Intercettazione di comunicazioni

21 Febbraio 2025

Pubblichiamo la bussola che approfondisce le tipologie di intercettazioni, i casi e i divieti alla luce della più recente giurisprudenza e delle ultime novità legislative.

Inquadramento

Pur essendo uno strumento di indagine particolarmente invasivo, né il codice di procedura penale, né altra legge offrono una definizione d'intercettazione di conversazioni o di comunicazioni e tale mancanza è causa delle incertezze e degli equivoci che si registrano in materia.

La Corte costituzionale definì la libertà e la segretezza delle comunicazioni un “presidio…operante contro le intrusioni [sia] dei privati…[sia] dei pubblici poteri” [C. cost., 24 giugno 1970, n. 122 e C. cost., 27 aprile 1972, n. 77], ma ha pure riconosciuto che deve trovare protezione l'interesse “connesso all'esigenza di prevenire e reprimere i reati” attraverso la possibilità di una limitazione di tali libertà e segretezza [C. cost., 6 aprile 1973, n. 34].

La Consulta ha ribadito la definizione di intercettazione, unanimemente accolta, come l'«apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti, estranei al colloquio» (Cass. pen., sez. un., 28 maggio 2003, n. 36747, Torcasio), aggiungendo che, «affinché si abbia intercettazione debbono quindi ricorrere, per quanto qui più interessa, due condizioni». La prima è di ordine temporale: «la comunicazione deve essere in corso nel momento della sua captazione da parte dell'extraneus; questa deve cogliere, cioè, la comunicazione nel suo momento “dinamico”, con conseguente estraneità al concetto dell'acquisizione del supporto fisico che reca memoria di una comunicazione già avvenuta (dunque, nel suo momento “statico”)». La seconda condizione attiene, invece, alle modalità di esecuzione: «l'apprensione del messaggio comunicativo da parte del terzo deve avvenire in modo occulto, ossia all'insaputa dei soggetti tra i quali la comunicazione intercorre». La Consulta, perciò, distingue le intercettazioni – «le quali consistono in una attività prolungata nel tempo di captazione occulta di comunicazioni o conversazioni che debbono ancora svolgersi nel momento in cui l'atto investigativo è disposto» – dal sequestro di e-mail e messaggi WhatsApp che si attua con “l'acquisizione uno actu di messaggi comunicativi già avvenuti” [C. cost., n. 170/2023].

La definizione di intercettazione

La definizione prevalente in dottrina considera “intercettazione” la presa di conoscenza, operata clandestinamente da un terzo con l'impiego di mezzi meccanici o elettronici di captazione del suono, delle comunicazioni segrete attuate in forma diversa dallo scritto.

Similare anche la definizione offerta dalle S.U. Torcasio del 2003, secondo cui l'intercettazione consiste nella captazione, occulta e contestuale, di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l'intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da un soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato [Cass. pen., sez. un., 28 maggio 2003, Torcasio ed altro, in Cass. pen., 2004, 2094].

Sono caratteri dell'intercettazione, che servono a distinguerla da altri atti di indagine: attualità della comunicazione, contestualità della captazione, captazione occulta, terzietà del captante, segretezza della comunicazione, impiego di strumenti tecnici di percezione e registrazione del suono.

Deve anzitutto trattarsi di comunicazione, conversazione, corrispondenza o messaggio in corso tra due o più interlocutori o tra due o più dispositivi, quindi di contenuto comunicativo, anche con modalità asincrona, come avviene nella corrispondenza e-mail e nella messaggistica chat, cioè il messaggio e la risposta sono articolati in tempi diversi. Finchè la comunicazione non è stata letta dal destinatario deve ritenersi in corso e quindi può essere oggetto di intercettazione; una volta che il destinatario ne ha preso conoscenza, pur conservando il carattere della corrispondenza e quindi la tutela ex art. 15 Cost., può essere oggetto di sequestro.

Di conseguenza, la Corte di cassazione riconosce che i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un dispositivo elettronico conservano la natura di corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo o per altra causa, essi non abbiano perso ogni carattere di attualità, in rapporto all'interesse alla sua riservatezza, trasformandosi in un mero documento "storico" [Cass. pen., sez. VI, 11 settembre 2024, n. 39548]. È così superato il precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui secondo cui i messaggi WhatsApp, i messaggi di posta elettronica e la messagistica istantanea erano considerarsi alla stregua di documenti [Cass. pen., sez. VI, 16 marzo 2022, n. 22417, Rv. 283319 – 01].

