Trasferimento della sede sociale all’estero: la nuova trasformazione “transfrontaliera” o “internazionale”

02 Aprile 2025

Il luogo in cui è posta la sede di una società consente d'individuarne l'ordinamento giuridico di riferimento e, conseguentemente, la legge regolatrice della medesima.

Laddove, pertanto, s'intenda trasferire la sede sociale in uno Stato diverso da quello di costituzione, non può farsi a meno di verificare la legislazione tanto del Paese d'origine stesso, quanto del Paese di destinazione.

La disciplina previgente e il criterio di collegamento di cui all'art. 25 l. n. 218/1995

Precedentemente alla Direttiva (UE) 2019/2121, modificativa della Direttiva (UE) 2017/1132, l'istituto della trasformazione “transfrontaliera” o “internazionale” non era disciplinato né espressamente previsto dalla legge, che soltanto regolamentava - peraltro, in maniera sommaria - il fenomeno, solo in apparenza diverso, del trasferimento della sede sociale all'estero.

In quest'ultimo ambito, in ordine alla legge applicabile alla società all'esito dell'operazione si contrapponevano due diversi orientamenti, e precisamente:

-      la teoria dell'incorporazione, c.d. “Gründungstheorie”, che la individuava in ragione del luogo di costituzione;

-      la teoria dell'amministrazione, c.d. “Sitztheorie”, che la individuava in ragione del luogo in cui ne veniva posta la sede sociale.

In tale scenario, il legislatore italiano sembrava aver optato per la prima delle due tesi, soprattutto alla luce del primo comma dell'art. 25 l. 31 maggio 1995, n. 218 (d'ora in avanti, “art. 25 d.i.p.”), ai sensi del quale le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente - sia esso pubblico ovvero privato, anche privo di natura associativa - sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio si è perfezionato il procedimento di costituzione.

Tuttavia, nel prosieguo della norma in commento detto principio trovava un temperamento, in particolare:

-      nella seconda parte del primo comma, con essa prevedendosi l'applicazione della legge italiana nel caso in cui la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale di tali enti fossero situati in Italia, nonché

-      all'ultimo comma, stante l'obbligo di effettuare un duplice riscontro della legge dello Stato di provenienza e di quella dello Stato di destinazione (c.d. “doppia applicazione”) nel caso di trasferimento della sede statutaria dall'Italia in altro Stato (o viceversa) e di fusione di enti con sede in Stati diversi.

Ebbene, il coordinamento tra le summenzionate disposizioni del medesimo art. 25 d.i.p. diede origine a contrasti interpretativi, nel senso che ove una società italiana avesse trasferito la propria sede all'estero:

-      secondo una prima opinione, fondata sulla suddetta “teoria dell'incorporazione”, avrebbe dovuto continuare ad essere regolata dalla legge italiana, mantenendo la propria iscrizione nel registro delle imprese originario: soluzione liberale, in quanto non soltanto ammetteva il trasferimento da un ordinamento all'altro in regime di continuità dei rapporti giuridici, ma avrebbe al contempo consentito alla società di continuare ad essere regolata dalla legge del proprio Stato d'origine sebbene fosse venuto meno ogni collegamento con esso;

-      secondo altra opinione, si sarebbe dovuto procedere allo scioglimento ed alla messa in liquidazione della medesima, con successiva nuova costituzione nello Stato di destinazione: soluzione restrittiva, poiché - nell'intento di tutelare i creditori sociali, altrimenti pregiudicati dal cambiamento di nazionalità - avrebbe di fatto impedito alla società di cambiare il proprio ordinamento giuridico di riferimento pur in un regime di continuità dei rapporti giuridici;

-      secondo l'opinione prevalente - in posizione intermedia rispetto alle precedenti due - avrebbe dovuto continuare ad essere regolata dalla legge italiana, salvo eventuale disapplicazione del criterio generale di cui all'art. 25, comma 1, d.i.p. per effetto della disposizione di diritto sostanziale di cui al sopra menzionato successivo terzo comma, che impone il rispetto della disciplina dettata dallo Stato di destinazione.

In altri termini, a parere della tesi in commento, il mutamento della legge regolatrice dipenderebbe dal combinato disposto dei commi 1 e 3 dell'art. 25 d.i.p., nel senso che il criterio di collegamento della legge del luogo di costituzione sarebbe suscettibile di deroga in forza del meccanismo della “doppia applicazione” disciplinante la specifica ipotesi di trasferimento della sede sociale all'estero. Poiché, infatti, in tal caso si richiede che il trasferimento debba avvenire nel rispetto di quanto previsto dall'ordinamento del Paese di partenza e di quello d'arrivo, ove quest'ultimo imponga l'assoggettamento ad una legge nazionale, la propria, diversa da quella del luogo di costituzione, la regola dell'applicazione della legge del luogo di costituzione verrebbe di fatto ad essere disattesa.

Orbene, aderendo a quest'ultima tesi, il trasferimento della sede sociale dall'Italia all'estero è consentito, a condizione, però, che la società italiana adotti un tipo sociale conforme a quelli disciplinati nello Stato di destinazione, il che implica una vera e propria trasformazione “transfrontaliera”, nel senso che la società non si estingue, bensì si trasforma in un ente regolato da un ordinamento giuridico diverso.

La nuova disciplina della trasformazione “transfrontaliera”

Il d.lgs. 2 marzo 2023, n. 19 (d'ora in avanti, “Decreto”), in attuazione della Direttiva (UE) 2019/2121, ha introdotto una disciplina organica in materia di trasformazione, fusione e scissione transfrontaliere, operazioni societarie che fino a quel momento avevano trovato espressa regolamentazione soltanto con riferimento alle fusioni mediante d.lgs. 30 maggio 2008, n. 108, attuativo della Direttiva 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. “decima direttiva”).

