La responsabilità solidale IVA per frode del terzo opaco e la proporzionalità del carico sanzionatorio
02 Aprile 2025
Massima La Corte UE, con sentenza resa in C-331/23, discostandosi dal percorso argomentativo proposto in causa dall’avvocato generale nelle proprie conclusioni, ha sostenuto l’applicabilità, al caso concreto, dell’articolo 205 della Direttiva IVA 2006/112 riconoscendo di fatto la coerenza al dato normativo unionale di una norma interna che, per garantire la riscossione dell’IVA, individua una responsabilità solidale per debiti d’imposta di un terzo, anche nel caso in cui tale ultimo soggetto sia sconosciuto e la base imponibile sia di conseguenza calcolata in maniera presunta. Ciò, altresì, senza che il giudice comune possa (debba) esercitare un potere di valutazione in funzione del grado di partecipazione delle diverse persone coinvolte in una frode fiscale, pur riconoscendo la prova contraria, e senza tener conto, nell’ambito della solidarietà fiscale IVA, del diritto del ricorrente alla detrazione dell’IVA dovuta o assolta a monte. Il caso Dall’ordinanza di rinvio sappiamo che, a fronte della fatturazione a privati, in realtà le bevande venivano fornite a clienti che svolgevano un’attività imprenditoriale (gestori di strutture alberghiere e di ristorazione), i quali le avrebbero rivendute «in nero». Sull’acquisto delle merci veniva in ogni caso pagata l’IVA al rivenditore (il ricorrente), il quale la versava regolarmente all’Erario. La mancata conoscenza dell’identità dei reali cessionari, soggetti passivi IVA, provocando l’irrogazione del carico sanzionatorio esclusivamente sul soggetto passivo cedente (ricorrente), ha portato il giudice del rinvio a ragionare intorno alla compatibilità della norma interna rispetto all’art. 205 della direttiva IVA, in combinato disposto con il principio di proporzionalità, alla luce di una responsabilità generale incondizionata della prima che il giudice non può valutare in funzione del contributo di ciascuno alla frode fiscale, oltre alla possibile violazione del principio di neutralità dell’IVA, ove la norma interna vada interpretata nel senso che un soggetto è responsabile in solido per l’assolvimento dell’IVA al posto del debitore legale, senza che si debba tenere conto del diritto alla detrazione dell’IVA che può essere esercitato dal debitore legale. L’amministrazione finanziaria belga recepiva in un verbale le infrazioni contestate a cui faceva seguito un’ingiunzione di pagamento dichiarata esecutiva, avente ad oggetto l’IVA dovuta e le correlate sanzioni pecuniarie. Nel verbale si indicava che la ricorrente era già stata sottoposta in passato a controlli, imposizioni di sanzioni pecuniarie e condanne giudiziarie per le medesime infrazioni relative a periodi d’imposta dal 2000 al 2004, a seguito delle quali venivano emesse sentenze nel 2008 che riconoscevano in capo a detta società di aver organizzato un sistema di emissione di fatture false nell’ambito del quale le merci menzionate sulle fatture venivano consegnate non ai clienti (privati) indicati nelle fatture stesse, bensì a clienti che esercitavano un’attività imprenditoriale, quali gestori di caffè, alberghi, ristoranti, la cui identità non era tracciabile. Al contempo, a causa di siffatti addebiti, era avviato un procedimento penale nei confronti della ricorrente per gli anni 2012, 2013 e 2014, che si concludeva con la condanna della medesima per frode fiscale relativa all’IVA e all’imposta sul reddito, per il fatto che essa aveva apportato un contributo fondamentale ad un sistema di frode che consentiva ai propri clienti commerciali di vendere in nero le merci acquistate. Nel procedimento avverso l’avviso di accertamento pendente dinanzi al giudice del rinvio, la ricorrente ha fatto valere l’argomento giuridico in base al quale nessuno può essere considerato responsabile in modo incondizionato per la frode di un altro. Tale forma di responsabilità oggettiva eccederebbe i limiti di quanto necessario per preservare i diritti dell’Erario e combattere la frode fiscale e violerebbe al contempo il principio di proporzionalità. La questione Con la prima questione rivolta alla Corte UE, il giudice del rinvio ha chiesto se l’articolo 205 della direttiva IVA, che consente agli Stati membri di poter stabilire che una persona diversa dal debitore dell’imposta è responsabile in solido per l’assolvimento dell’IVA, letto alla luce del principio di proporzionalità, fosse da interpretare nel senso di impedire