Invece, la S.C. ha qualificato come prova documentale, costituente riscontro alle dichiarazioni della p.o., quella costituita dai cosiddetti screenshot registrati sul telefono cellulare o a video su un PC, rivelatori nella loro oggettività di elementi a carico dell'autore di un delitto. Nella specie, la S.C., ha rilevato come gli elementi acquisiti erano del tutto idonei a corroborare la versione della p.o., senza necessità di ulteriori accertamenti sulla loro provenienza, confermando la correttezza della prospettazione accusatoria e la conseguente responsabilità penale dell'imputato  (fattispecie in tema di reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572, commi 1 e 2, c.p., commessi ai danni della moglie e del figlio minorenne, nonché del reato di lesioni personali volontarie aggravate, commesso ai danni della moglie) [Cass. pen., sez. VI, 11 settembre 2024, n. 34273].

Carattere occulto della captazione rispetto ad almeno uno dei comunicanti, a differenza del sequestro che è atto palese e garantito.

Nel caso in cui uno dei partecipanti alle conversazioni sia a conoscenza dello svolgimento delle intercettazioni, regolarmente autorizzate dall'a.g. ed eseguite nelle forme di legge, il loro risultato è utilizzabile [Cass. pen., sez. I, 7 novembre 2007, Ditto, GI 2009, 195]. Il consenso di uno degli interlocutori non è sufficiente a rendere legittima l'intercettazione non autorizzata di una conversazione da parte di un terzo, in quanto anche la segretezza delle comunicazioni dell'ignaro interlocutore deve essere garantita [Cass. pen., sez. VI, 25 settembre 2014, n. 39771, Cass. pen. 2014, 1166, secondo cui, nell'ipotesi in cui si proceda ad intercettazione di conversazioni tra presenti ad opera della polizia giudiziaria è sempre necessaria l'autorizzazione del giudice anche se uno degli interlocutori ne è consapevole, in quanto la sua rinuncia alla riservatezza non rende lecita l'intercettazione ad opera di un terzo che è rimasto estraneo al colloquio. In senso contrario, Cass. pen., sez. IV, 19 giugno 2001, La Pietra, Guida dir., 2001, 41, 95, secondo cui il consenso da parte del legittimo destinatario di una comunicazione telefonica a che un terzo (nella specie, un appartenente alla p.g.] possa ascoltare liberamente il contenuto della comunicazione medesima colloca il fatto stesso al di fuori della disciplina delle intercettazioni telefoniche, dovendosi tale situazione equiparare alla “rivelazione” di una conversazione a opera di chi vi abbia preso parte, al di fuori, perciò, di quel controllo delle conversazioni e delle comunicazioni effettuato “a sorpresa”, che caratterizza l'intercettazione vera e propria. Si è affermato che l'utilizzabilità delle intercettazioni regolarmente autorizzate dall'a.g. ed eseguite nelle forme di legge non viene meno per la circostanza che uno dei partecipanti alle conversazioni sia a conoscenza dello svolgimento delle intercettazioni. In questo caso non opera, infatti, la sanzione di inutilizzabilità applicabile nella diversa fattispecie in cui la polizia guidi la registrazione del contenuto di colloqui privati da parte di uno degli interlocutori, con propri apparecchi che possano captarne il contenuto durante il loro svolgimento e consentirne l'ascolto diretto, così realizzando indirettamente una intercettazione di conversazioni senza la previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria [Cass. pen., sez. I, 12 dicembre 2007, D.G., CED 238488].

Contestualità della captazione rispetto alla comunicazione in atto, per cui l'intercettazione capta una comunicazione in corso cioè non ancora letta dal destinatario (mentre, una volta che il destinatario ne ha preso conoscenza, pur conservando il carattere della corrispondenza e quindi la tutela ex art. 15 Cost., può essere oggetto di sequestro, atto palese e differito rispetto all'intercettazione della comunicazione).

In passato, la giurisprudenza di legittimità affermava che la messaggistica, da corrispondenza scadrebbe a documentazione, non appena il destinatario ne avesse preso visione perché all'apertura del messaggio seguirebbe il venir meno della segretezza che involge la comunicazione (ex plurimis v. Cass. pen., sez. I, 1° luglio 2022, n. 34059; Cass. pen., sez. VI, 6 febbraio 2020, n. 12975, Cerioni). Ma la Corte costituzionale ha delimitato nettamente i confini tra le nozioni di “corrispondenza” e “documento”, due concetti dei quali finora si erano registrate diverse interpretazioni, spesso ampliando l'ambito del secondo e riducendo quello della prima, a discapito dell' “inviolabile” segretezza della corrispondenza, in spregio all'art. 15, comma 1, Cost.