Più precisamente, con detto decreto si è provveduto a colmare le lacune normative esistenti sul punto, nonché a fornire una specifica disciplina in ordine al trasferimento della sede sociale all'estero ed alla trasformazione “transfrontaliera”, la quale ultima, così, risulta oggi regolata da disposizioni autonome di carattere extra-codicistico, integrate mediante rinvio alla fusione transfrontaliera od alle sole norme del codice civile ritenute applicabili (artt. 2500-quater e 2500-sexies,  commi 3 e 4).

Nonostante qualche tratto comune all'ordinaria trasformazione regolata dagli artt. 2498-2500-novies c.c., quali il mutamento della veste legale dell'ente e la continuità dei rapporti giuridici, infatti, quella “transfrontaliera” si caratterizza per il trasferimento della sede sociale all'estero, il che la conduce ad assoggettarsi ad un ordinamento giuridico diverso da quello d'origine.

In effetti, la stessa Direttiva 2017/1132/UE, all'art. 86 ter, definisce la trasformazione transfrontaliera come «l' operazione mediante la quale una società, senza essere sciolta né sottoposta a liquidazione, pur conservando la propria personalità giuridica, muta il tipo in cui è iscritta nello Stato membro di partenza in uno dei tipi di società elencati nell'allegato II previsti per le società nello Stato membro di destinazione, nel quale trasferisce almeno la sede sociale » , mentre l'art. 2510-bis c.c., introdotto dall'art. 51 del Decreto, dispone che «il trasferimento all'estero della sede statutaria è posto in essere mediante trasformazione in conformità alle disposizioni che regolano le operazioni di trasformazione transfrontaliera e internazionale».

Dicesi, peraltro, trasformazione “in entrata” l'operazione che coinvolga una società estera - regolata dalla legge di uno Stato europeo (trasformazione “transfrontaliera”) od extraeuropeo (trasformazione “internazionale”) - interessata a modificare le proprie regole organizzative conformemente ad un tipo sociale regolato dalla legge dello Stato italiano, ivi trasferendo la propria sede, e trasformazione “in uscita” l'operazione opposta.

Trasferimento della sede sociale dall'Italia (c.d. trasformazione transfrontaliera, o internazionale, “in uscita”)

Del trasferimento della sede sociale dall'Italia all'estero è rinvenibile, nel codice civile, una qualche traccia all'art. 2369, comma 5, c.c., ai sensi del quale nelle società per azioni che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è necessario, per una tale deliberazione, anche in seconda convocazione, il voto favorevole di più di un terzo del capitale sociale, e - prima della modifica introdotta dall'art. 51 del Decreto, di cui infra - agli artt. 2437 2473 c.c., che, rispettivamente dettati in materia di società per azioni e di società a responsabilità limitata, legittimavano, per detta ipotesi, il diritto di recesso in capo ai soci che non avessero concorso alla relativa approvazione.

In ordine alla fattispecie in esame, merita peraltro attenzione il delicato tema dell'aspetto pubblicitario. In caso di trasformazione transfrontaliera di una società italiana, infatti, la formalità di cancellazione della medesima dal nostro registro delle imprese che non sia accompagnata da una contestuale iscrizione presso l'omologo registro pubblico dello Stato di destinazione verrebbe a determinare una temporanea scomparsa della trasformanda stessa, con conseguente inevitabile pregiudizio per i terzi. A fronte di un tale inconveniente, pertanto, si è ben presto consolidato il procedimento elaborato dalla prassi di alcune Camere di Commercio, in cui: in una prima fase, è richiesto al notaio di demandare l'iscrizione della delibera di trasformazione specificando (nel riquadro 20 del modello S2 del software FedraPlus) che il trasferimento della sede avrà efficacia soltanto con il riconoscimento della società nello Stato di destinazione, mentre nella seconda, una volta effettuati gli adempimenti previsti presso il pubblico registro estero, potrà esserne demandata (tramite il modello S3, avendo cura di specificare nelle note l'assolvimento delle predette formalità) la cancellazione.

In sostanza, la delibera di trasferimento della sede sociale all'estero verrebbe ad essere di fatto sottoposta ad una sorta di condizione sospensiva legale consistente nel compimento di quanto necessario a garantire l'avvenuto ingresso della società nel suo nuovo ordinamento giuridico di riferimento.

Fermo quanto sopra, andrà valutata, in secondo luogo, l'opportunità di approvare il nuovo statuto sociale nello Stato d'origine o, piuttosto, di operare tale adeguamento direttamente nello Stato di destinazione: soluzioni astrattamente percorribili, ma in ambedue i casi lo statuto sociale conforme all'ordinamento straniero non è di per sé soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese italiano, in quanto, fintantoché́ la società non risulta dall'omologo registro estero, continuerà ad essere regolata da quello previgente. In altri termini, ai fini dell'iscrizione della delibera di trasferimento della sede sociale all'estero non occorre il contestuale deposito del nuovo statuto sociale.

Trasferimento della sede sociale verso l'Italia (c.d. trasformazione transfrontaliera, o internazionale, “in entrata”)

Il nostro ordinamento giuridico non detta una specifica disciplina in ordine al trasferimento ed al riconoscimento in Italia di una società costituita all'estero, né per ciò che attiene al procedimento, né per ciò che attiene agli adempimenti necessari a tal fine.

Sul punto, la dottrina ha ritenuto applicabile per analogia il disposto dell'art. 2508 c.c., relativo allo stabilimento in Italia di una sede secondaria di società estera: in questo modo, l'atto di trasferimento è da ritenersi soggetto alle disposizioni della legge italiana sulla pubblicità degli atti sociali e sulla pubblicazione del cognome, del nome, della data e del luogo di nascita delle persone che le rappresentano stabilmente nel territorio dello Stato, con indicazione dei relativi poteri.

Quanto, invece, all'aspetto redazionale, trattasi di un atto interamente soggetto al diritto straniero. Del resto, finché il trasferimento in Italia non acquista efficacia, la società opera conformemente alla legge del Paese dal quale proviene, ma al contempo occorre garantire il rispetto dell'art. 25 d.i.p., che - pur accogliendo il principio della legge dello Stato di costituzione - dispone l'applicazione della legge italiana per il caso in cui la sede dell'amministrazione sia situata in Italia ovvero se in Italia si trovi l'oggetto principale della società.