ad una norma nazionale, in funzione di garantire la riscossione dell’IVA, di prevedere la responsabilità oggettiva in solido di un soggetto passivo, diverso da quello che sarebbe di norma debitore di tale imposta. Ciò senza tuttavia che il giudice competente possa esercitare un potere di valutazione in funzione della partecipazione delle diverse persone coinvolte in una frode fiscale, alla luce della mancata indicazione (volontaria) in fattura del reale acquirente (v. il p. 47 e 54 delle conclusioni rese in C-331/23 dall’avv. gen. J. Kokott), in veste non già di consumatore finale bensì di soggetto passivo rivenditore in nero della merce acquistata, con conseguente nocumento per le casse erariali in punto di mancata riscossione di imposte dirette ed IVA. Con la sua seconda questione, è stato chiesto alla Corte UE se l’art. 205 della direttiva IVA osti ad una norma interna che imponga un obbligo in solido di assolvimento dell’IVA ad un soggetto passivo diverso da quello che sarebbe di norma debitore, negando al primo il diritto alla detrazione dell’IVA sulle operazioni a monte, nella misura in cui è appurato che il soggetto emittente delle fatture era attivamente coinvolto nella frode di un terzo. La soluzione giuridica La solidarietà IVA prevista dalla direttiva IVA Ai sensi dell'articolo 205 citato, nelle situazioni contemplate dagli articoli da 193 a 200 e da 202 a 204 della direttiva IVA, gli Stati membri possono prevedere che una persona diversa dal debitore sia tenuta in solido al pagamento dell'IVA. Per effetto dell'articolo 193 richiamato, la regola di base vuole che l'IVA sia dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile, prevedendosi altresì che altre persone possano o debbano essere qualificate come debitrici IVA. Tale previsione è contenuta, appunto, nell'art. 205, il quale consente all'Erario del singolo Stato membro UE di poter riscuotere efficacemente l'IVA dalla persona più adatta alla luce della situazione in questione, individuando una persona diversa da quella di norma tenuta al pagamento di tale imposta ai sensi degli articoli da 193 a 200 e da 202 a 204, quale responsabile in solido del pagamento dell'imposta stessa (v. C‑4/20, p. 28 e 29). Circa la funzione dell'art. 205 richiamato, l'avv. gen. J. Kokott, al p. 33 delle proprie conclusioni rese in C-331/23, condivisibilmente osserva che tale norma IVA non trasferisce il debito d'imposta ad un'altra persona, come avviene, ad esempio, nel caso dell'articolo 196 della direttiva IVA. Essa prevede, accanto al soggetto passivo, un'ulteriore persona obbligata all'assolvimento dell'imposta. Tale obbligo di pagamento è conformato al riguardo come un'obbligazione solidale . Esso è tuttavia correlato ad un debito d'imposta preesistente di un'altra persona ed è dunque conformato come un'obbligazione accessoria . Esso corrisponde pertanto, in sostanza, alla responsabilità di un terzo per l'imposta dovuta da un'altra persona. La Corte UE ricorda in sentenza che, dal momento che l'articolo 205 non specifica né le persone che gli Stati membri possono designare come debitori in solido né le situazioni in cui tale designazione può essere effettuata, spetta agli Stati membri sia di designare un debitore in solido diverso dal debitore IVA al fine di garantire l'effettiva riscossione dell'imposta sia di determinare le condizioni e le modalità di attuazione della responsabilità in solido, prevista dall'art. 205, ma nel rispetto in particolare dei principi della certezza del diritto e di proporzionalità (v. C‑4/20, p. 31 e 32). Di qui la costante giurisprudenza della Corte UE che ha giustificato l'applicabilità dell'art. 205 qualora, al momento dell'esecuzione dell'operazione a favore del soggetto passivo (operazione passiva a monte), esso era a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza del fatto che l'IVA dovuta su tale operazione, o su un'operazione precedente o successiva, non sarebbe stata assolta, potendo lo Stato al riguardo fondare la ripresa su presunzioni, purché queste ultime non siano formulate in maniera tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile per il soggetto passivo rovesciarle fornendo la prova contraria, pena il sorgere di un sistema di responsabilità oggettiva , che andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell'Erario. Infatti, gli operatori che adottano qualsiasi misura che possa essere ragionevolmente pretesa nei loro confronti al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una