Memoria nel procedimento di reclamo cautelare contro il provvedimento di diniego dell'inibitoria all'appropriazione del beneInquadramentoL'art. 1 del d.l. n. 59/2016 ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del pegno mobiliare non possessorio, che si “svincola” dal tradizionale requisito dello spossessamento e che assume, pertanto, natura convenzionale e non reale. È consentito al debitore (o al terzo datore) proporre opposizione, entro cinque giorni dalla notifica dell'atto di intimazione, con ricorso nelle forme proprie del procedimento sommario di cognizione, di cui agli artt. 702-bis/702-quater c.p.c., ossia, deve ritenersi, dopo la riforma realizzata dal d.lgs. n. 149/2022, nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. Mediante l'opposizione possono essere dedotti gravi motivi per richiedere un'inibitoria, con provvedimento d'urgenza, degli effetti dell'atto di intimazione. Nell'esemplificazione proposta, il creditore replica al reclamo cautelare proposto dal debitore a fronte del diniego del provvedimento di inibitoria. FormulaMEMORIA DIFENSIVA Per ..., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso come in atti; - resistente in sede di reclamo - CONTRO Per ..., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa come in atti; - reclamante- PREMESSO CHE 1. con reclamo depositato in data ..., la società debitrice ... ha lamentato che mediante ordinanza in data ... il giudice monocratico del procedimento sommario R.G. ... (di opposizione all'atto di intimazione notificato all'istante dalla società ..., in ragione dell'assunto inadempimento alle obbligazioni assunte con il contratto stipulato in data ..., per l'importo complessivo di Euro ..., avente garanzia sul macchinario ..., utilizzato dalla stessa società ..., ai fini della produzione, pegno cd. senza spossessamento ai sensi dell'art. 1 del d.l. n. 59/2016, conv. in l. n. 118/2016), ha negato alla stessa la misura inibitoria degli effetti del predetto atto di intimazione con il quale era preannunciata al debitore, in difetto di adempimento, l'appropriazione, da parte dell'odierna esponente, del bene oggetto di pegno; 2. parte reclamante ha dedotto, con il proprio ricorso, quanto al fumus boni juris, che ..., e, rispetto al concorrente requisito del periculum in mora, parimenti necessario all'ottenimento dell'inibitoria richiesta con provvedimento d'urgenza, che ...; 3. il reclamo è evidentemente infondato in quanto, a differenza di quanto prospettato dalla parte ricorrente, il pericolo di pregiudizio richiesto per la concessione dell'inibitoria di cui al comma 7-bis dell'art. 1 del d.l. n. 59/2016, per l'ipotesi di vendita del bene che connota la garanzia del finanziamento nel pegno mobiliare cd. non possessorio, stante l'espresso riferimento della predetta norma ad un “provvedimento d'urgenza”, è il pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile, siccome previsto dall'art. 700 c.p.c., che nel caso in discussione, neppure potrebbe astrattamente ricorrere. Invero, il periculum in mora, costituito da un pregiudizio imminente ed irreparabile per ottenere il provvedimento di urgenza cui fa riferimento il comma 7-bis dell'art. 1 del d.l. n. 59/2016, in quanto il ricorrente finirebbe con il subire un pregiudizio meramente economico dall'appropriazione del bene, come previsto in contratto, da parte dell'esponente, pregiudizio di per sé suscettibile di riparazione successiva all'esito del giudizio di merito mediante risarcimento del danno che rende ex se non configurabile l'irreparabilità del pregiudizio stesso [1]; 4. il reclamo è, quindi, evidentemente infondato; TUTTO CIÒ PREMESSO CHIEDE che codesto Ill.mo Tribunale, in composizione collegiale [2], rigetti il reclamo proposto. Con vittoria di spese. 1. Cfr., tra le molte, Trib. Asti 24 febbraio 2016, in dejure.giuffre.it, secondo cui i gravi motivi devono concernere solo il pericolo di danneggiare in modo grave il debitore, con necessario riferimento alla verosimiglianza della fondatezza dell'opposizione. 