Promozione a metà per la riforma sulle produzioni in appello nel processo tributario: incostituzionali la disciplina transitoria ed il divieto assoluto di deposito di deleghe e procure

04 Aprile 2025

In tema di nova in appello nel processo tributario, la pronuncia, accogliendo solo parzialmente le  questioni di legittimità proposte, dichiara l'incostituzionalità del novellato articolo 58, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui vieta tassativamente, senza la possibilità di produzione se ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione o incolpevolmente non prodotti in primo grado, il deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti.

Relativamente alla disciplina transitoria, viene altresì ritenuta incostituzionale l'applicazione delle nuove disposizioni anche ai giudizi di appello pendenti alla data di entrata in vigore della riforma, anziché ai soli giudizi di appello il cui primo grado sia instaurato successivamente a tale entrata in vigore. Vengono invece rigettati i dubbi di legittimità costituzionale relativamente al divieto assoluto di produzione in appello degli altri documenti indicati dal comma 3 dell'articolo 58, e cioè le notifiche dell'atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono il presupposto di legittimità.

Massima

È incostituzionale l'art. 58, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, come introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera bb) D.Lgs. n. 220/2023, limitatamente alle parole «delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti».

È incostituzionale l'art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 220/2023, nella parte in cui prescrive che le disposizioni di cui all'art. 1, comma 1, lettera bb), dello stesso decreto legislativo, si applicano ai giudizi instaurati in secondo grado a decorrere dal giorno successivo alla sua entrata in vigore, anziché ai giudizi di appello il cui primo grado sia instaurato successivamente all'entrata in vigore del medesimo decreto.

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all'art. 58, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, come introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera bb), D.Lgs. n. 220/2023, nella parte in cui non consente la produzione in appello delle «notifiche dell'atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell'articolo 14 comma 6-bis».

Il caso

Il doppio giudizio di rinvio

Nell’ambito di un giudizio promosso avanti alla CGT di secondo grado di Napoli, relativo ad un appello avverso una sentenza che aveva parzialmente annullato una intimazione di pagamento per mancanza di prova della notifica di alcune delle cartelle presupposte, l’Ufficio deposita documentazione, non agli atti di primo grado, per provare l’effettuazione di tali notifiche.

Il contribuente eccepisce l'irritualità della produzione, vietata dal vigente articolo 58, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, a tenore del quale in appello “non è mai consentito il deposito…delle notifiche dell'atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado”.

La CGT dubita della legittimità costituzionale della norma principalmente sotto il profilo della ragionevolezza, del diritto alla prova, della ricerca di una decisione sostanzialmente giusta, dell'impossibilità per il Giudice di operare il bilanciamento previsto dal primo comma della norma per autorizzare il deposito di nuovi documenti se indispensabili ai fini del giudizio o se non prodotti in primo grado per causa non imputabile alla parte; ed essendo la questione non manifestamente infondata e rilevante nel caso concreto, la Corte di Giustizia Tributaria solleva questione di legittimità costituzionale con ordinanza 9/7/2024.

Una vicenda giuridicamente sovrapponibile è quella che si svolge davanti alla CGT di secondo grado di Milano, ove, in un appello avverso una sentenza che aveva annullato una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria stante il tardivo deposito in causa delle cartelle presupposte, con conseguente loro inutilizzabilità, l'Ufficio deposita dette cartelle nella fase del gravame.

Anche in questo caso la Corte, con ordinanza 27/9/20204, solleva eccezione di legittimità costituzionale, ritenendo non manifestamente infondata e rilevante la questione relativa al divieto assoluto di produzione codificato nell'articolo 58, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992, censurando anche l'assenza di una previsione in tale senso da parte della legge delega; e formula altresì una seconda eccezione di legittimità costituzionale per il fatto che, con riferimento al periodo transitorio, il divieto è stato previsto anche per le cause già iniziate in primo grado, con la conseguenza che risultano irragionevolmente travolte le legittime aspettative di chi aveva iniziato il giudizio di prime cure ritenendo di potere depositare alcuni documenti solo nell'eventuale giudizio di appello.