catena abusiva o fraudolenta devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di essere obbligati in solido a versare tale imposta dovuta da un altro soggetto passivo (v. C‑4/20, p. 36). Responsabilità oggettiva che, nel caso in commento e condivisibilmente, la Corte Ue ha ritenuto di escludere, alla luce della costruzione della norma interna belga sul punto (art. 51 bis, par. 4, del Codice IVA) che consente la prova contraria nella misura in cui evidenzia una responsabilità solidale qualora il soggetto passivo (in tal caso il venditore ricorrente) al momento in cui hanno effettuato un'operazione, « sapevano o avrebbero dovuto sapere che il mancato pagamento dell'imposta nella catena di operazioni era o sarebbe avvenuto con l'intenzione di evadere l'imposta». La presunzione della norma interna, quindi, appare pienamente confutabile (ed in linea con la giurisprudenza unionale in materia), nel senso di non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile per tale soggetto passivo rovesciare detta presunzione fornendo la prova contraria, potendo egli dimostrare di aver adottato ogni misura che può essergli ragionevolmente richiesta per garantire che le operazioni che egli realizza non facciano parte del sistema fraudolento di fatture false. Aggiunge poi la Corte che, in merito alla circostanza giuridica secondo la quale la norma interna belga esige dal soggetto passivo responsabile in solido il pagamento della totalità dell'IVA, senza consentire al giudice di esercitare il suo potere di valutazione in funzione della partecipazione delle diverse persone coinvolte nella frode fiscale, occorre osservare, da una parte, che dalla natura stessa della «responsabilità solidale», come quella prevista all'articolo 205 della direttiva IVA, risulta che chiunque sia responsabile in solido è tenuto al pagamento dell'importo totale dell'IVA dovuta (richiama C‑154/16, p. 85). Ragionando diversamente, sostiene sul punto la Corte (p. 35), ossia richiedendo una modulazione dell'obbligo incombente al responsabile in solido di pagare l'IVA dovuta, che sia funzione della sua parte di responsabilità, comporterebbe, in particolare in caso di frode, che l'Erario e, eventualmente, il giudice competente a controllare il suo operato determinino previamente la partecipazione rispettiva di tutte le persone coinvolte nella frode, contrastando con il principio stesso della responsabilità solidale, vieppiù che ciò potrebbe risultare particolarmente difficile in caso di artifici fiscali fraudolenti complessi , caratterizzati da una grande opacità. Di conseguenza il soggetto passivo, responsabile in solido in maniera oggettiva (v. p. 38 in sentenza) del pagamento dell'IVA, può essere tenuto a pagare da solo la totalità dell'importo di quest'ultima qualunque sia il grado della sua partecipazione alla frode fiscale. La ricostruzione dogmatica operata dalla Corte non convince in pieno, nella misura in cui radica la responsabilità solidale IVA sulla base dell'art. 205 della direttiva IVA, a fronte dell'invisibilità del debitore principale IVA (per quanto volontaria grazie alla cosciente partecipazione del venditore alla frode per mezzo della redazione di fatture false) acquirente delle merci, a fronte di un incalcolabile debito IVA sulle successive vendite a nero, del tutto presunte (nel se, nel dove e soprattutto nel quantum). L'asimmetria della norma interna belga (art. 51 bis citato) in relazione all'art. 205 della direttiva IVA sostenuta dal giudice del rinvio, è ben rappresentata dall'avv. gen. Kokott, la quale ai p. 34-40 delle proprie conclusioni ritiene decisivo chiedersi, in argomento, cosa si intenda con la nozione di «IVA», per il cui pagamento un'altra persona può essere considerata responsabile, ossia se ci si debba riferire ad un'imposta di un soggetto passivo per un ammontare concreto (e in caso affermativo quale) oppure è sufficiente un debito d'imposta probabile di un terzo, il quale non sia tuttavia stato ancora quantificato e rispettivamente sia solo presunto? Tale aspetto è pregiudiziale al fine della corretta individuazione della norma unionale applicabile a partire dalla quale può poi individuarsi quella interna di riferimento/recepimento (e la sua eventuale evidenza con il dato unionale). Prosegue l'avv. gen. osservando che l'IVA è quella dovuta dal soggetto passivo (qui l'acquirente debitore principale, il quale si ricorda aveva, in fase di acquisto della merce, versato l'imposta poi riversata allo Stato dal