Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 323 - Bancarotta sempliceBancarotta semplice 1. E' punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l'imprenditore che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente: a) ha sostenuto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica; b) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti; c) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare l'apertura della liquidazione giudiziale; d) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di apertura della propria liquidazione giudiziale o con altra grave colpa; e) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o liquidatorio giudiziale. 2. La stessa pena si applica all'imprenditore in liquidazione giudiziale che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di liquidazione giudiziale ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta. 3. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni. InquadramentoLa bancarotta semplice viene comunemente definita dalla dottrina come il reato dell'imprenditore in liquidazione giudiziale, in cui la condotta illecita costituisce espressione di imprudenza, incapacità professionale, inottemperanza agli obblighi di legge, non sorretta dalla volontà fraudolenta di sottrarre i beni alla garanzia patrimoniale dei creditori concorsuali, che invece contraddistingue la bancarotta fraudolenta (Ambrosetti, 240). Si distinguono diverse forme di bancarotta semplice, a seconda della tipologia di condotta sanzionata. Ciò rappresenta un tratto comune con la più grave ipotesi della bancarotta fraudolenta. Nondimeno, a differenza di quest'ultima, nella bancarotta semplice manca una clausola di estensione della sanzione penale ai fatti commessi in epoca successiva alla dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale; segue che debba escluderei l'ipotesi della bancarotta semplice post-fallimentare. Per ciò che concerne il bene giuridico tutelato, avuto riguardo alla molteplicità di condotte penalmente rilevanti come fatti di bancarotta semplice, individuate attraverso la descrizione casistica delle ipotesi, la dottrina evidenzia la pluralità degli interessi protetti (Santoriello, 1024), sebbene vi sia una tendenziale coincidenza coi beni tutelati dalla bancarotta fraudolenta (Lo Cascio, 1304). Sul punto, e con specifico riferimento alla bancarotta documentale, la Corte di Cassazione ha evidenziato che il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice risulta leso laddove l'irregolare tenuta delle scritture contabili impedisca alle stesse di assolvere alla loro tipica funzione di accertamento; in particolare, nel caso sottoposto all'attenzione dei giudici di legittimità, veniva ritenuta l'offensività della condotta nell'ipotesi in cui il libro degli inventari non recava indicazioni idonee ad individuare i saldi di clienti e fornitori e la tipologia e la quantità dei prodotti giacenti in magazzino a fine esercizio, non potendo tali violazioni considerarsi meramente formali e inoffensive ed a nulla rilevando la circostanza che il curatore fosse riuscito, grazie alle altre scritture, a ricostruire il movimento degli affari della società. Le prime quattro ipotesi di cui al comma 1) – aver sostenuto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica, aver consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti, aver compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare l'apertura della liquidazione giudiziale – rientrano nel novero della bancarotta patrimoniale, accomunando condotte dell'imprenditore che hanno comportato una deminutio del proprio patrimonio non giustificata dalla funzione oggettiva dell'impresa stessa. Ad ogni modo, esse sono poste a presidio della funzione di garanzia del patrimonio dell'imprenditore in favore dei crediti concorsuali. Nel caso di bancarotta verificatasi in seguito al pagamento delle obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o liquidatorio giudiziale (ossia dalla quinta condotta), il legislatore intende sanzionare l'imprenditore manifestamente negligente che, dopo essere stato ammesso ad un concordato, non provvedendo al pagamento delle obbligazioni ivi contemplate, dia luogo alla pronuncia di liquidazione giudiziale. L'inadempimento delle obbligazioni assunte in un precedente concordato (preventivo o liquidatori giudiziale), ossia la quinta ipotesi contemplata dal comma 1, costituisce una figura autonoma di bancarotta semplice, non presentando profili né di danno né di pericolo con riferimento alla vicenda concorsuale di cui alla sentenza di apertura della liquidazione giudiziale che segue all'inadempimento. La bancarotta semplice documentale, prevista dal comma 2, è invece finalizzata a garantire la esatta e puntuale conoscenza della contabilità dell'imprenditore, al fine di offrire ai creditori concorsuali gli strumenti giuridici necessari per trarre il maggior soddisfacimento delle loro pretese; in altri termini, quella punita è la condotta capace di ostacolare gli accertamenti della procedura concorsuale, così da ledere il dovere di «ostensibilità» del patrimonio dell'imprenditore il cui patrimonio è in liquidazione (Antolisei, 176 ss.). Trova perfezionamento laddove l'imprenditore, nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di liquidazione giudiziale, ovvero dall'inizio dell'impresa se questa ha avuto una minore durata, non abbia tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge oppure li abbia tenuti in maniera irregolare o incompleta. Bancarotta semplice patrimoniale