I due incidenti di legittimità sopra tratteggiati sono riuniti dalla Corte costituzionale, vertendo su questioni funzionalmente connesse.

La questione

La nuova normativa sui nova in appello

La materia oggetto delle ordinanze di rimessione attiene alla classica tematica della produzione dei nova in appello.

È noto che, prima della riforma ad opera del D.Lgs. n. 220/2023 in attuazione della legge delega n. 111/2023, ai sensi dell'articolo 58 D.Lgs. n. 546/1992ratione temporis vigente si distingueva tra nuove prove e nuovi documenti, prevedendo per le prime la possibilità di esperirle in appello solo se “necessarie” ai fini della decisione o nel caso di dimostrazione della parte di “non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile”; mentre per i documenti era prevista la libera producibilità, nel limite temporale dei venti giorni prima dell'udienza ex articolo 32 D.Lgs. n. 546/1992, stante il richiamo dell'articolo 61 alle norme di primo grado (per tutte, cfr. ex pluribus e tra le ultime Cass. n. 8089/2023 e Cass. n. 7053/2023).

Netto era quindi il contrasto con la previsione dell'articolo 345, comma 3, c.p.c., in tema di processo civilistico, a tenore del quale, sin dalla novella del 2012 ad opera del D.L. n. 83/2012, vi è unificazione della disciplina tra nuove prove e nuovi documenti, con la previsione del generale divieto di ogni nova in appello, ad eccezione del solo caso in cui sia dimostrata la causa non imputabile in ordine alla pregressa mancata produzione.

La riforma avvicina sensibilmente, pur se non parifica, la disciplina del processo tributario a quello civile, atteso che il novellato articolo 58 commi 1 e 3 (ora trasfuso nell'articolo 112 del testo unico della giustizia tributaria, D.Lgs. n. 175/2024, applicabile dal 1/1/2026): come per il processo civile, (i) parifica la disciplina tra nuovi documenti e nuove prove; sempre come nel processo civile, (ii) conferma la possibilità di nuove prove in appello laddove le stesse non abbiano potuto essere prodotte o richieste in precedenza per causa non imputabile; a differenza del processo civile ed in aderenza invece a quanto previsto nel processo amministrativo dall'articolo 103 c.p.a., (iii) ammette la possibilità di nuove prove in appello anche nel caso di loro indispensabilità ai fini della decisione, non mera necessarietà, pur rimanendo complesso individuare il confine tra prova necessaria e indispensabile; tuttavia, ai sensi del terzo comma, (iiii) esclude radicalmente la possibilità di deposito “delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell'atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità”.

In sostanza, rendendo più marcata la configurazione del giudizio di appello quale revisio prioris instantiae piuttosto che novum iudicium, con una modifica rilevante dal punto di vista dogmatico-ricostruttivo e finalizzata ad evitare che l'appello possa essere ordinariamente utilizzato per porre rimedio alle negligenze delle parti nella fase precedente, con conseguente dilatazione dei tempi di definizione del giudizio, la novella disegna una disciplina composita per un giudizio di appello ad istruttoria tendenzialmente chiusa, pur se temperata da eccezioni: vi è infatti una norma proibitiva generale al comma 1, che sancisce un divieto di nova istruttori in appello avente portata relativa, soffrendo una duplice eccezione che rende ammissibile la nuova prova laddove essa risulti indispensabile ai fini della decisione, ovvero la parte interessata dimostri di non averla potuta introdurre in primo grado per causa ad essa non imputabile; e vi è poi al terzo comma una norma proibitiva speciale, che contiene un divieto di produzione in appello di alcuni specifici documenti, formulato in termini assoluti e senza eccezione.

La nuova disciplina così come sopra tratteggiata, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, D.Lgs. n. 220/2023, s'applica ai giudizi di appello incardinati dal giorno successivo all'entrata in vigore dell'innovazione normativa, cioè dal 5 gennaio 2024.