La Consulta, nella sentenza n. 170/2023, inquadra il concetto di “corrispondenza”, ritenendolo “ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza”, secondo l'insegnamento della stessa Consulta, che aveva in passato già affermato che «la tutela accordata dall'art. 15 Cost. – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza «della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», consentendone la limitazione «soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge» – prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero, «aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata» (C. cost., n. 2/2023). La garanzia si estende, quindi, ad ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale (C. cost., n. 20/2017 e, già in precedenza, con riguardo agli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, C. cost., n. 1030/1988 e, sulla libertà del titolare del diritto di scegliere liberamente il mezzo con cui corrispondere, C. cost., n. 81/1993).

Terzietà del captante, per cui chi capta deve essere un terzo rispetto ai comunicanti (di conseguenza, la registrazione effettuata da uno dei partecipanti alla conversazione non rientra nel novero delle intercettazioni). Si  afferma perciò che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma  costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l'autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell'art. 234 c.p.p., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa [Cass. pen., sez. III, 10 novembre 2023, n. 10079/2024].

Segretezza oggettiva della comunicazione, che deve emergere oggettivamente dalle caratteristiche della stessa, cioè dal suo contenuto e dalle modalità con cui essa si svolge; pertanto, non è intercettazione ascoltare ciò che taluno comunica ad altri a voce alta o su onde radio.

Infine, impiego di strumenti tecnici di percezione e registrazione del suono o di acquisizione del messaggio, idonei ad acquisire e documentare il contenuto della comunicazione, per cui non sono intercettazioni, ad es., l'origliamento a orecchio nudo o l'ascolto di conversazioni o comunicazioni attuate mediante onde radio con l'uso di emittenti a irradiazione circolare.

Le fonti della disciplina

Diverse e importanti solo le fonti della disciplina in materia di intercettazioni.

L'art. 15 Cost., al comma 1, definisce “inviolabili” “la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”: ciò significa che in materia di comunicazioni le uniche limitazioni ammesse sono quelle legittimamente previste dalla legge. Il comma 2 prescrive che la loro limitazione può avvenire “soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria” (riserva di giurisdizione motivata) e “con le garanzie stabilite dalla legge” (riserva assoluta di legge statale).

L'art. 8 Conv. europea diritti dell'uomo garantisce ad ogni persona il “diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza” (comma 1). Per il comma 2 non può esservi “ingerenza della pubblica autorità” nell'esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia “prevista dalla legge” (riserva di legge convenzionale), mentre non è posta una riserva di giurisdizione, anche se la Corte eur. ha affermato la necessità che la legge preveda la possibilità del controllo sulla legittimità dell'intercettazione da parte di un giudice o di un organo indipendente (Corte e.d.u., sez. IV, 10 febbraio 2009, Iordachi e altri c/ Moldavia). Il comma 2 esige altresì che l'ingerenza costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria (principio di necessità dell'ingerenza, che comporta anche un principio di proporzionalità dell'ingerenza rispetto ai fini) per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui” (principio di tassatività e di legittimità dei fini). La Corte europea non ha invece mai affermato esplicitamente il principio di indispensabilità dell'intercettazione (codificato in Italia nell'art. 267 comma 1 c.p.p., che appunto prevede come condizione di legittimità la “assoluta indispensabilità” dell'intercettazione per la prosecuzione delle indagini o, per i reati di criminalità organizzata, la “necessità” per lo svolgimento delle indagini), per cui deve ricorrersi a questo mezzo di ricerca della prova come extrema ratio, cioè quando è impossibile raggiungere lo stesso risultato con mezzi meno invasivi.

L'art. 17 Patto internazionale sui diritti civili e politici stabilisce che «nessuno può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegittime nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a illegittime offese al suo onore e alla sua reputazione» (comma 1). Il comma 2 prevede che «ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze od offese» (riserva di legge convenzionale).

La Carta dei diritti fondamentali dell'U.E. (la c.d. Carta di Nizza), che ha lo stesso valore giuridico del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1.12.2009, tutela la segretezza sia delle comunicazioni sia dei dati esterni ad esse, prescrivendo all'art. 7 il rispetto della vita privata e della vita familiare, stabilisce che “ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni”, mentre l'art. 8 protegge i dati di carattere personale, garantendo che «ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o ad un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità competente».

Il secondo Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest, sottoscritto dall'Italia e in attesa della legge di ratifica, disciplina all'art. 7, nel contesto di indagini o specifici procedimenti penali, la procedura di cooperazione diretta tra le autorità competenti di uno Stato e un fornitore di servizi di telecomunicazione (Internet Service Provider) aventi sede principale o secondaria nel territorio di un altro Stato al fine di acquisire i c.d. subscriver data, cioè l'identificazione del titolare di un nome di dominio Internet.