Le singole condotte Le ipotesi previste nel comma 1, lettere a), b), c) e d) – che hanno sostituito le ipotesi individuate coi numeri nella l. fall. – sono condotte che comportano una diminuzione del patrimonio dell'imprenditore, compromettendo così la funzione di garanzia generica in favore dei creditori concorsuali. a) Sostenimento di spese, personali o per la famiglia, eccessive rispetto alla condizione economica. Ivi viene punito l'imprenditore in liquidazione che abbia ecceduto con le spese personali o per la propria famiglia. Con «spesa» si intende l'assunzione di un'obbligazione di dare che comporti il dovere di corrispondere denaro o altro bene (immediata, dilazionata nel tempo o addirittura futura; Antonioni, 102-103; Antolisei, II, 162). Di decisivo rilievo è la destinazione della somma è decisiva, dovendosi escludere che rientrino nella nozione in oggetto eventuali esborsi per adempiere a obbligazioni civili (Santoriello, 228), ed effettuati nell'interesse dell'impresa. Intorno al concetto di «eccessività» esso è certamente relativo, dovendosi accertare in concreto prendendo in considerazione sia il contesto temporale (più ci si avvicina alla dichiarazione di apertura di liquidazione giudiziale più diventa rigoroso il parametro) sia lo stato sociale e le abitudini di vita. Secondo la giurisprudenza, sono «spese eccessive» le spese personali o per la famiglia che, pur essendo razionali e più o meno connesse alla vita dell'azienda risultano sproporzionate alla capacità economica dell'imprenditore; mentre le «spese non necessarie», fatte dall'imprenditore a scopo voluttuario ovvero per soddisfare le esigenze di una vita viziosa o la propria vanità rientrano nel concetto di «dissipazione» (cfr. Cass. pen. V, n. 894/1971). Ai fini di cui agli artt. 216 e 217 della l. fall. le spese eccessive si distinguono dalla dissipazione, perché le prime hanno una causa economica razionale e la seconda non l'ha. In sostanza le spese eccessive si configurano in base ad una valutazione comparativa e poggiano su di un concetto di relatività e non di assolutezza; invece la dissipazione e sempre eccessiva. Sotto il profilo soggettivo la dissipazione si distingue poi per il fatto che ad essa inerisce necessariamente (trattandosi di bancarotta fraudolenta) il dolo (cfr. Cass. pen. V, n. 455/1967). La fattispecie di bancarotta fallimentare semplice per spese personali e familiari eccessive, prevista dall'art. 217, comma 1 l. fall. è riferibile tipicamente al solo imprenditore individuale e non all'amministratore di Società di capitali, che non è legittimato a compiere spese personali, pur se non eccessive. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la qualificazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale operata dal giudice di merito nei confronti dell'amministratore di una Società che aveva utilizzato risorse sociali per l'acquisto di un bene destinato al patrimonio personale suo e della moglie (cfr. Cass. pen. V, n. 48198/2017; Cass. pen. V, n. 44248/2013). Si ritiene che la portata della norma sia estensibile anche nei confronti del convivente more uxorio. b) Consumazione di una notevole parte del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti. La differenza tra le due ipotesi di bancarotta semplice previste all'art. 323, comma 1, lett. b) e c) (già art. 217, comma 1, n. 2 e 3 l. fall., relative, rispettivamente, alla consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti ed al compimento di operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento) risiede nel fatto che la prima fattispecie riguarda operazioni «in genere», aventi ad oggetto il patrimonio dell'imprenditore, consumato, in notevole parte, in operazioni «aleatorie od economicamente scriteriate», il cui effetto conclusivo è la diminuzione della garanzia generica dei creditori, costituita proprio dal patrimonio del debitore, ai sensi dell'art. 2740 c.c.; la seconda ipotesi riguarda, invece, operazioni finalisticamente orientate a ritardare il fallimento, ma ad un tempo caratterizzate da «grave avventatezza o spregiudicatezza, che superino i