Ma il segreto investigativo prevale sempre sul diritto di difesa?

03 Marzo 2025

Interessante questione posta all'attenzione della Corte di cassazione, che l'ha risolta in maniera piuttosto opinabile.

Il quesito riguarda l'utilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte in un diverso procedimento delle quali il pubblico ministero aveva segretato in parte la motivazione dei decreti di autorizzazione, impedendo ai difensori, nel giudizio abbreviato, di valutare la legittimità e l'utilizzabilità di tale mezzo di ricerca della prova. Solo nel giudizio d'appello erano stati prodotti i decreti integrali e solo allora i difensori avevano potuto valutare la legittimità dei decreti autorizzativi delle intercettazioni importate dal diverso procedimento. 

I motivi di ricorso e la decisione della Corte di cassazione

Con il ricorso per cassazione i difensori degli imputati avevano dedotto l'eccezione di inutilizzabilità e/o nullità dei risultati delle intercettazioni disposte in altri procedimenti ed utilizzate ex art. 270 c.p.p. come prove a carico degli imputati per il fatto che i decreti di autorizzazione di tali intercettazioni erano privi di motivazione perché omissata ai sensi dell'art. 329, comma 3, c.p.p., ragion per cui le difese degli imputati, nel corso del giudizio di primo grado, svoltosi con il rito abbreviato, non erano state messe in grado di valutare la legittimità dei decreti autorizzativi, divenuti del tutto ostensibili (anche con i motivi in precedenza soggetti ad omissis) solo nel giudizio di appello a seguito della produzione effettuata dalla Procura generale. In altre parole, le difese lamentavano, sotto diversi profili, la compressione del diritto di difesa, quantomeno nel giudizio abbreviato, in relazione alle prove acquisite da altri procedimenti penali, che sarebbero state decisive ai fini della sentenza di condanna, a nulla valendo la successiva produzione in appello in quanto tardiva rispetto ai termini per la produzione di atti nel giudizio abbreviato. Ma i giudici di primo e secondo grado avevano rigettato la questione, in ossequio al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui «l'obbligo di deposito, a pena di inutilizzabilità, contestualmente all'avviso di conclusione delle indagini preliminari, degli atti relativi alle intercettazioni telefoniche effettuate nel corso delle indagini preliminari a carico dell'imputato trova espresso riconoscimento normativo nell'art. 268, commi 4, 5 e 6, c.p.p., incontrando un limite nell'esercizio legittimo del potere di secretazione degli atti attribuito all'organo inquirente dall'art. 329, comma 3, c.p.p. nei casi in cui l'ostensione al difensore dell'indagato dei risultati dell'attività  captativa sia idonea a pregiudicare altre indagini ancora in corso nei confronti di altri soggetti o dello stesso imputato, ma per altri reati, in relazione ai quali le investigazioni non siano ancora concluse e risultino tuttora  soggette all'obbligo del sequestro» (Cass. pen., sez. I, 5 luglio 2016, n. 22164/2017, Rv. 270261-01). La possibilità di secretare singoli atti, attribuita espressamente all'organo inquirente dall'art. 329, comma 3, c.p.p. a tutela della segretezza delle indagini in corso esclude in radice che si sia in presenza di prove assunte in violazione di legge, risultando perciò infondata sotto questo profilo l'eccezione di inutilizzabilità del contenuto delle intercettazioni indicate dai ricorrenti che, senza dubbio, furono autorizzate legittimamente nei diversi procedimenti penali in cui furono disposte e del resto – osserva la Corte – le difese non hanno mai eccepito che si trattasse di intercettazioni inutilizzabili perché non autorizzate o effettuate fuori dei casi previsti dalla legge.

