Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 56 - Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento 1Accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento 1 1. L'imprenditore in stato di crisi o di insolvenza può predisporre un piano, rivolto ai creditori, che appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria 2. 2. Il piano deve avere data certa e deve contenere: a) l'indicazione del debitore e delle eventuali parti correlate, le sue attività e passività al momento della presentazione del piano e la descrizione della situazione economico-finanziaria dell'impresa e della posizione dei lavoratori; b) una descrizione delle cause e dell'entità dello stato di crisi o di insolvenza in cui si trova; c) le strategie d'intervento; d) l'elenco dei creditori e l'ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative, nonché l'elenco dei creditori estranei, con l'indicazione delle risorse destinate all'integrale soddisfacimento dei loro crediti; e) gli apporti di finanza nuova eventualmente previsti e le ragioni per cui sono necessari per l'attuazione del piano; f) i tempi delle azioni da compiersi, che consentono di verificarne la realizzazione, nonché le iniziative da adottare qualora si verifichi uno scostamento dagli obiettivi pianificati; g) il piano industriale e l'evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario nonché i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione economico finanziaria; g-bis) l'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura, tenendo conto anche dei costi necessari per assicurare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela dell'ambiente 3. 3. Un professionista indipendente deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano. 4. Il piano, l'attestazione di cui al comma 3 e gli accordi conclusi con le parti interessate possono essere pubblicati nel registro delle imprese su richiesta del debitore 4. 5. Gli atti unilaterali e i contratti posti in essere in esecuzione del piano devono essere provati per iscritto e devono avere data certa. [1] Articolo sostituito dall'articolo 8, comma 1, del D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147. Per la decorrenza vedi l'articolo 42, comma 1, del D.Lgs. 147/2020 medesimo. [2] Comma modificato dall'articolo 15, comma 1, lettera a), del D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136. [3] Comma sostituito dall'articolo 15, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136. [4] Comma modificato dall'articolo 15, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136. InquadramentoLa disposizione in commento ridisegna l'istituto del piano attestato di risanamento, già previsto dall'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall. [introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. a), del d.l. n. 35/2005, conv. in l. n. 80/2005]. La disciplina contenuta nella legge fallimentare, infatti, era alquanto scarna, venendo in considerazione come mera ipotesi di esenzione dall'azione revocatoria per i pagamenti effettuati «in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa, e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria». Nel nuovo c.c.i.i., invece, all'istituto viene dedicato l'intero art. in commento, con la specificazione della rilevanza degli accordi effettuati in esecuzione di piani attestati di risanamento, che pone in evidenza lo stretto collegamento tra il piano vero e proprio, e le pattuizioni con i creditori che del piano costituiscono attuazione; distinzione che, nella vecchia legge fallimentare, rimaneva sullo sfondo, dandosi rilevanza unicamente alla natura di atto unilaterale della redazione del piano attestato. La norma in commento è stata peraltro interessata dall'intervento del primo decreto «correttivo» (d.lgs. n. 147/2020), che ha sostituito l'intero articolo, specificando che la finalità dell'istituto è quella di assicurare il riequilibrio non solo finanziario, ma anche economico dell'impresa, ed eliminando l'obbligo di allegazione dei documenti di cui all'art. 39 c.c.i.i.; successivamente, un ulteriore ritocco è stato effettuato con il c.d. «correttivo-ter» (d.lgs. n. 136/2024), che ha specificato, ancora, che il piano serve a riequilibrare anche la situazione patrimoniale dell'impresa, ed ha maggiormente dettagliato il contenuto dello stesso. La nuova disciplina, peraltro, deve essere esaminata anche alla luce della direttiva europea 2019/1023, che impone agli Stati di prevedere misure e procedure fondate sulla mera probabilità di insolvenza, escludendo un simile obbligo di provvedere qualora gli stessi Stati siano già dotati di strumenti idonei ad evitare il fallimento dell'imprenditore e la liquidazione dell'impresa, a patto che si rispettino le regole minime contenute della direttiva. Natura e presupposti dei piani attestati di risanamentoCome si è detto, la nuova disciplina dei piani attestati di risanamento distingue tra il piano propriamente detto, che è atto predisposto unicamente dall'imprenditore, e gli accordi con i creditori, che riguardano la fase più propriamente esecutiva del piano. Il primo problema che si è posto, già sotto la vigenza della precedente legge fallimentare, riguarda la natura dei piani attestati di risanamento, rispetto al sistema complessivo della legge fallimentare prima, e del c.c.i.i. ora. Un dato abbastanza univoco sembra essere quello della non riconducibilità della figura nell'àmbito