Istanza per la liberazione dell'immobile occupato dal debitore

Rinaldo d'Alonzo

inquadramento

La liberazione dell'immobile costituisce uno degli snodi cruciali delle così dette prassi virtuosi, che tanto hanno indirizzato le scelte di politica legislativa degli ultimi anni. Invero, la liberazione dell'immobile assicura una migliore collocazione del bene pignorato sul mercato, garantisce un più agevole esercizio del diritto di visita, e tranquillizza gli offerenti in ordine al celere conseguimento della disponibilità del bene all'esito del deposito del decreto di trasferimento.

Formula

TRIBUNALE DI ....

Procedura Esecutiva Immobiliare n. .... R.G.E.

ISTANZA PER LA LIBERAZIONE DELL'IMMOBILE OCCUPATO DAL DEBITORE

Ill.mo Sig. Giudice dell'esecuzione

Il sottoscritto Avv. ...., C.F. ...., fax n. .... P.E.C. ...., quale procuratore e difensore del Sig. ...., C.F. ...., elettivamente domiciliato presso il proprio studio sito in ...., alla via ...., n. ...., nella procedura esecutiva in epigrafe, nella qualità di creditore procedente/intervenuto;

PREMESSO

che a norma dell'art. 559, comma 1 c.p.c. col pignoramento il debitore [1] è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, comprese le pertinenze e i frutti, senza diritto a compenso;

che nella presente procedura il debitore ed i familiari che con lui convivono hanno mantenuto il possesso dell'immobile pignorato a norma dell'art. 560, comma 3 c.p.c.[2] in quanto dimoranti all'interno dello stesso [3];

che il comma sesto della medesima disposizione prescrive che comunque il debitore deve consentire, in accordo con il custode, che l'immobile sia visitato da potenziali acquirenti;

che tuttavia, a mente del successivo comma 7, il giudice ordina la liberazione dell'immobile pignorato, qualora sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti, quando l'immobile non sia adeguatamente tutelato e mantenuto in uno stato di buona conservazione, per colpa o dolo del debitore e dei membri del suo nucleo familiare, ed infine nei casi in cui quando il debitore viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico;

che il debitore ha disatteso le prescrizioni appena citate in quanto ....;

che dunque si rende necessaria la sostituzione del debitore nella custodia del compendio pignorato;

CHIEDE

che la S.V. Ill.ma voglia ordinare la liberazione dell'immobile pignorato.

Con osservanza.

Si allega:

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

[1]La norma utilizza il termine “debitore”, ma è pacifico che la disposizione trovi applicazione anche nelle ipotesi di esecuzione forzata promossa contro il terzo proprietario a norma dell'art. 602 c.p.c. Esplicita conferma di questa impostazione si ricava dalla lettura dell'art. 604, che nell'affermare che il pignoramento e tutti gli atti dell'espropriazione si compiono nei confronti del terzo, specifica che a questi si applicano tutte le disposizioni relative al debitore (e dunque anche l'art. 559 c.p.c.) tranne il divieto di cui all'art. 579, comma 1, c.p.c.

[2]Nel testo riscritto dall'art. 4, comma 2 d.l. n. 135/2018, convertito, con modificazioni, con l. n. 12/2019.

[3]A questi fini va ricordato che secondo Cass. VI, n. 9373/2014: “ .... la certificazione anagrafica in ordine al luogo di residenza di un soggetto ha valore meramente presuntivo circa il luogo dell'effettiva dimora abituale, il quale è accertabile con ogni mezzo di prova”.

commento

Principi generali

La disciplina della custodia dell'immobile pignorato si rinviene, fondamentalmente, negli artt. 559 e 560 c.p.c., e più in generale, negli artt. 65-67 c.c. (Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, 10ª ed., Milano, 2006, 572).

Sulla sua disciplina ha inciso fortemente l'epocale novella del 2005: in particolare, l'art. 559 è stato modificato dall'art. 2, comma 3, lett. e) d.l. n. 35/2005, convertito in l. n. 80/2005, che, oltre ad aver novellato il secondo comma, ha aggiunto i nuovi terzo, quarto e quinto; il comma sesto è invece frutto dell'intervento normativo di cui all'art. 1, comma 3, lett. h), l. n. 263/2005.