La Corte di cassazione esclude anche la sussistenza di profili di nullità ex art. 178, lett. c) c.p.p., in particolare per l'inosservanza delle norme che consentono ai difensori di verificare la legittimità delle intercettazioni disposte in altri procedimenti e quindi di valutare le motivazioni dei relativi decreti di autorizzazione in quanto nel giudizio di appello le difese hanno potuto vagliare i decreti autorizzativi in precedenza omissati senza però eccepire in quella sede alcuna violazione delle norme processuali in materia di intercettazioni. Le deduzioni poste dalle difese sono perciò infondate anche in ragione del fatto che la pienezza del diritto di difesa si era “riespanso” nel giudizio d'appello.

Infine, la riproposizione della questione in sede di ricorso per cassazione non è stata accolta perché i ricorrenti non hanno dedotto un interesse processuale meritevole di tutela, giacchè, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, “il riconoscimento del diritto al gravame è subordinato alla presenza di un interesse immediato, concreto ed attuale a rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale di cui si contesta la correttezza ed a conseguire un'utilità, ossia una decisione dalla quale derivi per il ricorrente un risultato più vantaggioso (v. per tutte, Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2011, n. 6624/2012, Marinaj, Rv. 251693-01).

La sentenza conclude perciò affermando che le intercettazioni furono autorizzate legittimamente e, in parte, secretate ai sensi dell'art. 329, comma 3, c.p.p. e la piena discovery delle motivazioni dei decreti di autorizzazione delle intercettazioni è poi avvenuta nel corso del giudizio d'appello. La Corte osserva che, se anche i difensori degli imputati avessero potuto accedere, già nel corso del giudizio abbreviato, ai decreti autorizzativi senza gli omissis, essi, tuttavia, non avrebbero potuto sollevare alcuna eccezione accoglibile relativamente alla legittimità delle intercettazioni stesse, poiché esse erano state autorizzate nei limiti fissati dal codice di rito ed acquisite nel rispetto dell'art. 270 c.p.p., e, infatti, all'esito della pur tardiva discovery,  nessuna doglianza è stata in proposito formulata. Secondo la Corte, le eccezioni difensive risultano pertanto sollevate in assenza di un effettivo interesse processuale, cioè di un concreto interesse volto a rimuovere una situazione di pregressa illegalità processuale, e devono quindi essere rigettate.

Osservazioni critiche

Va osservato, anzitutto, che spetta al pubblico ministero l'onere della prova che dimostri, come richiede l'art. 329, comma 3, lett. a), c.p.p., la “necessità per la prosecuzione delle indagini”, nonché che “la conoscenza dell'atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone”, prove che dalla sentenza non risultano se non apoditticamente affermate mentre dovrebbero essere accertate.

Inoltre, la disposizione dell'art. 329, comma 3, c.p.p. è disposizione che sembra dettata a tutela delle indagini a carico di altre persone nello stesso procedimento ed essendo una disposizione eccezionale, non può essere estensivamente applicata a procedimenti diversi, come accaduto nella fattispecie in esame.

Ma soprattutto, viene da domandarsi, in linea di principio, se sia corretto che il potere di segretazione disposto in un procedimento a carico di un indagato impedisca sempre e comunque l'esercizio del diritto di difesa di un altro imputato in un diverso procedimento. L'interpretazione operata dalla Corte di cassazione nella sentenza in commento risulta irragionevole e in contrasto con il diritto di difesa e quindi con l'art. 24, comma 2, Cost. perché finisce con il ritenere, sempre e comunque, subvalente il diritto di difesa rispetto al segreto investigativo, mentre, come è noto, la Corte costituzionale nella sentenza n. 336/2008 ha affermato che il diritto di difesa prevale sulle esigenze dell'indagine e quindi il difensore ha diritto ad ottenere la trasposizione su idoneo supporto del contenuto delle comunicazioni o conversazioni intercettate ed utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate. È vero che la Consulta ha esaminato una fattispecie concreta in cui l'indagato era sottoposto a misura cautelare personale e quindi era in gioco la sua libertà personale, ma il diritto di difendersi in giudizio non è certo da meno, anzi è l'essenza dell'art. 24, comma 2, Cost., e perciò non sembra che possa essere obliterato dal segreto investigativo su indagini riguardanti altre persone.  

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