di una vera e propria procedura concorsuale, dal momento che la fattispecie non si dipana in un procedimento che in qualche modo venga a coinvolgere la sfera della giurisdizione (Ferro, 885; Corsi, 639). Infatti, le fasi di elaborazione e di approvazione del piano rimangono nella sfera esclusivamente privata e negoziale del debitore, tale da espellere la figura dai «procedimenti» previsti dalla legge fallimentare e dal codice, distinguendosi in questo anche dagli accordi di ristrutturazione, che comunque, dopo una fase delle trattative, sfociano comunque in una fase procedimentale di omologazione. È la fase esecutiva di tale piano, in realtà, ad assumere rilevanza, riconoscendosi l'esenzione dalla revocatoria degli atti dispositivi avvenuti in attuazione del piano [art. 166, comma 3, lett. d), c.c.i.i.], ma anche in tal caso non viene in rilievo un autonomo procedimento o sub-procedimento, quanto, piuttosto, l'aspetto sostanziale della verifica della sussistenza dei presupposti per l'esenzione. La descrizione della fattispecie contenuta nel testo del precedente art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., come già detto, non sembrava neppure menzionare la necessità di un accordo tra debitore e creditore, attribuendosi quindi al piano attestato natura di atto unilaterale dell'imprenditore (Ronco, 1200; Corsi, 639). Già sotto la vigenza della vecchia legge fallimentare, comunque, alcuni autori avevano evidenziato come l'assetto concreto degli interessi potesse sfociare anche in una serie di accordi contrattuali tra il debitore ed uno o più creditori (Ferro, 887; Nardecchia, 2016, 1494). Tale ultima possibilità è stata recepita nel nuovo c.c.i.i., in cui viene data rilevanza proprio agli accordi intervenuti in esecuzione del piano attestato di risanamento, circostanza, peraltro, giustificata dal fatto che difficilmente il risanamento di un'impresa possa attuarsi sulla base di un mero atto unilaterale dell'imprenditore, senza alcuna modificazione dei rapporti in essere con i vari stakeholders. Dal punto di vista concettuale, comunque, il piano e gli accordi sono due elementi da tenere distinti, rappresentando il primo il presupposto per la rilevanza dei secondi. Il piano, quindi, è un atto unilaterale proprio dell'imprenditore, con il quale quest'ultimo prende atto dello stato di crisi, e manifesta gli interventi che intende effettuare per superare la situazione difficoltà economico-finanziaria in cui si trova; gli accordi, invece, sono atti ovviamente bilaterali o plurilaterali, ed attengono precipuamente alla fase esecutiva del piano, potendosi in questi inserire accordi già conclusi, ovvero semplici proposte di accordo, da perfezionare successivamente. Sotto la vigenza della vecchia legge fallimentare, la collocazione della previsione dei piani attestati nell'ambito della disciplina della revocatoria giustificava l'opinione di coloro che ritenevano tale strumento accessibile ai soli imprenditori assoggettabili al fallimento (Ronco, 1200; Corso 640). Non mancavano tuttavia opinioni diverse, nel senso che il piano assumesse la rilevanza giuridica che gli veniva riconosciuta dalla legge (l'esenzione dall'azione revocatoria) soltanto ove posto in essere da un imprenditore fallibile (Nardecchia, 2016, 1490), ovvero che, in ogni caso, i piani in questione potessero essere adottati da qualsiasi imprenditore, eventualmente al fine di affermare l'esenzione dei pagamenti effettuati nell'ambito di tali piani dalla revocatoria ordinaria (Ronco, 1201). Proprio tale approdo finale, tuttavia, giustificava la preferenza per l'opinione di coloro che limitavano l'applicazione dell'istituto ai soli imprenditori fallibili, sulla base dell'argomento sistematico costituito dalla disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti che, nell'affermare la possibilità di utilizzo di tali strumenti anche da parte degli imprenditori agricoli, non menziona tuttavia l'operatività dell'esenzione dalla revocatoria ordinaria. Tale impostazione, tuttavia, andrebbe ora rivista alla luce del nuovo c.c.i.i., che inserisce la disciplina dei piani attestati di risanamento nell'ambito del più ampio fenomeno degli strumenti di regolazione della crisi, ed in particolare degli strumenti negoziali stragiudiziali. In effetti, il primo comma della disposizione in esame individua, quale presupposto soggettivo per l'adozione del piano, la sola qualifica di imprenditore, senza ulteriori specificazioni, a differenza di quanto avviene, ad es., per gli accordi di ristrutturazione dei debiti, dove si specifica (art. 57 c.c.i.i.) che essi sono riservati agli imprenditori, anche non commerciali, diversi dall'imprenditore minore, con ciò chiaramente escludendo l'omologabilità di accordi di ristrutturazioni conclusi dagli imprenditori cc.dd. sotto-soglia, e quindi non assoggettabili alla liquidazione giudiziale (Brogi, 606). La legittimazione all'adozione del piano, dunque, andrebbe estesa anche all'imprenditore agricolo, alle start-up innovative ed anche all'imprenditore minore. Al di là dell'argomento letterale, peraltro, deve ravvisarsi uno specifico interesse anche di tali tipologie di imprenditori all'adozione del piano attestato, a seguito dell'ampliamento dell'ambito di operatività dell'esenzione da revocatoria, e della disciplina della liquidazione controllata nel sovraindebitamento. Infatti, l'art. 166, comma 3 lett. d), c.c.i.i. estende l'operatività