Prevedendo, per effetto delle modifiche appena richiamate, che il giudice affida la custodia ad un terzo quando l'immobile non è occupato dal debitore, quando questi non ottempera agli obblighi che gli fanno carico, oppure quando pronuncia l'ordinanza di vendita (salvo che, per la particolare natura del bene, ritenga che la sostituzione non sia utile) al momento in cui pronuncia l'ordinanza di vendita il nuovo art. 559, si caratterizza per aver notevolmente limitato la regola previgente che voleva normalmente affidata la custodia del bene pignorato al debitore esecutato, a meno che non venisse formulata istanza del creditore pignorante per la nomina di una persona diversa. Secondo l'attuale previsione, infatti, la custodia è affidata a persona diversa dal debitore, in ogni caso, quando l'immobile non sia occupato dal debitore e, di regola, al momento in cui è pronunciata l'ordinanza di vendita (così App. Roma 6 novembre 2012, la quale da questo assunto ha tratto la conseguenza per cui il credito concernente il canone di locazione dovuto in dipendenza della stipulazione di una locazione antecedente al pignoramento spetta al custode, quantunque la figura di questi possa coincidere con quella del debitore esecutato).

La custodia ad opera del debitore

Per effetto del pignoramento il debitore, sottoposto ipso jure agli obblighi del custode a norma dell'art. 559, comma 1 c.p.c., muta il suo titolo di possesso del bene (Monteleone, Diritto processuale civile, 3ª ed., Padova, 2004, 1011), perdendone il diritto di goderne liberamente ma assumendo l'obbligo iuris publici di conservarlo e amministrarlo (art. 65) con la disciplina del buon padre di famiglia (Vellani, in Digesto civ., V, Torino, 1989 84; Bongiorno, Espropriazione immobiliare, in Digesto civ., VIII, Torino, 1992, 40; Redenti, Vellani, Diritto processuale civile, III, 3ª ed., Milano, 1999, 344; Donvito, Contrasti giurisprudenziali sulla sostituzione del custode e sull'abitazione della casa pignorata, in GI, 2003, 1611).

In particolare, l'investitura nelle funzioni custodiali si produce per effetto della notifica dell'atto di pignoramento (così D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, II, 4ª ed., Torino, 1957, 143; Capponi, L'espropriazione forzata, in Giur. sist. dir. proc. civile Proto Pisani, Torino, 1988, 431; Bonsignori, L'esecuzione forzata, 3ª ed., Torino, 1996, 203).

L'assunto riposa sulla considerazione per cui il pignoramento produce i propri effetti nei confronti del debitore fin dalla notificazione del libello, quale conseguenza diretta dell'ingiunzione contenuta nell'atto di pignoramento a lui notificato e solo in quel momento il debitore può rendersi conto che hanno inizio le sue nuove funzioni (Andrioli, Commento al codice di procedura civile, III, 2ª ed., Napoli, 1947, 162; Costa, Custodia di beni pignorati e sequestrati, in ED, XI, Milano, 1962, 567; contra Castoro, Il processo, cit., 578).

La tesi dominante in dottrina è stata ripesa più volte dalla giurisprudenza, ferma nel ritenere «In materia di espropriazione immobiliare, il pignoramento, pur componendosi di due momenti processuali, cui corrispondono i due diversi adempimenti della notifica dell'atto al debitore esecutato e della sua trascrizione nei registri immobiliari, è strutturato come fattispecie a formazione progressiva, nella quale, mentre la notificazione dell'ingiunzione al debitore segna l'inizio del processo esecutivo (e produce, tra gli altri effetti, quello dell'indisponibilità del bene pignorato), la trascrizione ha la funzione di completare il pignoramento, non solo consentendo la produzione dei suoi effetti sostanziali nei confronti dei terzi e di pubblicità notizia nei confronti dei creditori concorrenti, ma ponendosi anche come presupposto indispensabile perché il giudice dia seguito all'istanza di vendita del bene» (Cass. III, n. 7998/2015; Cass. III, n. 17367/2011).

L'attribuzione delle funzioni custodiali al debitore quale effetto legale della notifica del pignoramento, in tempi non recenti è stata criticata in dottrina, con osservazioni che tuttavia mantengono inalterata la loro attualità, rimarcandosi che «quando si passa dalla custodia delle cose mobili a quella delle cose immobili (...) la figura del custode (...) assume sempre maggiore rilievo», e la sua opera, di conseguenza, «diviene più elevata e più complessa, giacché occorre attribuirgli alcuni poteri di decisione, che il pignoramento (...) ha tolto al proprietario” (Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile. Processo di esecuzione, I, Padova, 1929, 159).

Il riferimento è rivolto soprattutto alla necessità di garantire alla procedura l'acquisizione dei frutti, anche civili, che il bene medio tempore può produrre, cui il pignoramento si estende ex art. 2912 c.c. (Vanz, La custodia dell'immobile locato: poteri e legittimazione del custode, in GI, 2000, I, 1373).