limiti dell'ordinaria «imprudenza», che, secondo la comune logica imprenditoriale, può a volte giustificare il ricorso, da parte dell'imprenditore che versi in situazione di difficoltà economica, ad iniziative «coraggiose», da extrema ratio, ma ragionevolmente dotate di probabilità di successo, al fine di scongiurare il fallimento. Inoltre, mentre la seconda ipotesi, per via dell'anzidetta finalizzazione che la connota, ha certamente carattere doloso, la prima è, invece, punibile a titolo di colpa» (cfr. Cass. pen. V, n. 24231/2003). Sul piano pratico, è stata definita operazione manifestamente imprudente, nell'esercizio dell'attività bancaria «l'erogazione di finanziamenti per finalità totalmente generiche e indeterminate, poiché sfavorevolmente incidenti sulla valutazione della capacità di rimborso da parte del beneficiario»; in parte motiva, la Corte rilevava, inoltre, che, per valutare se l'operazione avesse avuto ad oggetto «una notevole parte del patrimonio», bisognava prendere in considerazione non tanto l'incidenza sulla tenuta economico-finanziaria dell'ente, quanto «la consistenza numeraria e oggettiva dell'importo erogato dall'istituto di credito» (cfr. Cass. pen. V, n. 36209/2024). Ancora, rientrano nell'alveo di applicazione della categoria concettuale in commento, le operazioni caratterizzate da alto grado di rischio, prive di serie e ragionevoli prospettive di successo economico e che, avuto riguardo alla complessiva situazione dell'impresa, votata al dissesto, hanno il solo scopo – da accertarsi sotto il profilo soggettivo – di ritardare il fallimento (Cfr. Cass. pen. V, n. 118/2022). In tema di bancarotta, quando l'agente pone in essere operazioni imprudenti idonee a configurare la bancarotta semplice di cui alla lett. b), comma 1, art. 323 c.c.i.i. (prima n. 2 dell'art. 217 l. fall.), egli agisce con imprudenza, ma pur sempre nell'interesse dell'impresa; nelle operazioni distrattive che integrano il delitto di bancarotta fraudolenta di cui all'art. 216 della stessa legge, invece, l'agente agisce dolosamente perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa e, quindi, con la coscienza e volontà di porre in essere Atti incompatibili con la salvaguardia del patrimonio aziendale ed in contrasto con l'interesse dei creditori alla conservazione delle garanzie patrimoniali (cfr. Cass. pen. V, n. 15850/1990). Il concetto di «notevole» parte del patrimonio ha una valenza relativa, dovendosi riconoscere la sussistenza di tale circostanza avuto riguardo al rapporto della perdita rispetto al valore complessivo del patrimonio imprenditoriale. Va evidenziato come non è necessario accertare il nesso di causalità tra la consumazione patrimoniale e il fallimento, in quanto la lettera della legge richiede la semplice perdita «notevole» del patrimonio-garanzia generica dell'imprenditore. Si discute in dottrina se la condotta manifestamente imprudente penalmente rilevante sia soltanto quella posta in essere nel momento in cui l'imprenditore versi in stato di insolvenza oppure anche quella posta in essere in un momento estraneo alla crisi ovvero se la consistenza della perdita debba essere valutata al momento in cui l'operazione è stata posta in essere oppure al momento della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale. Inoltre, non vi è accordo sulle ricadute del termine «operazioni» sulla configurabilità del reato anche in presenza di una sola azione: parte della dottrina (Pagliaro, 1957, 125; Antolisei, 164) propende per la soluzione positiva, mentre altra (La Monica, 372) ritiene insuperabile l'utilizzo del plurale, ritenendo necessaria la pluralità di condotte dannose per il patrimonio. La Cassazione (cfr. Cass. pen. V, n. 7417/2023) ha offerto un criterio discretivo al fine di distinguere le ipotesi in cui la consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti integri il delitto di bancarotta semplice da quelle in cui perfezioni il delitto di bancarotta fraudolenta. Invero, sull'argomento è stato sottolineato quanto segue: «In tema di reati fallimentari, la consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti integra il delitto di bancarotta semplice nel caso in cui tali operazioni si inquadrino nell'ambito di condotte tenute comunque nell'interesse dell'impresa, configurandosi, invece, il delitto di bancarotta fraudolenta nel caso in cui l'agente abbia dolosamente perseguito un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa». c) Compimento di operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento. Ai fini del reato di cui all'art. 323, comma 1, lett. c) (già art. 217, comma 1, n. 3 l. fall.), operazioni di grave imprudenza sono quelle caratterizzate da alto grado di rischio, prive di serie e ragionevoli prospettive di successo economico, le quali, avuto riguardo alla complessiva situazione dell'impresa, oramai votata al dissesto, hanno il solo scopo di ritardare il fallimento. Dunque, si tratta di atti che assumono rilievo penale solo in prossimità della liquidazione. Nel caso di specie, la S.C. ha condiviso l'interpretazione del giudice di merito che aveva considerato gravemente imprudenti alcune operazioni negoziali poste in essere da una Società in stato di dissesto, e precisamente la locazione dell'intera azienda in favore di altra Società, che non offriva peraltro serie garanzie di solvibilità, e per un canone locativo di gran lunga inferiore rispetto al valore dei beni locati; un contratto estimatorio mediante il quale la merce di magazzino era immediatamente consegnata all'altra Società, con facoltà per quest'ultima di acquistarla per sé, venderla a terzi o restituirla alla controparte; una cessione di contratti relativi a beni oggetto di locazione finanziaria detenuti dalla stessa Società cedente (cfr. Cass. pen. V, n. 24231/2003). Deve escludersi, pertanto, la rilevanza penale delle operazioni poste in essere dall'imprenditore che rientrino nel rischio, accettabile, di impresa. d) Aggravamento del dissesto astenendosi dal chiedere la dichiarazione del fallimento (o con altra colpa grave). La fattispecie presuppone la preesistenza dello stato di insolvenza ovvero l'incapacità dell'imprenditore di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni. Può trovare realizzazione in due forme alternative: 1. in ragione della mancata tempestiva richiesta di «fallimento» (rectius liquidazione giudiziale). Va detto che affinché si configuri il reato de quo non è sufficiente che l'imprenditore, in crisi di insolvenza, si astenga dal chiedere il fallimento, ma è necessario che tale condotta aggravi il dissesto. In tal caso, oggetto di punizione è l'aggravamento del dissesto dipendente dal semplice ritardo nell'instaurare la concorsualità, non essendo richiesti ulteriori comportamenti concorrenti. La giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che la colpa grave non può essere presunta, dovendo essere oggetto di puntuale accertamento (cfr. Cass. pen. V, n. 13318/2013, nonché, Cass. pen. V, n. 28609/2017). Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta semplice per mancata tempestiva richiesta di fallimento, non è ostativa la condotta dell'amministratore che presenta un'istanza di rateizzazione del debito erariale, strumento previsto dall'ordinamento per far fronte alla crisi dell'impresa, se essa avviene in una situazione di conclamata ed irrimediabile insolvenza della Società, in assenza di qualsivoglia iniziativa volta a risollevarne le sorti (cfr. Cass. pen. V, n. 57757/2017). 2. in altri casi di colpa grave; tra essi, la dottrina fa riferimento alla mancata assicurazione delle merci contro rischi probabili, al mancato compimento di operazioni di riparazioni urgenti con conseguente danneggiamento del bene, al mancato acquisto di merci necessarie all'andamento dell'impresa (cfr. U. Giuliani Balestrino, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Giuffrè, 2006). In ogni caso la giurisprudenza ha evidenziato che, in tema di bancarotta semplice, l'aggravamento del dissesto punito dagli artt. 217, comma 1, n. 4 e 224 l. fall. deve consistere nel deterioramento, provocato per colpa grave o per la mancata richiesta di fallimento, della complessiva situazione economico-finanziaria dell'impresa fallita, non essendo sufficiente ad integrarlo l'aumento di alcune poste passive. Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la decisione di condanna che aveva concentrato l'attenzione sul debito tributario e sui costi operativi accresciutisi per effetto della mancata richiesta di fallimento, senza considerare la progressiva riduzione delle perdite, il modesto utile e il sensibile risparmio dei costi per interessi bancari, risultanti dai bilanci depositati negli anni oggetto della contestazione (cfr. Cass. pen. V, n. 27634/2019). L’elemento psicologicoLa dottrina distingue l'elemento psicologico a seconda della tipologia di condotta. Conformemente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza reputa che sia sufficiente la colpa grave nell'ipotesi di cui alla lett. d) (cfr. Cass. pen. V, n. 18108/2018, secondo cui nel reato di bancarotta semplice, la mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento da parte dell'amministratore (anche di fatto) della Società è punibile se dovuta a colpa grave che può essere desunta, non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, ma in concreto, da una provata e consapevole omissione). Per ciò che concerne le prime tre ipotesi, secondo un indirizzo ermeneutico le condotte – molto vicine alla bancarotta fraudolenta patrimoniale – potrebbero essere qualificate come bancarotta semplice in presenza di dolo eventuale – colpa cosciente