Ricorso per il riconoscimento della protezione internazionale

Giuseppe Buffone

Inquadramento

La formula ha ad oggetto modello giudiziale in materia di protezione internazionale.

L'art. 35-bis del d.lgs. n. 25/2008 è stato di recente sottoposto a diverse modifiche: da ultimo dall'art. 3, comma 1, lett. c), n. 2), d.l. n. 133/2023, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 176/2023.

Formula

TRIBUNALE DI ...

SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE, PROTEZIONE INTERNAZIONALE E LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DELL'UNIONE EUROPEA

RICORSO EX ART. 35-BIS, D.LGS. N. 25/2008[1]

(PROCEDIMENTO IN CAMERA DI CONSIGLIO. ART. 737 C.P.C.)

(CONTROVERSIA IN MATERIA DI RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE)

PER

Nome cognome ... (C.F. ...), nato il ..., in data ..., residente in ..., alla via ..., elettivamente domiciliato in ..., alla via ..., presso lo studio legale dell'Avv. ..., C.F. ..., del Foro di ..., che lo rappresenta e difende in forza di mandando alle liti esteso a margine del/in calce al presente atto; con dichiarazione di voler ricevere ogni comunicazione all'indirizzo di posta elettronica certificata ... ;

- parte ricorrente-

CONTRO

- parte resistente-

Oggetto: Decisione della Commissione di ..., emessa il ... notificata in data ...

ESPOSIZIONE DEI FATTI

(Esporre lo svolgimento dei fatti, gli estremi precisi del provvedimento, la data in cui è stato emesso e in cui è stato notificato; allegare ogni altro elemento fattuale rilevante)

...

IN DIRITTO

1. In via principale si richiede il riconoscimento dello status di rifugiato.

Lo status di rifugiato può essere riconosciuto allo straniero che abbia un ragionevole timore di poter essere, in caso di rimpatrio, vittima di persecuzione (art. 1, Conv. Ginevra 28 luglio 1951; v. l. n. 722/1954); in particolare, la condizione di «rifugiato» può essere accordata al cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese (art. 2, lett. d), Dir. 2011/95/UE; v. d.lgs. n. 8/2014); nell'esegesi dei testi, primaria importanza assume la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, poiché essa «costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati» e l'intera disciplina, inclusa quella europea, deve essere interpretata alla luce della medesima (Corte Giust. UE, 2 dicembre 2014, punto 45). Nel caso di specie ...

2. In via subordinata si richiede il riconoscimento dello status di beneficiario della protezione sussidiaria.

Il cittadino di un paese terzo o apolide può essere riconosciuto «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria» là dove non goda dei requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese (Art. 2, lett. f, Dir. 2011/95/UE). Nel caso di specie ...

Parte ricorrente propone istanza per la sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, poiché ricorrono le gravi e circostanziate ragioni di seguito indicate: ...

ISTANZA MOTIVATA PER LA FISSAZIONE DELL'UDIENZA (EVENTUALE)

(Art. 35-bis, comma 11, d.lgs. n. 25/2008)

Il richiedente presenta formale istanza affinchè il Tribunale voglia fissare l'udienza per l'audizione del richiedente, sulla base delle seguenti circostanze che mettono in risalto come la trattazione del procedimento in udienza sia essenziale ai fini della decisione: (indicare le circostanze).

Per tutti i motivi sopra esposti, attesa la natura della controversia, il ricorrente, come rappresentato e difeso,

CHIEDE

che, letto il ricorso, il Giudice voglia fissare con decreto l'udienza di comparizione delle parti, mandando alla Cancelleria di notificare il ricorso e il decreto di fissazione dell'udienza al Ministero dell'interno, presso la Commissione competente, e di comunicarli al pubblico ministero.

CONCLUSIONI

VOGLIA IL TRIBUNALE ADITO

1) In via preliminare, sospendere il provvedimento impugnato;

2) Accogliere il ricorso e, per l'effetto ... ;

3) Condannare ... alle spese e al compenso professionale, oltre accessori e rimborso forfetario in misura pari al 15%, da distrarsi ai sensi dell'art. 93 c.p.c.

INDICA

in modo specifico, i mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e ne chiede l'ammissione:

... ;

...

OFFRE

i seguenti documenti in comunicazione e ne chiede l'acquisizione.

... ;

...

Luogo e data ...

Firma Avv. ...