I canoni di locazione

Problemi particolari, con riferimento alla custodia del cespite pignorato, si pongono, come anticipato, rispetto ai canoni di locazione.

Con specifico riferimento ad essi, Cass. III, n. 1193/1996 ha ritenuto che dopo il pignoramento, il proprietario-locatore del bene pignorato, il quale non può più continuare a riscuotere il corrispettivo della locazione del bene stesso in virtù del disposto di cui agli artt. 2912 c.c., 65 e 560 c.p.c., è legittimato ad agire per conseguire il credito costituito dai canoni rimasti in tutto o in parte non pagati fino alla data del Infatti, a tali canoni – che, ancorché afferenti al bene, non costituiscono frutti del bene, bensì crediti del locatore pignorato – non può applicarsi il disposto dell'art. 2912 c.c. sull'estensione del pignoramento.

Non tutti i canoni di locazione si intendono tuttavia automaticamente ricompresi nel pignoramento che abbia ad oggetto l'immobile che li produce.

Ai sensi dell'art. 2740 c.c. il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri. Si tratta della così detta garanzia patrimoniale generica, per far valere la quale il creditore può sottoporre a pignoramento beni di questi (art. 2910, comma 1 c.c.), pignoramento che si estende, per effetto della previsione di cui all'art. 2912 c.c., agli accessori, alle pertinenze ed ai frutti della cosa pignorata. Tra questi ultimi rientrano senza dubbio i canoni di locazione, per espressa previsione dell'art. 820, ultimo comma c.c.

Tuttavia per comprendere il perimetro applicativo dell'art. 2912 lo si deve leggere in combinato disposto con l'art. 821 il quale a proposito dell'acquisto dei frutti, precisa che (solo) i frutti naturali appartengono al proprietario della cosa che li produce (comma primo) mentre a proposito dei frutti civili si prevede genericamente che essi si acquistano giorno per giorno (comma terzo). La ratio di questo distinguo si rinviene nella distinzione, operata dal precedente art. 820, tra frutti naturali e frutti civili. Infatti, mentre i primi sono quelli provenienti direttamente dalla cosa, i secondi rappresentano il “corrispettivo del godimento che altri ne abbia”, sicché il loro titolare va individuato nel soggetto attivo del rapporto sinallagmatico in forza del quale essi sono dovuti, con la conseguenza che su di essi cade il vincolo pignoratizio di cui all'art. 2912 a condizione che appartengano al proprietario della cosa principale, così ricadendo nella garanzia patrimoniale generica di cui si è detto.

I precipitati del dato normativo così ricostruito consentono allora di affermare che il pignoramento si estende ai canoni di locazione a condizione che il proprietario della cosa pignorata sia anche il locatore, e quindi titolare dei frutti civili così prodotti.

L'importanza dei canoni di locazione quali corrispettivi del godimento dell'immobile spiega perché il legislatore abbia inteso disciplinare espressamente il regime di opponibilità dei pagamenti anticipati.

Ed infatti, il pagamento anticipato dei canoni o la loro cessione costituisce un elemento che incide fortemente sulla appetibilità del bene sul mercato, atteso che priva il futuro aggiudicatario della disponibilità dello stesso per tutta la durata del contratto, senza consentirgli di percepire il corrispettivo del canone.

A questa situazione il codice dedica gli artt. 1605,2812,2918,2924 c.c. (il primo dei quali dedicato alla opponibilità delle cessioni di canoni o dei pagamenti anticipati all'acquirente, in caso di vendita dell'immobile). Dette disposizioni parlano, genericamente, di “liberazione” così ricomprendendo tutte le ipotesi di estinzione del debito relativo ai canoni per effetto di atto volontario del conduttore.

I pagamenti anticipati disciplinati da queste norme nei loro rapporti con il pignoramento (e prim'ancora con l'ipoteca) non solo quelli “giuridici” (cioè i pagamenti eseguiti prima della scadenza pattuita) ma anche quelli “economici”, cioè eseguiti prima del correlativo godimento in forza della previsione contrattuale (si pensi, ad esempio, ad un contratto di locazione in cui sia previsto che tutto il canone relativo all'intera durata del contratto sia versato dal conduttore al momento della stipula), salvo che siano eseguiti conformemente agli usi locali (si pensi al pagamento del anticipato del mese o del bimestre intero, o dell'intera annata agraria secondo gli usi invalsi negli affitti di fondo rustico).

Venendo alla regolazione del regime di opponibilità, il tessuto normativo di riferimento consente di ricostruirlo nei termini che seguono.