Ciò posto, è necessario che la società trasferita adotti la disciplina di uno dei tipi sociali previsti dal nostro ordinamento giuridico e che il relativo statuto sociale sia ad esso conforme in vista dell'iscrizione nel registro delle imprese, al quale fine si rende necessaria, peraltro, quantomeno la forma autentica, oltre al previo deposito del verbale di trasferimento redatto all'estero presso un notaio italiano, ai sensi dell'art. 106 della Legge Notarile.

In tale ultimo atto di deposito (o di conferma, per il caso in cui il notaio italiano provveda a documentare egli stesso la decisione di trasformazione), peraltro, potranno essere inseriti tutti i dati informativi richiesti ai fini dell'espletamento del controllo di legalità (di cui infra) che non siano già presenti nell'atto di trasformazione (ad esempio, l'indirizzo in cui porre la sede sociale) e potranno essere rettificate eventuali inesattezze. Di detti dati, taluni potrebbero poi riguardare situazioni già esistenti, cosicché andranno forniti mediante dichiarazione di scienza da parte dei soggetti richiedenti il deposito medesimo o che intervengono alla conferma della decisione, mentre altri potrebbero essere frutto di decisioni contestuali, esecutive o comunque collegate alla trasformazione, distinguendosi tra dichiarazioni di volontà di un soggetto già in tal senso autorizzato e decisioni provenienti dall'organo collegiale, assembleare o consiliare, competente (ad esempio, nomina di un organo amministrativo strutturato diversamente rispetto al passato). Il deposito per l'iscrizione di tali ultime delibere andrà, poi, effettuato unitamente alla richiesta di iscrizione della trasformazione medesima ogni volta in cui contengano elementi essenziali affinché la società possa essere riconosciuta nel registro delle imprese italiano (in questo senso, Massima n. 210 del Consiglio Notarile di Milano, Commissione Società, in data 27 dicembre 2024).

Posto, inoltre, che il trasferimento della sede in Italia non può essere equiparato ad una nuova costituzione, in virtù del principio di continuità dei rapporti giuridici non sussiste per i soci della trasformanda l'obbligo di eseguire il versamento di quanto prescritto in quest'ultima fase. Ciò, purché, tuttavia, il relativo capitale risulti effettivamente esistente nella misura minima prevista dalla legge, essendo altrimenti necessario procedere al versamento di quanto dovuto nel rispetto delle norme sui conferimenti previste per il tipo sociale adottato.

Ove peraltro - come meglio si vedrà infra - si tratti di società proveniente da un ordinamento che impone il rispetto delle tutele poste a garanzia della corretta formazione del capitale sociale, non sarà nemmeno necessario richiedere una perizia di stima; diversamente, la stessa andrà redatta secondo le modalità prescritte per il tipo sociale prescelto.

Il procedimento della trasformazione transfrontaliera: il progetto

Ai sensi dell'art. 8 del Decreto, per la trasformazione transfrontaliera è anzitutto prescritta la necessità di predisporre un progetto, di competenza dell'organo amministrativo (come si desume dall'art. 86-quinquies della Direttiva): previsione, questa, del tutto nuova, posto che il codice civile ne impone la redazione per le sole operazioni di fusione e di scissione.

In particolare, lo stesso deve comprendere le seguenti informazioni:

  1. il tipo, la denominazione o ragione sociale, la sede e la legge regolatrice della società trasformanda nello Stato di partenza;
  2. il tipo, la denominazione, la sede e la legge regolatrice proposte per la società trasformanda nello Stato di destinazione;
  3. l'atto costitutivo della società risultante dalla trasformazione;
  4. il trattamento eventualmente riservato a particolari categorie di soci ed ai possessori di titoli diversi dalle azioni;
  5. eventuali garanzie o impegni offerti ai creditori;
  6. vantaggi particolari eventualmente attribuiti a favore dei soggetti cui compete l'amministrazione o dei membri degli organi di controllo della società trasformanda;
  7. una dichiarazione - che si ritiene debba rendersi anche se di contenuto negativo - in ordine a contributi ed ai finanziamenti pubblici ricevuti, sotto qualsiasi forma, nello Stato di partenza nei cinque anni anteriori alla data del deposito del progetto di trasformazione;
  8. i dati relativi alla liquidazione in denaro offerta ai soci per l'ipotesi di recesso ed il domicilio digitale della società per eventuali comunicazioni in tal senso, precisandosi che nelle società per azioni, alla luce dell'art. 2437 ter, comma 5, c.c., i soci hanno diritto di conoscere la determinazione del valore di cui al secondo comma della medesima norma nei quindici giorni precedenti la data fissata per l'assemblea, mentre nulla è disposto in tal senso per le società a responsabilità limitata e le società di persone;
  9. le procedure di coinvolgimento dei lavoratori nella definizione dei loro diritti di partecipazione nella società risultante dalla trasformazione e, se ne ricorrono i presupposti, le alternative possibili: indicazione, questa, necessaria solo ove sussistano i requisiti per l'applicazione dell'art. 16 del Decreto, relativo alla partecipazione dei lavoratori;
  • le probabili ripercussioni della trasformazione transfrontaliera sull'occupazione;
  • la data di efficacia della trasformazione, o comunque i criteri per la sua determinazione;
  • il calendario proposto per l'operazione, previsione che il legislatore stesso qualifica come “indicativa”, e dunque priva di carattere vincolante.

Quanto, invece, alla pubblicità del progetto, essa è regolata mediante rinvio all'art. 20 del Decreto, dettato in tema di fusione transfrontaliera, dal che deriva l'obbligo del relativo deposito per l'iscrizione nel registro delle imprese del luogo in cui ha sede la società trasformanda almeno trenta giorni prima della data fissata per la decisione. Termine, che nelle operazioni cui non partecipino società di capitali è ridotto a quindici giorni, anche laddove la società estera risultante dalla trasformazione della società non di capitali italiana o dell'ente italiano non societario sia una società di capitali, come definita dall'allegato II della Direttiva.

