Istanza per la liberazione dell'immobile occupato da un terzoinquadramentoIl tema dei rapporti tra pignoramento ed atti dispositivi in favore di terzi aventi ad oggetto l'immobile sottoposto ad esecuzione trova la sua disciplina nell'art. 2915 c.c., a mente del quale non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione gli atti che importano vincoli di indisponibilità, se non sono stati trascritti prima del pignoramento. La norma completa, ispirandosi alla medesima ratio, la previsione di cui all'art. 2914, comma 1, n. 1 c.c., il quale sancisce che, allo stesso modo, non sono opponibile alla procedura le alienazioni di beni immobili (o di beni mobili iscritti in pubblici registri), che siano state trascritte successivamente alla (trascrizione) del pignoramento (la stessa regola è sancita dall'art. 2916 con riferimento ai rapporti tra iscrizioni pregiudizievoli e pignoramento). FormulaTRIBUNALE DI .... Procedura Esecutiva Immobiliare n. .... R.G.E. ISTANZA PER LA LIBERAZIONE DELL'IMMOBILE OCCUPATO DA UN TERZO Ill.mo Sig. Giudice dell'esecuzione, Il sottoscritto Avv. ...., C.F. ...., fax n. .... PEC ...., quale procuratore e difensore del Sig. ...., C.F. .... elettivamente domiciliato presso il proprio studio sito in ...., alla via ...., n. ...., creditore procedente/intervenuto/custode nella procedura esecutiva in epigrafe; PREMESSO che l'immobile pignorato è occupato da .... in forza di titolo non opponibile alla procedura [1]; che a norma dell'art. 560, comma 7 c.p.c. il giudice dell'esecuzione, con provvedimento opponibile ai sensi dell'articolo 617, ordina la liberazione dell'immobile non abitato dall'esecutato e dal suo nucleo familiare oppure occupato da un soggetto privo di titolo opponibile alla procedura non oltre la pronuncia dell'ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni; che nel caso di specie si rende opportuna la liberazione dell'immobile in quanto funzionale agli interessi della procedura, e segnatamente ad una migliore collocazione del bene sul mercato [2]; CHIEDE che la S.V. Ill.ma, Voglia disporre, ai sensi dell'art. 560 c.p.c., la liberazione dell'immobile sito in .... censito al NCEU/NCT del Comune di .... al fg. .... p.lla .... sub .... Con osservanza. Luogo e data .... Firma Avv. ..... Il custode .... [1]Al titolo non opponibile alla procedura va equiparata la posizione di assenza di titolo. [2]La capacità della liberazione dell'immobile di assicurare una migliore collocazione del bene sul mercato è stata spiegata da Cass. III, n. 22747/2011. commentoPrincipi generali Il tema dei rapporti tra pignoramento ed atti dispositivi in favore di terzi aventi ad oggetto l'immobile sottoposto ad esecuzione trova la sua disciplina nell'art. 2915 c.c., a mente del quale non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione gli atti che importano vincoli di indisponibilità, se non sono stati trascritti prima del pignoramento. La norma completa, ispirandosi alla medesima ratio, la previsione di cui all'art. 2914, comma 1, n. 1, c.c., il quale sancisce che, allo stesso modo, non sono opponibile alla procedura le alienazioni di beni immobili (o di beni mobili iscritti in pubblici registri), che siano state trascritte successivamente alla (trascrizione) del pignoramento (la stessa regola è sancita dall'art. 2916 con riferimento ai rapporti tra iscrizioni pregiudizievoli e pignoramento). L'accertamento della opponibilità dei diritti dei terzi al creditore pignorante non costituisce il proprium del procedimento esecutivo. Invero, secondo l'opinione più accreditata l'ordine di liberazione costituisce un «provvedimento sommario, semplificato, esecutivo» (Olivieri, L'ordine di liberazione dell'immobile pignorato e la sua attuazione (art. 560, comma 3 e 4, c.p.c.), Relazione all'incontro di studio “Le esecuzioni civili alla luce della riforma del 2016”, Milano, 10/10/2016, in http://www.ca.milano.giustizia.it/formazion e .... magistrati.aspx?file .... allegato=2659, 2 ss., privo delle caratteristiche del titolo giudiziale, tale per cui «l'accertamento in esso contenuto possa considerarsi indiscutibile» e dotato del «requisito della definitività, oltre che quello della decisorietà, cioè dell'attitudine ad incidere su diritti soggettivi» (Cass. III, n. 15623/2010). Prima di disporre la liberazione il giudice dell'esecuzione è sempre tenuto a compiere un'istruttoria sulla sussistenza di eventuali titoli opponibili alla procedura, poiché in tal caso è da escludere a priori la possibilità di ordinare all'occupante la liberazione. Evidentemente, poiché il processo esecutivo non è funzionale all'accertamento di diritti, quello compiuto dal giudice dell'esecuzione sarà un accertamento sommario e per lo più documentale, allo stato degli atti (Olivieri, La liberazione dell'immobile pignorato. L'efficacia del nuovo titolo esecutivo nei confronti dei soggetti diversi dal debitore e i rimedi esperibili, in Riv. esec uz . forz ata, 2009, 4). Concretamente, il giudice dell'esecuzione dovrà considerare il certificato delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile pignorato depositato ex art. 567, comma 2 c.p.c., i certificati concernenti la residenza e la famiglia anagrafiche, gli accertamenti compiuti dal custode, e, come detto, le risultanze della relazione dell'esperto stimatore designato ex art. 173-bis disp. att. c.p.c. In particolare, lo stato di possesso del bene, con l'indicazione, se occupato da terzi, del titolo in base al quale è occupato, con particolare riferimento alla esistenza di contratti registrati in data antecedente al pignoramento, costituisce contenuto necessario della relazione di stima a norma della citata previsione codicistica. La posizione dei terzi rispetto all'ordine di liberazione A) L'assegnazione della casa coniugale in occasione di separazione o divorzio Un tema assai delicato attiene alla opponibilità al pignoramento del provvedimento di assegnazione della casa coniugale disposto in seno a giudizi di separazione e divorzio A questo proposito va subito detto che ai sensi dell'art. 2915 c.c. se