È in questo contesto normativo che si inseriscono le due ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, che dubitano della legittimità della novella del 2023 e dell'attuale assetto normativo.

La soluzione giuridica

Le tre eccezioni di legittimità costituzionale e il loro accoglimento parziale

Con la sentenza qui annotata, la Corte costituzionale disattende innanzitutto le questioni di rito sollevate dall'Avvocatura dello Stato in ordine alla dedotta inammissibilità per imprecisa indicazione dei parametri violati, confermando una linea di tendenza, consolidatasi negli ultimi anni, che ha visto la Consulta svolgere il giudizio di ammissibilità con molto minore rigore rispetto al passato, prediligendo la statuizione nel merito e senza arrestarsi a fronte a questioni formali superabili in via interpretativa.

Affrontando quindi il merito, la Corte opera innanzitutto una esegesi dell'articolo 58 comma 3, relativo all'elenco dei documenti mai producibili in appello per la prima volta, chiarendo che al suo interno vanno individuati, con una distinzione non operata dai rimettenti e che poi sarà invece decisiva ai fini della declaratoria di illegittimità costituzionale, due diversi gruppi omogenei: il primo riguarda i documenti comprovanti il conferimento del potere rappresentativo sostanziale e processuale, quali deleghe, procure e altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti; il secondo riguarda le notifiche dell'atto impugnato o degli atti che ne costituiscono il presupposto di legittimità.

Ciò premesso, la Corte evidenzia che la pur ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione degli istituti processuali, quali quelli relativi alle preclusioni probatorie, incontra il limite della manifesta irragionevolezza (cfr. da ultimo Corte cost. n. 189/2024, Corte cost. n. 96/2024 e Corte cost. n. 67/2023).

1) Nel caso che qui occupa, tale limite risulta superato con riferimento al divieto assoluto di produzione dei documenti comprovanti il potere rappresentativo sostanziale o processuale, poiché “gli atti in questione non costituiscono temi di prova soggetti alle ordinarie preclusioni istruttorie, in quanto non attengono al merito della causa, ma alla legittimazione processuale o alla rappresentanza tecnica e, quindi, alla regolare costituzione del rapporto processuale. Esse non sono, pertanto, soggette al giudizio di indispensabilità supposto dall'art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, né ricadono nello speciale divieto di cui al comma 3 di tale disposizione”.

In particolare, “la sottrazione di tali documenti al regime generale, pur perseguendo la finalità deflattiva di limitare ulteriormente il materiale cognitivo acquisibile in appello, non trova appiglio nelle caratteristiche oggettive – strutturali, effettuali e funzionali – degli atti esclusi, non essendo rinvenibile in essi un elemento differenziale sul quale il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, possa costruire una disciplina diversificata”.

Inoltre, l'assoluto divieto anche nelle ipotesi in cui sia stata “incolpevolmente impossibile la produzione in primo grado, comporta un'ingiustificabile compressione del diritto alla prova”, posto che in questo caso la producibilità in appello costituisce “una declinazione dell'istituto della rimessione in termini previsto dall'art. 153 c.p.c., applicabile anche nel processo tributario”.

Consegue quindi la fondatezza dell'eccezione di costituzionalità in ordine all'assoluto divieto di produrre per la prima volta in appello, senza il temperamento dei casi di necessarietà ai fini della decisione o di impossibilità incolpevole di produzione in primo grado previsti al primo comma, i documenti comprovanti il potere rappresentativo sostanziale o processuale.

2) A diverse conclusioni deve invece giungersi con riferimento al divieto assoluto di produzione delle notifiche dell'atto impugnato o degli atti che ne costituiscono il presupposto di legittimità.

Infatti, per un verso non sussiste l'eccesso di delega, stante l'ampiezza della delega relativa al “rafforzare il divieto di produrre nuovi documenti nei gradi processuali successivi al primo” (art. 19, comma 1, lettera d, della legge delega n. 111/2023).