ed integrerebbero gli estremi della bancarotta fraudolenta in caso di dolo diretto o intenzionale (U. Giuliani Balestrino, cit.). Secondo una diversa opzione ermeneutica, secondo cui la distinzione tra la bancarotta semplice e fraudolenta può apprezzarsi anche sul piano strutturale, essendo diverse le condotte ritenute penalmente rilevanti, è possibile sostenere che entrambi i tipi di bancarotta siano connotati da una volontà dolosa, eventuale in caso di bancarotta semplice (cfr. C. Santoriello, La bancarotta semplice, cit.). Infine, in ordine all'accertamento dell'elemento soggettivo, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. pen. V, n. 36209/2024) ha evidenziato che «in tema di reati fallimentari, al fine di escludere la responsabilità colposa dell'amministratore privo di delega per il delitto di bancarotta semplice, non è sufficiente che questi impedisca fatti pregiudizievoli di cui abbia avuto conoscenza dagli amministratori delegati, ma occorre anche che egli si adoperi per procurarsi autonomamente tutti gli elementi prodromici al rispetto dell'obbligo di agire informato». Bancarotta semplice per inadempimento delle obbligazioni assunte in precedente concordatoL'ipotesi in esame si configura laddove l'imprenditore non adempia alle obbligazioni assunte in precedente concordato (preventivo o liquidatorio giudiziale). La bancarotta semplice conseguente a concordato non è configurabile quando il concordato riguardi la stessa procedura conclusa con la dichiarazione di fallimento. Considerato, infatti, che la istanza di concordato fallimentare viene proposta «dopo» la sentenza dichiarativa di «fallimento» (rectius, di dichiarazione della liquidazione giudiziale), la lettura della norma in esame rende evidente che la condotta di bancarotta semplice posta a carico dell'imprenditore in liquidazione giudiziale – consistente nel mancato soddisfacimento «delle obbligazioni assunte in un precedente concordato fallimentare» – debba intendersi riferita ad un concordato che ha preceduto la dichiarazione di fallimento e quindi ad un concordato omologato in una diversa procedura fallimentare (cfr. Cass. pen. V, n. 4015/2005). Con riferimento all'elemento soggettivo, si segnalano due diverse ricostruzioni dottrinali. Da un lato, sulla scorta dalla relazione ministeriale di accompagnamento, v'è chi ritiene che si tratti di un'ipotesi in cui è richiesto un coefficiente colposa (Nuvolone, 82; Pedrazzi, 119); dall'altro – in assenza di alcun richiamo espresso alla «colpa», si è sostenuta la natura dolosa della fattispecie (Cocco, 1221; Antolisei, 121). Bancarotta semplice documentale
In generale Il delitto di bancarotta semplice (prima disciplinato dall'art. 217 l. fall., oggi trasfuso nel comma 2 dell'art. in commento) è reato di pericolo presunto che, mirando ad evitare che sussistano ostacoli alla attività di ricostruzione del patrimonio aziendale e dei movimenti che lo hanno costituito, persegue la finalità di consentire ai creditori l'esatta conoscenza della consistenza patrimoniale, sulla quale possano soddisfarsi. Pertanto, la fattispecie incriminatrice – consistendo nel mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all'imprenditore dall'art. 2214 c.c.) – integra un reato di mera condotta, che si realizza anche quando non si verifichi, in concreto, danno per i creditori. L'obbligo di tenere le scritture contabili non viene meno se l'azienda non abbia formalmente cessato l'attività, anche se manchino passività insolute, ma viene meno solo quando la cessazione dell'attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese (cfr. Cass. pen. V, n. 20911/2011 e, Cass. pen. V, n. 20514/2019). Integra il reato di bancarotta semplice documentale l'imprenditore che tenga in modo sintetico il libro degli inventari, tale da non esprimere in maniera analitica i singoli elementi patrimoniali, rendendo necessario, ai fini della loro ricostruzione, il ricorso al libro giornale ed al mastro dei conti (cfr. Cass. pen. V, n. 39482/2013 e, più di recente, Cass. pen. V, n. 27703/2024, in cui la Corte di Cassazione ha evidenziato che l'assenza di analiticità è inidonea a dare contezza delle attività e passività dell'impresa, facendo venir meno la funzione del libro stesso; né rileva, ai fini della configurabilità del reato, la circostanza che il curatore riesca comunque a ricostruire in maniera completa lo stato attivo e passivo del fallimento). Si differenzia rispetto alla bancarotta fraudolenta documentale in quanto, in quest'ultima, l'elemento oggettivo riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi, ancorché non obbligatori e, con specifico riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale cd. generale, si richiede il requisito dell'impedimento della ricostruzione del volume d'affari o del patrimonio del fallito; nella