuale, ma costituisce un mero incidente dello stesso giudizio, diretto solo ad adeguare l'espressione grafica all'effettiva volontà del giudice, già espressa in sentenza (Cass. VI, n. 730/2015). Peraltro, l'istanza di correzione dell'errore materiale è un atto del processo che non richiede un'apposita procura, potendo il difensore avvalersi di quella già conferita. COMMENTOGli errori materiali e di calcolo e le omissioni dei provvedimenti giurisdizionali possono, ricorrendo talune condizioni, essere emendati attraverso il procedimento di correzione previsto dall'art. 288 c.p.c. Al precedente art. 287 c.p.c. è demandata la definizione dell'ambito oggettivo del procedimento di correzione. Lo stesso può attenere ai soli errori materiali della sentenza e dell'ordinanza, restando pertanto esclusi gli errori di valutazione, interpretazione e, più in generale, di giudizio, avverso i quali non potranno che esperirsi i rimedi impugnatori, a partire dal gravame. Siffatto procedimento è, dunque, diretto a porre rimedio ad un vizio meramente formale della sentenza, derivante da divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l'intendimento del giudice e la sua esteriorizzazione, con esclusione di tutto ciò che attiene al processo formativo della volontà (Cass. VI, n. 3442/2022). Errore materiale è la discrasia tra ideazione del giudice e sua materiale rappresentazione grafica (Cass. I, n. 2815/2016), quello fatto palese dal semplice confronto fra le considerazioni, in fatto ed in diritto, contenute nella motivazione e la parte dispositiva del provvedimento che si pone su un piano distonico rispetto alla motivazione. Non lo è, invece, il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, laddove la contraddittorietà intrinseca della motivazione non consenta di comprendere la ratio decidendi che sorregga il decisum (Cass. III, n. 20977/2023). L'insanabilità del contrasto va esclusa laddove sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, ovvero dove sia possibile individuare ictu oculi il contenuto del dictum giudiziale, ma non nel caso in cui la statuizione del giudice non sia individuabile attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella decisione, determinando, sul punto, la nullità della pronuncia ai sensi dell'art. 156 c.p.c., comma 2 (Cass. sez. lav., n. 12716/2020). Sulla base di un'interpretazione estensiva della norma, è stata considerata integrare la nozione di omissione anche la carenza, in seno alla sentenza resa in sede di appello, dell'ordine di restituzione di quanto corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado riformata, limitatamente al caso di espressa richiesta restitutoria e assenza di alcuna forma discrezionale, in capo al Giudice, in ordine all'an ed al quantum della richiesta (Cass. III, n. 17664/2019), rispetto alla quale il procedimento di correzione è stato utilizzato in funzione integrativa, in ragione della necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale, a contenuto predeterminato o di carattere accessorio. La funzione integrativa del procedimento di correzione non può, tuttavia, spingersi al punto di consentire la liquidazione postuma delle spese di lite, omesse in sentenza, trattandosi di assenza di giudizio sull'attività difensiva di una delle parti (Cass. I, n. 21109/2014) a meno che l'omessa pronuncia sulle spese sia in evidenza riconducibile a mera svista del Giudice, che abbia determinato la mancata o inesatta estrinsecazione di un giudizio già svolto e desumibile dal contesto della motivazione, come nel caso in cui abbia espressamente previsto la regolamentazione delle spese secondo soccombenza, rinviando per la mera determinazione del quantum al dispositivo (Cass. III, n. 5266/1996). Costituiscono, viceversa, fattispecie emendabili con la procedura di correzione di errore materiale la mancata liquidazione nel provvedimento degli accessori di legge, così come l'omessa indicazione delle parti beneficiarie della liquidazione (Cass. I, n. 28323/2020). L'errore di calcolo, quale fattispecie specifica di errore materiale, dovrà consistere nella mera discrasia tra i parametri numerici, indicati in motivazione, e le risultanze aritmetiche rinvenute dall'operazione, non potendosi considerare tale l'errore causato dall'inesatta determinazione dei presupposti numerici del giudizio, come nel caso dell'indicazione di un concorso percentuale di colpa del danneggiato in sede di motivazione e la pretermissione di tale concorso in sede di dispositivo, trattandosi di vizio logico della motivazione, da farsi valere con gli ordinari mezzi di impugnazione (Cass. III, n. 795/2013). La norma, che nella sua formulazione originaria prevedeva