La relazione dell'organo amministrativo e il deposito dei documenti presso la sede sociale

Mediante rinvio all'art. 21 del Decreto, dettato in tema di fusione transfrontaliera, è poi disciplinata la relazione dell'organo amministrativo. Il tutto, però, nei limiti di compatibilità, nel senso che dal relativo contenuto andrà espunta ogni indicazione che non sia compatibile con l'operazione di trasformazione (quale, a titolo esemplificativo, la determinazione del rapporto di cambio).

Mediante rinvio all'art. 23 del Decreto, sempre in tema di fusione transfrontaliera, trova regolamentazione il deposito dei documenti presso la sede sociale nei quarantacinque giorni precedenti la decisione. Norma, il cui secondo comma - che fa riferimento alla relazione degli esperti ed agli altri atti previsti dall'art. 2501-septies c.c., dettato in materia di fusione codicistica - non potrà, naturalmente, trovare applicazione, trattandosi di documenti non richiesti per la trasformazione transfrontaliera.

Anche in questo caso, alla luce dell'art. 4 del Decreto, nelle operazioni cui non partecipino società di capitali, il termine previsto è ridotto a quindici giorni, anche laddove la società estera risultante dalla trasformazione della società non di capitali italiana o dell'ente italiano non societario sia una società di capitali, come definita dall'allegato II della Direttiva.

Il capitale sociale

Come già anticipato, posto che - in ragione del principio di continuità dei rapporti giuridici - l'operazione di trasformazione transfrontaliera in commento non può essere equiparata ad una nuova costituzione, per la società estera che intenda traferirsi in Italia assumendo la forma di società di capitali non sussiste l'obbligo di eseguire il versamento di quanto prescritto in detta fase genetica. Ciò, purché, tuttavia, il capitale sociale risulti effettivamente esistente nella misura minima prevista dalla legge.

Orbene, l'art. 13, comma 3, del Decreto dispone che ove dalla trasformazione risulti una società di capitali italiana, il capitale sociale è determinato «sulla base dei valori attuali degli elementi dell'attivo e del passivo» e deve risultare da una relazione di stima redatta a norma dell'art. 2343, o 2343-ter o 2465 c.c. La norma in esame, tuttavia, pone al contempo un problema, nel senso che con essa il legislatore non impone, di fatto, che l'intero importo del valore accertato sia imputato a capitale, ma se la ratio è quella di tutelare l'effettività del capitale, dovrebbe coerentemente trovare applicazione il principio secondo cui l'esperto attesta, ai sensi dell'art. 2343 o 2465 c.c., che il valore del patrimonio è «almeno pari» a quello attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale.

Quanto, invece, alla data di riferimento della stima del patrimonio della società estera, la norma è silente, ma alla luce del termine prescritto dagli artt. 2343 ter, secondo comma, lett. b), e 2440, quarto comma, c.c. si ritiene sufficientemente aggiornata una relazione che si riferisca ad una data antecedente non oltre sei mesi l'esecuzione del conferimento, ove per “esecuzione del conferimento” deve intendersi la delibera di trasformazione.

Nel caso di società per azioni o in accomandita per azioni, la norma richiama, tra l'altro, il terzo e, in quanto compatibile, il quarto comma dell'art. 2343 c.c., che prevedono rispettivamente l'obbligo per gli amministratori, nel termine di centottanta giorni dall'iscrizione della società, di controllare le valutazioni contenute nella relazione peritale e, se sussistano fondati motivi, di procedere alla revisione della stima, con la precisazione che fino a quando le valutazioni non sono state controllate le azioni corrispondenti ai conferimenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la società, nonché l'obbligo di ridurre proporzionalmente il capitale sociale ove risulti che il valore dei beni o dei crediti conferiti sia inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, annullando le azioni che risultano scoperte.

Pare incompatibile, tuttavia, in quest'ultima ipotesi, la possibilità (prevista dall'art. 2343, comma 4, c.c.) per il socio conferente di versare la differenza in danaro o di recedere dalla società, come anche la possibilità che per effetto dell'annullamento delle azioni si determini una diversa ripartizione tra i soci, in quanto fattispecie che presuppongono che la revisione della stima riguardi il conferimento effettuato da un socio, mentre nella specie si procede alla valutazione dell'intero patrimonio di una società già esistente.

Per il caso in cui ci si avvalga del procedimento di valutazione di cui all'art. 2343 ter,  commi 1 e 2, c.c., inoltre, la legge non richiama il sistema di revisione della stima di cui all'art. 2343 quater c.c., bensì quello di cui all'art. 2343, comma 3, c.c., onde non pare possibile procedere ad una nuova valutazione ai sensi dell'art. 2343 c.c.

Al contempo, si rileva come non venga richiamato il quarto comma dell'art. 2343 c.c., ma è probabile che quest'ultima disposizione debba trovare comunque applicazione, in quanto la norma in esame, con il richiamo all'art 2343, comma 3, c.c., parrebbe aver inteso semplicemente escludere il sistema di revisione della stima di cui all'art. 2343 quater c.c., mentre il richiamo all'art. 2343, secondo, terzo e, in quanto compatibile, quarto comma, c.c., dal punto di vista letterale, sembra avere portata generale.

Infine, il quarto comma dell'art. 13 dispone che il procedimento di verifica dell'effettività del valore patrimoniale non si applica quando sottoposta a trasformazione in società italiana sia «una società di altro Stato membro soggetta alle regole di formazione del capitale di cui al titolo I capo IV della direttiva (UE) 2017/1132 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017», ovvero «a regole equivalenti». In sostanza, la relazione di stima può essere automaticamente omessa per tutte le società corrispondenti alle nostre s.p.a. Diversamente, è richiesto un giudizio di “equivalenza” delle norme sulla “formazione del capitale” cui sono assoggettate, giudizio che consta di due aspetti: il perimetro oggettivo delle “regole sulla formazione del capitale” da prendere in considerazione ai fini dell'equivalenza con le regole dettate dalla sopra citata Direttiva ed il criterio con cui effettuare detto giudizio.