Per altro verso, la ricerca della verità materiale non può spingersi sino a rendere costituzionalmente obbligata una disciplina che “accordi alle parti la possibilità di integrare in appello le carenze probatorie emerse all'esito del giudizio di primo grado”, ciò non costituendo “una garanzia indefettibile del giusto processo”, come conferma anche la disciplina del vigente articolo 345 c.p.c. nel processo civile: infatti, “l'aderenza della ricostruzione processuale dei fatti alla verità materiale non è oggetto di specifica protezione costituzionale, essendo piuttosto le garanzie del giusto processo espressamente sancite dall'art. 111 Cost. a coadiuvare il giudice nell'accertamento della verità conducendolo ad una decisione giusta”.

Inoltre, per i documenti in esame, a differenza di quanto evidenziato in ordine ai documenti comprovanti il potere rappresentativo, la deroga alla possibilità di produzione in appello “appare sorretta da una adeguata ragione giustificativa”, trattandosi di “prova di una condizione di validità o di efficacia dell'esercizio della funzione impositiva, e per tale ragione la produzione degli stessi nei giudizi in cui tale profilo risulti controverso esaurisce l'attività istruttoria”.

Proprio perché la dimostrazione o meno della notificazione di tali atti “definisce il giudizio”, si è voluto evitare che “il giudizio di appello venga instaurato al solo fine di effettuare un deposito documentale che, pur essendo da solo sufficiente per la definizione del giudizio, sia stato omesso in prime cure”.

E tale divieto di produzione delle notifiche in appello si sottrae alle censure di irragionevolezza “anche là dove non esclude dal proprio ambito di applicazione l'ipotesi in cui la parte dimostri di non avere potuto depositare il documento nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”, poiché “rispetto alla notificazione degli atti tributari non è configurabile, sul piano logico, né l'ipotesi in cui il documento venga ad esistenza successivamente allo spirare dei termini per le deduzioni istruttorie del giudizio di primo grado in cui sia in contestazione l'atto notificato, né quella in cui l'amministrazione venga a conoscenza della sua esistenza solo dopo che sia maturata detta preclusione”: infatti, “o la notifica esiste – e quindi deve essere necessariamente conosciuta dall'amministrazione, sulla quale grava un dovere qualificato di documentazione del procedimento notificatorio e di conservazione e custodia dei relativi atti – prima che la pretesa impositiva venga azionata, oppure la stessa pretesa è da ritenersi inefficace ab origine e quindi non può essere fatta valere”.

Nel residuale caso in cui l'impossibilità di produrre in primo grado la documentazione attestante la notificazione dell'atto impugnato derivi dalla sua distruzione o perdita per fatto estraneo alla sfera di controllo dell'amministrazione, viene in considerazione “la diversa facoltà, da esercitarsi pur sempre entro i termini per le deduzioni istruttorie del giudizio di primo grado, di ricostruire il documento smarrito o distrutto attraverso altri mezzi di prova, come ad esempio la testimonianza scritta”.

Consegue quindi l'infondatezza dell'eccezione di costituzionalità in ordine all'assoluto divieto di produrre per la prima volta in appello le notifiche dell'atto impugnato o degli atti che ne costituiscono il presupposto di legittimità.

3) Per quanto concerne infine la disciplina transitoria relativa ai processi in corso, la Corte muove nuovamente dall'assunto dell'ampia discrezionalità del legislatore nell'operare le scelte più opportune per disciplinare la successione di leggi processuali nel tempo.

Tuttavia, anche in questo caso occorre non vulnerare il parametro della manifesta irragionevolezza, declinato sotto il profilo della violazione del principio di prevedibilità delle regole processuali dell'intero percorso di tutela, nonché del pregiudizio recato alla scelta difensiva delle parti dei processi già instaurati in primo grado al momento dell'entrata in vigore della novella processuale.

In sostanza, occorre che il passaggio da un previgente ad un nuovo regime processuale non travolga l'affidamento “nella tutela delle posizioni legittimamente acquisite”.