La legge ordinaria (codice di procedura penale e leggi speciali), in attuazione del dettato costituzionale e convenzionale, indica in quali casi e modi può limitarsi la libertà e la segretezza delle comunicazioni e con quali garanzie (autorizzazione del giudice, diritto di difesa, tutela della privacy).

I tipi di intercettazione

Le intercettazioni si distinguono, a seconda della loro finalità, in preventive e processuali.

Le intercettazioni preventive hanno una funzione di pubblica sicurezza, cioè mirano alla prevenzione dei reati. Tre sono le disposizioni vigenti: artt. 226 disp. coord. c.p.p., 4 e 4-bis d.l. 27 luglio 2005, n. 144, conv. dalla l. 31.7.2005, n. 155 (Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale), mod. dall'art. 1, comma 684, l. 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025) e 78 (“Intercettazioni telefoniche”) d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136”.

                   

Le intercettazioni processuali hanno invece la funzione di consentire la prosecuzione delle indagini (artt. 266-271 c.p.p.oppure di agevolare le ricerche del latitante (art. 295, commi 3, 3-bis e 3-ter, c.p.p.)

I casi di intercettazione

L'art. 266 c.p.p. indica i casi in cui le intercettazioni sono ammesse. L'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione è consentita nei procedimenti relativi ai seguenti reati:

a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'articolo 4 c.p.p.;

b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'articolo 4 c.p.p.;

c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;

d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;

e) delitti di contrabbando;

f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia, o disturbo alle persone col mezzo del telefono.

f-bis) delitti previsti dall'articolo 600-ter, comma 3, c.p., anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1 del medesimo codice, nonché dall'art. 609-undecies.

f-ter) delitti previsti dagli articoli 444,473,474,515,516,517-quater c.p. e art. 633, comma 3, c.p.

f-quater) delitto previsto dall'articolo 612-bis c.p.

f-quinquies) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo.

Negli stessi casi è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti, che può essere eseguita anche mediante l'inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall'articolo 614 c.p., l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa.

L'intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. e, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l'utilizzo anche nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale, per i delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4 c.p.p.

I modi di intercettazione

Le intercettazioni possono essere di conversazioni o comunicazioni telefoniche, di altre forme di telecomunicazione o tra presenti (art. 266) oppure di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 266-bis).

L'art. 266, comma 2-bis, c.p.p. disciplina l'intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, stabilendo che “è sempre consentita” nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. e per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata ai sensi dell'art. 4 c.p.p.

Il captatore informatico opera ubicumque e persino per le intercettazioni ambientali che avvengono all'estero. Infatti, si ammette l'utilizzabilità dei risultati dell'intercettazione di conversazioni avvenute all'estero se il captatore è stato installato in Italia e la captazione, nei suo sviluppi finali e conclusivi è avvenuta in Italia, attraverso le centrali di ricezione facenti capo alla Procura della Repubblica, per cui la sola circostanza che le conversazioni captate siano state (in parte) eseguite all'estero per lo spostamento dell' apparecchio e del suo utilizzatore è ininfluente per ritenere la necessità della rogatoria, non potendosi, nel caso di intercettazione ambientale su strumento mobile conoscere tutti gli spostamenti, così vanificandosi le finalità del mezzo di ricerca della prova [Cass. pen., sez. II, 22 luglio 2020, Cerisano, n. 29362, CED 279815]. In definitiva, la giurisprudenza, anche dopo il recepimento della direttiva sull'O.E.I., continua a seguire la procedura dell'instradamento: Cass. pen., sez. I 1° marzo 2023, n. 20859; Cass. pen., sez. IV, 15 ottobre 2019, n. 49896, CED 277949; Cass. pen., sez. III, 26 settembre 2019, n. 47557, CED 277990; Cass. pen., sez. III, 10 maggio 2019, n. 38009, CED 278166. Si ribadisce l'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, effettuate senza rogatoria internazionale, di utenze che si trovano all'estero quando l'attività di captazione sia effettuata in Italia. L'intercettazione ambientale delle conversazioni che avvenga in una autovettura non necessita di rogatoria internazionale nel momento in cui l'autovettura si sposta all'estero. Finanche l'intercettazione ambientale a mezzo di captatore informatico, installato in Italia, non necessita di rogatoria internazionale nel momento in cui il device su cui è installato si sposta all'estero. Ne consegue che deve ritenersi che, a fortiori, anche nel caso del GPS, strumento di ricerca della prova meno invasivo dell'intercettazione telefonica o ambientale o di quella tramite captatore, se, lo stesso viene collocato nel territorio dello Stato su veicolo o altra cosa che poi successivamente si sposta all'estero, l'utilizzazione dei risultati del tracciamento degli spostamenti avvenuti all'estero non necessiti di rogatoria internazionale [Cass. pen., sez. I, .3.2023, n. 20859].