la possibilità di esperire il procedimento di correzione avverso le “sentenze contro le quali non sia stato proposto appello” e le “ordinanze non revocabili”, è stata oggetto di interventi di rimaneggiamento da parte della Corte costituzionale e di interpretazione analogica ad opera della giurisprudenza di legittimità. La Corte costituzionale, con sentenza n. 335/2004, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo, limitatamente alle parole «contro le quali non sia stato proposto appello». In seguito alla parziale declaratoria di illegittimità costituzionale, pertanto, l'istanza di correzione va proposta al Giudice che l'ha pronunciata, anche se contro la pronuncia che si suppone erronea sia stato proposto appello, parallelamente al gravame (Cass. sez. lav., n. 25978/2015; Cass. I, n. 10334/2005), a meno che la rettifica dell'errore materiale compiuto dal Giudice di primo grado non sia contenuta in uno specifico motivo di impugnazione, eventualmente anche in via incidentale (Cass. VI, n. 683/2022). Nel caso in cui sia stato già proposto ricorso per cassazione avverso una sentenza viziata da errore materiale, l'istanza di correzione non può in alcun caso essere proposta dinanzi alla corte di legittimità, ma unicamente al Giudice di merito, a norma dell'art. 287 c.p.c. (Cass. sez. lav., n. 9968/2005). Quanto alla correggibilità di provvedimenti diversi dalla sentenza, accanto alle ordinanze non revocabili (compreso quelle rese dal Giudice dell'esecuzione, cfr. Cass. VI, n. 1891/2015) la giurisprudenza ha ritenuto passibili di correzione i decreti (per il decreto con il quale il tribunale adito, in sede di opposizione allo stato passivo, ha pronunciato sul ricorso a norma dell'art. 99, comma 11 l. fall., cfr. Cass. I, n. 19722/2015; per il decreto ingiuntivo, anche in pendenza di opposizione, cfr. Trib. Perugia II, 15 maggio 2020), e le ordinanze rese all'esito di un procedimento cautelare (Trib. Napoli III, 5 dicembre 2019). Sotto il profilo strettamente procedimentale, il successivo art. 288 c.p.c. delinea un doppio binario, a seconda che l'istanza di correzione dell'errore materiale sia congiuntamente proposta da tutte le parti del procedimento, all'esito del quale, o nell'ambito del quale, sia stato adottato il provvedimento da correggere o soltanto da una o più parti. Nel secondo caso, quello di cui qui si occupa, il giudice sarà tenuto all'instaurazione del contraddittorio con l'altra parte, provvedendo all'emissione di un decreto con il quale fisserà l'udienza di comparizione delle parti dinanzi a lui per la discussione sull'istanza, disponendo la comunicazione alla controparte, a cura del ricorrente, dell'istanza e del pedissequo decreto a norma dell'art. 170, comma 1 e 3, c.p.c. All'esito della discussione, con ordinanza da rendersi a verbale di udienza o fuori udienza (in tale ultimo caso da comunicarsi alle parti), laddove ritenga sussistenti i presupposti per la correzione, provvederà all'indicazione del nome, del numero, della parola o locuzione da inserire a fini correttivi, del relativo termine o cifra da sostituire in quanto erroneamente indicato, e della parte dispositiva o motiva nella quale la sostituzione andrà operata. L'ordinanza che definisce il giudizio, tanto che accolga quanto che respinga la relativa istanza, è impugnabile con il ricorso straordinario ex art. 111 Cost., qualora si deducano vizi attinenti alla stessa ordinanza ed essi assumano autonomo rilievo, in quanto riguardanti un punto sul quale quest'ultima abbia avuto carattere non solo decisorio, ma anche definitivo, perché funzionalmente estraneo alla correzione della sentenza oggetto dell'originaria istanza (Cass. II, n. 12966/2023). L'assenza della natura giurisdizionale e la natura eminentemente amministrativa della stessa, in una con lo svolgimento nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio ex art. 742-bis c.p.c. fa sì che il procedimento nel contraddittorio delle parti non debba concludersi con una pronuncia sulle spese dello stesso, mancando i presupposti richiesti dall'art. 91 c.p.c. per una siffatta pronuncia, ossia un provvedimento conclusivo di un procedimento contenzioso suscettibile di determinare una posizione di soccombenza (Cass. III, n. 26566/2023). Sul punto si registra, tuttavia, un contrasto giurisprudenziale atteso che, secondo altro orientamento, ove la parte non ricorrente si costituisca, resistendo all'istanza di correzione e questa venga disposta, deve provvedersi alla liquidazione delle spese di lite poiché, contrariamente a quel che avviene nel caso contrario, la parte, all'esito del procedimento, è divenuta tecnicamente, parte soccombente (Cass. I, n. 18221/2019). |