Domanda di condanna al risarcimento danni per responsabilità aggravata

Cristina Asprella

Inquadramento

La condanna per responsabilità aggravata da lite temeraria è prevista dall'art. 96, commi 1 e 2 c.p.c., comporta la condanna oltre che alle spese anche al risarcimento del danno.

La prima ipotesi prevede che il vincitore, ex art. 96, comma 1, possa chiedere al giudice della causa di merito non solo il rimborso delle spese, ma anche la condanna di controparte al risarcimento dei danni, se questi ha agito o resistito in mala fede o colpa grave.

La seconda ipotesi si riferisce ad iniziative processuali che possono arrecare immediato pregiudizio alla parte che le subisce. In sostanza il giudice può condannare anche al risarcimento del danno oltre che alle spese la parte se: a) venga dichiarata non la semplice soccombenza, ma addirittura l'inesistenza del diritto per cui è stata trascritta domanda giudiziale, iscritta ipoteca giudiziale, eseguito un provvedimento cautelare, iniziata o compiuta l'esecuzione forzata; b) l'attore o il creditore procedente che hanno agito senza la normale prudenza.

La domanda di risarcimento danni ex art. 96, commi 1 e 2 c.p.c. deve essere formulata necessariamente nel giudizio che si assume temerariamente iniziato o contrastato, non potendo essere proposta in via autonoma, riguardando un'attività processuale che come tale va valutata nel giudizio presupposto da parte del medesimo giudice, anche per esigenze di economia processuale e per evitare pronunce contraddittorie nei due giudizi (Cass. I, n. 32029/2019; Cass. III, n. 6550/2013). Se, tendenzialmente, questo appare l'orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità, è vero che alcune pronunce recenti hanno affermato, diversamente, che l'azione di risarcimento danni ex art. 96, commi 1 e 2 c.p.c. è proponibile in un giudizio separato ed autonomo, rispetto a quello in cui si è verificato l'abuso, ove il danneggiato alleghi e provi che tale scelta sia dipesa, non già da una sua mera inerzia, ma da un interesse specifico a non proporre la relativa domanda nello stesso giudizio che ha dato origine all'altrui responsabilità aggravata, interesse che deve essere valutato nel caso concreto per accertarne l'effettiva esistenza ed escludere che sia illegittimo o abusante (Cass. III, n. 19179/2018). Si è anche affermato che l'azione di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. non può, di regola, esercitarsi in un giudizio separato ed autonomo rispetto a quello da cui la responsabilità stessa ha origine, salvo che la sua proposizione sia stata preclusa per l'evoluzione propria dello specifico processo da cui detta responsabilità è scaturita, ovvero per ragioni non dipendenti dalla inerzia della parte (Cass. I, n. 10518/2016: nella specie, la ricorrente aveva proposto la domanda risarcitoria nel giudizio di opposizione all'esecuzione, poi rinunciandovi per non ostacolarne la rapida definizione e reiterandola in quello di opposizione a decreto ingiuntivo per paralizzare, almeno parzialmente, la domanda della controparte).

Questa regola, esposta con riferimento alle ipotesi di cui all'art. 96, comma 1 c.p.c., è stata riferita dalla giurisprudenza anche alle ipotesi del comma 2 della norma. Si è detto, al riguardo, che la richiesta di condanna per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell'art. 96, comma 2 c.p.c. per l'inizio o il compimento dell'esecuzione forzata in mancanza di titolo esecutivo, originaria o sopravvenuta, a seguito dell'accertamento dell'inesistenza del diritto di procedere in via esecutiva, può essere proposta soltanto al giudice del giudizio di merito nel quale il titolo esecutivo si è formato, ovvero dinanzi al giudice dell'opposizione all'esecuzione e non davanti al giudice dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass. III, n. 1590/2013). Con la precisazione che la domanda di risarcimento del danno derivato dall'incauta trascrizione di un pignoramento, ai sensi dell'art. 96, comma 2 c.p.c. può essere proposta in via autonoma solo se non sia stata proposta opposizione all'esecuzione, né poteva esserlo, ovvero quando, proposta opposizione all'esecuzione, il danno patito dall'esecutato sia insorto successivamente alla definizione di tale giudizio, e sempre che si tratti di danno nuovo ed autonomo e non mero aggravamento del pregiudizio già insorto prima della definizione del giudizio di opposizione all'esecuzione (Cass. III, n. 28527/2018).

La riforma 2022

La riforma effettuata con il d.lgs. n. 149/2022 aggiunge all'art. 96 c.p.c. un quarto comma per dare attuazione ai principi della legge delega. Questo nuovo comma contiene la previsione che, nei casi di responsabilità aggravata, come disciplinati dai commi 1, 2 e 3 della norma, è possibile comminare alla parte soccombente la sanzione pecuniaria determinata in una somma di denaro non inferiore a 500 Euro e non superiore a 5000 Euro, da versarsi a favore della cassa delle ammende, a compensazione del danno arrecato all'Amministrazione della Giustizia per l'inutile impiego di risorse speso nella gestione del processo. Le condanne previste dai commi 3 e 4 hanno funzione deterrente e sanzionatoria nei confronti dei ricorrenti che compiono attività processuali meramente defatigatori (Cass. I, n. 5390/2024).