I pagamenti anticipati che coprono un periodo non eccedente i tre anni sono opponibili, ma nei limiti di un anno, se hanno data certa anteriore al pignoramento.

I pagamenti anticipati che coprono un periodo eccedente il triennio sono opponibili alla procedura se sono trascritti prima della trascrizione del pignoramento o dell'ipoteca, mentre se non sono trascritti saranno opponibili, nei limiti di un anno, solo se hanno data certa anteriore al pignoramento. Lo stesso vale per i pagamenti di durata non eccedente i tre anni che hanno data certa successiva all'ipoteca ma precedente al pignoramento.

Infine, i pagamenti trascritti dopo l'iscrizione ipotecaria sono opponibili nei limiti di un anno.

Con riferimento alla trascrizione del pagamento, osserviamo infine che non è sufficiente che di esso si faccia riferimento all'interno del contratto di locazione, occorrendo la trascrizione di un autonomo atto (che per essere trascritto dovrà necessariamente rivestire la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata); ciò in ossequio all'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, secondo il quale «Per stabilire se e in quali limiti un determinato atto trascritto sia opponibile ai terzi deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota stessa consentire di individuare, senza possibilità di equivoci e di incertezze, gli estremi essenziali del negozio ed i beni ai quali esso si riferisce, senza necessità di esaminare anche il contenuto del titolo, che insieme con la nota, viene depositato presso la conservatoria dei registri immobiliari» (Cass. III, n. 18892/2009).

Non costituiscono invece frutti della cosa pignorata i canoni versati dal subconduttore, trattandosi di soggetto del tutto estraneo alla procedura, che non ha alcun rapporto con il debitore esecutato, avendo stipulato il contratto con il conduttore.

In questi termini si è indirettamente espressa la Corte di Cassazione ha espresso con la sentenza n. 11830 del 16 maggio 2013, nella quale si è osservato che il sublocatore è legittimato a promuove azione di sfatto per morosità nei confronti del suo subconduttore, il quale non può eccepire di non essere più tenuto al pagamento dei canoni di locazione in forza dell'intervenuto pignoramento.

La liberazione dell'immobile pignorato alla luce della riforma del 2019

Nelle prassi giurisprudenziali (cc.dd. «prassi virtuose»), nate in diversi uffici alla fine dello scorso millennio, la liberazione del bene a cura della procedura costituiva uno snodo fondamentale per perseguire obiettivi di efficienza ed efficacia del processo esecutivo: «il fatto che l'esecutato continui ad abitare nell'immobile espropriato e che l'espropriazione di fatto non coincida con il momento del pignoramento, che è il momento – come noto – in cui l'esecutato perde la disponibilità del bene, viene comunemente tollerato. L'espropriazione non si realizza nemmeno con l'emissione del decreto di trasferimento, ma viene nella pratica ulteriormente differita ad un momento che segue, anche di parecchio .... [Solo col] decreto di trasferimento in forma esecutiva [l'acquirente] potrà procedere alla richiesta giudiziaria di rilascio dell'immobile, del quale ha da tempo acquistato la proprietà, ma non il godimento. Questa situazione, se non vi si pone rimedio, crea certamente un notevole danno ai diritti dell'acquirente e, su un piano più generale, grava sulla effettività dell'espropriazione, perché porta il mercato ad avere un atteggiamento di diffidenza nei confronti degli acquisti compiuti all'interno delle esecuzioni forzate» (Berti Arnoaldi Veli, Prassi e giurisprudenza del Tribunale di Bologna nelle espropriazioni immobiliari; in particolare il custode giudiziario e le azioni del custode finalizzate alla liberazione del compendio, in Riv. esecuz. forza, 2003, 72).

Con la riforma del codice di procedura civile entrata in vigore il 1° marzo 2006, il legislatore aveva recepito l'esigenza di avvicinare – anche sotto il profilo dell'immediata disponibilità del bene – la vendita coattiva alla vendita volontaria e, facendo proprie le indicazioni delle prassi, ha inequivocabilmente stabilito – riscrivendo l'art. 560 c.p.c. – che il giudice dispone la liberazione dell'immobile pignorato a) quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare il cespite o revoca l'autorizzazione precedentemente concessa, o b) in ogni caso, quando provvede all'aggiudicazione o all'assegnazione del bene (Fanticini, La liberazione dell'immobile pignorato dopo la “controriforma” del 2019, in ineXecutivis.it, 14 marzo 2019).