il provvedimento di assegnazione subentra al pignoramento, esso non è opponibile alla procedura. Altra distinzione va eseguita con riferimento al titolare del diritto: se l'assegnazione della casa coniugale viene disposta in favore del debitore esecutato, nulla questio, e dunque lo stesso subirà l'esecuzione, non potendo ricevere un trattamento diverso, e privilegiato, rispetto a colui che dimora nella propria abitazione senza essere destinatario di provvedimenti di assegnazione, bensì quale mero proprietario. Occorre poi verificare nell'ambito di quale tipologia di giudizio di separazione il diritto di abitazione è stato costituito. Invero, il problema non si porrà quante volte l'assegnazione della casa coniugale tragga origine da un giudizio di separazione consensuale; in tal caso, infatti, essa ha natura negoziale, e dunque sarà assimilabile al comodato, con la conseguenza che l'aggiudicatario potrà invocarne la cessazione. Invero, secondo Cass. II, n. 11424/1992, «L'acquirente di un immobile non può risentire alcun pregiudizio dell'esistenza di un comodato costituito in precedenza dal venditore, giacché per effetto del trasferimento in suo favore il compratore acquista ipso iure il diritto di far cessare il godimento da parte del comodatario e di ottenere la piena disponibilità della cosa». Analogo principio è ricavabile da Cass. II, n. 4735/2011, secondo la quale «L'assegnazione della casa coniugale disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi acquirenti, né al coniuge non assegnatario che voglia proporre domanda di divisione del bene immobile di cui sia comproprietario, poiché l'opponibilità è ancorata all'imprescindibile presupposto che il coniuge assegnatario della casa coniugale sia anche affidatario della prole, considerato che in caso di estensione dell'opponibilità anche all'ipotesi di assegnazione della casa coniugale come mezzo di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, si determinerebbe una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà dell'altro coniuge, in quanto la durata del vincolo coinciderebbe con la vita dell'assegnatario». Le problematiche attengo tutte all'ipotesi inversa, cioè all'ipotesi di provvedimento di assegnazione anteriore al pignoramento. Sul punto, come è noto, le sezioni unite con la sentenza n. 11096 del 26 luglio 2002 hanno affermato che se il provvedimento di assegnazione non è trascritto, esso è opponibile entro il novennio; se trascritto, sarà opponibile anche oltre questo limite, e fino al raggiungimento dell'autosufficienza economica da parte della prole. Questo approdo deve essere rivisto alla luce della l. n. 54/2006, la quale introducendo l'art. 155-quater c.c. ha previsto che il provvedimento di assegnazione della casa familiare è trascrivibile ed opponibile ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c., con la conseguenza che allora il regime di opponibilità dei provvedimenti di assegnazione emessi dopo il 28 febbraio 2006 (data di entrata in vigore della norma) dovrebbe essere disciplinato con esclusiva applicazione delle regole della trascrizione. Ovviamente nulla esclude che il custode, ed a fortiori l'acquirente, possano eccepire al titolare del diritto di abitazione della casa coniugale l'intervenuta estinzione del diritto medesimo per sopravvenuta insussistenza dei presupposti attributivi dello stesso (raggiungimento della maggiore età e autosufficienza dei figli conviventi; cessazione della convivenza tra genitore affidatario e figli; allontanamento stabile dalla residenza familiare del coniuge assegnatario). Rispetto alle questioni sin qui richiamate si pone l'ulteriore problema del conflitto con il creditore pignorante che abbia iscritto ipoteca prima della trascrizione del provvedimento di assegnazione. In un primo momento si discuteva sull'argomento interrogandosi sulla applicabilità o meno dell'art. 2812 c.c. a seconda che si considerasse l'assegnazione della casa coniugale un diritto reale (dunque soggiacente alla disciplina di questa norma) o personale. In argomento deve registrarsi la pronuncia resa da Cass. III, n. 7776/2016, la quale ha affermato che «In materia di assegnazione della casa familiare, l'art. 155-quater c.c. (applicabile ratione temporis), laddove prevede che “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'art. 2643” c.c., va interpretato nel senso che entrambi non hanno effetto riguardo al creditore ipotecario che abbia acquistato il suo diritto sull'immobile in base ad un atto iscritto anteriormente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione, il quale perciò può far vendere coattivamente l'immobile come libero». Il pignoramento di beni immobili gravati da diritto di abitazione Il diritto di abitazione un diritto reale è disciplinato dagli artt. 1022 e ss. c.c., a mente del quale «Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia». Il successivo art. 1026 c.c. prevede poi che le disposizioni relative all'usufrutto si applicano, in quanto compatibili, all'uso e all'abitazione. Orbene, poiché ai sensi dell'art. 2643, comma 1 n. 4 c.c., i contratti che costituiscono o modificano (tra gli altri) il diritto di abitazione sono soggetti a trascrizione, la conseguenza sarà che, in virtù di quanto previsto dall'art. 2644,2914,2915 e 2919 c.c., il diritto di abitazione, se trascritto in data successiva al pignoramento (o all'ipoteca), sarà inopponibile all'aggiudicatario. In particolare, poi, ai sensi dell'art. 2812 c.c., il diritto di abitazione (come le servitù, il diritto di usufrutto e di uso), di cui sia stata trascritta la costituzione dopo l'iscrizione dell'ipoteca, si estingue con l'espropriazione del fondo ed il titolare del diritto è ammesso a partecipare alla distribuzione del ricavato con un diritto di preferenza rispetto ad altri creditori. In questo caso è opportuno che nel decreto di trasferimento sia dato conto dell'intervenuta estinzione del diritto, atteso che questa precisazione consentirà di annotare, a margine della trascrizione del diritto di abitazione, l'intervenuta estinzione. In caso