Decreto legislativo - 12/01/2019 - n. 14 art. 328 - Liquidazione giudiziale delle societa' in nome collettivo e in accomandita sempliceLiquidazione giudiziale delle società in nome collettivo e in accomandita semplice 1. Nella liquidazione giudiziale delle società in nome collettivo e in accomandita semplice le disposizioni del presente capo si applicano ai fatti commessi dai soci illimitatamente responsabili. InquadramentoIl socio illimitatamente responsabile nelle società in nome collettivo o nelle società in accomandita semplice viene dichiarato fallito in virtù dell'art. 147 l. fall. (confluito nell'art. 256 c.c.i.i. cfr. Cass. pen. V, n. 42591/2018). La norma in esame estende le disposizioni del Capo I del Titolo IX del c.c.i.i. ai fatti commessi dai soci illimitatamente responsabili delle società in nome collettivo e in accomandita semplice. Si esclude che la disposizione ivi contenuta possa trovare applicazione analogica anche ai soci di società in accomandita per azioni, facendo espresso riferimento alle società di persone e non di capitali. In presenza dei presupposti, pertanto, per costoro può trovare applicazione l'art. 329 (ex art. 223 l. fall.). Il socio accomandante in una società di accomandita semplice, invece, può essere responsabile: – sulla scorta dell'art. 222 l. fall., laddove si sia indebitamente ingerito nell'amministrazione della società (ex art. 2320 c.c., comma 1), con conseguente estensione del fallimento (rectius, liquidazione) nei suoi confronti ai sensi dell'art. 147 l. fall.; – in virtù dell'art. 322 c.c.i.i. (già art. 216 l. fall.), quale amministratore di fatto della società in accomandita semplice che viene dichiarata fallita; – alla luce delle norme sul concorso di persone di cui all'art. 110 c.p. ponendo in essere una condotta agevolativa o rafforzativa dell'agire dell'intraneus (Cass. V, n. 14531/2016). Rientra, invece, nell'alveo di applicazione della norma, la posizione del socio di fatto di una impresa apparentemente individuale, atteso che secondo norme civilistiche, la situazione viene equiparata ad una società in nome collettivo. Ai fini della configurabilità della responsabilità del socio occulto per il reato di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell'art. 222 l. fall., è necessario che sia stato dichiarato il fallimento anche della società occulta. Nella fattispecie, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza di condanna nei confronti di un soggetto ritenuto socio di una società di fatto, nonostante l'imputazione individuasse lo stesso quale extraneus in concorso con l'imprenditore, mera testa di legno, titolare di impresa individuale, già dichiarata fallita (cfr. Cass. V, n. 23044/2016). In tema di reati fallimentari, la mancata estensione della dichiarazione di fallimento non preclude, di per sé, la responsabilità del socio accomandante che abbia violato il divieto di immissione nell'attività amministrativa, a titolo di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta ascritto all'accomandatario, essendo sufficiente ai fini della lesione del bene giuridico tutelato dall'art. 216 l. fall. lo svolgimento di attività amministrativa, anche attraverso i contatti con i clienti dell'impresa, che implica inevitabilmente la gestione delle attività aziendali (cfr. Cass. V, n. 44103/2011). In tema di bancarotta, il socio di fatto illimitatamente responsabile acquista la qualità di fallito non già nel momento in cui viene emessa la sentenza dichiarativa del fallimento della società ma allorquando venga dichiarato il suo fallimento personale. Nella fattispecie sottoposta all'esame della Corte, si è escluso che l'imputato potesse beneficiare dell'indulto, essendogli stato esteso il fallimento in data successiva a quella individuata come limite e stabilita per l'operatività del provvedimento di clemenza (cfr. Cass. V, n. 31610/2016). Risponde dei delitti di bancarotta anche l'»amministratore di fatto» che abbia esercitato in concreto poteri di amministratore di una società in nome collettivo o in accomandita semplice e che, pertanto, non rivestendo la qualità di «socio illimitatamente responsabile», può non essere stato dichiarato fallito in proprio (cfr. Cass. pen. V, n. 43036/2009). Inoltre, in caso di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata, «ciascun socio risponde dei fatti di bancarotta fraudolenta commessi sia sui beni propri che su quelli della società. Con la precisazione, però, che i beni appartenenti al patrimonio personale vengono attratti nella sfera di applicabilità delle norme sul fallimento solo allorquando il titolare, che non sia ad altro titolo imprenditore commerciale, assume la veste di socio illimitatamente responsabile in una società di persone. Per il periodo anteriore, invece, la persona fisica risponde dell'adempimento delle obbligazioni personali con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.), ma non può ritenersi soggetta alle disposizioni sul fallimento, mancando il presupposto della qualità di imprenditore che eserciti una attività commerciale (art. 1 l. fall.) o di socio illimitatamente responsabile di società di persone (art. 147 l. fall.)» (Cass. V, n. 9575/1987). BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto penale, Leggi Complementari, II, Milano, 2018; Casaroli, La bancarotta del socio illimitatamente responsabile, Milano, 1981; Corucci, La bancarotta e i reati fallimentari, Milano, 2008; Giuliani-Balestrino, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 2006; Pedrazzi, Sgubbi, Reati commessi dal fallito - Reati commessi da persone diverse dal fallito, in Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare, (a cura di) Galgano, Bologna, 1995. |