Quanto al primo aspetto, si ritiene che assumano rilievo le sole norme aventi ad oggetto i conferimenti diversi dal denaro, perché solo per queste sussiste la possibilità di una sopravvalutazione da parte dei soci al momento del conferimento, con il rischio che il bilancio rappresenti valori eccedenti quello “effettivo”. Rischio che, appunto, verrebbe scongiurato dalla necessità di redigere apposita relazione di stima.

Quanto, invece, al secondo aspetto, la locuzione «regole equivalenti» non deve essere intesa come “regole uguali”, bensì è sufficiente che la disciplina dei conferimenti in natura applicabile alla società sia volta al raggiungimento del medesimo risultato di sottrarre alla discrezionalità dei soci la valutazione dei loro conferimenti in natura, rimettendola ad un soggetto terzo indipendente e professionale od a parametri oggettivi riferibili alla tipologia dei beni oggetto del conferimento. Si consideri, infatti, che le società a responsabilità limitata non sono assoggettate alle medesime regole dettate per le società per azioni in tema di formazione del capitale e di conferimenti in natura, posto che mentre gli artt. 2343 e ss. c.c. sono conformi alle prescrizioni del Titolo I del Capo IV della Direttiva, l'art. 2465 c.c. è volto a conseguire il medesimo obiettivo ma non riproduce tutti i precetti della disciplina delle società per azioni. Eppure, ciò nonostante, l'art. 2500 ter, comma 2, c.c. (norma da cui deriva proprio il terzo comma dell'art. 13 del Decreto) richiede la relazione di stima solo per la trasformazione di società di persone in società di capitali, e non anche per la trasformazione di società a responsabilità limitata in società per azioni.

In tutti i casi in cui non sussista alcuna causa di esenzione dall'obbligo di redigere la relazione di stima, invece, si pone il problema di applicare l'art. 13 del Decreto. Orbene, la norma fa espresso riferimento agli artt. 2343, 2343-ter e 2465 c.c., cosicché: ove trovi applicazione l'art. 2343 c.c., si rende necessaria la nomina di un esperto mediante decreto del Tribunale, mentre ove trovi applicazione l'art. 2465 c.c. si rende necessaria la nomina di un revisore legale o di una società di revisione legale iscritti nell'apposito registro. Lo stesso dicasi per i requisiti formali della perizia, che dovrà essere “giurata” in entrambi i casi, ma non anche ove trovi applicazione l'art. 2343 ter c.c.

Il tutto, comunque, non senza difficoltà applicative, derivanti dalla circostanza che il patrimonio della società trasformanda è costituito da beni e rapporti giuridici assoggettati ad una legge nazionale straniera e contabilmente rappresentato in scritture contabili redatte all'estero (così, Massima n. 212 del Consiglio Notarile di Milano, Commissione Società, in data 27 dicembre 2024).

La decisione

La forma

Ai sensi dell'art. 12, comma 1, del Decreto, per la decisione di trasformazione, ove si tratti di una società italiana, è prescritta la forma dell'atto pubblico.

Per il caso in cui, invece, la società deliberante sia regolata da una legge straniera, il successivo secondo comma dispone che il notaio italiano, alternativamente, per atto pubblico:

  • può ricevere in deposito la decisione redatta all'estero, munita della forma prescritta dal relativo ordinamento giuridico ed assunta secondo le modalità previste dalla legge ad essa applicabile. Ciò, in quanto finché il trasferimento in Italia non diviene efficace, la società opera in conformità della legge dello Stato d'origine;
  • può redigere direttamente egli stesso la decisione di trasformazione della società estera, il che presupporrà la conoscenza e l'applicazione del relativo ordinamento giuridico.

In proposito, si segnala, però, il comma 2 bis dell'art. 138 bis della Legge Notarile, introdotto dall'art. 52 del Decreto, secondo cui con la stessa sanzione prevista dal precedente primo comma è punito, altresì, il notaio che chiede l'iscrizione nel registro delle imprese di un atto di trasformazione, fusione o scissione transfrontaliera da lui ricevuto e dell'attestazione di legalità prevista dall'art. 13 del Decreto da lui rilasciata, quando risultino manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge.

I quorum

La decisione di trasformazione adottata da una società italiana è regolata, quanto ai quorum, mediante rinvio all'art. 24 del Decreto, dettato in tema di fusione transfrontaliera, anche per ciò che concerne la necessità di acquisire il consenso dei soci che con l'operazione assumeranno responsabilità illimitata nei confronti di terzi.

Detta norma, con riferimento alle società di capitali, al primo comma dispone per la regolare costituzione dell'assemblea l'osservanza delle disposizioni di legge previste per le modifiche dell'atto costitutivo, e quale quorum deliberativo la maggioranza dei due terzi del capitale rappresentato in assemblea o, nelle società a responsabilità limitata, il voto favorevole di una maggioranza che rappresenti almeno la metà del capitale sociale.

Al secondo comma, peraltro, si prevede che in nessun caso la maggioranza richiesta per l'approvazione può essere superiore a quella prevista per la fusione, e cioè che lo statuto non può elevare il quorum deliberativo richiesto per la trasformazione transfrontaliera se non eleva almeno in pari misura anche quello richiesto per la fusione o la scissione transfrontaliera. Nulla vieta, però, l'ipotesi contraria, in cui si elevi il quorum deliberativo richiesto per la fusione o scissione transfrontaliera, e non anche quello richiesto per la trasformazione transfrontaliera, ma la ratio di una tale scelta non si comprende, tant'è vero che la si ritiene essere figlia di un malinteso nell'applicazione della norma comunitaria.

Con riferimento alle società di persone, invece, si pone la questione del se la trasformazione transfrontaliera in società di capitali possa o meno essere decisa a maggioranza anziché all'unanimità, ma in contrario va rilevato che l'operazione in commento non è disciplinata dal codice civile, bensì costituisce una fattispecie sui generis regolata da norme ad hoc. In altri termini, essa deve essere considerata alla stregua di una modifica statutaria diversa dalla trasformazione codicistica di società di persone in società di capitali, cosicché torna ad essere applicabile il principio generale del consenso unanime sancito dall'art. 2252 c.c.