dell'esenzione anche alla revocatoria ordinaria, e l'art. 274, comma 2, c.c.i.i. contempla un espresso riferimento all'azione revocatoria ordinaria («il liquidatore esercita o, se pendenti, prosegue le azioni dirette a far dichiarare inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile»). Il combinato disposto delle due norme fa sorgere un interesse giuridico anche dell'imprenditore minore al conseguimento dell'esenzione, e quindi giustifica l'estensione della legittimazione all'adozione del piano anche agli imprenditori che, pur non essendo soggetti alla procedura di liquidazione giudiziale, abbiano comunque predisposto un piano attestato in epoca anteriore all'apertura della procedura di liquidazione controllata (Nardecchia 2020, 6). Per quanto riguarda, invece, il presupposto oggettivo, il primo comma fa riferimento allo stato di crisi o di insolvenza, secondo le definizioni ora contenute nell'art. 2, comma 1, lett. a), b) e c) c.c.i.i. Vengono quindi superate le incertezze che si erano manifestate sotto la vigenza della vecchia legge fallimentare, in cui non si faceva riferimento ad uno specifico presupposto oggettivo per l'adozione del piano, con la conseguenza di un contrasto tra coloro che ritenevano necessaria la sussistenza di un vero e proprio stato di insolvenza, e coloro che invece ritenevano che il piano potesse essere attivato anche in presenza di una mera situazione di crisi (Ferro, 894; Ronco, 1201; Nardecchia 2016, 1491). Naturalmente, data la finalità dell'istituto, volto a conseguire il riequilibrio della situazione economico-finanziaria dell'impresa, l'istituto sarà utilizzato generalmente nelle ipotesi di crisi o comunque di insolvenza «reversibile», e quindi allorquando non si siano ancora verificati inadempimenti significativi e reiterati, fermo restando, comunque, che dovrebbe ritenersi inammissibile l'adozione di un piano attestato di risanamento in presenza di una domanda di accesso alla procedura di liquidazione giudiziale, sussistendo, in tali casi, una «preclusione ontologica» tra le due procedure, e mancando una disciplina che regoli gli effetti «concorrenti» tra il procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale ed il procedimento per l'omologazione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione dei debiti (Fauceglia, 1282). Forma e contenuto del pianoLa norma in commento, così come il precedente art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., non chiarisce quale debba essere la veste giuridica formale che il piano deve assumere, nonché, nel caso di imprese svolte in forma societaria, quali sono gli organi deputati alla sua elaborazione ed approvazione. Sotto il primo profilo, si tende ad escludere che la veste formale del piano possa essere quella di un bilancio straordinario o di liquidazione (Ferro, 901; Nardecchia 2016, 1495), da ciò traendosi l'assenza del vincolo di adozione di forme prestabilite, e ferma restando la necessità di conferire al piano stesso data certa (il che porta anche a ritenere obbligatoria la forma scritta), per renderlo opponibile in caso di successiva liquidazione giudiziale (Nardecchia 2016, 1496). Per quanto concerne invece la competenza alla sua adozione, si ritiene che il riferimento ai piani strategici di cui all'art. 2381, comma 3, c.c. giustifichi la competenza dell'organo amministrativo nelle s.p.a. (Ferro, 902), mentre nella s.r.l. dovrebbe operare la regola generale dell'art. 2475 c.c. (Ferro 902; Nardecchia 2016, 1493). Per le società di persone, invece, la competenza dovrebbe seguire le previsioni statutaria in materia di amministrazione straordinaria (Ferro 902; Nardecchia 2016, 1493). Per quanto attiene, più specificamente, al contenuto del piano, la norma in commento contiene una indicazione analitica degli elementi contenutistici del documento, anche se non possono ritenersi elementi di rilevante novità, dato che trattasi, a ben vedere, di elementi già richieste dalle best practices aziendalistiche, in relazione ai quali vi erano ampi riferimenti nelle linee guida e nei principi sino ad ora emanati (Ranalli 1477). Con il d.lgs. n. 136/2024 l'elenco delle indicazioni riguardanti il contenuto del piano è stato ulteriormente ritoccato e modificato, con l'obiettivo di uniformarne il contenuto a quello dei piani previsti per gli altri strumenti negoziali di regolazione della crisi e dell'insolvenza. Tale contenuto si risolve, in sostanza, in un complesso di informazioni e di valutazioni provenienti dall'imprenditore ed idonee a fornire ai destinatari del piano una rappresentazione credibile della situazione economico-finanziaria, delle cause che hanno determinato lo stato di crisi o di insolvenza, delle manovre utili e dei tempi necessari ad eliminare le anomalie riscontrate. Non si pongono, peraltro, vincoli particolari in merito alle soluzioni prospettabili dall'imprenditore nell'ottica del risanamento aziendale (Leuzzi - Schiera, 1432). Il piano deve quindi contenere: a) l'indicazione del debitore e delle eventuali parti correlate, nonché l'indicazione delle attività e delle passività al momento della presentazione del piano stesso e la descrizione della situazione patrimoniale ed economica finanziaria dell'impresa, e la posizione dei lavoratori (tutto ciò, nell'ottica di fissare lo status quo dell'impresa al momento della presentazione del piano; b) una descrizione delle cause e dell'entità dello stato di crisi o di insolvenza