contrario (ove cioè il diritto di abitazione sia stato trascritto in data antecedente al pignoramento, o all'ipoteca), la proprietà del bene pignorato verrà trasferita come gravata dal diritto di abitazione e gli atti espropriativi non potranno pregiudicare il titolare dello stesso. B) Il pignoramento dei beni concessi in locazione Il tema del pignoramento degli immobili concessi in locazione è sostanzialmente il tema della opponibilità della locazione al creditore pignorante, e dunque all'acquirente (Si veda in proposito l'approfondita analisi di Astuni, Vincoli opponibili nelle procedure esecutive: la locazione di immobili, 2011, in www.notariato.it). In argomento, la summa divisio va operata in primo luogo tra contratti stipulati dopo il pignoramento e contratti di locazione conclusi in data antecedente ad esso. A questo proposito occorre preliminarmente intendersi in ordine ai riferimenti temporali cui avere riguardo per stabilire se il contratto di locazione sia stato stipulato prima o dopo il pignoramento. In particolare, poiché com'è noto l'art. 555 c.p.c. costruisce il pignoramento immobiliare come una fattispecie a formazione progressiva, che si compie con la notifica e successiva trascrizione dell'atto, ci si chiede se ai fini della opponibilità del contratto di locazione alla procedura debba aversi riguardo alla data di notifica o a quella di trascrizione del pignoramento. Muovendo dall'assunto per cui con la notifica del pignoramento si crea un vincolo di indisponibilità del bene colpito, si potrebbe ritenere che il contratto di locazione stipulato dal debitore dopo la notifica del pignoramento, sebbene prima della sua trascrizione, è inopponibile alla procedura. Questo assunto è del tutto coerente con la lettera degli artt. 559 e 560 c.p.c., in forza dei quali il debitore, costituito ex lege custode del compendio pignorato con il pignoramento (recte con la notifica del pignoramento), non può darlo in locazione senza il consenso del Giudice. Esso, inoltre, consente di porre rimedio a comportamenti fraudolenti del debitore esecutato, il quale venuto a conoscenza del pignoramento potrebbe concederlo in locazione prima che lo stesso venga trascritto, al fine di rendere il bene meno appetito sul mercato. A questa ricostruzione si affianca la diversa opinione di chi invece ritiene che il contratto di locazione stipulato dopo la notifica del pignoramento ma prima della trascrizione dello stesso sia opponibile alla procedura (Ghedini Mazzagardi, Il custode e il delegato alla vendita nella nuova esecuzione immobiliare, Padova, 2013, 191), osservandosi in proposito che nei confronti del terzo conduttore ai fini della conoscibilità/opponibilità del pignoramento occorre avere riguardo alla trascrizione del medesimo. Certamente la seconda soluzione ha il pregio di salvaguardare meglio la posizione del conduttore in buona fede (che diversamente potrebbe contare esclusivamente sul rimedio di cui all'art. 1601 c.c.), ma non considera, forse, che l'art. 2923 c.c. non fa altro che ribadire in sede esecutiva, con gli opportuni adattamenti, il principio emptio non tollit locatum, già affermato in sede di vendita dagli artt. 1599 e ss. c.c. Ciò chiarito, con riferimento alle locazioni stipulate dopo il pignoramento, è facile osservare che gli stessi saranno inopponibili alla procedura. Con riferimento alle locazioni stipulate prima del pignoramento, occorre esaminare l'art. 2923 c.c., il quale nel disciplinare i rapporti tra locatore ed acquirente distingue quattro ipotesi: Locazioni di durata fino a nove anni: sono opponibili alla procedura se hanno data certa anteriore al pignoramento, laddove la data certa si ricava dalla registrazione del contratto, ai sensi dell'articolo 2704 c.c. Questo regime di opponibilità non muta anche qualora il contratto, di durata inferiore ai nove anni, si sia rinnovato. Invero, il dato normativo (art. 2643, n. 8 c.c.) è chiaro nel richiedere la trascrizione soltanto per i contratti di durata superiore ai nove anni, e tale non è il contratto di durata inferiore, anche se per effetto di rinnovi giunga ad avere una durata complessivamente superiore ai nove anni. In questi termini si è condivisibilmente espressa, anche se non recentemente, la giurisprudenza (Cass. III, n. 89/1974) la quale ha affermato che «Nell'ipotesi di contratto di locazione per il quale sia stata stabilita la durata di nove anni e nel quale si sia inoltre convenuto che, se una delle parti non avrà dato disdetta entro un certo termine anteriore alla scadenza fissata, il contratto stesso sarà tacitamente rinnovato per ulteriori nove anni, sono da ravvisare due distinti rapporti infra novennali, come tali non soggetti all'Onere della trascrizione per essere opponibili al terzo acquirente; il quale e tenuto a rispettare il secondo rapporto novennale soltanto se questo e già iniziato al momento dell'acquisto». Locazioni di durata superiore nove anni: sono opponibili alla procedura se trascritte nei registri immobiliari prima del pignoramento. Ovviamente, ove la locazione ultranovennale non sia stata trascritta, essa sarà opponibile nei limiti del novennio, sempre che abbia comunque data certa (Sulla durata nei limiti del novennio delle locazioni ultranovennali non trascritte v. Cass. III, n. 5792/2014; Cass. I, n. 3016/2008. La prova della detenzione può essere fornita con qualsiasi mezzo, e anche per presunzioni. A questo fine possono rilevare il certificato di residenza storico, l'intestazione delle utenze ed i bollettini di pagamento delle medesime, le quietanze di pagamento dei canoni, ecc.). Locazioni prive di data certa: sono opponibili alla procedura se la detenzione è anteriore al pignoramento, ed in questo caso l'acquirente è tenuto a rispettare la locazione per la durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato. Questa tipologia di contratti pone oggi una serie di rilevanti problemi. Il primo attiene al suo coordinamento con l'art. 1 della l. n. 431/1998, la quale ha imposto, per le locazioni abitative, il requisito della forma scritta a