cedente/ricorrente), per la quale la società ricorrente è responsabile ai sensi dell'articolo 205 della direttiva IVA. Tale imposta, però, può essere determinata solo quando siano certe le condizioni alle quali l'acquirente ha rivenduto le merci e ciò presuppone, a sua volta, che sia noto chi ha rivenduto tali merci, a chi e a quale prezzo, dal momento che il perimetro giuridico dell'art. 205 della direttiva IVA parla del debitore dell'imposta e non di un (qualsivoglia) debitore dell'imposta. Di qui, condivisibilmente, la ricorrente deve potere essere giudicata e dichiarata responsabile (solo) per l'imposta dovuta concretamente dall'acquirente per le sue operazioni a valle, le quali però, come si intuisce, sono state rese invisibili mediante l'indicazione di differenti acquirenti in qualità di consumatori finali (tale aspetto, perlomeno, impedirebbe al cessionario opaco una detrazione dell'IVA a monte per l'incoerenza nominativa dei destinatari delle fatture emesse dal ricorrente). Conclude sul punto l'avv. gen. sostenendo che l'articolo 205 della direttiva IVA non possa trovare applicazione qualora il possibile «soggetto passivo» e l'importo del suo debito d'imposta non siano noti, poiché la base imponibile della rivendita nonché il luogo della rivendita non sono chiari, dato che non sarebbe dato sapere se sia in generale esigibile un'IVA nazionale (belga) e, in caso affermativo, per quale importo, trovandosi in tal caso davanti ad un debito d'imposta presunto , il quale viene tutt'al più stimato approssimativamente. La ripresa IVA basata sulla regola della solidarietà si baserebbe, aritmeticamente, sull'IVA indicata dalla ricorrente nelle fatture false, quale presunzione estremamente improbabile dal momento che l'importo risultante dalle fatture false della ricorrente, infatti, corrisponderebbe al debito d'imposta dell'acquirente solo qualora l'acquirente avesse rivenduto le merci allo stesso prezzo in Belgio, mentre un qualunque soggetto passivo mirerebbe a realizzare un margine di profitto, anche laddove egli si qualificasse quale soggetto passivo fraudolento, potendo offrire un prezzo più basso, poiché «risparmia» a sé stesso l'imposta sul reddito e ai suoi clienti l'IVA. Di qui l'acuta conclusione per cui a voler essere precisi, l'importo richiesto nel caso di specie non rappresenta una responsabilità per debiti d'imposta di un terzo, bensì una sanzione forfettaria per una presunta perdita di gettito fiscale. Per l'avv. gen. la questione, in punto di ripresa IVA e sanzionatoria, andrebbe piuttosto interpretata alla luce dell'art. 273 della direttiva IVA, ciò a fronte della costante giurisprudenza della Corte UE per effetto della quale in mancanza di un'armonizzazione delle disposizioni unionali in materia sanzionatoria, gli Stati membri sono competenti a scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate in caso di inosservanza delle condizioni previste da una normativa istituita ai sensi del diritto unionale. L'art. 273, par. 1, della direttiva IVA è funzionale proprio a consentire agli Stati membri UE di stabilire altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'imposta ed evitare le evasioni, potendo in tal modo prevedere una «responsabilità estesa» del prestatore con riguardo a debiti d'imposta di un terzo, meramente presunti, risultanti da una rivendita non tassata , al fine di evitare le evasioni ai sensi dell'articolo 273, … sempreché essa sia configurata in maniera proporzionata (v. C‑712/17 p. 39, C‑564/15 p 59, C‑183/14 p. 62). La necessità del rispetto del principio di proporzionalità, in relazione al carico sanzionatorio presentato dalla norma interna di riferimento (qui quella belga), è stato ben illustrato nelle conclusioni (v. il p. 56-63) nelle quali si è osservata l'evidente asimmetria della norma interna rispetto al principio unionale. Tale aspetto, però, non è stato affrontato dalla Corte UE in sentenza, la quale ha richiamato il principio di proporzionalità solo per indagarne il rispetto alla luce dell'estensione della solidarietà tributaria ex art. 205 della direttiva IVA in confronto alla norma interna. Questo argomento unitamente alla mancata indagine in merito all'applicabilità dell'art. 273 della direttiva IVA in luogo dell'art. 205 richiamato dal giudice del rinvio nella propria ordinanza, non sono stati oggetto di indagine da parte della Corte UE, pur rientrando tale attività nei poteri di analisi della norma unionale di secondo livello, per effetto degli artt. 19 del TUE e 267 del TFUE. Al riguardo la medesima Corte UE, da ultimo in C-182/23, ha ribadito che, secondo una costante giurisprudenza, nell'ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita dall'articolo 267 TFUE, spetta a quest'ultima fornire al giudice nazionale una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia che gli è sottoposta. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. Inoltre, la Corte può essere condotta a prendere in considerazione norme del diritto dell'Unione alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nella formulazione della sua questione (v. tra i tanti C‑169/22, p. 47; C‑742/19, p. 31; C‑122/17, p. 34; C‑303/15, p. 16; C‑190/17, p. 27). Il diniego della detrazione dell'IVA a monte del ricorrente per compartecipazione alla frode del cessionario Pur costituendo il diritto alla detrazione un principio fondamentale del sistema IVA, quale espressione dinamica del principio di neutralità dell'imposta, non è consentito ai singoli di avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell'Unione, da cui la negazione la negazione del diritto a detrazione (v. C‑596/21, p. 24). Così ragionando, per costante giurisprudenza della Corte UE il beneficio del diritto alla detrazione deve essere negato sia quando un'evasione sia commessa dal soggetto passivo stesso sia qualora si dimostri che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o prestati i servizi posti a fondamento del diritto alla detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l'acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un'operazione che si iscriveva in un'evasione all'IVA, o perlomeno la agevolava. Un soggetto passivo (in tal caso il ricorrente rivenditore della merce) deve essere considerato partecipante all'evasione, indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall'utilizzo dei servizi nell'ambito delle operazioni soggette a imposta da esso effettuate a valle, dal momento che in una tale situazione detto soggetto passivo collabora con gli autori dell'evasione e ne diviene complice (C‑596/21, EU:C:2022:921, punto 35 e giurisprudenza citata). Nei casi di frode IVA, ricorda la Corte UE, il diritto alla detrazione dell'IVA deve essere negato al soggetto passivo, debitore dell'IVA. Di conseguenza, la medesima sanzione deve essere traslata su un soggetto terzo (il ricorrente), chiamato a rispondere dell'imposta in via solidale ai sensi dell'art. 205 della direttiva IVA. Di conseguenza, continua la Corte in sentenza (p. 45), nella misura in cui il debitore d'imposta originario non possa far valere alcun diritto alla detrazione IVA (non potrebbe comunque, data la volontaria incoerenza nominativa nelle fatture emesse dal ricorrente), un diritto siffatto alla detrazione non può, a fortiori, essere trasferito al soggetto passivo solidalmente tenuto al pagamento di detta imposta, in forza della disposizione nazionale che recepisce l'articolo 205 della direttiva IVA. Ciò è vero tanto più che, conclude la Corte, la responsabilità in solido del soggetto passivo ricorrente, diverso dall'originario debitore dell'IVA, è prevista soltanto qualora il soggetto passivo ricorrente, solidalmente responsabile, avesse anche conoscenza o dovesse aver conoscenza del fatto che il mancato pagamento dell'imposta, nella catena delle operazioni, era o sarebbe avvenuto con l'intenzione di evadere l'imposta (v. tra i tanti C‑439/04, p. 60; C‑80/11, p. 42; C‑18/13, p. 27; C‑277/14, p. 47; C‑108/17, p. 94). Tale conclusione in punto sanzionatorio, però, ineccepibile in via teorica, sembra sfuggire ad una riconciliazione, dovuta, del complessivo carico sanzionatorio (il dato meramente aritmetico) in relazione al principio di proporzionalità, come del resto già messo in luce dall'avv. gen. Kokott (p. 49 e 59 delle conclusioni). Al riguardo nelle conclusioni si può leggere che, qualora in conformità alla giurisprudenza della Corte, alla ricorrente fosse stato negato oppure continui ad essere negato il beneficio della detrazione, il danno dell'Erario, che dovrebbe essere ancora garantito con una «responsabilità» o sanzionato, sarebbe minimo. Se si prende inoltre in considerazione l'articolo 203 della direttiva IVA, non vi è affatto una perdita di gettito fiscale, poiché la ricorrente dovrebbe pagare da sola l'IVA per un ammontare quasi triplicato (debito d'imposta a causa della cessione, debito d'imposta a causa delle fatture false, diniego della detrazione dell'imposta assolta a monte dovuta sull'acquisto). |