Le modifiche del progetto

L'art. 86 novies, par. 3, della Direttiva, nel disciplinare i quorum deliberativi, precisa come gli stessi valgano, oltre che per l'approvazione del progetto di trasformazione transfrontaliera, per «qualsiasi modifica dello stesso», dal che implicitamente risulta come anche la decisione di trasformazione transfrontaliera possa apportare modifiche al progetto già pubblicato.

Peraltro, l'art. 24, comma 5, del Decreto, dettato in tema di fusione transfrontaliera, rinvia all'art. 2502 c.c., a norma del quale la decisione di fusione può apportare al progetto solo modifiche che non incidano sui diritti dei soci o di terzi, e dal momento che tale ultima operazione, a ben pensarci, determina anche una trasformazione transfrontaliera della società italiana che venga incorporata in una società estera, per ragioni di coerenza sistematica quest'ultima disposizione è da ritenersi applicabile anche alla trasformazione transfrontaliera stessa. Applicazione, questa, non in via analogica, bensì diretta, dal momento che l'intero art. 24 del Decreto è richiamato, in materia di trasformazione transfrontaliera, dall'art. 7, comma 1, del medesimo.

Il recesso

Ai sensi dell'art. 9, comma 1, del Decreto, in caso di trasformazione transfrontaliera di una società italiana, ai soci che non concorrano all'approvazione del relativo progetto spetta il diritto di recesso secondo le disposizioni di cui agli artt. 25 e 27, dettati in materia di fusione transfrontaliera.

Disciplina, che presenta diversi aspetti derogatori rispetto a quella prevista dal codice civile: in particolare, il successivo secondo comma della norma in commento dispone che il parere sulla congruità del valore di liquidazione indicato nel progetto di trasformazione è redatto da un esperto indipendente scelto o designato ai sensi dell'art. 22, che ha i contenuti previsti dal quarto e dal quinto comma di quest'ultimo e che lo stesso è messo a disposizione, presso la sede della società e con modalità telematica, almeno trenta giorni prima dell'assemblea. A tal fine, ai sensi del terzo comma, l'esperto ha diritto di ottenere dalla società tutte le informazioni e i documenti utili, nonché di procedere ad ogni necessaria verifica, rispondendo dei danni causati alla società, ai soci ed ai terzi; in proposito, si applicano le disposizioni di cui all'art. 64 c.p.c.

Infine, il quarto ed ultimo comma prevede che la relazione sulla congruità del valore di liquidazione non è richiesta in caso di rinuncia all'unanimità dei soci e dei possessori di altri strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto.

Sul punto, si segnala, inoltre, che anche gli artt. 2437, comma 1, lett. c) e 2473, comma 1, c.c., dettati rispettivamente per le società per azioni e per le società a responsabilità limitata, prevedevano il trasferimento della sede sociale all'estero quale causa di recesso, ma l'art. 51 del Decreto ha soppresso tali previsioni in quanto, ormai, contenute - per tutti i tipi sociali, come pacificamente si ritiene - nel Decreto.

L'opposizione dei creditori

Ai sensi dell'art. 10 del Decreto, in caso di trasformazione di una società italiana il certificato preliminare non può essere rilasciato prima del decorso di novanta giorni dal deposito per l'iscrizione presso il competente registro delle imprese italiano del progetto di trasformazione o della nota informativa prevista dal successivo art. 20, terzo comma, salvo consti il consenso dei creditori della società, o il pagamento dei creditori che non abbiano prestato detto consenso, o il deposito delle somme corrispondenti presso una banca; ove non ricorra alcuna di tali eccezioni, i creditori anteriori alla predetta iscrizione che temono di ricevere concreto pregiudizio dall'operazione in parola, anche in ragione del mutamento della legge applicabile, possono, entro il termine di cui sopra, fare opposizione. In tal caso, comunque, il tribunale, ove ritenga infondato detto pericolo di pregiudizio o la società abbia prestato idonea garanzia, può disporre che l'operazione abbia comunque luogo. Ad ogni modo, le garanzie prestate dalla società ai sensi della norma in commento, sono subordinate all'efficacia della trasformazione.

Insomma, la norma in commento disciplina l'opposizione dei creditori alla trasformazione transfrontaliera, operazione che - pur prevedendo la redazione di un progetto e la sua approvazione mediante deliberazione assembleare - non richiede un successivo atto attuativo. Una tale previsione, però, non deve suscitare stupore, perché il nostro sistema positivo già conosce, in effetti, fattispecie di modifica statutaria ad essa soggette che non si caratterizzano per il procedimento di deliberazione e sua successiva esecuzione mediante stipula di un atto “finale”: si pensi alla riduzione reale del capitale sociale di cui agli artt. 2445 e 2482 c.c., od alla revoca dello stato di liquidazione di cui all'art. 2487 ter c.c., o, ancora, alla trasformazione eterogenea di cui all'art. 2500 novies c.c.

Per ragioni di coerenza, però, la disposizione di cui all'art. 10 del Decreto deve interpretarsi nel senso che il termine decorra non dal deposito, bensì dall'iscrizione del progetto, in quanto solo da tale momento i soggetti legittimati sono in grado di averne conoscenza e di valutare se esercitare o meno il loro diritto di opposizione.

Ai sensi dell'art. 4 del Decreto, inoltre, nelle operazioni cui non partecipino società di capitali, il termine ad opponendum in oggetto è ridotto a trenta giorni, anche ove la società estera risultante dalla trasformazione della società non di capitali italiana o dell'ente italiano non societario sia una società di capitali, come definita dall'allegato II della Direttiva. Laddove operi detta riduzione, però, il termine decorre dalla data dell'iscrizione della decisione nel registro delle imprese, e non dalla pubblicazione del progetto, poiché per le trasformazioni cui non partecipano società di capitali il legislatore nazionale non è vincolato dalla Direttiva (e, in particolare, dall'art. 86 undecies, par. 1, che pone il principio della decorrenza del termine dalla pubblicazione del progetto).