La disciplina transitoria in commento, invece, irragionevolmente non tiene conto del fatto che nei processi iniziati in grado di appello dopo l'entrata in vigore della novella ma relativi a processi in cui il primo grado è stato incardinato nel vigore della precedente disciplina, “le parti, confidando sulla facoltà, loro riconosciuta dal previgente art. 58, comma 2, di depositare documenti anche nell'eventuale processo di gravame, potrebbero averne omesso la produzione in prime cure”.

In questo modo, “lo ius superveniens, sebbene formalmente operi per il futuro, nella sostanza incide sugli effetti giuridici di situazioni processuali verificatesi nei giudizi iniziati nel vigore della precedente normativa e ancora in corso. Esso, infatti, finisce per riconsiderare, sanzionandola ex post, la mancata produzione di documenti in primo grado, senza considerare che la disciplina previgente ne consentiva ampiamente il differimento in appello”.

In definitiva, “per i processi nei quali, al momento dell'entrata in vigore della novella, siano già decorsi i termini per le produzioni documentali in primo grado, l'immediata efficacia del mutamento normativo determina conseguenze non dissimili da quelle della retroattività impropria, in quanto, frustrando l'aspettativa delle parti che hanno confidato nella possibilità di esercitare il loro diritto alla prova anche in appello, lede il legittimo affidamento”.

Né l'obiettivo di dare immediata attuazione alla disciplina che il legislatore ha ritenuto più adeguata e opportuna, può prevalere su situazioni giuridiche già maturate nel previgente assetto normativo, posto che il bilanciamento degli interessi concretamente in gioco non consente di ritenere prevalente l'interesse pubblico all'immediata attuazione della riforma a detrimento dell'interesse delle parti a fare affidamento sul mantenimento delle regole processuali vigenti al momento dell'instaurazione della controversia.

Consegue quindi la declaratoria di incostituzionalità della norma nella parte in cui prescrive che le disposizioni di cui al novellato articolo 58 si applicano ai giudizi instaurati in secondo grado a decorrere dal giorno successivo alla sua entrata in vigore, anziché ai giudizi di appello il cui primo grado sia instaurato successivamente all'entrata in vigore della riforma.

Osservazioni

Un dubbio sui documenti comprovanti il potere rappresentativo processuale o sostanziale.

Come più sopra riassunto, la sentenza della Corte costituzionale - la cui importanza è lumeggiata anche dal fatto che contestualmente al deposito è stato emesso un comunicato dell'Ufficio Stampa della Corte stessa, così come accade solo per le pronunce di maggior rilievo – opera tre statuizioni in ordine ai dubbi di legittimità sollevati con riferimento alla novella relativa ai nova in appello.

1) Analizzandole in senso inverso a quello seguito dalla sentenza e nel capitolo precedente, pare ineccepibile la pronuncia relativa alla declaratoria di incostituzionalità della disciplina transitoria, che applicava la novella anche agli appelli relativi ai procedimenti già iniziati in primo grado.

Trattasi di una scelta manifestamente irrazionale ed irragionevole, perché impedisce alla parte che aveva già iniziato un processo di primo grado la libera producibilità dei documenti in appello, nonostante ciò fosse possibile all'inizio del contenzioso e su ciò la parte stessa abbia quindi potuto fare legittimo affidamento.

In sostanza, volendo semplificare utilizzando un atecnico gergo calcistico, la Corte ha condivisibilmente sancito che ‘non si cambiano le regole del gioco tra il primo ed il secondo tempo di una partita', e cioè dopo avere iniziato il giudizio di primo grado e prima dell'appello.

2) Persuasivo è, ad avviso di chi scrive, anche il rigetto dell'eccezione di legittimità costituzionale in ordine al divieto di produzione per la prima volta in appello delle notifiche dell'atto impugnato o degli atti che ne costituiscono il presupposto di legittimità.