pena di nullità. Se ne deve ricavare allora, che il contratto privo di forma scritta, poiché nullo, non sarà opponibile alla procedura, a meno che non si ritenga che il conduttore possa invocare anche nei confronti del creditore pignorante l'art. 13, comma 6 della citata legge, la quale riconosce all'inquilino il diritto di esercitare l'azione di riconduzione del contratto nei casi in cui il locatore non abbia provveduto a registrare il contratto, nei termini prescritti dal comma primo della medesima disposizione. Altra questione è quella relativa a se il rinvio operato dall'art. 2923 c.c. debba intendersi come rinvio fisso, e dunque ai termini previsti dal 1574 per le locazioni a tempo indeterminato (e così: un anno per gli alloggi senza arredamento o immobili destinati all'esercizio di professione, industria o commercio; durata pari all'unità di tempo (settimana, mese etc.) di pagamento del canone, per gli alloggi ammobiliati) oppure come rinvio mobile e dunque ai termini di durata delle locazioni imperativamente previsti della l. n. 392/1978 e dalla l.n. 431/1998 (Vaccarella, Postilla (a proposito dei rapporti tra art. 2923 c.c. e l. n. 431/1998), in Riv. es ecuz . for zata 2000, 488; A stuni, cit.). Infine, deve chiedersi come si concili questa norma con l'obbligo di registrazione dei contratti di locazione. Invero, ai sensi dell'art. 1, comma 346 l. n. 311/2014, «I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». A proposito di questa norma la Corte Costituzionale con ordinanza n. 420 del 2007 ha affermato che essa «non introduce ostacoli al ricorso alla tutela giurisdizionale, ma eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullità del negozio ai sensi dell'art. 1418 c.c.». Se si accede dunque all'idea secondo la quale i contratti di locazione non registrati sarebbero colpiti da nullità, è evidente che tutti i contratti privi di data certa sarebbero nulli, e dunque non opponibili alla procedura. In termini simili, e trattando degli effetti della registrazione tardiva si è espressa Cass. III, n. 10498/2017, la quale ha osservato che «In tema di locazione immobiliare (nella specie per uso non abitativo), la mancata registrazione del contratto determina, ai sensi dell'art. 1, comma 346 della l. n. 311/2004, una nullità per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c., la quale, in ragione della sua atipicità, desumibile dal complessivo impianto normativo in materia ed in particolare dalla espressa previsione di forme di sanatoria nella legislazione succedutasi nel tempo e dall'istituto del ravvedimento operoso, risulta sanata con effetti ex tunc dalla tardiva registrazione del contratto stesso, implicitamente ammessa dalla normativa tributaria, coerentemente con l'esigenza di contrastare l'evasione fiscale e, nel contempo, di mantenere stabili gli effetti negoziali voluti dalle parti, nonché con il superamento del tradizionale principio di non interferenza della normativa tributaria con gli effetti civilistici del contratto, progressivamente affermatosi a partire dal 1998». Locazioni il cui prezzo sia inferiore di un terzo a quello giusto o a quello risultante dalle precedenti locazioni: esse sono inopponibili alla procedura. In quest'ultimo caso si pongono sostanzialmente tre questioni: se il rilievo del canone vile possa essere formulato da soggetti diversi dall'acquirente dell'immobile, cui l'art. 2923 si riferisce espressamente; se la viltà del canone possa essere accertata in seno all'esecuzione dal G.E. incidenter tantum; se, accertata la viltà del canone, lo strumento per ottenere la disponibilità dell'immobile da parte del custode sia quello dell'art. 700 c.p.c. o se invece costui possa agire mettendo in esecuzione l'ordine di liberazione. A tutti i quesiti si ritiene perlopiù che debba essere data risposta positiva. Con riferimento al primo di essi, si osserva che l'art. 2923 fa riferimento al solo acquirente soltanto perché, dal punto di vista sostanziale, l'unico conflitto ipotizzabile è quello tra conduttore ed acquirente, posto che l'esistenza di una locazione non impedisce al creditore di chiedere ed ottenere la vendita del bene; ne consegue allora che la lettera dell'art. 2923 non è di ostacolo al riconoscimento, anche in capo al custode, del potere di eccepire la misura vile del canone. A questo proposito, dunque, da un lato non esiste preclusione normativa; dall'altro, deve osservarsi che la riforma del 2005, nel rendere sostanzialmente doverosa l'adozione dell'ordine di liberazione dell'immobile in funzione della necessità di assicurare che all'acquirente sia trasferito un bene libero, impone al custode di anticipare la risoluzione di tutti quei conflitti in cui si discuta della possibilità per l'aggiudicatario di conseguire la disponibilità dell'immobile all'esito dell'adozione da parte del Giudice del decreto di trasferimento, e certamente è tale la situazione in cui lo stesso sia condotto da un terzo ad un prezzo inferiore a quello giusto. C) Il pignoramento dei beni conferiti in trust “Trust” è un termine inglese che, letteralmente, significa “fiducia”: secondo una storica descrizione inglese, «quando una persona è titolare di diritti che è tenuta ad esercitare nell'interesse di un'altra persona o per il raggiungimento di un determinato scopo, si dice che questa persona è titolare di detti diritti in trust per l'altra persona o per il raggiungimento di questo scopo, e viene pertanto chiamata trustee» (Malaguti, Il trust, in Galgano (a cura di), Atlante di diritto privato comparato, Bologna, 1992, 183). In generale (Per ogni approfondimento si legga Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2010), attraverso il trust un soggetto (settlor o grantor o “disponente”) crea un trust (per scopi di mera gestione dei beni, di tutela della propria discendenza o di soggetti svantaggiati, di beneficenza, di garanzia del credito, ecc.) o dichiarandosi “trustee” di taluni suoi beni (o crediti) nell'interesse di una o più persone (il beneficiario); oppure “trasferendo” questi beni a una o più persone (trustee) affinché “in trust” li detengano o li gestiscano in favore del beneficiario. L'atto costitutivo del disponente può (in alcuni casi “deve”) indicare dei soggetti con il compito di controllare l'operato del trustee, i cosiddetti “guardiani” (o protectors o enforcers). I beni o diritti oggetto del trust (detti trust property o trust estate o trust-fund) costituiscono un patrimonio separato da quello del trustee, inattaccabile sia dai suoi creditori che da quelli del disponente. La figura del trust è stata introdotta nell'ordinamento italiano con la l. n. 364/1989 con cui è stata ratificata la «Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento» adottata a L'Aja in data 1° luglio 1985. Secondo la Convenzione il trust è il rapporto giuridico stipulato in forma scritta con cui il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – pone dei beni sotto il controllo di un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine specifico. I suoi effetti sono disciplinati dall'art. 11, secondo cui «un trust costituito in conformità alla legge specificata al precedente capitolo dovrà essere riconosciuto come trust. Tale riconoscimento implica quanto meno che i beni del trust siano separati dal patrimonio personale del trustee, che il trustee abbia le capacità di agire in giudizio ed essere citato in giudizio, o di comparire in qualità di trustee davanti a un notaio o altra persona che rappresenti un'autorità pubblica. Qualora la legge applicabile al trust lo richieda, o lo preveda, tale riconoscimento implicherà, in particolare: a) che i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni del trust; b) che i beni del trust siano separati dal patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest'ultimo o di sua bancarotta; c) che i beni del trust non facciano parte del regime matrimoniale o della successione dei beni del trustee; d) che la rivendicazione dei beni del trust sia permessa qualora il trustee, in violazione degli obblighi derivanti dal trust, abbia confuso i beni del trust con i suoi e gli obblighi di un terzo possessore dei beni del trust rimangono soggetti alla legge fissata dalle regole di conflitto del foro». La Convenzione si preoccupa di specificare (art. 4) che essa non disciplina le “questioni” relative alla validità dell'atto in forza del quale i beni confluiscono nel trust le quali dunque dovranno essere vagliata in base alla lex fori. Essa così implicitamente distingue il cosiddetto “negozio di dotazione”, che è l'atto di conferimento dei beni, dall'atto istitutivo del trust. L'art. 8 della Convenzione dispone poi che sia la legge regolatrice straniera a disciplinare «la validità, l'interpretazione, gli effetti e l'amministrazione del trust». Si ritiene in dottrina (Lupoi, Trusts, Milano, 1997) che il trust sia una fattispecie negoziale residuale, cui è possibile ricorrere allorquando gli altri strumenti di esercizio dell'autonomia patrimoniale sono inidonei a perseguire il fine precipuo che il disponente intende conseguire. Anche la prevalente giurisprudenza si è mossa nel solco di questa opinione, osservando che «la funzione, la meritevolezza di interessi e la pertinenza dell'operazione» rispetto al fine del trust debba essere scandagliata dal Giudice (per tutte, Trib. Reggio Emilia 27 agosto 2011, n. 1337, in Trusts e attività fiduciarie, 2012, 61 ss.). Causa del negozio istitutivo di trust è il programma della segregazione di una o più posizioni soggettive o di un complesso di posizioni soggettive unitariamente considerato (beni in trust) affidate al trustee per la tutela di interessi che l'ordinamento ritiene meritevoli di tutela (scopo del trust). Corollario di quanto sin qui detto è che la finalità perseguita non può essere quella di sottrarre ai creditori il patrimonio del disponente poiché in tal caso non vi sarebbe alcun interesse meritevole di protezione; la separazione dei patrimoni, infatti costituisce un effetto del trust, ma non può rappresentarne il fine ultimo (Trib. Reggio Emilia 27 agosto 2011, n. 1337, cit.), con l'ulteriore conseguenza che è revocabile, ex art. 2901 c.c., l'atto istitutivo del trust che sia compiuto in frode ai creditori (Trib. Cassino 8 gennaio 2009, in Trusts e Attività Fiduciarie, 2009, 419; Trib. Cassino 1° aprile 2009, in Trusts e Attività Fiduciarie, 2010, 183; Trib. Torino -Moncalieri 15 giugno 2009, in Trusts e Attività Fiduciarie, 2010, 83. In dottrina, Lupoi, Azione revocatoria e trust familiare, in Trusts e Attività Fiduciarie, 2009, 446). Il trust non ha personalità giuridica, e dunque il trustee è l'unico soggetto legittimato nei rapporti con i terzi, in quanto dispone in esclusiva del patrimonio vincolato alla predeterminata destinazione (Cass. n. 25800/2015). Di conseguenza, è il trustee l'unica persona di riferimento con i terzi e non quale legale rappresentante, ma quale soggetto che dispone del diritto (Cass. n. 25478/2015; Cass. n. 3456/2015): e ciò in quanto l'effetto proprio del trust non è quello di dare vita ad un nuovo soggetto di diritto, ma quello di istituire un patrimonio destinato ad un fine prestabilito (Cass. n. 10105/2014). Sul piano esecutivo, allora, le conseguenze che derivano dall'aggressione di beni oggetto di un trust sono molteplici. In primo luogo i beni in trust non possono essere pignorati per debiti del disponente: ciò in quanto titolare dei cespiti è il trustee (e, nel caso di trust autodichiarato, rileva l'apposizione del vincolo di trust), e dunque un soggetto diverso dal debitore. In secondo luogo, i beni caduti in trust non possono essere aggrediti per ottenere la soddisfazione di debiti personali del trustee, debiti dei quali i beni in trust non rispondono poiché costituiscono un patrimonio separato e vincolato. Occorre poi accertarsi se il pignoramento, sotto il profilo formale, sia stato compiuto correttamente. A questo proposito assai correttamente Trib. Reggio Emilia 25 marzo 2013 ha osservato che il trust è un rapporto (art. 2 della Convenzione) tra soggetti, non già un ente munito di soggettività giuridica; ne deriva che il