La novella imponeva al giudice dell'esecuzione il potere/dovere di adottare l'ordine di liberazione perché funzionale allo scopo di realizzare un processo esecutivo effettivo ed efficace: difatti, il provvedimento ex art. 560 c.p.c. «è espressione dei suoi compiti di gestione del processo ed è funzionale alla realizzazione dello scopo del processo, che è quello della soddisfazione dei crediti del procedente e degli intervenuti mediante la vendita del bene pignorato. L'esercizio di tale potere comporta il contemperamento dell'interesse del debitore a continuare ad abitare l'immobile con le ulteriori esigenze del processo, onde garantire l'effettività dell'azione giurisdizionale esecutiva, perseguita dall'innovazione legislativa dell'ordine di liberazione obbligatorio» (Cass. III, n. 6836/2015); inoltre, la «maggiore proficuità possibile quale derivante – per nozioni di comune esperienza – dall'effettiva liberazione dell'immobile» costituisce argomento impiegato dalla Suprema Corte per ribattere alle censure sull'opportunità del provvedimento di liberazione svolte anche con «la presentazione del carattere paradossale della necessità di liberare tutti gli immobili staggiti in ogni parte d'Italia, la quale invece è proprio l'effetto voluto chiaramente dalla riforma del 2005/06», come corollario «del principio generale della necessaria effettività dell'azione giurisdizionale esecutiva, indispensabile per lo stesso corretto funzionamento delle istituzioni, sul quale si basa l'innovazione legislativa dell'ordine di liberazione obbligatorio”(In questi precisi termini Cass. III, n. 22747/2011).

L'intervento legislativo del 2016 (d.l. n. 59/2016, convertito in l. n. 119/2016), «non ha mutato lo scopo dell'art. 560 c.p.c., né i presupposti per l'emissione dell'ordine, ma ha ulteriormente incrementato l'efficienza del processo esecutivo rendendo il procedimento di liberazione – svolto dal custode secondo le disposizioni impartite dal giudice dell'espropriazione immobiliare (e non più da un ufficiale giudiziario “esterno” a tale procedura) – più semplice e controllabile; nel contempo, sono state risolte complesse problematiche inerenti ai beni mobili relitti ed è stata accentuata la responsabilità del giudice dell'espropriazione e del custode dallo stesso designato in ordine ai provvedimenti da dettare per il buon esito del processo” (così Fanticini, cit.).

In questo contesto ha fatto irruzione l'art. 4, comma 2 d.l. n. 135/2018, convertito dalla l. n. 12/2019, pubblicata sulla Gazz. Uff. n. 36 del 12 febbraio 2019, a mezzo del quale l'art. 560 è stato completamente riscritto. Poiché l'art. 4, comma 4 d.l. n. 135/2018, prescrive che «Le disposizioni introdotte con il presente articolo non si applicano alle esecuzioni iniziate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», la nuova disciplina dell'art. 560 c.p.c. è applicabile alle espropriazioni immobiliari iniziate con pignoramenti notificati dal 13 febbraio 2019.

Il nucleo della modifica normativa si rinviene nel combinato disposto dei commi 3 e 8: «il debitore e i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze sino al decreto di trasferimento»; «quando l'immobile pignorato è abitato dal debitore e dai suoi familiari il giudice non può mai disporre il rilascio dell'immobile pignorato prima della pronuncia del decreto di trasferimento». Secondo taluni da queste prescrizioni avrebbe dovuto ricavarsi a contrario che la liberazione dell'immobile sarebbe obbligatoria quante volte l'immobile non sia abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare (così Fanticini, cit.), anche se era forse preferibile ritenere che il legislatore abbia voluto semplicemente introdurre un divieto alla liberazione in caso di immobile abitato, senza tuttavia prescrivere un obbligo di procedere in caso contrario: la norma infatti contiene un elenco dei “casi”, appunto, in cui il giudice ordina la liberazione, e che sono essenzialmente connessi alla violazione degli obblighi gravanti sul debitore.

La distinzione non era così sottile come si potrebbe prima facie ritenere, poiché aderendo alla prima impostazione si sarebbe dovuta patrocinare la tesi per cui l'adozione dell'ordine di liberazione “quando” il bene non è abitato dal debitore sarebbe stata obbligatoria e non avrebbe consentito al giudice di valutare, ad esempio, di autorizzare l'occupazione dell'immobile da parte di un terzo che, pur titolare di un diritto non opponibile alla procedura, si fosse dichiarato disponibile a corrispondere una congrua indennità di occupazione, oppure avesse fornito sufficienti garanzie di conservazione dell'immobile rispetto ad ulteriori occupazioni abusive o a condizioni di abbandono.