Sono tre le fasce di reati, in ordine di crescente gravità, che consentono l'intercettazione di comunicazioni tra presenti (che può essere in ambiente pubblico o in privata dimora) mediante installazione del virus trojan.

Anzitutto, la prima fascia riguarda il “regime ordinario”, cioè tutti i reati che possono definirsi “comuni”, nel senso che sono diversi da quelli di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p. e dai delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio contro la pubblica amministrazione, ma devono rientrare tra quelli di cui all'art. 266, comma 1, c.p.p. e quindi sono suscettibili di intercettazione (art. 266, comma 2 e 267, comma 1, ultimo periodo, c.p.p.). Per essi è richiesta non solo l'indicazione delle “specifiche ragioni” che rendono necessario il ricorso al captatore, ma per le captazioni nei luoghi di privata dimora, dal momento che in essi l'intercettazione è consentita solo se ivi sia in corso l'attività criminosa, il G.i.p. deve indicare anche «i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono» (art. 267, comma 1, ultimo periodo, c.p.p.).

La seconda fascia riguarda i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio contro la pubblica amministrazione, puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'art. 4 c.p.p., nel qual caso il G.i.p. deve dar conto non solo delle “specifiche ragioni” che impongono l'impiego del captatore, ma anche di quelle che ne giustificano l'utilizzo pure nei luoghi di privata dimora (ad es., per il fondato motivo di ritenere che ivi sia in corso l'attività criminosa o altro ragionevole motivo) (art. 266, comma 2-bis, ultimo periodo, c.p.p.).

La terza fascia riguarda i reati più gravi, cioè i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., nei cui procedimenti l'intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile  “è sempre consentita” e quindi occorre soltanto la motivazione sulle “specifiche ragioni” che rendono indispensabile il ricorso al captatore; non occorre invece  motivazione, anche se la captazione avviene nei luoghi di privata dimora, sull'attività criminosa in atto e nemmeno la previa determinazione da parte del G.i.p., nel provvedimento autorizzativo, dei luoghi e del tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono (art. 267, comma 1, terzo periodo, c.p.p.).

In questo modo il captatore informatico è divenuto strumento operativo ordinario per la ricerca della prova in materia non solo di criminalità organizzata, terrorismo e delitti contro la pubblica amministrazione, ma di tutti i reati suscettibili di intercettazione.

In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni mediante installazione di un captatore informatico (Trojan), la riforma introdotta dal d.lgs. n. 216/2017 si applica a far data dal 1.9.2020, con la conseguenza che i procedimenti in materia di criminalità organizzata iscritti anteriormente a tale data sono soggetti alla disciplina precedentemente in vigore, nel rispetto dei principi affermati dalla sentenza Cass. pen., sez. un., “Scurato” 28 aprile 2016, n. 26889.

L'intercettazione per la ricerca del latitante

L'art. 295, commi 3 e 3-bis, c.p.p. consente l'intercettazione a fini di ricerca del latitante.

I presupposti per l'autorizzazione sono la previa dichiarazione di latitanza e la necessità di ricorrere all'intercettazione per agevolare le ricerche del latitante. La Corte di cassazione sostiene che qualora un ordine di carcerazione non possa essere eseguito per irreperibilità del condannato, non è necessaria una formale dichiarazione di latitanza ai sensi dell'art. 295, comma 2, c.p.p. L'art. 295, comma 3, c.p.p. consente l'intercettazione per la ricerca del latitante in qualsiasi stato e grado del procedimento o del processo di merito. La giurisprudenza afferma che deve ritenersi possibile disporre, ex art. 295, commi 3 e 3-bis, c.p.p. intercettazioni di conversazioni o comunicazioni anche per agevolare la cattura di persona condannata con “sentenza definitiva” e resasi latitante a ordine di esecuzione.  Si ammette l'intercettazione a fini di ricerca del latitante anche nel processo di esecuzione, affermando che esse devono essere autorizzate - eccetto i casi di urgenza, in cui il P.M., salvo convalida, può agire direttamente - dal giudice dell'esecuzione, individuato a norma dell'art. 665 c.p.p., come si evincerebbe dal rinvio, operato dall'art. 295, alle “modalità” previste dalle norme che disciplinano il ricorso allo strumento captativo nelle indagini preliminari e considerato, altresì, che anche nella fase esecutiva non vengono meno le esigenze di garanzia della libertà e riservatezza delle comunicazioni con riferimento sia alla persona sottoposta al provvedimento che ad una non preventivamente determinabile pluralità di soggetti estranei al rapporto esecutivo.