pignoramento non deve essere notificato al trust in persona del trustee, ma a quest'ultimo in proprio quale proprietario dei beni. Per le medesime ragioni, la citata giurisprudenza ha ritenuto illegittima la trascrizione del pignoramento “contro il trust”, anche se sul punto va registrata l'opposta soluzione di Trib. Torino 10 febbraio 2011, secondo cui il pignoramento del trust potrebbe essere trascritto “contro il disponente e a favore del trust”. Questo principio è stato confermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2043/2017, nella quale si è ribadito che il pignoramento dei beni conferiti in trust deve essere trascritto nei confronti del trustee quale titolare dei beni e non quale legale rappresentante del trust. Segnatamente, si è statuito che i beni conferiti nel trust debbono essere pignorati nei confronti del trustee, perfino a prescindere dall'espressa spendita di tale qualità, relegando ad una valutazione di mera opportunità – e quindi di mera facoltatività – un'apposita menzione dell'appartenenza di quelli ad una massa separata o segregata, quale in genere viene ricostruito il patrimonio che il trust compone. Al contrario, un pignoramento che colpisca beni che si prospettano nella – formale e separata – titolarità di un trust prospetta una fattispecie giuridicamente impossibile secondo il vigente ordinamento interno e, quindi, insanabilmente nulla per impossibilità di identificare un soggetto esecutato giuridicamente possibile, siccome inesistente e quindi insuscettibile tanto di essere titolare di diritti che – soprattutto e per quanto rileva ai fini della proseguibilità del relativo processo esecutivo – di subire espropriazioni (cioè coattivi trasferimenti) dei medesimi (Cass. III, n. 2043/2017). D) Il pignoramento dei beni costituenti il fondo patrimoniale Il fondo patrimoniale, previsto dall'art. 167 c.c., è l'atto con il quale entrambi i coniugi, uno di essi o un terzo vincolano determinati beni immobili, mobili registrati o titoli di credito al soddisfacimento dei diritti di mantenimento, di assistenza e di contribuzione della famiglia. Si costituisce per atto pubblico – ove abbia ad oggetto beni immobili- ed ai fini della sua opponibilità deve essere annotato a margine dell'atto di matrimonio; assolve invece ad una funzione di mera pubblicità notizia la sua trascrizione presso i registri immobiliari. Secondo Cass. S.U., n. 21658/2009 (e nello stesso senso, da ultimo, da Cass. I, ord., n. 12545/2019) la costituzione del fondo patrimoniale di cui all'art. 167 c.c. è soggetta alle disposizioni dell'art. 162 c.c., circa le forme delle convenzioni matrimoniali, ivi inclusa quella del quarto comma, che ne condiziona l'opponibilità ai terzi all'annotazione del relativo contratto a margine dell'atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell'art. 2647 c.c., resta degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo. (Nella specie, le S.U. hanno confermato la sentenza di merito che – in presenza di un atto di costituzione del fondo patrimoniale trascritto nei pubblici registri immobiliari, ma annotato a margine dell'atto di matrimonio successivamente all'iscrizione di ipoteca sui beni del fondo medesimo – aveva ritenuto che l'esistenza del fondo non fosse opponibile al creditore ipotecario). Esso dà vita alla costituzione di un patrimonio separato, con limitazione dei poteri dispositivi dei costituenti alle predette finalità. Cass. I, n. 18065/2004 ha affermato che la costituzione del fondo patrimoniale determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo stesso, affinché con i loro frutti sia assicurato il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità della proprietà dei beni stessi. L'Istituto ha incontrato abbastanza favore tra i coniugi anche se esso viene sovente utilizzato per scopi che non attengono strettamente alle esigenze della famiglia, quanto piuttosto come mezzo per sottrarre ai creditori la loro garanzia patrimoniale. L'art. 170 c.c. dispone che l'esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. I beni del fondo possono essere aggrediti quindi solo a seguito dell'inadempimento di obbligazioni assunte da uno o da entrambi i coniugi per i bisogni della famiglia. Sarà possibile agire in executivis sui frutti e sui beni del fondo anche per le obbligazioni contratte da uno o da entrambi i coniugi per i bisogni estranei alle esigenze della famiglia, solo se i creditori ignoravano tale estraneità. La destinazione del debito ai bisogni di famiglia di cui all'art. 170 c.c. non va intesa in senso restrittivo. L'obbligazione, secondo l'ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale, non deve essere legata alla necessità di soddisfare le esigenze essenziali del nucleo familiare, ma può avere riguardo alle più ampie e varie esigenze dirette al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento delle sue capacità lavorative, con esclusione delle sole esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (Cass. III, n. 134/1984). Nella stessa direzione Cass. III, n. 12998/2006, secondo cui «In tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo va ricercato nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che l'esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia». Sul versante processuale, la prova che i beni sottoposti ad esecuzione non possono essere aggrediti poiché ricadenti nel fondo patrimoniale deve essere fornita dal debitore, dovendo questi dimostrare che il debito è stato contratto per uno scopo estraneo ai bisogni della famiglia e che il creditore era a conoscenza di tale circostanza. In questi termini si è espressa Cass. III, n. 5385/2013. In precedenza, nella stessa direzione è andata Cass. III, n. 5684/2006 del, secondo la quale «L'esecuzione sui beni e sui frutti del fondo patrimoniale è consentita, a norma dell'art. 170 c.c., soltanto per debiti contratti per fare fronte ad esigenze familiari, sicché, in sede di opposizione al pignoramento, spetta al debitore provare che il creditore conosceva l'estraneità del credito ai bisogni della