Detto che ciò è coerente con la legge delega e che l'aspirazione alla ricerca della verità materiale non può far ritenere che l'unico giusto processo sia quello senza preclusioni probatorie, a fronte di una contestazione del contribuente in ordine al fatto che l'atto impugnato o un atto presupposto non siano mai stati notificati, pare davvero irragionevole e processualmente troppo dispendioso dovere attendere due gradi di giudizio per consentire all'Ufficio la produzione; e ciò poiché, come osserva la Corte costituzionale, detta produzione “esaurisce l'attività istruttoria” e “definisce il giudizio”, con la conseguenza che il giudizio di appello sarebbe instaurato al solo fine di effettuare un deposito documentale già possibile in primo grado ed omesso per mera negligenza.

3) Quanto all'accoglimento dell'eccezione di costituzionalità in ordine al profilo del divieto assoluto di produzione per la prima volta in appello dei documenti comprovanti il potere rappresentativo sostanziale o processuale, si impone forse una riflessione più articolata.

La sentenza, che ha un apparato motivazionale molto corposo e certamente dotto e raffinato, muove dal presupposto che trattasi di documenti ontologicamente diversi dai precedenti, poiché “non attengono al merito della causa, ma alla legittimazione processuale o alla rappresentanza tecnica e, quindi, alla regolare costituzione del rapporto processuale”.

Ciò posto, è indubbiamente convincente l'osservazione a tenore della quale l'assoluto divieto di produzione in appello nelle ipotesi in cui sia stata “incolpevolmente impossibile la produzione in primo grado, comporta un'ingiustificabile compressione del diritto alla prova”, posto che in questo caso la producibilità in appello costituisce “una declinazione dell'istituto della rimessione in termini previsto dall'art. 153 c.p.c., applicabile anche nel processo tributario”.

Tuttavia, la declaratoria di illegittimità costituzionale sembra comportare effetti più ampi, perché viene cancellato dal divieto assoluto di produzione del terzo comma l'inciso «delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti»; e per tali documenti dovrebbe quindi riespandersi la disciplina di cui al primo comma, e cioè la producibilità non solo ove la parte dimostri di non averli potuti depositare in primo grado per causa non imputabile, ma anche ove essi siano ritenuti “indispensabili ai fini della decisione”.

E ciò nonostante la sentenza stessa osservi che, in ragione della loro riferibilità alla legittimazione processuale o sostanziale e non già al merito, essi non dovrebbero essere soggetti “al giudizio di indispensabilità supposto dall'art. 58, comma 1” (punto 7.3.2.1).

Per tale motivo, sarebbe forse risultata più convincente una pronuncia additiva, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale del frammento normativo sopra indicato nella parte in cui non viene consentita la proposizione per la prima volta in appello nella (sola) ipotesi di impossibilità di produzione in primo grado per causa non imputabile.

La diversa e più ampia formula utilizzata, con l'espunzione dell'inciso dal comma 3, sembra invece rendere possibile la produzione in tutti i casi del primo comma, e quindi anche nel caso di indispensabilità ai fini della decisione, id est in ogni caso in cui vi è l'eccezione del contribuente.

E ciò nonostante la stessa Corte osservi che il giudizio di indispensabilità non dovrebbe riferirsi a tali tipologie di documenti, in quanto attinenti non al merito ma alla legittimazione processuale o sostanziale.

Con la conseguenza che, nella classica ipotesi in cui il contribuente dovesse eccepire che l'accertamento è sottoscritto da funzionario non autorizzatoex art. 42 D.P.R. n. 600/1973, la delega potrebbe essere per la prima volta depositata in appello, con pretermissione dell'obiettivo di arginare la irragionevole dilatazione dei tempi di definizione del giudizio tributario e di instaurare un giudizio di appello al solo fine di depositare quanto poteva essere depositato già in primo grado e avrebbe potuto definire il giudizio esaurendo l'attività istruttoria; e quindi con pretermissione degli stessi princìpi che la Corte ha utilizzato per sancire l'incostituzionalità di cui al punto precedente.

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