La giurisprudenza considera utilizzabile il contenuto di intercettazioni disposte per la cattura dell'imputato latitante nel processo di favoreggiamento personale a carico di chi l'abbia aiutato a sottrarsi alle ricerche dell'autorità. Si ribadisce che i risultati delle intercettazioni disposte per agevolare le ricerche di latitanti possono essere utilizzati a fini probatori, stante l'espresso rinvio, operato dall'art. 295, comma 3, c.p.p. all'art. 270 c.p.p., rinvio che ha un senso solo se riferito al co. 1 di tale articolo, relativo all'utilizzabilità probatoria in altri procedimenti.

L'intercettazione a fini di ricerca del latitante è ammessa «nei limiti e con le modalità» previste dagli artt. 266 e 267 c.p.p. (art. 295, comma 3, c.p.p.). Ciò significa che anche a questa intercettazione è assicurata dalla legge, in attuazione dell'art. 24 comma 2 Cost., la stessa tutela prevista per quelle eseguite per la prosecuzione delle indagini. Perciò, nei casi di cui all'art. 266 c.p.p. è necessaria l'autorizzazione del giudice con decreto motivato, a richiesta del P.M. Rientra nelle attribuzioni del G.i.p., e non del giudice dell'esecuzione, il potere di disporre le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni per la ricerca del latitante, che volontariamente si sottrae ad un ordine di carcerazione, nel caso in cui lo stato di latitanza dia al contempo rilievo a finalità di natura squisitamente investigativa (la Corte ha chiarito che tali finalità investigative, tipiche della fase delle indagini preliminari, sussistono quando lo strumento intercettativo è utilizzato non soltanto per consentire l'esecuzione dell'ordine di carcerazione, ma anche per l'acquisizione di elementi informativi volti a ricostruire, sia pure nel quadro e per l'attivazione delle ricerche del latitante, dimensioni associative, fatti e responsabilità riconducibili al gruppo criminale che, secondo l'ipotesi investigativa, favorisce la latitanza).

I divieti di intercettazione

Disposizioni speciali vietano l'intercettazione di comunicazioni o conversazioni.

Essa è vietata nei confronti del Presidente della Repubblica (ex art. 7 comma 3 l. 6 maggio 1989 n. 219, per cui le intercettazioni sono ammesse soltanto dopo «che la Corte costituzionale ne abbia disposto la sospensione della carica»), del parlamentare italiano (art. 68 commi 2 e 3 Cost. e artt. 1 ss. l. 20 giugno 2003 n. 140, per cui le intercettazioni sono ammesse solo a seguito dell'autorizzazione della Camera di appartenenza) ed europeo (l. 3 maggio 1966 n. 437 e artt. 1 e 2 l. 6 aprile 1977 n. 150, che hanno introdotto nel nostro sistema l'art. 10 c. 1 lett. a del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee), del giudice costituzionale (art. 3 comma 2 l. cost. 9 febbraio 1948 n. 1, mod. dall'art. 7 l. cost. 22 novembre 1967 n. 2), del presidente del Consiglio dei ministri e dei ministri, anche se cessati dalla carica, per i reati ministeriali (art. 10 comma 1 l. cost. 16.1.1989 n. 1, coord. con l'art. 1 comma 4 l. 5.6. 1989 n. 219), degli appartenenti ai servizi di sicurezza (art. 270-bis c.p.p.), dei difensori, degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari (art. 103 comma 5). Anche la Corte e.d.u. riconosce che le garanzie poste al fine di salvaguardare il rapporto di confidenzialità dell'avvocato con il proprio cliente e tutelare così la buona amministrazione della giustizia devono essere estese anche agli avvocati che esercitano la propria attività in modo occasionale al fine di non incorrere in una violazione dell'art. 8 CEDU [Corte EDU, sez. V 21 gennaio 2010, Xavier Da Silveira c./Francia, Guida Dir., 2010, 7, 96, in un'ipotesi di perquisizione nello studio del difensore].