bancarotta semplice documentale, invece, l'illiceità della condotta è circoscritta alle scritture contabili obbligatorie ed ai libri prescritti dalla legge; è estraneo, inoltre, il requisito dell'impedimento della ricostruzione. Diverso, infine, è l'elemento soggettivo, costituito dal dolo generico nell'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale generale e indifferentemente dal dolo o dalla colpa nella bancarotta semplice documentale (cfr. Cass. pen., n. 55065/2016). L’oggetto materiale e le singole condotte L'oggetto materiale del reato di bancarotta semplice documentale è costituito dai libri obbligatori e altre scritture contabili indicati nell'art. 2214 c.c., assolutamente (art. 2214, comma 1 c.c. che fa riferimento al libro giornale e al libro degli inventari) e relativamente (art. 2214, comma 2 c.c. che fa riferimento alle altre scritture richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa ovvero agli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché alle copie delle lettere, telegrammi e fatture spedite) obbligatori. Si tratta, in altri termini, di qualsiasi scrittura la cui tenuta è obbligatoria, dovendosi ricomprendere tra queste anche quelle richiamate dal comma secondo dell'art. 2214 c.c., e cioè tutte le scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa. In particolare, la Corte ha ritenuto sussistente il reato in relazione (cfr. Cass. pen. V, n. 37459/2021): – ai «mastrini» delle spese di cassa – che rappresentano l'andamento della cassa contanti e sono elementi necessari alla sua comprensione – irritualmente tenuti nel triennio antecedente alla dichiarazione di fallimento (Cass. pen. V, n. 5461/2016); – le fatture relative ad una annualità compresa nel triennio antecedente alla dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. pen. V, n. 23621/2016). Per contro, è stato escluso il reato di bancarotta semplice documentale in caso di mancata tenuta del registro dei beni ammortizzabili (Cfr. Cass. pen. V, n. 7904/1997, secondo cui: «In tema di bancarotta semplice documentale, poiché il richiamo ai libri previsti dalla legge, di cui all'art. 217 della l. fall., si riferisce agli obblighi regolati dall'art. 2214 c.c. e non alle scritture contabili previste dalle leggi fiscali, la mancata tenuta del registro dei beni ammortizzabili, che è previsto dall'art. 16 del d.P.R. n. 600/1973 – e non è, pertanto, una scrittura obbligatoria ai sensi dell'art. 2214, comma 1 c.c. – può integrare gli estremi della bancarotta documentale soltanto se tale libro può considerarsi richiesto dalla «natura e dalle dimensioni dell'impresa», ai sensi dell'art. 2214, comma 2 c.c. (Nella fattispecie la Suprema Corte, in accoglimento del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato che era stato condannato per non aver tenuto il libro dei cespiti ammortizzabili, ha annullato con rinvio l'impugnata sentenza osservando che la penale responsabilità per la mancata tenuta del registro in questione può essere affermata soltanto se, con adeguata motivazione, «si riconduce detto registro nell'ambito delle scritture relativamente obbligatorie di cui all'art. 2214/2 c.c.»). Sotto il profilo della condotta, ai fini dell'integrazione del reato di bancarotta semplice documentale, è necessaria l'omessa tenuta o l'irregolare e incompleta tenuta delle scritture contabili obbligatorie previste dall'art. 2214, comma 1 c.c. e 2421 c.c. in caso di Società, mentre con riguardo alle scritture di cui all'art. 2214, comma 2 c.c. l'affermazione della loro obbligatorietà in concreto presuppone la valutazione dell'esistenza di una stringente esigenza dell'ulteriore e più articolato sistema di informazione e di estensione dei dati aziendali che si assume mancante, con la conseguenza che per ritenere integrato il reato in questione con riferimento anche a tali ulteriori scritture è necessario che siano specificamente individuate le scritture cui si riferiscono gli addebiti unitamente alle ragioni della necessità della loro istituzione (cfr. Cass. pen. V, n. 17426/2007). In proposito, va detto che la mancanza di specifica ed esplicita indicazione, nel capo di imputazione, delle scritture, non tenute o non regolarmente tenute, non comporta alcuna genericità dello stesso, dal momento che le scritture cui si fa riferimento sono quelle rese obbligatorie dal codice civile (cfr. Cass. pen. V, n. 8932/2000). Va altresì evidenziato che il regime tributario di contabilità semplificata, previsto per le cosiddette imprese minori, non comporta l'esonero dall'obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili, previsto dall'art. 2214 c.c., con la conseguenza che il suo inadempimento può integrare la fattispecie incriminatrice del reato di bancarotta semplice (cfr. Cass. pen. V, n. 33878/2017, nonché Cass. sez. F, n. 33402/2009, n. 