Problema aperto era (ed è) quello relativo alla individuazione degli immobili che rientrano nella disciplina del divieto di liberazione. Taluni ritengono che la norma riguardi quelli destinati ad uso abitativo, per identificare i quali “si deve avere riguardo esclusivamente alla loro destinazione catastale, essendo giuridicamente irrilevante il concreto utilizzo del bene fatto dall'esecutato” (Fanticini, cit.).

In termini dubitativi si pone invece l'opinione di chi distingue tra la situazione di un immobile la cui destinazione sia diversa da quella abitativa, che determinerebbe l'insussistenza del diritto dell'esecutato ad abitarlo, da quella in cui si è in presenza di abusi sanabili, nel qual caso l'ostacolo ad abitare sarebbe solo di carattere formale (Crivelli, L'ordine di liberazione dopo la l. n. 12/2019, in Riv. Es ecuz . for ata ., 2019, 4, 760).

Si potrebbe infine ragionare secondo una terza prospettiva, ritenendo la destinazione catastale dell'immobile tendenzialmente irrilevante in ragione del fatto che l'impianto complessivo della norma è quello di accordare tutela ad debitore che abiti l'immobile, non già a determinate categorie di cespiti, con la conseguenza per cui, a prescindere dalla destinazione catastale, un immobile che sia qualificabile come abitazione (ed a tal fine le indicazioni che rinvengono dalla perizia di stima sono fondamentali) e che di fatto sia abitato dal debitore (e dal suo nucleo familiare) non può essere oggetto dell'ordine di liberazione.

A questa osservazione potrebbe replicarsi che in questo modo si legittimerebbero abusi, però se si sostiene questo, dovrebbe dirsi che l'ordine di liberazione va adottato anche quando il debitore abita, ad esempio, un immobile di categoria A in cui però sono stati commessi illeciti edilizi. Inoltre, questa affermazione collide con il principio per cui la qualificazione catastale identifica una situazione di fatto a prescindere dalla regolarità urbanistico edilizia della stessa, per cui se accatasto un immobile nella categoria “D”, nulla impedisce all'Agenzia del Territorio di eseguire un accertamento e di assegnare al cespite una classificazione catastale diversa da quella dichiarata.

Affinché sia preclusa la liberazione il novellato art. 560 richiede inoltre che l'immobile sia abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare. I molteplici richiama alla famiglia che convive con il debitore e che con lui abita l'immobile inducono diverse riflessioni.

In primis, la norma deve essere estesa sia alle convivenze more uxorio che alle unioni civili (disciplinate dalla l. n. 76/2016). Essa invece non opera per il debitore single (a meno di non volerla ritenere, in parte qua, incostituzionale, posto che reiteratamente il legislatore utilizza la congiunzione “E”, per cui non vi sono margini per una diversa interpretazione, ma il dubbio di costituzionalità cade se si condivide l'idea per cui la norma sia funzionale alla tutela della famiglia).

Per famiglia deve intendersi la “famiglia anagrafica”, definita dall'art. 4, comma 1 d.P.R. n. 223/1989 come un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune, così come risultanti dai registri anagrafici di cui al d.P.R. n. 223/1989.

Questo, evidentemente, imporrà di acquisire il certificato di residenza del debitore ed il certificato del suo stato di famiglia ex art. 33 d.P.R. n. 223/1989.

La norma tace del tutto in ordine alla posizione del terzo esecutato ex art. 602 c.p.c. e sotto questo profilo dubbi di costituzionalità seri si pongono poiché il terzo non debitore subisce immotivatamente un trattamento peggiore di quello riservato al debitore inadempiente.

Ed allora, l'alternativa è duplice: o si ritiene la norma incostituzionale, oppure, affermata la non decisività del testo normativo, si afferma che il termine debitore sia stato genericamente ed atecnicamente utilizzato dal legislatore del 2019 per far riferimento all'esecutato. Pervero, la possibilità di recuperare una omogeneità di disciplina tra la posizione del debitore e quella del terzo esecutato si ottiene per il tramite dell'art. 604, comma 1 c.p.c., a mente del quale nell'esecuzione contro il terzo proprietario si applicano a questi «tutte le disposizioni relative al debitore, tranne il divieto di cui all'articolo 579 primo comma».

Il legislatore del 2019, nel prescrivere che il debitore e i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell'immobile e delle sue pertinenze (precisazione superflua perché la pertinenza segue, per regola generale, le vicende giuridiche cui soggiace la cosa principale) sino al decreto di trasferimento, si è premurato di imporre all'esecutato vere e proprie obbligazioni ex lege.