Per quanto riguarda il difensore era controverso se il mandato difensivo, che comporta il divieto di intercettazione, dovesse essere esercitato nello stesso procedimento nel quale l'intercettazione è stata disposta oppure anche in altri. Le SU della S.C., in tema di perquisizioni, hanno affermato che «la difesa è salvaguardata sia se concerne il procedimento nel quale è stata disposta l'intercettazione, sia se concerne un altro procedimento, senza differenziare il trattamento di un'ipotesi dall'altra, anche perché sul piano costituzionale un trattamento diverso non potrebbe trovare convincente giustificazione» [Cass. pen., sez. un., 14 gennaio 1994, Grollino, in Cass.pen., 1994, 910], richiamando il chiarimento emergente dalla Relazione al progetto preliminare, e cioè che il divieto «non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste quelle qualifiche e per il solo fatto della qualifica, ma soltanto le conversazioni che attengono alla funzione esercitata», aggiungendo che «anche nella disciplina delle intercettazioni è salvaguardata la difesa e non viene apprestato un privilegio […] nei confronti degli appartenenti ad una categoria professionale». Con un'altra pronuncia in pari data, le Sezioni Unite, questa volta in tema di sequestro presso i difensori, hanno ribadito che nella lettera dell'art. 103 non vi sono indicazioni per ritenere che le garanzie previste siano destinate ad operare solo per gli atti di ricerca della prova compiuti nel procedimento in cui è svolta l'attività difensiva; né questa limitazione può dirsi implicita nel fatto che quando il codice si riferisce ai difensori si rivolgerebbe a quelli del procedimento in cui è compiuto l'atto considerato. Le S.U. aggiunsero che se si considera la funzione delle garanzie dell'art. 103 ci si convincerebbe che sarebbe irragionevole una differenziazione di disciplina a seconda del procedimento nel quale vengono compiuti gli atti che incidono sul rapporto tra parte e difensore, perché se occorre evitare interferenze in questo rapporto, presa di cognizione di notizie o di atti tutelati con il segreto (artt. 200 e 256 c.p.p.) e sequestro di carte e documenti relativi all'oggetto della difesa, diversi da quelli che costituiscono corpo del reato (art. 103 comma 2, c.p.p.), l'esigenza si presenta con uguali caratteristiche per gli atti compiuti nello stesso procedimento in cui si svolge il rapporto difensivo e per quelli compiuti in altri procedimenti [Cass. Pen. sez. un., 4 gennaio 1994, De Gasperini, Cass. pen., 1994, 914]. Tale interpretazione è stata poi seguita dalle sezioni semplici della Suprema Corte, che hanno ribadito come il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata, in quanto la ratio della regola posta dall'art. 103 va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa [Cass. pen., sez. II, 29 maggio 2014, n. 26323, Cass. pen., 2015, p. 1167]. Nel senso che, in tema di garanzie di libertà dei difensori il divieto di intercettazione di cui all'art. 103 comma 5 opera anche nel caso in cui l'attività difensiva concerna un procedimento diverso da quello cui le intercettazioni atterrebbero; tale divieto invece non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi rivesta la qualità di difensore e per il solo fatto di tale qualifica, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata; a tale fine non occorre necessariamente un atto di nomina del difensore secondo il precetto dell'art. 96, potendo rilevare, al contrario, anche un atto di nomina non canonizzato nel modello suddetto, soprattutto nei casi in cui nessuna iniziativa sia stata avanzata dall'ufficio procedente [Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 2003, Favi, Guida Dir., 2003, 26, 78, che precisa pure come le eccezioni previste dall'art. 103 al comma 1 lett. a) e b), al comma 2 ultima parte e al comma 6 ultima parte, non riguardano le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, per le quali vige il divieto assoluto di cui al comma 5 dello stesso art. 103 c.p.p. relativo a tutte le conversazioni, anche concernenti un procedimento diverso da quello riguardato dalle intercettazioni, attinenti alla funzione esercitata. Si è affermato che il divieto di utilizzazione stabilito dall'art. 271, comma 2, c.p.p. sussiste ed è operativo quando le conversazioni o le comunicazioni intercettate, anche se indirette, siano pertinenti all'attività professionale svolta dai soggetti indicati nell'art. 200, comma 1, c.p.p., ancorchè non formalizzata in un mandato e riguardino, di conseguenza, fatti conosciuti in ragione della professione da questi esercitata (Cass. pen., sez. V, 24 giugno 2021, n. 31548). È ovvio invece che la conversazione tra difensore e imputato debba presumersi attinente al mandato ricevuto e quindi sia inviolabile, con conseguente divieto di intercettazione, salvo prova contraria emergente aliunde il contenuto della comunicazione sia estraneo alla difesa.

