Istanza delle parti per la sospensione del processo (art. 296 c.p.c.)InquadramentoLa sospensione del processo è un fenomeno di arresto dell'iter processuale a causa di un determinato evento, che perdura sino alla cessazione di tale evento e trova disciplina generale negli artt. 295 e 296 c.p.c., rispettivamente disciplinanti la sospensione per pregiudizialità e quella per volontà comune delle parti. La sospensione su istanza delle parti può essere disposta dal Giudice, qualora ne facciano richiesta tutte le parti del giudizio, per un periodo massimo di tre mesi. FormulaTRIBUNALE DI ... [1] DOTT. ... R.G. ... VERBALE D'UDIENZA Oggi, ... , è comparso per parte attrice l'Avv. ... , nonché l'Avv. ... per parte convenuta, i quali rappresentano al Giudice che sono in corso trattative tra le parti per una risoluzione transattiva della vertenza. Al fine di portare a termine tali trattative chiedono congiuntamente che il presente procedimento venga sospeso per il termine massimo previsto dalla legge. il Giudice Istruttore dato atto di quanto sopra, ritenutane l'opportunità, accoglie la richiesta formulata dai procuratori delle parti sospendendo la presente causa per ... mesi e fissa per la prosecuzione del giudizio l'udienza del ... Il Giudice ... 1. Ai sensi dell'art. 296 c.p.c., su istanza di tutte le parti, ove sussistano giustificati motivi, il Giudice istruttore può disporre, per una sola volta, che il processo rimanga sospeso per un periodo non superiore a tre mesi, fissando l'udienza per la prosecuzione del processo medesimo. COMMENTOLa sospensione è vicenda anomala del processo di cognizione, disciplinata in via generale dal codice di rito, articolata in una duplice fattispecie: la sospensione necessaria per pregiudizialità (art. 295 c.p.c.) e quella su comune accordo delle parti (art. 296 c.p.c.). La sospensione su istanza di parte è disciplinata dall'art. 296 c.p.c., che condiziona l'adozione del provvedimento di sospensione, adottabile una sola volta e per un termine massimo di mesi tre, all'iniziativa di tutte le parti del processo, e alla valutazione della sussistenza dei giusti motivi da parte del Giudice. Il sistema precedente alla riforma ex lege n. 69/2009, con riferimento al potere giudiziale di disporre la sospensione, prevedeva l'utilizzo del verbo ausiliario, circostanza che aveva indotto la dottrina (Trisorio Liuzzi, La sospensione del processo civile di cognizione, Bari, 1987, 404) a sostenere che il Giudice, lungi dal limitarsi a prendere atto dell'accordo delle parti, dovesse comunque valutarne la convenienza sulla base dei motivi addotti. L'espresso condizionamento della sospensione volontaria alla valutazione di ricorrenza dei giustificati motivi, di cui all'odierna formulazione, sgombra il campo da dubbi in ordine alla necessità di allegare le ragioni in virtù delle quali si chiede che il processo rimanga sospeso, sia pure per il breve lasso temporale previsto dalla norma, ed alla sussistenza di un potere discrezionale, in capo al Giudice, che può condurre alla reiezione della richiesta nelle circostanze in cui non la ritenga supportata da valide ragioni. Le motivazioni che possono essere addotte sono le più varie e, normalmente, coincidono con quelle che giustificano, nella prassi, una o più richieste di rinvio della trattazione, come la pendenza di trattative, la necessità di valutare l'opportunità di abbandonare la causa o la sussistenza di pregiudizialità logica non integrante i requisiti di cui all'art. 295 c.p.c. (per un esempio di sospensione ex art. 296 c.p.c. in relazione alla pendenza di questione di legittimità costituzionale tra altre parti, cfr. Cass. I, n. 7580/2013). La valutazione giudiziale che può eventualmente condurre alla reiezione dell'istanza è, verosimilmente, ricollegabile alle determinazioni in ordine alla durata del processo. Così, ad esempio, dinanzi alla negazione dell'ennesimo rinvio in pendenza di trattative, le parti potrebbero determinarsi ad azionare l'istituto di cui all'art. 296 c.p.c. al fine di ottenere i medesimi effetti sostanziali ed il Giudice, appurata la scarsa concludenza delle trattative, potrebbe negare la misura, invitando le parti a dare impulso al procedimento. L'adozione di un provvedimento di sospensione può aver luogo una sola volta, al fine di evitare pratiche defatigatorie o dilatorie del processo, e il termine massimo di sospensione è di tre mesi. Nel disporre la sospensione il Giudice deve, inoltre, già provvedere alla fissazione dell'udienza deputata alla prosecuzione del processo, una volta compiuto il termine di sospensione, così da evitare le lungaggini connesse al farraginoso subprocedimento di riassunzione del processo interrotto. Durante il periodo di sospensione il processo entra in uno stato di quiescenza, caratterizzato dal divieto di compimento di atti procedimentali, come disposto dall'art. 298 c.p.c. La sospensione interrompe i termini in corso, i quali ricominciano a decorrere dal giorno della nuova udienza indicata nel decreto di fissazione di udienza a seguito di ricorso per riassunzione. Nelle ipotesi in cui il Giudice non abbia prefissato l'udienza per la prosecuzione del processo sospeso, troverà residuale applicazione l'art. 297 c.p.c. e le parti avranno l'onere di presentare istanza di prosecuzione nel termine di dieci giorni, da computare a ritroso a partire dalla scadenza del termine di sospensione. Trattandosi di termine ordinatorio, la presentazione di un'istanza tardiva, purché antecedente alla scadenza della sospensione, darà comunque corso alla prosecuzione del processo. L'ordinanza che dichiara la sospensione del processo, diversamente dal provvedimento che la neghi, è impugnabile con regolamento necessario di competenza ai sensi dell'art. 42 c.p.c. (Cass. VI, n. 14899/2022), che deve ritenersi applicabile anche alla fattispecie di sospensione volontaria (Cass. III, n. 671/2005). |