Come anticipato, in taluni casi il certificato preliminare può essere rilasciato, e la trasformazione avere effetto, prima del decorso del termine per l'opposizione, e precisamente laddove consti il consenso dei creditori della società, o il pagamento dei creditori che non abbiano prestato detto consenso, o con il deposito delle somme corrispondenti presso una banca: fattispecie, tutte, mutuate dalla disciplina codicistica della fusione di cui all'art. 2503 c.c., con l'unica eccezione dell'ipotesi in cui la relazione di cui all'art. 2501 sexies c.c. sia redatta, per tutte le società partecipanti alla fusione, da un'unica società di revisione la quale asseveri sotto la propria responsabilità che la di loro situazione patrimoniale e finanziaria non renda necessarie garanzie a tutela dei suddetti creditori, non essendo prevista, per la trasformazione transfrontaliera, la redazione di tale documento.

La trasformazione di società con soci a responsabilità

Ai sensi dell'art. 10, comma 2, del Decreto, la trasformazione transfrontaliera, in ogni caso, non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni sociali sorte prima della data di efficacia dell'operazione, salvo che i creditori sociali abbiano prestato il loro consenso alla stessa. Il che risulta in linea con quanto disposto, in materia di trasformazione codicistica, dal primo comma dell'art. 2500-quinquies c.c.

Una differenza, però, è che il Decreto non riproduce anche il secondo comma di quest'ultima norma, in materia di consenso presunto, perché - come più volte anticipato - la trasformazione transfrontaliera non è disciplinata dal codice civile, ma costituisce una fattispecie sui generis regolata da norme ad hoc.

Il controllo di legalità

L'art. 13 del Decreto disciplina il controllo di legalità.

Più precisamente, qualora si tratti di trasformazione transfrontaliera di una società estera, il notaio italiano è tenuto a controllare, entro trenta giorni dal ricevimento del certificato preliminare e della delibera di approvazione del progetto, la legalità sull'attuazione dell'operazione, rilasciandone apposita attestazione.

La norma, tuttavia, non precisa se tale controllo abbia ad oggetto il rispetto della sola normativa italiana od anche della normativa estera applicabile, ma una risposta in tal senso si rinviene nell'art. 86 sexiesdecies, par. 1, della Direttiva, a norma del quale gli Stati membri designano l'organo giurisdizionale, il notaio od altra autorità competente a controllare la legalità della trasformazione transfrontaliera per la parte della procedura disciplinata dal diritto dello Stato membro di destinazione, accertando, in particolare, che la trasformata rispetti le disposizioni del diritto nazionale relative alla costituzione ed all'iscrizione della società nel registro delle imprese.

Ai sensi dell'art. 86 quaterdecies, par. 1, peraltro, gli Stati membri designano l'organo giurisdizionale, il notaio od altra autorità competente a controllare la legalità delle trasformazioni transfrontaliere per quelle parti della procedura disciplinate dal diritto dello Stato membro di partenza, nonché a rilasciare il certificato preliminare alla trasformazione attestante il soddisfacimento di tutte le condizioni applicabili ed il regolare adempimento di tutte le procedure e formalità previste in tale Paese.

Appare evidente, dunque, come il certificato preliminare in parola abbia la sua rilevanza ai fini della ripartizione della responsabilità nel controllo di legalità tra gli organi in tal senso preposti nello Stato di partenza ed in quello di destinazione. Del resto, esso ha proprio lo scopo di rendere possibile al soggetto chiamato a compiere l'atto conclusivo nello Stato di destinazione la verifica dell'adempimento delle condizioni poste da una legge nazionale di un Paese al quale non appartiene.

In effetti, l'art. 13, comma 2, del Decreto dispone che, ai fini del controllo di cui al primo comma, il notaio è tenuto a verificare:

a) che siano rispettati i requisiti per la costituzione e l'iscrizione nel registro delle imprese della società risultante dalla trasformazione che abbia adottato la legge italiana;

b) che sia pervenuto il certificato preliminare relativo alla società trasformanda;

c) che, quando necessario, siano state stabilite le modalità di partecipazione dei lavoratori ai sensi dell'art. 16.

Tale sistema, però, può trovare applicazione soltanto ove si tratti di una trasformazione in cui il meccanismo basato sulla dicotomia certificato preliminare - attestazione finale sia condiviso dalla normativa dello Stato di partenza e di quello di destinazione; ove ciò non avvenga, infatti, non potendo il notaio italiano contare sul rilascio del certificato preliminare da parte di un'autorità a ciò deputata nello Stato estero di partenza, dovrà essere effettuata la verifica della “doppia applicazione” di cui all'art. 25, comma 3, d.i.p.

Nell'ipotesi opposta, in cui a deliberare la trasformazione transfrontaliera sia una società italiana, invece, l'ultimo comma dell'art. 13 dispone che il controllo di legalità è espletato dall'autorità in tal senso preposta nello Stato di arrivo.

Infine, può accadere che sia posta in essere una trasformazione transfrontaliera cui partecipa o da cui risulta una società di uno Stato membro che, alla data in cui è eseguita la pubblicità del progetto di trasformazione, non ha recepito la Direttiva 2019/2121/UE: in tal caso, si crea un disallineamento tra la legge di tale ultimo Stato e quella italiana, per la quale ipotesi l'art. 56, comma 5, del Decreto dispone che lo stesso si applica alla società italiana che partecipa o risulta dall'operazione. Tuttavia, se si tratta di trasformazione di società estera in società italiana, il notaio italiano non potrà ottenere il certificato preliminare, non essendo previsto nell'ordinamento di partenza, mentre se si tratta di trasformazione di società italiana in società estera, le competenti autorità dello Stato estero potranno non accettare il certificato preliminare rilasciato dal notaio italiano. Pertanto, il notaio accerterà la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 25 d.i.p. ai fini del controllo di legalità, e le disposizioni che regolano la comunicazione di dati tra il registro delle imprese italiano ed il registro delle imprese dello Stato membro si applicheranno in quanto compatibili.