famiglia, sia perché i fatti negativi (nella specie l'ignoranza) non possono formare oggetto di prova, sia perché esiste una presunzione di inerenza dei debiti ai detti bisogni». L'attuazione dell'ordine di liberazione Le modalità di attuazione dell'ordine di liberazione hanno costituito in passato il terreno di un vivace confronto. Sul tema aveva gettato una luce chiarificatrice la riforma del 2006, la quale aveva qualificato l'ordine di liberazione “titolo esecutivo per il rilascio”, da eseguirsi a cura del custode e nell'interesse dell'aggiudicatario. Il precipitato di questa scelta normativa era evidentemente quello per cui alla sua esecuzione si provvedesse a norma degli artt. 605 e ss. c.p.c. Il d.l. n. 59/2016 convertito in l. n. 119/2016, nel riscrivere i commi terzo e quarto dell'art. 560 c.p.c. aveva compiuto una scelta radicalmente diversa, prevedendo invece expressis verbis che l'ordine di liberazione fosse «attuato dal custode secondo le disposizioni del giudice dell'esecuzione immobiliare, senza l'osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti». Il cambio di prospettiva era evidente, ed i precipitati operativi che ne derivavano di assoluto rilievo. Ed infatti, l'attuazione (e non l'esecuzione) dell'ordine di liberazione non dava più luogo ad un autonomo procedimento esecutivo per rilascio; l'ordine di liberazione veniva attuato direttamente dal custode (il quale, non dovendo introdurre una esecuzione per rilascio ex art. 605 e ss non aveva più la necessità di munirsi del ministero di un avvocato, con evidenti risparmi di costi per la procedura); era il Giudice dell'esecuzione immobiliare a disciplinare le modalità di esecuzione dell'ordine di liberazione, le quali si dipanavano senza l'intervento dell'ufficiale giudiziario (che interveniva solo per la notifica dell'ordine di liberazione al terzo, adempimento espressamente previsto dall'art. 560, comma 4). Conseguentemente, non era necessario che l'ordine di esecuzione fosse munito di formula esecutiva, né occorreva provvedere alla previa notifica dell'atto di precetto. La riscrittura dell'art. 560 ad opera dall'art. 4, comma 2 d.l. n. 135/2018, convertito, con modificazioni, con l. n. 12/2019, ha riproposto nuovamente il problema delle modalità di attuazione – esecuzione dell'ordine di liberazione, poiché a differenza di quanto avvenuto sino a quel momento, in quest'ultimo intervento manipolativo il legislatore non ha affrontato l'argomento, facendo riaffiorare i dubbi interpretativi che si erano posti prima della modifica dell'ormai lontano 2006. È intuibile che gli scenari ipotizzabili sono essenzialmente due. Il primo è quello di considerare l'ordine di liberazione titolo esecutivo per rilascio ai sensi dell'art. 474 c.p.c., da eseguire dunque con le forme prescritte dagli artt. 605 ss. c.p.c. (Angelone, Il nuovo «Modo» della custodia dopo la l. n. 12/2019, in Riv. es ecuz . for ata, 2019, 521; contra Crivelli, L'ordine di liberazione dopo la l. 11 febbraio 2019 n. 12, in Riv. es ecuz . for zata, 2019, 4, 760). In dottrina si è obiettato che a questa scelta sarebbe ostativo: il fatto che a differenza della versione del 2006, l'art. 560 oggi la norma non individua il soggetto che dovrebbe fungere da creditore, e che dunque sul piano processuale dovrebbe essere titolare della legittimazione ad agire; il principio della tassatività dei titoli esecutivi giudiziali ricavabile dall'art. 474, comma 2, n. 1) c.p.c., il quale annovera tra i titoli idonei a fondare un'esecuzione forzata «gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva» con ciò richiedendo un'esplicita volontà legislativa in tal senso; il pregiudizio che una esecuzione per rilascio determinerebbe per il principio della ragionevole durata del processo (Fanticini, La liberazione dell'immobile pignorato dopo la “controriforma” del 2019, in www.ineXecutivis.it, 14 marzo 2019). Il secondo è quello di pensare ad una attuazione nelle forme di cui all'art. 669-duodecies c.p.c., (così, espressamente, Crivelli, cit.) poiché l'ordine di liberazione sarebbe un “provvedimento esecutivo ed ordinatorio, per sua stessa vocazione non riconducibile all'art. 474 c.p.c.” (così Trib. Salerno 2 novembre 2004; Trib. Bologna 16 marzo 2000, n. 813) necessario per l'ulteriore corso della procedura esecutiva immobiliare al giudice che lo stesso giudice dell'esecuzione, avvalendosi dei suoi poteri di direzione (art. 484 c.p.c.), attua designando gli ausiliari deputati al «compimento di atti che egli non è in grado di compiere da sé solo» (art. 68, comma 1, c.p.c.) e richiedendo «l'assistenza della forza pubblica» (art. 68, comma 3 c.p.c.), alla quale può prescrivere tutto ciò che è necessario per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede (Fanticini, cit.). Va da ultimo osservato che l'art. 18-quater, comma 1 della l. n. 8/2020 (in G.U. Serie Generale n. 51 del 29 febbraio 2020 – Suppl. Ordinario n. 10), di conversione con modificazioni, del d.l. n. 162/2019 ha aggiunto all'art. 560, comma 6, i seguenti periodi: A richiesta dell'aggiudicatario, l'ordine di liberazione può essere attuato dal custode senza l'osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti; il giudice può autorizzarlo ad avvalersi della forza pubblica e nominare ausiliari ai sensi dell'articolo 68. Quando nell'immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati, il custode intima alla parte tenuta al rilascio di asportarli, assegnando ad essa un termine non inferiore a trenta giorni, salvi i casi di urgenza da provarsi con giustificati motivi. Quando vi sono beni mobili di provata o evidente titolarità di terzi, l'intimazione è rivolta anche a questi ultimi con le stesse modalità di cui al periodo precedente. Dell'intimazione è dato atto nel verbale. Se uno dei soggetti intimati non è presente, l'intimazione gli è notificata dal custode. Se l'asporto non è eseguito entro il termine assegnato, i beni mobili sono considerati abbandonati e il custode, salva diversa disposizione del giudice dell'esecuzione, ne dispone lo smaltimento o la distruzione. Dopo