in cui si trova; c) le strategie d'intervento (in sostanza, quali interventi si intendano adottare per superare lo stato di crisi o di insolvenza); d) l'elenco dei creditori e l'ammontare dei crediti dei quali si propone la rinegoziazione e lo stato delle eventuali trattative, nonché l'elenco dei creditori estranei (alle trattative), con l'indicazione delle risorse destinate all'integrale soddisfacimento dei loro crediti; e) gli apporti di finanza nuova eventualmente previsti dal piano; f) i tempi delle azioni da compiersi, che consentono di verificarne la realizzazione, nonché le iniziative da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto; g) il piano industriale e l'evidenziazione dei suoi effetti sul piano finanziario, nonché i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione economico-finanziaria; g-bis) l'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura, tenendo conto anche dei costi necessari per assicurare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro e di tutela dell'ambiente. La normativa appare in linea con la direttiva, in particolare con il contenuto del piano di ristrutturazione di cui all'art. 8, che indica le informazioni minime necessarie che il debitore deve rappresentare ai terzi (Nardecchia 2020, 7). Nel concreto, il contenuto del piano dovrebbe sostanziarsi in una analisi preliminare dei dati di partenza, con la redazione di un bilancio straordinario, con eventuale revisione dei medesimi per adeguarli all'attuale assetto concreto dell'impresa, per poi passare ad individuale in modo specifico e dettagliato la concreta strategia individuate dal debitore per pervenire al risanamento dell'impresa. Trattandosi di un disegno marcatamente prospettico, peraltro, iI piano dovrebbe tenere conto di eventuali variabili, e conseguentemente contemplare la possibilità di scenari alternativi da cui far dipendere le ulteriori scelte strategiche (Ferro 902). Sotto il profilo delle strategie d'intervento proposte, queste possono sostanziarsi in interventi endogeni, come l'efficientamento della struttura produttiva, la cessione di assets non strategici o la razionalizzazione dei costi, ovvero in interventi esogeni, riguardanti la rinegoziazione dei rapporti contrattuali in essere (richiesta di rinunce parziali di crediti, concessione di dilazioni, conversione del credito in capitale di rischio, ecc.) (Leuzzi - Schiera, 1434). In ogni caso, lo stretto legame tra operatività dell'esenzione dalla revocatoria e conformità del singolo atto «sospetto» alle previsioni contenute nel piano, impone che il contenuto di quest'ultimo si presenti sufficientemente dettagliato per consentire a posteriori la concreta verifica della riconducibilità dei singoli atti alla fase esecutiva del piano stesso. Il piano attestato di risanamento ha un orizzonte pressoché illimitato, dato che può prevedere qualsiasi intervento che riguardi sia il profilo finanziario che quello più propriamente industriale (Nardecchia 2020, 7). Molto importante è l'indicazione dei tempi di adempimento del piano, dovendosi indicare il «cronoprogramma» per il conseguimento dei risultati previsti (Lamanna 2019, 78). Con riferimento alla nuova finanza, inoltre, si tende ad escludere il beneficio della prededuzione in caso di successive aperture della procedura di liquidazione giudiziale, in considerazione del fatto che non siamo in presenza di una procedura concorsuale (Lamanna 2019, 74). Le formule alquanto generiche utilizzate dal legislatore nell'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., hanno fatto ritenere ammissibile, da parte di alcuni autori, anche un piano che si prefiggesse di ottenere il risanamento attraverso la liquidazione dell'impresa (in questo senso Galletti 2006, 12100; D'ambrosio 2006, 994). La nuova formulazione normativa, invece, non dovrebbe lasciare dubbi nel senso dell'ammissibilità del piano soltanto in una prospettiva di continuità aziendale. Il «risanamento» dell'impresa ed il «riequilibrio» patrimoniale ed economico-finanziario, infatti, presuppongono necessariamente la prosecuzione dell'attività d'impresa, e del resto questa impostazione è quella che maggiormente si attaglia alla ratio complessiva della norma, caratterizzata da un incentive (l'esenzione da revocatoria) riservato a progetti di risanamento imprenditoriali e di rilancio o, quanto meno, di prosecuzione dell'attività (Nardecchia 2020, 8). Tale interpretazione, peraltro, trova un espresso riconoscimento nella relazione accompagnatoria del c.c.i.i., dove si legge che «il piano mira al risanamento dell'esposizione debitoria ed al riequilibrio della situazione finanziaria ed è riservato quindi alle ipotesi di continuità aziendale». Ciò non toglie, tuttavia, che il piano di risanamento, proprio nell'ottica della continuità aziendale, possa prevedere, come già detto, la cessione di uno o più assets patrimoniali, e ciò proprio al fine di realizzare il risanamento. Così delimitato il campo di applicazione dei piani attestati, si pone tuttavia il problema di verificare a quale tipologia di continuità aziendale si riferisce la norma. Come è noto, il nuovo c.c.i.i. contempla due ipotesi di continuità aziendale, e cioè la continuità diretta e la continuità indiretta. Nella prima ipotesi l'attività d'impresa è proseguita dallo stesso imprenditore (individuale o collettivo) che ha presentato il progetto di risanamento, nella seconda ipotesi da un