Pubblicità ed efficacia

L'art. 14 del Decreto disciplina la pubblicità della trasformazione transfrontaliera, prevedendo che se la stessa è deliberata:

  • da una società italiana, la relativa decisione, unitamente al certificato preliminare (rilasciato dal notaio) ed all'attestazione di espletamento del controllo di legalità (redatta dall'autorità competente dello Stato estero di destinazione), è depositata per l'iscrizione nel registro delle imprese in cui la stessa aveva la propria sede in Italia entro trenta giorni dall'attestazione. Norma, che è necessario coordinare con il disposto dell'art. 29, comma 3, lett. a), e comma 8, del Decreto, ai sensi del quale ai fini del rilascio del certificato preliminare, il notaio verifica l'avvenuta iscrizione presso il registro delle imprese della delibera di fusione transfrontaliera. In effetti, ad una prima lettura potrebbe sembrare che il sopra menzionato art. 14 richieda il deposito contestuale della decisione, del certificato preliminare e dell'attestazione di espletamento del controllo di legalità, ma dalle poc'anzi riportate disposizioni di cui all'art. 29 risulta chiaramente che l'iscrizione della decisione precede il rilascio del certificato preliminare, mentre, ancora, l'art. 13,  comma 2, lett. b), prevede, a sua volta, che il rilascio del certificato preliminare preceda l'attestazione.

Orbene, una lettura sistematica porta a concludere che l'art. 14 non imponga il deposito contestuale della decisione, del certificato preliminare e dell'attestazione dopo il rilascio di quest'ultimo documento, bensì detta norma si limiterebbe piuttosto ad indicare semplicemente quali documenti debbano essere depositati, al più tardi, entro trenta giorni dal rilascio dell'attestazione, onde soltanto qualora la decisione ed il certificato preliminare non siano ancora stati depositati si dovrà richiedere la relativa iscrizione unitamente a quella dell'attestato sul controllo di legalità rilasciato dall'autorità straniera.

Pertanto, dopo gli adempimenti relativi al progetto, la prima formalità pubblicitaria da realizzare è il deposito della decisione di trasformazione, che nelle società di capitali deve essere effettuato entro trenta giorni a cura del notaio verbalizzante;

  • da una società estera che ha adottato la legge italiana, entro trenta giorni dal rilascio (da parte del notaio) dell'attestazione, l'atto costitutivo, unitamente all'attestazione ed al certificato preliminare (redatto dall'autorità competente dello Stato estero di destinazione) è depositato per l'iscrizione nel registro delle imprese del luogo in cui la società ha trasferito la propria sede in Italia e, salve altre modalità di trasmissione, l'ufficio del registro delle imprese italiano comunica senza indugio, tramite il BRIS, l'avvenuta iscrizione all'omologo registro estero in cui era iscritta la società trasformata.

L'art. 15 del Decreto, invece, disciplina l'efficacia della trasformazione transfrontaliera, prevedendo che se la stessa è deliberata:

  • da una società italiana, la relativa data è determinata dalla legge dello Stato di destinazione, ma la società verrà cancellata dal nostro registro delle imprese quando l'ufficio estero competente avrà provveduto all'iscrizione della medesima, da comunicarsi tramite il BRIS, salve altre modalità di trasmissione;
  • da una società estera che ha adottato la legge italiana, la relativa data coinciderà con quella di iscrizione dell'atto costitutivo nel registro delle imprese del luogo in cui la stessa avrà sede in Italia.

Le suddette norme si preoccupano, dunque, di coordinare l'esecuzione della pubblicità commerciale presso gli Stati coinvolti nell'operazione, subordinando la cancellazione della società trasformanda all'avvenuta iscrizione della delibera presso il registro delle imprese competente per la risultante, in tal modo verificandosi un differimento rispetto alla data di efficacia dell'operazione. Del resto, l'immediata cancellazione senza che venga accertato l'avvenuto accoglimento della società nell'ordinamento giuridico di arrivo si presterebbe ad abusi, perché la stessa potrebbe in tal modo “sparire” da qualsiasi registro delle imprese senza che si sia proceduto alla sua liquidazione.

Infine, l'ultimo comma dell'art. 15 del Decreto pone il principio di continuità dei rapporti giuridici, caratteristico anche della trasformazione codicistica (art. 2498 c.c.).

L'invalidità

L'art. 7 del Decreto, infine, dispone l'applicabilità alla trasformazione transfrontaliera, tra gli altri, dell'art. 40 del medesimo, ai sensi del quale l'invalidità̀ dell'operazione non può essere pronunciata quando la stessa abbia acquistato efficacia, ma resta salvo il diritto al risarcimento del danno spettante ai soci ed ai terzi danneggiati.

Principio, che risulta ampiamente accolto anche per la trasformazione codicistica dall'art. 2500-bis c.c.

Guida all'approfondimento

  • F. Magliulo, La nuova trasformazione transfrontaliera fra Gru ̈ ndungstheorie e Sitztheorie, Studio CNN n. 44-2023/I del 27 luglio 2023.
  • F. Magliulo, Il ruolo del notaio nella nuova disciplina sulle operazioni straordinarie transfrontaliere, Studio CNN n. 86-2023/I del 27 luglio 2023.
  • Maistrello - M. Silva, La nuova disciplina del trasferimento della sede dall'Italia all'estero e viceversa, Studio CNN n. 98-2023/I del 14 dicembre 2023.
  • D. Boggiali - A. Ruotolo, Il trasferimento della sede sociale all'estero e la trasformazione internazionale, Studio CNN n. 283/2015/I del 13 gennaio 2016.
  • G.A. Rescio, La scissione mediante scorporo come operazione transfrontaliera, in Corporate Governance, 2024, fasc. 2,  421 e ss.
  • G.A. Rescio, I trasferimenti di società, in Studi e materiali, 2011, 153.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario