41-bis e ore d’aria: la Corte costituzionale amplia il diritto di permanenza all’aperto anche per il carcere duro
08 Aprile 2025
Massima È illegittima la prescrizione di cui all'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f), primo periodo, ord. penit., nella parte in cui vieta al detenuto in regime di carcere duro la permanenza all'aria aperta per una durata non superiore a due ore al giorno. Restano fermi i limiti della disciplina ordinaria di cui all'art. 10 ord. penit. dalla previsione del limite minimo di cui al primo comma di quattro ore, al rinvio nei casi di riduzione a discrezione della direzione per “giustificati motivi” di cui al secondo comma. Rimane valido il riferimento alla diversa disciplina del regime di sorveglianza particolare, solo laddove applicabile in concreto e per il quale il limite minimo di permanenza all'aria aperta è pur sempre di due ore ex art. 14-quater, comma 4, ord. penit. (e non di un'ora soltanto). Il caso Il caso trae origine da un'opposizione a reclamo presentata da un detenuto in regime di 41-bis ord. penit., ristretto presso l'istituto di Bancali-Sassari, con cui si lamentava della declaratoria di inammissibilità pronunciata dal magistrato di sorveglianza di Sassari sulla sua richiesta di permanere all'aria aperta per almeno quattro ore, anziché due, in conformità all'art. 10, comma 1, ord. penit., così come sostituito dall'art. 11, comma 1, lett. c) del d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123, in relazione alla riforma dell'ordinamento penitenziario. Il Tribunale di Sorveglianza, nel valutare l'oggetto del reclamo, ha ritenuto non infondata e rilevante ai fini del decidere la prospettazione della questione di legittimità dell'art. 41-bis ord. penit.: il limite massimo – anziché minimo come per il regime di detenzione ordinaria – per l'accesso all'aperto non sarebbe giustificato da nessuna esigenza di sicurezza e, al contrario, pregiudica la finalità rieducativa della pena e lede il diritto alla salute del detenuto. Secondo il Tribunale infatti tale differenziazione viola l'art. 3 Cost., dato che le esigenze di sicurezza potrebbero essere risolte a monte con la selezione dei componenti del gruppo di socialità e non con la limitazione del tempo di permanenza all'esterno a valle; si tratterebbe inoltre di un limite astratto, irragionevole, che non tiene conto di nessun tipo di esigenza specifica e concreta; viola poi anche l'art. 27, comma 3 Cost. perché tale limite inibisce lo svolgimento delle attività trattamentali; viola infine l'art. 32 Cost. sotto il profilo della salute. La questione In giudizio, l'interessato, per il tramite dei difensori, ha ribadito l'inutilità di tale limite: il rischio di comportamenti illeciti non aumenta o diminuisce con la maggiore esposizione all'aperto, bensì con una selezione accorta dei componenti del gruppo di socialità che dovrebbe essere effettuata a monte dalla direzione; sempre a cura della direzione dovrebbero pervenire i provvedimenti che mirano a restringere o ampliare lo spazio all'aperto, sulla base di specifiche esigenze concrete; secondo l'interessato inoltre il limite va a incidere sul diritto alla salute e un tempo così limitato contrasterebbe con le indicazioni internazionali di monitoraggio del carcere duro. Le soluzioni giuridiche Secondo la Corte costituzionale, le questioni sono fondate in relazione agli artt. 3 e 27, comma 3 Cost. (mentre risulta assorbito il profilo della salute di cui all'art. 32 Cost.). In primo luogo, si evidenzia che il legislatore, con la riforma del 2018 (d.lgs. n. 123), ha modificato l'art. 10 ord. penit. per l'accesso alle ore d'aria per il regime ordinario, indicando in quattro ore il limite minimo (e non più in due ore, il limite massimo) e in “giustificati motivi” (anziché eccezionali) le ragioni poste a base dei provvedimenti restrittivi da parte della direzione che, in ogni caso, se emanati devono basarsi su circostanze concrete legate al singolo caso e non derogare mai oltre il limite minimo di due ore. Disciplina a parte invece per il regime di sorveglianza particolare ex art. 14-quater ord. penit. che non è stata toccata in termini estensivi dalla riforma dell'art. 10 ord. penit. Nessun effetto derogatorio ha poi avuto la riforma sul regime dell'art. 41-bis ord. penit., che rimane ancorato alla modifica legislativa peggiorativa intervenuta con legge n. 94/2009 (rispetto alla versione del 2002), per il quale il tempo massimo (e non minimo) da trascorrere all'aria aperta è di due ore (riducibili ad un'ora soltanto per motivi eccezionali). Sulla scorta della più recente giurisprudenza di legittimità, inoltre, il dato dei “motivi eccezionali” di riduzione ad un'ora al giorno è stato interpretato in modo assolutamente garantista e restrittivo, richiedendo che la direzione motivi in concreto esigenze specifiche e legate al singolo detenuto e non si limiti ad emanare provvedimenti astratti e a contenuto generale (v., tra le molte, Cass. pen., sez. I, n. 175580/2019). La giurisprudenza è intervenuta altresì a specificare cosa si intendesse per “aria aperta” cercando di arginare tutte quelle prassi di riduzione del tempo massimo trascorribile all'esterno con quello effettivo trascorso, sommando varie attività da quelle di socialità, a quelle di trattamento, fino a quelle all'aria aperta (v., Cass. pen., n. 38400/2022). Riepilogato, quindi, il quadro normativo e tenuto conto delle evoluzioni giurisprudenziali, la Corte sottolinea alcuni passaggi fondamentali posti alla base delle più importanti e recenti pronunce in materia di 41-bis ord. penit. Con la sentenza n. 143/2013, si è identificata la ratio sottesa al 41-bis, che: «mira a contenere la pericolosità dei detenuti ad esso soggetti, anche nelle sue eventuali proiezioni esterne al carcere, impedendo i collegamenti degli appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà: collegamenti che potrebbero realizzarsi proprio attraverso quei contatti con il mondo esterno che lo stesso ordinamento penitenziario normalmente favorisce, quali strumenti di reinserimento sociale». Tale precisazione è servita alla Corte quale fondamento per tutte le pronunce che hanno inteso demolire le prescrizioni sproporzionate rispetto alla ratio circoscritta dalla Corte costituzionale: tutte le limitazioni infatti devono rispettare il principio di congruità del bilanciamento tra sicurezza collettiva e tutela dei diritti fondamentali dell'individuo. Non vi può essere infatti un decremento di tutela di un diritto fondamentale per incrementare la tutela di un altro, seppure di pari rango: le singole limitazioni sono incongrue se apportano un grado di afflizione aggiuntivo rispetto a quello insito nell'esecuzione della pena, anche nelle forme di cui al 41-bis ord. penit., andando a ledere il nucleo dei diritti fondamentali dell'individuo, tra cui la dignità umana e la finalità rieducativa della pena (v., tra le molte, C. cost., n. 18/2022; C. cost., n. 105/2023). Il ragionamento posto alla base della sentenza in commento è infatti analogo a quello della sentenza n. 97/2020: «Il divieto di stare all'aperto oltre la seconda ora, come sancito dalla norma censurata, mentre comprime, in misura ben maggiore del regime ordinario, la possibilità per i detenuti di fruire di luce naturale e di aria, nulla fa guadagnare alla collettività in termini di sicurezza, alla quale viceversa provvede, e deve provvedere, l'accurata selezione del gruppo di socialità, unitamente all'adozione di misure che escludano la possibilità di contatti tra diversi gruppi di socialità» (v., § 6.4, Considerato in diritto). Come a dire, se si vuole guardare al profilo della sicurezza, allora è ben più efficace una accurata selezione del gruppo di socialità a monte, che una eccessiva limitazione del tempo a contatto tra gli stessi a valle. Tale limitazione oltre a non garantire sul piano dell'efficienza il raggiungimento degli obiettivi per cui è preposto il 41-bis ord. penit., toglie la possibilità al singolo di fruire di ore di aria anche comportano sicuramente un beneficio per il trattamento, per la finalità rieducativa e per la salute. Dichiarando, quindi, l'illegittimità della limitazione, secondo la Corte, si deve ritenere riespansa la disciplina dell'art. 10 ord. penit., applicabile in via ordinaria, e non solo per il numero di ore ma anche per il riferimento al potere discrezionale di limitazione concesso alla direzione che deve essere esercitato solo per “giustificati motivi”. Pertanto, la disciplina finale è quella propria dell'art. 10 ord. penit., non più nel limite massimo di due ore, ma nel limite minimo di almeno quattro ore, con la riduzione a due ore, limite inderogabile, nel caso di esigenze specifiche concrete da attuarsi dietro provvedimento motivato della direzione. Osservazioni Anche con quest'ultima pronuncia, la Corte costituzionale non finisce di stupirci andando a ridisegnare una norma dell'ordinamento penitenziario e riportando a sistema un'intera disciplina. L'accesso all'aria aperta infatti trova oggi una più completa e compiuta regolamentazione con la pronuncia n. 30/2025, perché pur decidendo solo in materia di 41-bis ord. penit., ripercorre e argomenta in relazione a tutti i vari regimi, ordinario e di sorveglianza particolare, che possono interessare la vita detentiva di una persona ristretta in carcere. La permanenza all'aria aperta, la sua portata, i limiti e gli effetti pratici, da sempre sono questioni dibattute in giurisprudenza e dottrina, non per niente anche in sede costituzionale se ne dibatte dal 2010 (con la sentenza n. 190/2010) e da numerosi decenni si è tentato di ovviare alla limitazione con numerose pronunce che quanto meno andassero a circoscrivere prassi ulteriormente restrittive del concetto di “aria aperta”. Il percorso è stato lungo e accidentato e non sono mancate battute di arresto, eppure con una sentenza lineare e cristallina, la Consulta nel 2015, pone un importante tassello in argomento: finalmente la limitazione, astratta e rigida, è venuta meno, in un'ottica di flessibilizzazione e di individualizzazione del regime, quale forma di pena, da un lato, e di piena valorizzazione delle esigenze individuali del detenuto, ancorando la direzione a motivare provvedimenti di segno contrario, dall'altro. La Consulta infatti rammenta che quell'operazione accurata di bilanciamento tra esigenze di sicurezza interna/esterna e tutela dei diritti fondamentali del singolo deve essere praticata anche dall'amministrazione penitenziaria, ex ante, e quotidianamente, affinché non si violino i diritti fondamentali e non si attivino le procedure di accertamento ex post da parte della magistratura di sorveglianza. |