soggetto imprenditoriale diverso, a seguito di cessione di azienda, affitto, concessione in usufrutto ovvero in forza di conferimento del complesso aziendale in una società, anche di nuova costituzione (art. 84, comma 2, c.c.i.i.). Nel caso dei piani attestati, il tenore letterale della norma in commento (che, a differenza di quanto stabilito dall'art. 61 c.c.i.i. con riferimento alla continuità negli accordi di ristrutturazione dei debiti, non contiene alcun richiamo alla prosecuzione dell'attività d'impresa in via diretta o indiretta) e la finalità del piano (l'esenzione da revocatoria per gli atti di esecuzione), portano a ritenere come lo stesso sia incompatibile con la continuità indiretta in tutte le sue forme, pur essendo ben possibile che il riequilibrio della situazione economico-finanziaria sia propedeutico ad una successive migliore allocazione sul mercato del complesso aziendale dell'impresa risanata (Nardecchia 2020, 9). Sia il piano di risanamento che gli atti esecutivi dello stesso (atti unilaterali e accordi) devono avere «data certa». Trattasi di una novità rilevante del nuovo c.c.i.i., che recepisce le migliori prassi sul punto, in quanto è evidente che l'opponibilità del piano ai creditori, al fine di sottrarre alla revocatoria gli atti esecutivi dello stesso, deve garantire l'anteriorità del piano e degli atti medesimi, rispetto alla dichiarazione di aperture della liquidazione giudiziale (Rovelli 2006, 114; Rago 2006, 901). Una ulteriore finalità della data certa, specialmente per gli atti esecutivi, è quella di provare l'effettiva consequenzialità cronologica degli stessi in relazione al piano ed alla sua attestazione da parte dell'esperto, e quindi l'effettivo rispetto del progetto di risanamento, sotto il rispetto dei contenuti e della tempistica (Nardecchia 2020, 9). L'attestazionePerno dell'intera fattispecie dei piani attestati di risanamento è il professionista attestatore, e la relativa attestazione. Nel precedente art. 67, comma 3, lett. d), l. fall. la figura dell'attestatore era talmente importante, che la relativa disciplina costituiva il punto di riferimento della correlata disciplina in materia di concordato preventive e di accordi di ristrutturazione. Nel nuovo codice della crisi la nozione di «professionista indipendente» è ora contenuta, in linea generale, nell'art. 2, comma 1, lett. o), c.c.i.i., secondo il quale è tale il professionista incaricato dal debitore nell'ambito di una delle procedure di regolazione della crisi di impresa che soddisfi congiuntamente i seguenti requisiti: 1) essere iscritto all'elenco dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, nonché nel registro dei revisori legali; 2) essere in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2399 del codice civile; 3) non essere legato all'impresa o ad altre parti interessate all'operazione di regolazione della crisi da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio; il professionista ed i soggetti con i quali è eventualmente unito in associazione professionale non devono aver prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore, né essere stati membri degli organi di amministrazione o controllo dell'impresa, né aver posseduto partecipazioni in essa. Si confermano, quindi, da un lato la nomina del professionista da parte del debitore, e dall'altro la necessità dei caratteri di indipendenza sia dall'imprenditore debitore, sia dai creditori che hanno interesse all'operazione di risanamento, conferendo rilevanza anche a rapporti di natura personale, e quindi non solo a vincoli di natura lavorativa o professionale (Ronco, 1203). Il professionista, dunque, deve essere iscritto nell'elenco dei gestori della crisi e dell'insolvenza, previsto ora dall'art. 356 c.c.i.i. ed istituito presso il Ministero della Giustizia, nonché al registro dei revisori contabili, deve essere in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2399 c.c. e non deve avere prestato negli ultimi cinque anni, nemmeno tramite soggetti con i quali è unito in associazione professionale, attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo della società. Viene altresì specificato che il professionista non deve neanche avere posseduto quote di partecipazione alla società debitrice. L'attestatore deve certificare «la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano». Sotto il primo profilo, dunque, il professionista è tenuto ad accertare la corrispondenza dei dati indicati nel piano rispetto alla contabilità, previo riscontro della attendibilità di quest'ultima. Con riferimento, invece, alla fattibilità economica, il professionista deve spiegare le ragioni in base alle quali ritiene che l'operazione abba concrete prospettive di successivo, anche con riferimento ai tempi ed alle modalità di pagamento. In dottrina, tale valutazione è stata intesa come un «giudizio tecnico in ordine alla gestione prospettica dell'impresa, il che impone all'estensore della relazione di valutare, oltre ai valori dei beni da cedere, i cash-flow della gestione corrente, il fabbisogno di capitale circolante, la struttura dell'impresa e gli scenari di mercato, tenendo ovviamente presente, in concreto, la diversa natura (conservativa o parzialmente liquidatoria) del piano», precisandosi inoltre che l'attestatore avrebbe dovuto «dapprima evidenziare i profili di discontinuità che il piano presenta rispetto al passato (...) e solo in un secondo momento