1. Per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell'art. 46 disp. att. c.p.c., si rinvia al d.m. n. 110/2023.

COMMENTO

La protezione internazionale si traduce nel riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria. Lo status di rifugiato può essere riconosciuto allo straniero che abbia un ragionevole timore di poter essere, in caso di rimpatrio, vittima di persecuzione (art. 1, Conv. Ginevra 28 luglio 1951; v. l. n. 722/1954); in particolare, la condizione di «rifugiato» può essere accordata al cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese (art. 2, lett. d), Dir. 2011/95/UE; v. d.lgs. n. 8/2014); nell'esegesi dei testi, primaria importanza assume la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, poiché essa «costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati» e l'intera disciplina, inclusa quella europea, deve essere interpretata alla luce della medesima (CGUE 2 dicembre 2014, punto 45). L'esame della domanda è svolto in «cooperazione» con il richiedente attraverso due fasi (CGUE, sentenza n. C-277/11, 2012, punto 64): la prima fase è dedicata all'accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda; la seconda fase è occupata dalla valutazione giuridica degli elementi di prova, che consiste nel decidere se, alla luce dei fatti che caratterizzano una fattispecie, siano soddisfatti i requisiti sostanziali per il riconoscimento di una protezione internazionale; l'una e l'altra fase mirano ad appurare l'esistenza di un concreto Fumus Persecutionis, quanto a dire il presupposto del rifugio politico (la sussistenza di atti di persecuzione, sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa, ai sensi dell'art. 15, paragrafo 2, della CEDU). Il dovere di cooperazione impone al Giudice di valutare se il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e se tutti gli elementi pertinenti in suo possesso siano stati prodotti e sia stata fornita una idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi (Cass. VI-1, n. 16201/2015; v., anche, Cass. VI-1, n. 14998/2015); il Giudice, pertanto, gode di poteri istruttori officiosi (Cass. VI-1, n. 7333/2015) e, a fini della decisione, può attingere alle informazioni contenute in documenti e rapporti elaborati da organizzazioni non governative (Trib. Milano I, 19 giugno 2012, est. M. Flamini); se per un verso nelle controversie attinenti al riconoscimento dello status di rifugiato politico deve ritenersi in via generale attenuato l'onere probatorio incombente sul richiedente, d'altra parte il richiedente protezione non è esonerato dalla prova. L'onere probatorio, deve dunque essere assolto seppur tenendo conto delle difficoltà connesse a volte ad un allontanamento forzato e segreto (Trib. Milano I, 15 maggio 2012, est. M. Flamini). Il cittadino di un paese terzo o apolide può essere riconosciuto «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria» là dove non goda dei requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese (Art. 2, lett. f), Dir. 2011/95/UE). Sono considerati “danni gravi”: a) la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale. Il requisito della individualità della minaccia deve essere inteso alla luce delle direttive interpretative enunciate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, secondo cui l'esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest'ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale e l'esistenza di una siffatta minaccia può essere considerata, in via eccezionale, provata qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti impegnate con una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenta sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire detta minaccia (CGUE, sentenza n. 17 febbraio 2009 nel procedimento C-465/07, Elgafaji); in questi sensi, anche la giurisprudenza interna (Cass. VI-1, n. 16202/2015). In materia di protezione internazionale dello straniero richiedente asilo politico, va anche annoverata la protezione c.d. umanitaria: essa, in realtà, esula dall'ambito degli istituti imposti dal diritto Ue trattandosi di misura di diritto interno; essa protezione non è nemmeno imposta dall'art. 10 della Costituzione che ha trovato attuazione nello Stato Italiano (ad oggi e allo stato) con l'introduzione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria. La protezione di tipo umanitario non incontra una puntuale definizione legislativa anche se, sotto il profilo dei requisiti necessari per il suo riconoscimento, può essere accostata ai permessi di natura umanitaria enucleabili dalla lettura coordinata del d.lgs. n. 286/1998, art. 5, comma 6 ed art. 19 (Cass. n. 6880/2011; Trib. Milano I, 24 marzo 2015); una giurisprudenza maggioritaria, ammette il richiedente alla protezione umanitaria allorché versi in una situazione di particolare vulnerabilità (Trib. Milano I, 18 febbraio 2014); in ogni caso, la cognizione è affidata alla giurisdizione del Giudice ordinario (Cass. S.U., n. 19393/2009). La protezione umanitaria, pur rispettando il principio di non refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, esula dal concetto stesso di protezione internazionale e riguarda persone per le quali è impossibile procedere a un rimpatrio per ragioni umanitarie. Pur non riconoscendo loro lo status di rifugiato, né rilevando elementi che consentano di attribuire la protezione sussidiaria, con la protezione di tipo umanitario si prende atto che un rinvio nel paese di origine o in un paese terzo comporterebbe la perdita delle opportunità di cura o di presa in carico che, invece, sono garantite in Italia. Un motivo tipico di forma protettiva umanitaria è la grave condizione di salute del richiedente, la quale porterebbe a conseguenze estreme a causa del rimpatrio. Ragione sufficiente per accordare la protezione per motivi umanitari è anche la (pur temporanea) situazione del Paese di provenienza che, seppur non attraversata da conflitti armati, si presenti come instabile e insicura al punto da rendere non solo possibili ma, invero, probabili, rischi concreti per la integrità psico-fisica del richiedente, in caso di rimpatrio.