la notifica o la comunicazione del decreto di trasferimento, il custode, su istanza dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, provvede all'attuazione del provvedimento di cui all'articolo 586, secondo comma, decorsi sessanta giorni e non oltre centoventi giorni dalla predetta istanza, con le modalità definite nei periodi dal secondo al settimo del presente comma. Inoltre, il comma 2 del medesimo art. 18-quater ha previsto che «In deroga a quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 4 del d.l. n. 135/2018 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 12/2019, (il quale prevedeva che: “le disposizioni introdotte con il presente articolo non si applicano alle esecuzioni iniziate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”) le disposizioni introdotte dal comma 2 del predetto articolo 4 si applicano anche alle procedure di espropriazione immobiliare pendenti alla data di entrata in vigore della citata legge n. 12 del 2019 nelle quali non sia stato pronunciato provvedimento di aggiudicazione del bene». Ordine di liberazione e riforma Cartabia Una ultima sistemazione normativa all'ordine di liberazione si deve alla riforma Cartabia. Il d.lgs. n. 149/2022 era stato incaricato dalla legge delega di «prevedere che il giudice dell'esecuzione ordina la liberazione dell'immobile pignorato non abitato dall'esecutato e dal suo nucleo familiare ovvero occupato da soggetto privo di titolo opponibile alla procedura, al più tardi nel momento in cui pronuncia l'ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni e che ordina la liberazione dell'immobile abitato dall'esecutato convivente col nucleo familiare al momento in cui pronuncia il decreto di trasferimento, ferma restando comunque la possibilità di disporre anticipatamente la liberazione nei casi di impedimento alle attività degli ausiliari del giudice, di ostacolo del diritto di visita di potenziali acquirenti, di omessa manutenzione del cespite in uno stato di buona conservazione o di violazione degli altri obblighi che la legge pone a carico dell'esecutato o degli occupanti». Il legislatore delegante prescriveva poi che il custode avrebbe dovuto ad attuare il provvedimento di liberazione del cespite, secondo le disposizioni del giudice dell'esecuzione immobiliare, senza l'osservanza delle formalità di cui agli artt. 605 ss. c.p.c., anche successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento, nell'interesse dell'aggiudicatario o dell'assegnatario, se questi non lo avessero esentato. Sulla scorta di queste direttive, il nuovo art. 560 c.p.c., dopo aver ribadito in esergo che debitore e custode giudiziario debbono rendere il conto a norma dell'art. 593, riafferma in primis, con forza, che il divieto di stipulare locazioni in assenza di autorizzazione del giudice dell'esecuzione, riguarda non solo il debitore, ma anche il custode. La riforma, prendendo atto della funzionalità dell'anticipata liberazione dell'immobile a rendere appetibile la vendita (la cui centralità nel procedimento liquidatorio è stata ribadita, da ultimo, da Cass. n. 9877/2022, dove si è affermato che «l'ordine di liberazione è funzionale agli scopi del processo di espropriazione forzata e, in particolare, all'esigenza pubblicistica di garantire la gara per la liquidazione del bene pignorato alle migliori condizioni possibili, notoriamente connesse, sul mercato dei potenziali acquirenti, allo stato di immediata, piena ed incondizionata disponibilità dell'immobile») riafferma che solo quando l'immobile è abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare la liberazione può essere differita al si pronuncia il decreto di trasferimento. Pure ribadito, così come auspicato in dottrina, che la pronuncia del decreto di trasferimento non è ostativa alla liberazione dell'immobile a cura e spese della procedura in attuazione di un ordine di liberazione che, quando l'immobile è abitato dal debitore e dalla sua famiglia, deve essere adottato contestualmente al decreto di trasferimento; ciò, implicitamente, conferma che anche nelle vendite giudiziarie è configurabile una obbligazione di consegna dell'immobile venduto, a norma dell'art. 1476 c.c. Anche sul piano eminentemente operativo, il novellato art. 560 riafferma la doverosità della liberazione, che prescinde dalla richiesta dell'aggiudicatario, legittimato tuttavia a rinunciarvi e la sua indipendenza dalla pronuncia del decreto di trasferimento, che dunque comporta la necrosi delle funzioni custodiali, il che nella sostanza costituisce un implicito riconoscimento della operatività, anche in seno alla vendita esecutiva, della previsione di cui al citato art. 1476 c.c. che impone al venditore un obbligo di consegna del bene. Inoltre, trattandosi di obbligazione a carico del venditore è evidente che essa dovrà essere adempiuta senza oneri per l'aggiudicatario. Del pari, è ribadito che all'attuazione dell'ordine di liberazione provvederà il custode, in seno alla procedura esecutiva immobiliare eventualmente avvalendosi della forza pubblica o di altri ausiliari, previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione. Un ulteriore contributo di chiarezza viene offerto in punto di individuazione dei doveri cui è tenuto l'esecutato che abiti l'immobile. Invero, si ribadisce che egli deve: assicurare l'esercizio del diritto di visita conformemente alle disposizioni del giudice dell'esecuzione; tutelare e mantenere adeguatamente l'immobile in uno stato di buona conservazione; osservare gli altri obblighi che la legge pone a suo carico. La norma chiarisce inoltre (ma si tratta di conclusione cui la prassi era già arrivata per via esegetica) che il debitore non ostacolare le attività degli “ausiliari” del giudice, tra i quali va certamente annoverato anche l'esperto stimatore. Di contro, recependosi le indicazioni provenienti da molti uffici giudiziari, si sancisce per il custode giudiziario l'obbligo di «di vigilare affinché il debitore e il nucleo familiare conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino l'integrità». |