procedere ad una specifica illustrazione delle «idee» che sono alla base del piano medesimo e che rappresentano in realtà le ragioni per le quali quest'ultimo è fattibile» (Ambrosini, Aiello, 21). La versione originaria della norma in commento conteneva un espresso riferimento alla necessità che l'attestatore asseverasse non solo la fattibilità economica del piano, ma anche la fattibilità giuridica, e ciò sulla base dello schema che ormai si era affermato in giurisprudenza, circa la delimitazione dei poteri del controllo giudiziario in tema di risanamento aziendale. L'eliminazione della attestazione di fattibilità giuridica è ora venuta meno, in linea con quanto previsto per la disciplina degli accordi di ristrutturazione. Tuttavia, se con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti l'ammissibilità giuridica è comunque rimessa al vaglio del Tribunale in sede di omologazione, lo stesso non avviene con riferimento al piano attestato di risanamento, che resta quindi di qualsivoglia controllo preventive sulla fattibilità giuridica, spostando tale verifica in sede di accertamento giudiziale sulla revocabilità degli atti posti in essere in esecuzione del piano stesso (Santangeli, 11). Il complesso dei requisiti in questione porta a ritenere che il parametro imprescindibile per l'espletamento dell'incarico sia quello della indipendenza di giudizio (Ferro, 888), anche se tale parametro, per quanto severamente valutato, non può tradursi nel richiedere una radicale assenza di relazioni pregresso con il debitore e i terzi, essendo sufficiente che tali relazioni pregresse non siano comunque in grado di intaccare la suddetta indipendenza. Per quanto riguarda l'insieme dei caratteri del giudizio del professionista attestatore, il ruolo centrale da esso ricoperto evidenzia che l'analisi alla base di tale giudizio non possa fermarsi ad una superficiale valutazione dei dati contabili, ma debba procedure ad una verifica diretta del riscontro tra talli dati e la realtà concreta, traducendosi in un'attestazione di veridicità dei dati aziendali, pur se limitata ai dati che costituiscono la base di partenza e sono ad esso funzionali (Ferro, 903; Corsi, 648). A tale verifica farà ulteriormente seguito il giudizio di congruità del piano (Nardecchia 2016, 1513), il quale viene a dipendere strettamente da una coerenza complessiva tra dati di partenza e valutazioni prospettiche, in assenza dei quali il tribunale chiamato a giudicare della revocatoria ben potrebbe giungere alla conclusione della inidoneità del piano, accogliendo la revocatoria stessa. Mancando completamente una fase giudiziale e non potendo il professionista contare neppure sul confronto dialettico con il commissario giudiziale, come invece avviene nel concordato preventivo, il compito del professionista attestatore risulterà ancora più qualificator, in quanto dovrà esprimersi direttamente sulla fattibilità del piano, affermando la idoneità dello stesso (seppure in un'ottica di giudizio probabilistico) a pervenire alla risoluzione e superamento dei fattori patologici all'origine della crisi. Una importante novità contenutistica del piano è ora rappresentata dalla necessità di indicare le «iniziative da adottare qualora si verifichi uno scostamento dagli obiettivi pianificati», il che porta a ritenere che il giudizio prognostico dell'asseverato re dovrà estendersi non solo alla valutazione del rischio di scostamento tra il piano proposto e gli obiettivi prefissati ma, inoltre, alla validità o meno delle soluzioni alternative indicate dall'imprenditore e la loro idoneità al perseguimento degli obiettivi modulati (o ridefiniti) (Santangeli, 12). Si tratta di un nuovo scenario prognostico, la cui valutazione potrà, da un lato, ampliare i margini di discrezionalità dell'attestazione, e, tuttavia, dall'altro, anche aumentare i rischi di un controllo maggiormente invasivo da parte della giurisprudenza. La pubblicazione del pianoIl nuovo codice della crisi conferma la possibilità, senza un obbligo in tal senso, di iscrizione del piano di risanamento nel registro delle imprese. L'assenza di un vero e proprio obbligo di pubblicazione del piano è legata alla tutela delle esigenze di riservatezza dell'imprenditore. Ciò non toglie, comunque, che il debitore possa avere interesse a rendere pubblico il piano, sia per ragioni di trasparenza con i propri creditori, sia per usufruire di agevolazioni fiscali. L'art. 88, comma 4-ter, del T.U.I.R., infatti, prevede l'esenzione da imposizione delle sopravvenienze attive derivanti dalla riduzione dei debiti a seguito dell'esecuzione di un piano di risanamento pubblicato presso il registro delle imprese. In particolare, l'importo non tassato è pari alla parte che eccede la sommatoria di: perdite, pregresse e di periodo; deduzioni di periodo dell'eccedenza relativa all'Ace; interessi passivi e oneri assimilate. Il beneficio fiscale che deriva dalla pubblicazione è riservato al debitore, mentre I creditori non ne traggono alcun vantaggio. Dal punto di vista strettamente civilistico, si tratta di un'ipotesi di pubblicità-notizia (D'angelo, 77; Carelli, 13). Piano attestato ed accordi esecutiviUna rilevante novità della disciplina dei piani attestati, rispetto alla legge fallimentare, riguarda la distinzione tra piano ed atti esecutivi. Già la rubrica della disposizione in esame fa riferimento agli «accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento», ponendo