5382/1999). Invero, dovranno comunque essere tenuti: i registri IVA, con relativa documentazione fiscale, nei quali vanno riportate anche le annotazioni non rilevanti ai fini dell'imposta in oggetto, ma che siano comunque rilevanti per la determinazione del reddito (ciò in considerazione del fatto che non vi è il libro giornale); il registro dei beni ammortizzabili, sebbene sia possibile non istituire tale registro se l'imprenditore è in grado di fornire all'Amministrazione finanziaria gli stessi dati che risulterebbero dal registro stesso; i libri previsti dalla normativa sul lavoro (ad esempio, il Libro Unico del Lavoro). Integra pure il reato di bancarotta semplice documentale l'omessa tenuta dei registri contabili, in quanto l'art. 7, comma 4-ter, della l. n. 489/1994 – prevedendo che la contabilità può essere tenuta mediante il sistema informatico – non esime l'amministratore della Società dall'adempimento degli obblighi di legge, relativi alla tenuta dei libri contabili e, quindi, dall'obbligo del puntuale aggiornamento dell'esercizio corrente, della veridicità delle singole attestazioni dei libri contabili nonché della loro conservazione, preordinata alla consultazione degli stessi (cfr. Cass. pen. V, n. 20061/2014, in cui il libro degli inventari veniva tenuto per una sola annualità mentre il libro giornale non veniva tenuto, sussistendo passività insolute, fino alla data del fallimento). Parimenti, la perdita dello strumento informatico, anche se dovuta ad un intervento esecutivo posto in essere dai creditori per acquisire il valore commerciale del computer, non determina il venir meno dell'obbligo di conservazione dei libri e delle scritture contabili, ma semplicemente la necessità di modificarne le modalità di conservazione, provvedendo al loro immediato trasferimento su carta o su altro supporto informatico; l'omissione di tale adempimento integra il delitto di bancarotta semplice documentale (cfr. Cass. pen. V, n. 20729/2003). La mancata tenuta delle scritture contabili obbligatorie si configura laddove l'imprenditore non abbia tenuto, in tutto o in parte, i libri o le scritture contabili previste dall'art. 2214 c.c. Non soltanto, quindi, laddove i libri o le scritture contabili manchino del tutto, ma anche soltanto in parte. Non è necessario, inoltre, che la mancata tenuta si estenda all'intero periodo indicato dalla norma. Sussiste il reato di bancarotta semplice documentale anche quando la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili non si protragga per l'intero triennio precedente alla dichiarazione di fallimento. In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto configurabile il reato a carico dell'amministratore della Società fallita che non aveva ricoperto la carica per l'intero triennio antecedente alla sentenza di fallimento (cfr. Cass. pen. V, n. 37910/2017). Quanto all'interpretazione della locuzione «tre anni antecedenti alla dichiarazione di liquidazione giudiziale», deve farsi riferimento ai tre esercizi precedenti già conclusi prima dell'anno di presentazione dell'istanza di fallimento. È stato altresì sottolineato, con riguardo all'omessa tenuta dei libri e delle scritture contabili, che la disposizione in commento «ricomprende in sé – come norma di più ampia portata la cui sanzione, più grave, esaurisce l'intero disvalore oggettivo e soggettivo delle condotte di riferimento – anche quella di cui agli artt. 220 e 16, n. 3 della medesima legge, in quanto, una volta accertata la mancata tenuta delle scritture, risulta inesigibile l'obbligo, da queste ultime norme penalmente sanzionato, di consegna delle stesse al curatore fallimentare» (cfr. Cass. pen. V, n. 12050/2021). L'irregolarità della tenuta si configura quando le scritture (relativamente) obbligatorie non presentino i requisiti di validità formale o sostanziale. Non rileva la circostanza del mancato impedimento della ricostruzione del movimento degli affari, non espressamente richiesta dalla norma. Il reato di bancarotta semplice documentale è configurabile, anche quando l'imprenditore abbia tenuto i libri IVA e non le altre scritture prescritte dal codice civile e pur se il registro IVA. abbia consentito la ricostruzione del patrimonio dell'azienda, diverse essendo le finalità della normativa fiscale rispetto a quella prevista in materia dal codice civile e dalla l. fall. (cfr. Cass. pen. V, n. 11918/1997). L’elemento psicologico La bancarotta semplice documentale è punibile anche a titolo di colpa, a ciò non ostando il tenore dell'art. 42 c.p., che esige la previsione espressa della punibilità di un delitto a titolo di colpa, in quanto la nozione di «previsione espressa» non equivale a quella di «previsione esplicita» e, nel caso della bancarotta semplice documentale, la previsione implicita è desumibile dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale (cfr. Cass. pen. V, n. 53210/2018). La bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell'elemento soggettivo, che, ai fini dell'integrazione della bancarotta semplice, può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 322 c.c.i.i., l'elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell'irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore (cfr. Cass. pen. V, n. 2900/2018; Cass. pen. V, n. 26379/2019). In tema di bancarotta semplice documentale, la colpa dell'imprenditore non è esclusa dall'affidamento a soggetti estranei all'amministrazione dell'azienda della tenuta delle scritture e dei libri contabili, perché su di lui grava, oltre all'onere di un'oculata scelta del professionista incaricato e alla connessa eventuale culpa in eligendo, anche quella di controllarne l'operato. Il reato di bancarotta semplice è un reato di pericolo punibile anche a titolo di colpa, e pertanto è irrilevante che l'agente si sia mantenuto estraneo all'amministrazione dell'azienda, in quanto in ogni caso è obbligato ad esercitare un controllo sulla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, ancorché affidata a tecnici specializzati (cfr. Cass. pen. V, n. 12765/1989). Concorso di reatiIl reato di inosservanza dell'obbligo di deposito del bilancio sociale alla data del fallimento, previsto dall'art. 327 c.c.i.i. (già artt. 220 e 16n. 3 l. fall.), concorre con il reato di bancarotta semplice documentale, consistito nell'avere omesso di tenere il libro giornale e il libro degli inventari, trattandosi di fatti di reato aventi oggetto materiale diverso. Il secondo assorbe il primo quando si tratti di inosservanza dell'obbligo di deposito di scritture contabili che non siano state tenute (cfr. Cass. pen. V, n. 14846/2017). In tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta, anche relative a diverse fattispecie di cui agli artt. 322 e 323 c.c.i.i. (già 216 e 217 l. fall.), nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 326, comma 2, n. 1 c.c.i.i. (già 219, comma 2, n. 1 l. fall.), disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 c.p. (cfr. Cass. pen. V, n. 44097/2019). Le pene accessorieFerme le pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del c.p., la condanna per una delle fattispecie di bancarotta semplice, comporta l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, fino a due anni. In tema di bancarotta semplice, le pene accessorie previste dal comma 3 del presente art. (prima disciplinate dal 217 della l. fall., inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa) devono essere commisurate alla durata della pena principale, in quanto, essendo determinate solo nel massimo (fino a due anni), sono soggette alla regola dettata dall'art. 37 c.p., per il quale la loro durata è uguale a quella della pena principale inflitta (Cass. pen. V, n. 46479/2014). La pena accessoria prevista per il delitto di bancarotta semplice è predeterminata solo nel massimo e ad essa si applica pertanto il principio stabilito dall'art. 37 c.p., secondo il quale la durata della pena accessoria dev'essere eguale a quella della pena principale: l'errore consistente nella determinazione di una durata maggiore può essere rettificato dalla Corte di Cassazione ai sensi dell'art. 538, comma 2, c.p.p. (Cfr. Cass. pen. V, n. 6366/1978). In tema di bancarotta semplice, il patteggiamento di una pena detentiva inferiore ai due anni preclude l'applicazione delle pene accessorie obbligatorie per legge, non essendo l'art. 323 c.c.i.i. norma speciale prevalente rispetto a quella di cui all'art. 445, comma 1 c.p.p. (cfr. Cass. pen. V, n. 24068/2016). BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto Complementari, II, Milano, 2008; Antonioni, Leggi La bancarotta semplice, Napoli, 1962; Ambrosetti, I reati fallimentari, in Ambrosetti, Mezzetti, Ronco, Diritto penale dell'impresa, Bologna, 2008; Codoppi, Canestrari, Manna, Papa, Diritto penale dell'economia, Tomo II, Torino, dicembre 2019; Lo Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 2007; Giuliani Balestrino, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 2006; La Monica, Manuale di diritto penale commerciale. Reati fallimentari, societari e bancari, Milano, 1993; Micheletti, La colpa nella bancarotta semplice patrimoniale: contributo allo studio della regola cautelare come criterio di delimitazione della tipicità colposa, Padova, 2000; Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955; Pedrazzi, Reati fallimentari, in Aa.Vv., Manuale di diritto penale dell'impresa, Milano, 2003; Pagliaro, Il delitto di bancarotta, Torino, 1957; Pagliaro, Il diritto penale fra norma e Società. Scritti 1956-2008, Volume 4, Milano, 2009; Santoriello, La bancarotta semplice, in Società, 2015, 8-9, 1024 (commento alla normativa). |