2. L'art. 669-terdecies c.p.c. demanda la cognizione del reclamo contro i provvedimenti in materia cautelare emessi dal giudice monocratico al collegio del quale non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. COMMENTOL'art. 1 del d.l. n. 59/2016 ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del pegno mobiliare non possessorio, che si “svincola” dal tradizionale requisito dello spossessamento e che assume, pertanto, natura convenzionale e non reale. Tale strumento può essere utilizzato soltanto a garanzia dei crediti concessi per l'esercizio dell'impresa, e può avere ad oggetto beni mobili esistenti o futuri, determinati o determinabili, ad esclusione dei beni mobili registrati. La differenza principale rispetto al pegno (possessorio) tradizionale è che l'imprenditore può continuare ad utilizzare il bene mobile destinato all'esercizio dell'impresa, sebbene oggetto della garanzia (senza privarsi della relativa proprietà come avviene in altre forme negoziali già esistenti, ad esempio il sale and lease back). La disciplina dettata in tema di pegno mobiliare non possessorio cerca di coniugare l'esigenza di finanziamento dell'impresa con la tutela del creditore pignoratario. Nel caso di inadempimento, il creditore deve inviare, prima di procedere ad una delle forme di escussione della garanzia sopra indicate, un preventivo avviso scritto al datore della garanzia ed agli eventuali titolari di un pegno non possessorio trascritto successivamente: si tratta di una sorta di intimazione, assimilabile all'atto di precetto di cui all'art. 480 c.p.c., con la differenza che lo stesso non deve essere corredato dall'avvertimento che, in mancanza di adempimento, si procederà ad esecuzione forzata, essendo differenti le forme di escussione garantite al creditore (cfr. Baghi, L'esordio del pegno mobiliare non possessorio: riflessione sui profili processuali, cit., 1381). È consentito al debitore (o al terzo datore) di proporre opposizione, entro cinque giorni dalla notifica dell'atto di intimazione, con ricorso nelle forme proprie del procedimento sommario di cognizione, di cui agli artt. 702-bis/702-quater. Sotto il profilo oggettivo, riteniamo che il rimedio in questione possa essere utilizzato dal debitore sia per contestare vizi formali che di merito, in via analoga, del resto, all'opposizione all'intimazione del creditore pignoratizio nell'ipotesi di pegno ordinario ai sensi degli artt. 2797 e ss. c.p.c. A riguardo, difatti, la giurisprudenza ha più volte evidenziato che nella speciale procedura di cui agli artt. 2796 e 2797 c.c., deve ritenersi legittima la proposizione, da parte del debitore, di questioni non soltanto di rito, ma anche di merito, con riferimento al diritto ex adverso azionato (Cass. n. 27266/2008). Né, nella fattispecie in discussione, vengono previste limitazioni normative quanto al novero dei vizi deducibili che precludano di avallare tale soluzione sul piano interpretativo. Quindi il debitore potrà contestare, ad esempio, il proprio inadempimento o la misura di esso, dedurre un pagamento successivo, nonché la sussistenza dei presupposti per l'escussione della garanzia. Il legislatore nulla chiarisce in ordine al riparto dell'onere probatorio tra le parti ma non riteniamo, anche in considerazione dei principi consolidati in tema di opposizione all'esecuzione, che vi sia alcuna inversione della posizione formale delle parti, sicché sarà il debitore/ricorrente a dover dimostrare i fatti costitutivi delle proprie deduzioni, ossia che non sussistono i presupposti per procedere all'escussione della garanzia o, anche, che, pur sussistendo detti presupposti, nella specie è stata scelta un'errata forma di escussione. Peculiare è anche il regime della tutela cautelare, disciplinata dal comma 7-bis dell'art. 1 del d.l. n. 59/2016. In particolare si prevede, infatti, con una terminologia processualmente “ibrida” che «ove concorrano gravi motivi il giudice, su istanza dell'opponente, può inibire, con provvedimento d'urgenza, al creditore di procedere