quindi in evidenza come il piano sia qualcosa di diverso dagli accordi che ne costituiscono l'attuazione. Nel vigore della precedente disciplina, il piano di risanamento era considerato un atto unilaterale dell'imprenditore, anche se – dovendo il risanamento passare, di regola, attraverso una ristrutturazione del debito – si evidenziava come l'assetto concreto degli interessi dovesse, di regola, necessariamente sfociare anche in una serie di plurimi accordi contrattuali (Ferro, 887; Nardecchia, 2016, 1494), non essendo certo ammissibile una ristrutturazione attraverso una manifestazione di volontà unilaterale del debitore. La nuova disciplina prende atto di quella che era effettivamente la realtà operativa dei piani di risanamento, e codifica quindi la distinzione tra piano ed atti esecutivi. Il piano rimane, quindi, un atto unilaterale, di natura programmatica e propositiva, con il quale l'imprenditore in stato di crisi o di insolvenza delinea le misure che intende adottare per superare le difficoltà in essere; in tale atto, pertanto, egli presenta ai creditori delle proposte, che possono tradursi in una pluralità di accordi con gli stessi creditori, funzionali alla ristrutturazione dei debiti. Ma gli atti esecutivi possono consistere anche in atti unilaterali, quali, ad es., la cessione di assets, riduzione dei posti di lavoro, riorganizzazioni aziendali, che non necessitano necessariamente di un accordo con i creditori. Proprio per questo, al comma 5, si distingue tra «atti unilaterali» e «contratti» posti in essere in esecuzione del piano. Come giustamente è stato osservato, dunque, l'istituto in esame ha ormai natura bifasica: in una prima fase vi è il piano, e successivamente gli atti accordi o gli atti unilaterali esecutivi. Si tratta, più precisamente, di una fattispecie a formazione progressiva, dato che il piano è propedeutico alla ricerca di accordi con i creditori, aventi ad oggetto la ridefinizione negoziale del debito e le conseguenti modalità di estinzione, con l'ulteriore fase della esecuzione degli accordi raggiunti (Nardecchia 2020, 10). Ciò non toglie, peraltro, che gli accordi possano essere conclusi anche prima o contestualmente alla redazione del piano ed essere in esso contenuti, fermo restando che i due profili (accordi e piano di risanamento) rimangono comunque concettualmente distinti. L'ampia libertà del debitore nel determinare le modalità del risanamento comporta che gli accordi non dovranno riguardare tutti i creditori o una percentuale minima degli stessi, ferma restando la necessaria correlazione identitaria tra creditori partecipi degli accordi e creditori beneficiari degli effetti dell'esenzione da revocatoria (Nardecchia 2020, 10). In ogni caso, la nuova formulazione dell'art. 56 c.c.i.i. esclude che gli accordi esecutivi possano intervenire con soggetti terzi diversi dai creditori (investitori finanziari disponibili a sottoscrivere eventuali aumenti di capitale, operatori economici intenzionati ad acquisire rami d'azienda, ecc.), pur se partecipi del progetto complessivo di ristrutturazione dell'impresa in crisi. La natura negoziale e stragiudiziale del piano attestato di risanamento rendono l'istituto in esame molto simile a quello della composizione assistita: anche tale istituto, infatti, non è una procedura concorsuale, quanto piuttosto uno strumento attraverso il quale si raggiunge un accordo stragiudiziale con i creditori, idoneo a superare lo stato di crisi o di insolvenza e parificabile, quanto agli effetti, al piano attestato di risanamento (Nardecchia 2020, 11, il quale evidenzia, peraltro, che la composizione assistita gode comunque, rispetto al piano attestato di risanamento, di un indubbio «vantaggio competitivo», essendovi la possibilità di richiedere misure protettive del patrimonio, la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione e la possibilità di godere delle misure premiali di cui all'art. 25 c.c.i.i.). Il controllo giudiziale.Come si è già evidenziato, per i piani attestati di risanamento non è previsto alcun intervento di valutazione da parte del tribunale. Il controllo è infatti effettuato ex post, in sede di eventuale azione revocatoria degli atti e dei pagamenti effettuati in esecuzione del piano, al fine della verifica della sussistenza delle condizioni per l'esenzione prevista dall'art. 166, comma 3, lett. d), c.c.i.i. Il rischio, in questi casi, è che, in sede di valutazione della domanda di revoca, si giunga a posteriori ad affermare l'assenza dei presupposti per l'operatività dell'esenzione (Ronco, 1204-1205), il che si traduce nel constatare che per il creditore che riceva un pagamento in esecuzione del piano continua a persistere un rischio di revocatoria in caso di successivo fallimento, non essendovi alcun intervento preventivo volto a sancire a priori l'efficacia del piano ad assicurare l'esenzione. Anche in presenza di tale rischio, tuttavia, il dato obiettivo è che con tale istituto il management dell'impresa viene sostanzialmente incentivato a porre in essere operazioni utili al ripristino della situazione finanziaria, esentando le operazioni stesse dal rischio dell'azione revocatoria e, quindi, in un certo senso, rovesciando la prospettiva originaria, che invece andava a colpire indiscriminatamente anche iniziative che non avevano la finalità di ledere gli interessi dei creditori, ma di tentare un recupero dell'impresa (Ronco, 1205; Ferro, 