Il d.l. n. 13/2017 ha rimeditato le scelte compiute dal Legislatore nel 2011 e ricondotto nuovamente le controversie in materia di protezione internazionale al rito camerale ex art. 737 c.p.c. Per l'effetto, l'art. 19, d.lgs. n. 150/2011 è stato abrogato e la nuova disciplina processuale è ora contenuta nell'art. 35-bis, d.lgs. n. 25/2008. È competente il Giudice del luogo in cui ha sede l'autorità che ha adottato il provvedimento impugnato; in particolare, è competente la Sezione Specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea.

Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente si trova in un Paese terzo al momento della proposizione del ricorso, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italiana. In tal caso l'autenticazione della sottoscrizione e l'inoltro all'autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedimento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. La procura speciale al difensore è rilasciata altresì dinanzi all'autorità consolare.

Nei casi di cui all'articolo 28-bis, commi 1 e 2, e nei casi in cui nei confronti del ricorrente è stato adottato un provvedimento di trattenimento ai sensi dell'articolo 6 del d.lgs. n. 142/2015, i termini previsti dal presente comma sono ridotti della metà.

Il ricorso è notificato, a cura della cancelleria, al Ministero dell'interno, presso la commissione o la sezione che ha adottato l'atto impugnato, nonché, limitatamente ai casi di cessazione o revoca della protezione internazionale, alla Commissione nazionale per il diritto di asilo; il ricorso è trasmesso al pubblico ministero, che, entro venti giorni, stende le sue conclusioni, a norma dell'articolo 738, comma 2, del codice di procedura civile, rilevando l'eventuale sussistenza di cause ostative al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.

Entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso, il Tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, con decreto che rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria. Il decreto non è reclamabile. La sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, di cui al comma 3, viene meno se con decreto, anche non definitivo, il ricorso è rigettato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche relativamente agli effetti del provvedimento cautelare pronunciato a norma del comma 4. Il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni trenta e decorre dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita. La procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima. In caso di rigetto, la Corte di cassazione decide sull'impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. Quando sussistono fondati motivi, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può disporre la sospensione degli effetti del predetto decreto, con conseguente ripristino, in caso di sospensione di decreto di rigetto, della sospensione dell'efficacia esecutiva della decisione della Commissione. La sospensione di cui al periodo precedente è disposta su istanza di parte da depositarsi entro cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione. La controparte può depositare una propria nota difensiva entro cinque giorni dalla comunicazione, a cura della cancelleria, dell'istanza di sospensione. Il giudice decide entro i successivi cinque giorni con decreto non impugnabile.

Con riferimento al principio della sospensione automatica in caso di procedura accelerata di riconoscimento della protezione internazionale, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, adite dal giudice di merito ai sensi dell'art. 363 bis c.p.c., hanno recentemente affermato il seguente principio di diritto: «in caso di ricorso giurisdizionale avente ad oggetto il provvedimento di manifesta infondatezza emesso dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale nei confronti di soggetto proveniente da Paese sicuro, vi è deroga al principio generale di sospensione automatica del provvedimento impugnato solo nel caso in cui la commissione territoriale abbia applicato una corretta procedura accelerata, utilizzabile quando ricorra ipotesi di manifesta infondatezza della richiesta protezione. In ipotesi contraria, quando la procedura accelerata non sia stata rispettata nelle sue articolazioni procedimentali, si determina il ripristino della procedura ordinaria ed il riespandersi del principio generale di sospensione automatica del provvedimento della commissione territoriale» (Cass. S.U., n. 11399/2024).

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