Infatti:

1. l'esecutato è tenuto a rendere il conto a norma dell'art. 593 c.p.c.;

2. il debitore e pure i membri del suo nucleo familiare sono obbligati a conservare diligentemente il bene pignorato e a mantenere e tutelare la sua integrità;

3. l'esecutato deve consentire le visite all'immobile dei potenziali acquirenti, senza che sia ostacolato (da chicchessia) il diritto di visita degli interessati;

4. al debitore è preclusa la concessione in locazione del bene senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione;

5. l'esecutato è tenuto al rispetto di tutti «gli altri obblighi che la legge pone a suo carico».

A proposito del rendiconto, secondo alcuni «mentre nel regime normativo previgente l'obbligo di rendiconto spettava al debitore per il solo periodo in cui lo stesso manteneva l'incarico di custode ex lege, oggi l'esecutato che continua ad abitare l'immobile pignorato conserva la disponibilità del cespite con la conseguenza che “gli obblighi posti a suo carico dalla legge e finalizzati al buon esito della procedura intrapresa nei suoi confronti impongono la rendicontazione delle attività svolte fino al decreto di trasferimento» (Fanticini, cit.). Altri invece rileva che l'obbligo di rendiconto grava soltanto sul debitore che sia anche custode, non essendo sufficiente che egli abbia mantenuto la disponibilità dell'immobile per il fatto di abitarla (Crivelli, cit.).

È invece pacifico che il debitore e sui suoi familiari siano obbligati a mantenere e conservare il cespite (art. 560, comma 2 c.p.c.) con la diligenza del buon padre di famiglia, in modo tale da assicurare «la piena corrispondenza tra la cosa sulla quale è caduta la manifestazione di volontà dell'aggiudicatario e quella venduta» (così Cass. III, n. 1730/1995).

Assai rilevante è altresì che il debitore garantisca ai potenziali offerenti l'esercizio del diritto di visita. Così l'art. 560, comma 4 c.p.c., a norma del quale «Il debitore deve consentire, in accordo con il custode, che l'immobile sia visitato da potenziali acquirenti» e far sì che non «sia ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti» (art. 560, comma 6 c.p.c.). La norma pone il problema di quale sia l'oggetto di questo accordo, e dal combinato disposto delle disposizioni in parola sembra potersi costruire la regula iuris per cui le modalità del diritto di visita devono essere stabilite dal giudice dell'esecuzione, che dunque ne fisserà il quomodo, prevedendo ad esempio:

1. che debbano essere evitati contratti tra gli offerenti,

2. il numero massimo di persone che contemporaneamente potranno accedere all'immobile (ad esempio l'interessato ed un suo tecnico di fiducia),

3. la durata massima di ogni visita (ad esempio 30 o 60 minuti a seconda del bene),

4. il numero massimo di visite che potranno essere eseguite ogni giorno o ogni settimana,

5. le modalità di prenotazione della visita, anche attraverso il ricorso al portale, non più obbligatoria,

6. le modalità attraverso le quali il debitore ed il custode debbono concordare giorni ed orari di accesso (il giudice, ad esempio, potrà prevedere che custode e debitore dovranno individuare preventivamente un giorno della settimana, che potranno diventare 2 nell'ultima settimana, ed una congrua fascia orario in cui potranno essere eseguite le visite, in modo tale che il custode non sia costretto di volta in volta a contattare il debitore).

Spetterà poi al custode ed all'esecutato concordare la concreta fissazione delle visite dei potenziali acquirenti secondo un canone comportamentale di buona fede oggettiva, volta a consentire che il pieno esercizio del diritto di visita determini il minor sacrificio possibile per le esigenze abitative del debitore, fermo restando che nel gioco del bilanciamento di esigenze potenzialmente contrapposte, la finalità pubblicistica della vendita prevale sugli interessi particolari del debitore.

La norma infine sanziona con la predita del diritto di abitare il bene la violazione degli altri obblighi posti a carico del debitore dalla legge. Quale disposizione di chiusura, la norma va interpretata tenendo conto delle prescrizioni imposte al debitore espressamente indicate dall'art. 560, che evidentemente tendono a consentire un esito positivo della vendita forzata, sicché andranno sanzionate tutte quelle violazioni distoniche rispetto all'interesse della procedura al miglior collocamento del bene sul mercato, come ad esempio la violazione del divieto di locazione (Crivelli, cit.).