Si precisa che i divieti e le limitazioni stabiliti dall'art. 103 c.p.p. per gli atti ivi menzionati debbono ritenersi operanti con riguardo non solo ai soggetti che esercitano attività defensionale nel procedimento nell'ambito del quale si collocano gli atti predetti, ma a tutti coloro che, debitamente iscritti negli albi professionali, abbiano assunto difese in qualsivoglia altro procedimento [Cass. pen., sez. VI, 7 agosto 1995, Lombardo, Arch. Nuova Proc. Pen., 1995, 863; nello stesso senso Cass. pen., sez. V, 7 giugno 1997, Spinapolice, Cass. pen., 1998, 840, nonché, sia pure come obiter dictum, Cass. pen., sez. II, 12 giugno 1997, Acampora, ivi, 1998, 842; nello stesso senso, in tema di intercettazioni, Cass. pen., sez. VI, 24 maggio 2001, Ghini, Cass. pen., 2001, 3456, e da ultimo, in tema di perquisizione nell'ufficio del difensore, Cass. pen., sez. VI, 18 maggio 2001, p.m. in c. De Mari, Dir. Pen. e Proc. 2001, 876, che estende le garanzie al difensore che ha assunto la difesa di qualsiasi parte privata (non solo quindi dell'indagato o imputato) sia nel procedimento de quo che in altri procedimenti]. L'interpretazione restrittiva di difensore nello stesso procedimento è stata però ripetutamente ripresa, pur dopo l'intervento delle Sezioni Unite, dalle sezioni semplici della Corte di cassazione e dalla giurisprudenza di merito [Cass. pen., sez. II, 3 maggio 1995, Scialpi, Cass. pen., 1996, 2244 (in tema di perquisizioni); nonché Cass. pen., sez. VI, 2 novembre 1998, Archesso, Guida Dir., 1999, 12, 87. V. pure Cass. pen., sez. V, 20 marzo 2003, Ricciotti, Guida Dir., 2003, 22, 73, secondo cui il divieto di intercettazione di cui all'art. 103 comma 5, pur non riguardando indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi rivesta la qualità di difensore e per il solo fatto di tale qualifica, certamente riguarda le conversazioni che attengono alla funzione esercitata. Ne deriva che la sanzione di inutilizzabilità di cui all'art. 107, comma 7, c.p.p. non presuppone l'esistenza di una nomina formale del difensore, a norma dell'art. 96 c.p.p., ma dipende esclusivamente dalla natura della conversazione intercettata, così come verificabile anche a posteriori (fattispecie nella quale è stata così ritenuta l'inutilizzabilità delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche intercorse tra il ricorrente e il difensore da lui nominato in funzione preventiva a norma dell'art. 391-nonies  c.p.p.). Nel senso che il disposto dell'art. 103, in forza del quale non è consentita l'intercettazione relativa a conversazioni o comunicazioni del difensore, implica soltanto che, per acquisire elementi di prova contro la persona sottoposta a indagini, il p.m. non può intercettare il difensore, nel senso che il controllo a carico di costui è illegittimo quando costituisce uno strumento per investigare nei confronti dell'assistito. È pacifico, invece, che quando sia egli stesso indagato, il professionista non può godere di alcuna particolare prerogativa: Cass. pen., sez. VI, 2 settembre 2005, p.m. in proc. Romeo, Guida Dir., 2005, 39, 97].

È in ogni caso vietata la registrazione di colloqui tra l'imputato detenuto e il suo difensore (art. 35 comma 5 disp. att. c.p.p.), nonché nei confronti della persona rispetto alla quale l'autorizzazione a procedere è necessaria, salvo che questa sia colta nella flagranza di uno dei delitti ad arresto obbligatorio (art. 343 commi 2 e 3). La giurisprudenza ritiene illegittima e penalmente rilevante l'intercettazione operata da un coniuge nei confronti dell'altro [Cass. pen., sez. V, 11 febbraio 2003, Zerardi, Dir. e Giust., 2003, 17, 42 ss.]. La Corte di cassazione afferma costantemente il principio secondo cui il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata, in quanto la ratio della regola posta dall'art. 103 c.p.p. va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa; ne consegue che, con specifico riguardo alla intercettazione di un colloquio tra l'indagato ed un avvocato, legati da uno stretto rapporto di amicizia, per l'utilizzabilità è necessario che il giudice del merito debba valutare: a) se quanto detto dall'indagato fosse finalizzato ad ottenere consigli difensivi professionali o non costituisse piuttosto una mera confidenza fatta all'amico; b) se quanto detto dall'avvocato avesse natura professionale oppure consolatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute [Cass. pen., sez. II, 30 maggio 2018, n. 24451; per un precedente conforme v. Cass. pen., sez. II, 18 giugno 2014, n. 26323].

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