893). Il rischio per i creditori è ora aumentato, in quanto al controllo giudiziale ex post è rimessa anche la valutazione della fattibilità giuridica del piano, che nel testo iniziale dell'art. 56 c.c.i.i. rientrava tra le competenze dell'attestatore. Il controllo giudiziale potrà estendersi, inoltre, alla verifica dei presupposti di indipendenza dell'attestatore, sia alla valutazione della completezza e della veridicità informativa della relazione asseverativa, e quindi della sua idoneità a rappresentare un adeguato strumento informativo per i creditori (Trib. Catania, decr. 11 gennaio 2019, in Fall., 2019, 601). Nel concreto, la verifica dell'operatività dell'esenzione per il singolo atto dispositivo del debitore si impegnerà su un giudizio ex ante (Corsi, 649), per effetto del quale si dovrà verificare se il piano, all'epoca del suo definitivo confezionamento (quindi comprensivo dell'attestazione) apparisse effettivamente idoneo, secondo un giudizio prognostico ragionevole sulla base dei dati disponibili, a giungere a superamento della crisi. Ciò comporta la possibilità che il tribunale chiamato a decidere sull'azione revocatoria venga a rovesciare, o comunque a disattendere le valutazioni espresse dal professionista attestatore (contra Corsi, 650, secondo il quale il tribunale dovrebbe solo verificare l'esistenza di un'attestazione avente i requisiti di legge), alla sola condizione che tale diversa valutazione non venga a basarsi né su fatto ignoti al debitore ed al professionista, né su un semplice giudizio postumo fondato sul mero esito infausto dell'operazione. Dovrà, quindi, la decisione individuare quegli specifici fattori che, pur essendo noti o comunque conoscibili con l'ordinaria diligenza sia da parte del debitore che da parte dell'attestatore, non sono stati presi in adeguata considerazione nel piano sebbene fossero idonei a palesarne la inadeguatezza sin dall'epoca della sua concezione ed elaborazione. Non va dimenticato, peraltro, come la volontà del legislatore di assicurare protezione agli atti dispositivi inseriti nell'ambito del piano si sia tradotta anche nella previsione di una ipotesi specifica di esenzione dai reati di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice, specificamente disciplinata ora dall'art. 324 c.c.i.i. Si tratta di una disciplina che si ricollega direttamente all'esenzione da revocatoria, giustificando l'opinione di coloro che ritengono che la soglia di non punibilità venga a coincidere con il pieno rispetto delle condizioni civilistiche di corretta attuazione della fattispecie (Ferro, 892). Un'ulteriore verifica dovrà riguardare la corrispondenza tra atti esecutivi e previsioni del piano, nel senso che dovrà accertarsi che l'atto compiuto, del quale si chiede la revoca, corrisponda ad uno degli atti previsti dal programma di risanamento. BibliografiaBrogi, Esenzioni da revocatoria e piani di ristrutturazione: dalla legge fallimentare al codice della crisi, in Fall., 2019, 605 ss.; Carelli, Il piano attestato di risanamento nel nuovo c.c.i.i.: da esenzione della revocatoria fallimentare e soluzione strgiudiziale della crisi, in Il diritto degli affari, n. 3, 2020, 1 ss.; Corsi, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori - sez. V: i piani attestati, in Vassalli-Luiso-Gabrielli, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, II, Torino, 2014; D'Ambrosio, Art. 67, 3° co., lett. d), e), g), in Il nuovo diritto falimentare diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, Bologna, 2006; Ferro, Sub art. 67, co. 3, lett. d), in Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2014; Nardecchia, Le esenzioni dalla revocatoria. Piani attestati. Accordi di ristrutturazione. Concordato preventivo, in Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Milano 2016; Nardecchia, Il piano attestato di risanamento nel codice, in Fall., 2020, 5 ss.: Fauceglia, Il piano di risanamento nel Codice della Crisi e dell'Insolvenza, in Fall., 2019, 1281 ss.;; F. Marotta, L'armonizzazione europea delle discipline nazionali in materia di insolvenza: la nuova direttiva europea riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, in ilcaso.it, 17 aprile 2019; F. Lamanna, Il nuovo codice della crisi e dell'insolvenza, II, in Il civilista, 2019; F. D'Angelo, I piani attestati ex art. 67, comma 3, lett. d: luci e ombre a seguito del Decreto Sviluppo, in Giur. comm., 2014, I; S. Ambrosini, M. Aiello, I piani attestati di risanamento questioni interpretative e profili applicativi, in ilcaso.it; D. Galletti, I piani di risanamento e di ristrutturazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006; G. Rago, Manuale della revocatoria fallimentare, Padova, 2006; Lamanna, Il terzo correttivo al codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Milano, 2024; Leuzzi-Schiera, Strumenti negoziali stragiudiziali: gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento, in Cagnasso-Panzani (a cura di), Crisi d'impresa e procedure concorsuali, I, 2a ed., Torino 2025, 1425 ss.; Ranalli, I piani negli accordi di ristrutturazione e nei concordati preventivi in continuità tra il regime attuale e la loro evoluzione, in Fall., 2018, 1477 ss.; Rovelli, Quale competitività per le imprese dopo le «trasformazioni» della legge fallimentare, in Fall., 2006, 114; Santangeli, Il piano attestato di risanamentoex art. 56 D. Lgs. n.14/2019 a seguito del correttivo, injudicium.it, 2020. |