Ordine di liberazione e riforma Cartabia

Una ultima sistemazione normativa all'ordine di liberazione si deve alla riforma Cartabia. Il d.lgs. n. 149/2022 era stato incaricato dalla legge delega di «prevedere che il giudice dell'esecuzione ordina la liberazione dell'immobile pignorato non abitato dall'esecutato e dal suo nucleo familiare ovvero occupato da soggetto privo di titolo opponibile alla procedura, al più tardi nel momento in cui pronuncia l'ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni e che ordina la liberazione dell'immobile abitato dall'esecutato convivente col nucleo familiare al momento in cui pronuncia il decreto di trasferimento, ferma restando comunque la possibilità di disporre anticipatamente la liberazione nei casi di impedimento alle attività degli ausiliari del giudice, di ostacolo del diritto di visita di potenziali acquirenti, di omessa manutenzione del cespite in uno stato di buona conservazione o di violazione degli altri obblighi che la legge pone a carico dell'esecutato o degli occupanti». Il legislatore delegante prescriveva poi che il custode avrebbe dovuto ad attuare il provvedimento di liberazione del cespite, secondo le disposizioni del giudice dell'esecuzione immobiliare, senza l'osservanza delle formalità di cui agli artt. 605 ss. c.p.c., anche successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento, nell'interesse dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, se questi non lo avessero esentato.

Sulla scorta di queste direttive, il nuovo art. 560 c.p.c., dopo aver ribadito in esergo che debitore e custode giudiziario debbono rendere il conto a norma dell'art. 593, riafferma in primis, con forza, che il divieto di stipulare locazioni in assenza di autorizzazione del giudice dell'esecuzione, riguarda non solo il debitore, ma anche il custode.

La riforma, prendendo atto della funzionalità dell'anticipata liberazione dell'immobile a rendere appetibile la vendita (la cui centralità nel procedimento liquidatorio è stata ribadita, da ultimo, da Cass. n. 9877/2022, dove si è affermato che «ordine di liberazione è funzionale agli scopi del processo di espropriazione forzata e, in particolare, all'esigenza pubblicistica di garantire la gara per la liquidazione del bene pignorato alle migliori condizioni possibili, notoriamente connesse, sul mercato dei potenziali acquirenti, allo stato di immediata, piena ed incondizionata disponibilità dell'immobile») riafferma che solo quando l'immobile è abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare la liberazione può essere differita al si pronuncia il decreto di trasferimento.

Pure ribadito, così come auspicato in dottrina, che la pronuncia del decreto di trasferimento non è ostativa alla liberazione dell'immobile a cura e spese della procedura in attuazione di un ordine di liberazione che, quando l'immobile è abitato dal debitore e dalla sua famiglia, deve essere adottato contestualmente al decreto di trasferimento; ciò, implicitamente, conferma che anche nelle vendite giudiziarie è configurabile una obbligazione di consegna dell'immobile venduto, a norma dell'art. 1476 c.c.

Anche sul piano eminentemente operativo, il novellato art. 560 riafferma la doverosità della liberazione, che prescinde dalla richiesta dell'aggiudicatario, legittimato tuttavia a rinunciarvi e la sua indipendenza dalla pronuncia del decreto di trasferimento, che dunque comporta la necrosi delle funzioni custodiali, il che nella sostanza costituisce un implicito riconoscimento della operatività, anche in seno alla vendita esecutiva, della previsione di cui al citato art. 1476 c.c. che impone al venditore un obbligo di consegna del bene. Inoltre, trattandosi di obbligazione a carico del venditore è evidente che essa dovrà essere adempiuta senza oneri per l'aggiudicatario. Del pari, è ribadito che all'attuazione dell'ordine di liberazione provvederà il custode, in seno alla procedura esecutiva immobiliare eventualmente avvalendosi della forza pubblica o di altri ausiliari, previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione.

Un ulteriore contributo di chiarezza viene offerto in punto di individuazione dei doveri cui è tenuto l'esecutato che abiti l'immobile. Invero, si ribadisce che egli deve: assicurare l'esercizio del diritto di visita conformemente alle disposizioni del giudice dell'esecuzione; tutelare e mantenere adeguatamente l'immobile in uno stato di buona conservazione; osservare gli altri obblighi che la legge pone a suo carico. La norma chiarisce inoltre (ma si tratta di conclusione cui la prassi era già arrivata per via esegetica) che il debitore non ostacolare le attività degli “ausiliari” del giudice, tra i quali va certamente annoverato anche l'esperto stimatore.

Di contro, recependosi le indicazioni provenienti da molti uffici giudiziari, si sancisce per il custode giudiziario l'obbligo di “di vigilare affinché il debitore e il nucleo familiare conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino l'integrità”.

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