a norma del comma 7». Come noto, i gravi motivi – che si compendiano, di norma, in una valutazione ponderata del fumus boni juris e del periculum in mora (cfr., tra le molte, Trib. Asti 24 febbraio 2016, in dejure.giuffre.it, secondo cui i gravi motivi devono concernere solo il pericolo che l'esecuzione dello stesso possa danneggiare in modo grave il debitore, con necessario riferimento alla verosimiglianza della fondatezza dell'opposizione) – non coincidono con i più rigorosi presupposti necessari per ottenere un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. Invero, ai fini della concessione di siffatto provvedimento cautelare “generale, atipico e residuale” è necessario, sul piano del periculum in mora, che ricorra il pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile. Invero, particolare rilevanza, quanto alle situazioni giuridiche soggettive tutelabili mediante un provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., assume la considerazione del periculum in mora che è invero integrato soltanto in presenza di un imminente pericolo di pregiudizio per il ricorrente che rivesta carattere “irreparabile”. Non si può trascurare, infatti, che la necessità, ai fini della concessione di un provvedimento di urgenza, di un pericolo di danno di natura irreparabile, ha indotto autorevole dottrina ad affermare che potrebbe essere richiesta una misura cautelare ex art. 700 c.p.c. esclusivamente per tutelare diritti assoluti (Satta, 1953, I, 132) ovvero quelli che hanno ad oggetto o tendono a conseguire un bene di carattere infungibile (Montesano, 1955, 79 ss.). In particolare, secondo questa concezione, i diritti relativi aventi ad oggetto una prestazione di carattere fungibile – quali sono, paradigmaticamente, i diritti di credito ad una prestazione pecuniaria – non possono essere tutelati mediante un provvedimento d'urgenza, poiché in relazione agli stessi non potrebbe mai sussistere un irreparabile pericolo di pregiudizio stante la possibilità, all'esito del giudizio di merito, di ottenere un indennizzo completamente satisfattivo del danno economico nelle more subito dal ricorrente. Nella prassi, peraltro, ha finito con l'affermarsi un diverso orientamento, in omaggio al quale sussiste un pregiudizio irreparabile tutte le volte che, anche se il diritto ha ad oggetto la pretesa ad ottenere un bene di carattere fungibile, il risarcimento dei danni e gli altri rimedi apprestati dalla legge non siano idonei ad attuare integralmente, in concreto, il diritto fatto valere in giudizio (Andrioli, 1968, 250 ss.). Diviene allora determinante, al fine di valutare l'irreparabilità del pregiudizio, la funzione che il diritto dedotto in giudizio svolge per la persona del ricorrente, poiché la mancata concessione della misura cautelare potrebbe in ipotesi avere riflessi su beni e/o situazioni di carattere non patrimoniale di per sé suscettibili di subire un pregiudizio irreparabile (Proto Pisani, 1982, 380). Copiosa è la giurisprudenza espressione di quest'ultimo, preferibile orientamento, che riconosce la possibilità di emanazione di un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. anche ai fini della tutela di crediti di natura pecuniaria qualora la tutela cautelare sia essenziale considerata la funzione del diritto per la persona del ricorrente (cfr. Trib. Udine 13 aprile 2010, in Banca borsa tit. cred., 2011, II, 504). In sostanza, il pericolo di pregiudizio irreparabile viene ad essere configurato come quello che, per sua natura o particolare connotazione nel caso concreto, non possa essere adeguatamente ed interamente rifuso per equivalente, cioè mediante assegnazione di somme di danaro a titolo risarcitorio, al termine dell'ordinario giudizio di merito (Trib. Palermo 3 agosto 2016, in dejure.giuffre.it). In sostanza, in considerazione del fatto che i rimedi cautelari d'urgenza comportano l'adozione di provvedimenti invasivi della sfera giuridica della controparte all'esito di una cognizione meramente sommaria, il disposto dell'art. 700 