Formula

PROCESSO VERBALE D'UDIENZA

All'udienza del ... chiamata per la precisazione delle conclusioni [1], sono presenti l'Avv. ... per l'attore Sig. ... e l'Avv. ... per il convenuto Sig. .... L'Avv. ... difensore del Sig. ..., convenuto, fa presente che l'attore ha chiesto la sospensione dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c. sulla base di allegazioni del tutto generiche e fornendo prove documentali totalmente carenti rispetto alla dimostrazione dei punti fondamentali della domanda proposta; è pertanto dimostrata la inesistenza del diritto di proprietà invocato sul bene pignorato sicché possono senz'altro ritenersi esistenti gli estremi della responsabilità per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.[2]. Di conseguenza

CHIEDE

all'Ill.mo Tribunale adito che, con la condanna del soccombente alla rifusione delle spese e dei compensi del presente giudizio, Voglia, altresì, ordinare che l'attore sia condannato al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., nella misura che l'Ill.mo Giudice adito riterrà opportuna [3].

1. La domanda di risarcimento danni per responsabilità per lite temeraria, poiché è una integrazione della domanda principale, può essere proposta per la prima volta anche in sede di precisazione delle conclusioni (Cass. III, n. 4911/2018; Cass. I, n. 22957/2012).

2. L'istanza è proponibile anche per la prima volta in appello se fa riferimento esplicito alla temerarietà del primo grado di giudizio o alla esecuzione senza la normale prudenza della sentenza di primo grado (Cass. II, n. 3610/1987). L'istanza di condanna per responsabilità aggravata ex art. 96, comma 1 c.p.c. può essere proposta anche nel giudizio di legittimità, purché essa sia formulata, a pena di inammissibilità, nel controricorso (Cass. II, n. 6792/2024).

3. Poiché il terzo comma dell'art. 96 c.p.c., inserito nel 2009, prevede una condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a carico del soccombente e può essere comminata dal giudice anche d'ufficio anche in carenza di una specifica domanda di parte (Cass. III, n. 3569/2024). Quanto al problema di un possibile cumulo con quella prevista dai primi due commi dell'art. 96 c.p.c., la giurisprudenza di legittimità ha affermato che non vi è alternatività ma cumulabilità tra le domande disciplinate dal primo e dal terzo comma della norma perché sono basate su presupposti parzialmente differenti (Cass. VI, n. 29812/2019; Cass. II, n. 27623; Cass. sez. trib., 4925/2013). Peraltro, secondo la Consulta non è fondata la questione di costituzionalità dell'art. 96, comma 3, c.p.c. nella parte in cui prevede che questa condanna sia pronunciata in favore dell'altra parte e non dello Stato (Corte cost. n. 152/2016).

COMMENTO

La riforma 2009 ha aggiunto un terzo comma all'art. 96 c.p.c. nel quale si prevede che il giudice, nel pronunciare sulle spese, può, in ogni caso, condannare d'ufficio il soccombente a pagare alla controparte una somma equitativamente determinata. Non si tratta di una nuova ipotesi di responsabilità per lite temeraria; è, invece, un istituto diverso caratterizzato dal potere discrezionale del giudice di irrogare una pena pecuniaria ex art. 279, al soccombente che ha tenuto un comportamento quanto meno incauto. In sostanza, qualora ricorrano gli estremi della responsabilità aggravata in una delle due ipotesi viste prima, il giudice, anche d'ufficio, può condannare il soccombente a pagare una somma, equitativamente determinata, in favore della controparte, indipendentemente dalla prova del danno da essa subito in conseguenza del comportamento del soccombente. Secondo la Consulta non è fondata la questione di costituzionalità dell'art. 96, comma 3, c.p.c. nella parte in cui prevede che questa condanna sia pronunciata in favore dell'altra parte e non dello Stato (Corte cost. n. 152/2016). La Suprema Corte ha ravvisato quale presupposto della fattispecie di responsabilità aggravata ex art. 96 comma 3 c.p.c. la mala fede o colpa grave, da intendersi quale espressione di scopi o intendimenti abusivi, ossia strumentali o comunque eccedenti la normale funzione del processo, i quali non necessariamente devono emergere dal testo degli atti della parte soccombente, potendo desumersi anche da elementi extratestuali concernenti il più ampio contesto nel quale l'iniziativa processuale s'inscrive (Cass. I, n. 18499/2024).

Con riferimento a questa previsione normativa non viene determinata (a differenza, come visto supra, del nuovo quarto comma inserito dalla riforma 2022), l'entità della sanzione comminabile, visto che la disposizione fa riferimento ad una somma “equitativamente determinata” dal giudice. La Suprema Corte, in relazione all'ammontare della somma ha affermato che il comma 3 dell'art. 96 c.p.c. disponendo che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una “somma equitativamente determinata”, non fissa alcun limite quantitativo, né massimo, né minimo, al contrario dell'art. 385, comma 4 c.p.c., che, prima dell'abrogazione ad opera della medesima legge, stabiliva, per il giudizio di cassazione, il limite massimo del doppio dei massimi tariffari. Pertanto, la determinazione giudiziale deve solo osservare il criterio equitativo, potendo essere calibrata anche sull'importo delle spese processuali o su un loro multiplo, con l'unico limite della ragionevolezza (Cass. VI, n. 21570/2012: nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito, che aveva condannato il soccombente a pagare una somma non irragionevole in termini assoluti e pari al triplo di quanto liquidato per diritti e onorari). Da ultimo la Cassazione ha affermato che la determinazione equitativa della somma dovuta dal soccombente alla controparte in caso di lite temeraria non può essere parametrata all'indennizzo di cui alla legge Pinto, – il quale, ha natura risarcitoria ed essendo commisurato al solo ritardo della giustizia, non consente di valutare il comportamento processuale del soccombente alla luce del principio di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c. laddove la funzione prevalente della condanna ex art. 96, comma 3 c.p.c. è punitiva e sanzionatoria –, potendo essere calibrata su una frazione o un multiplo delle spese di lite con l'unico limite della ragionevolezza (Cass. III, n. 17902/2019).

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