c.p.c. consente l'anticipazione totale o parziale della tutela conseguibile all'esito di un ordinario giudizio di merito solo nelle ipotesi in cui la durata del processo ordinario potrebbe andare a detrimento della situazione giuridica soggettiva azionata, per essere questa esposta al pericolo di un pregiudizio che, oltre che grave ed imminente, sia, altresì, irreparabile (cfr. Trib. Palermo III, 5 ottobre 2021; Trib. Roma III, 24 aprile 2014, entrambe in dejure.giuffre.it). Pertanto, ove si valorizzasse il riferimento al provvedimento d'urgenza operato dalla norma piuttosto che il generico presupposto della ricorrenza dei gravi motivi, dovrebbe allora ritenersi che il provvedimento in questione possa essere emanato soltanto qualora la perdita del bene concesso in pegno potrebbe arrecare al debitore ovvero al terzo concedente un pregiudizio irreparabile – quale può, ad esempio, essere il fallimento dell'impresa - , pregiudizio che non sia invero suscettibile di ristoro successivo mediante equivalente pecuniario. Riteniamo, tuttavia, che, dalla pur ibrida e confusa terminologia processuale utilizzata dall'odierno legislatore, debba trarsi una differente conseguenza, i.e. che il richiamo al provvedimento d'urgenza non è quello ascrivibile al modello generale proprio delineato dall'art. 700 c.p.c. bensì ad una particolare misura inibitoria sui generis, che può essere concessa per gravi motivi, idonei ad impedire, nelle more della decisione sul merito del ricorso con rito sommario, l'escussione della garanzia. La natura inequivocamente cautelare del provvedimento comporta che trovino applicazione, rispetto allo stesso, non ravvisandosene l'incompatibilità, ex art. 669-quaterdecies c.p.c., le norme sul procedimento cautelare uniforme. Ne deriva che deve essere proposto un ricorso, anche unitamente all'opposizione “di merito”, nel quale vanno estrinsecati da parte del debitore i gravi motivi che, bilanciando fumus boni juris e periculum in mora, consentono di ottenere il provvedimento inibitorio d'urgenza. La misura può, tenendo conto dell'art. 669-sexies c.p.c., essere eccezionalmente concessa con decreto inaudita altera parte ove ricorra un periculum di pregiudizio al quadrato, ossia un pericolo inerente alle more dello svolgimento dello stesso contraddittorio con l'altra parte, i.e. del procedimento di autorizzazione della cautela ed al conseguente effetto di allarme determinato dall'instaurazione del contraddittorio. Stabilisce infatti il secondo comma dell'art. 669-sexies c.p.c. che, quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento il giudice provvede, assunte sommarie informazioni, sull'istanza cautelare con decreto inaudita altera parte. In questo caso avremo un procedimento a contraddittorio differito poiché con lo stesso decreto con il quale è concessa la misura il giudice deve fissare l'udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé entro un termine non superiore a quindici giorni, assegnando all'istante un termine perentorio non superiore a otto giorni per la notifica del ricorso e del decreto. Tale udienza è destinata, invero, alla conferma, revoca o modifica della misura già concessa con decreto nel contraddittorio con l'altra parte. L'ordinaria modalità di svolgimento del procedimento cautelare è quella delineata dal primo comma dell'art. 669-sexies c.p.c., in virtù del quale il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti ed ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto del ricorso. La cognizione cautelare, piena rispetto al periculum in mora, è infatti soltanto sommaria in relazione al fumus boni juris, poiché il convincimento giudiziale sulla fondatezza sommaria della tutela di merito può basarsi anche su argomenti di prova o presunzioni, ovvero su una semiplena probatio inidonea a giustificare una decisione a cognizione piena. Tale provvedimento deve ritenersi reclamabile al collegio ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., sia esso di accoglimento ovvero di diniego della domanda cautelare. |