Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 2 - Imprese soggette all'amministrazione straordinaria.

Rosaria Giordano

Imprese soggette all'amministrazione straordinaria.

1. Possono essere ammesse all'amministrazione straordinaria, alle condizioni e nelle forme previste dal presente decreto, le imprese, anche individuali, soggette alle disposizioni sul fallimento che hanno congiuntamente i seguenti requisiti:

a) un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno;

b) debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio.

1-bis. Le imprese confiscate ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, possono essere ammesse all’amministrazione straordinaria, alle condizioni e nelle forme previste dal presente decreto, anche in mancanza dei requisiti di cui alle lettere a) e b) del comma 11.

1-ter. In deroga a quanto previsto dal comma 1, fermo restando il requisito di cui alla lettera b) del medesimo comma, possono essere ammesse all'amministrazione straordinaria le imprese che svolgono le attività di rilevanza strategica di cui agli articoli 1 e 1-bis del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, nonché le imprese che detengono le reti e gli impianti di rilevanza strategica di cui all'articolo 2 del medesimo decreto-legge n. 21 del 2012, quando impiegano un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a quaranta da almeno un anno2.

[2] Comma aggiunto dall'articolo 4-bis, comma 1, lettera a), del D.L. 18 gennaio 2024, n. 4, convertito con modificazioni dalla Legge 15 marzo 2024. n. 28

Note operative

Requisiti di ammissione delle imprese alla procedura di amministrazione straordinaria
Lavoratori subordinati non inferiore a duecento da almeno un anno
Debiti ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio

Inquadramento

L'art. 2 in esame è formulato in modo tale da ricomprendere nell'ambito soggettivo della legge qualsiasi tipo di impresa esercitata sia in forma individuale, che collettiva.

Nessun dubbio sorge sull'applicabilità della procedura di amministrazione straordinaria anche agli imprenditori individuali e alle Società di persone soggette alle disposizioni sul fallimento (Ragusa Maggiore, 272).

L'esplicito riferimento alle imprese anche individuali è stato apprezzato dalla dottrina che ha evidenziato l'intenzione del legislatore di superare il contrasto interpretativo sorto sotto il vigore della vecchia disciplina, che vedeva divisa la giurisprudenza di merito (Cesaroni, De Gioia Caraballese).

In giurisprudenza cfr. Trib. Roma 6 novembre 1983, in Giur. it., 1984, I, 2, 602; Trib. Napoli 30 aprile 1983 in Dir. fall., 1982, II, 1654).

È stata, altresì, prevista una norma di coordinamento (art. 4) con la quale vengono richiamate le disposizioni di cui agli artt. 10 e 11 r.d. n. 267/1942 (ossia artt. 33 e 34 d.lgs. n. 14/2019) attinenti ai limiti di applicabilità della dichiarazione di insolvenza dell'imprenditore che ha cessato l'esercizio dell'impresa e del fallimento dell'imprenditore defunto.

Analogo ragionamento va fatto in relazione alla assoggettabilità alla disciplina della amministrazione straordinaria delle Società di persone, per le quali gli effetti della dichiarazione effettuata dal Tribunale si estendono anche ai soci illimitatamente responsabili.

Anche per le Società di persone, in passato l'estensibilità della disciplina dell'amministrazione straordinaria costituiva oggetto di ampio dibattito ed era prevalente l'orientamento dottrinale che la negava alla luce della natura eccezionale dell'art. 147 r.d. n. 267/1942 (art. 256 d.lgs. n. 14/2019) ed in considerazione della non applicabilità, alle Società di persone, della disciplina della liquidazione coatta amministrativa (cfr. Di Lauro, 1158).

Il riferimento alla circostanza che debba trattarsi di imprese soggette alla dichiarazione di fallimento mira chiaramente ad escludere le imprese che possono essere sottoposte alla liquidazione coatta amministrativa, ma per le quali non è possibile dichiarare il fallimento.

Si è fatto rilevare, al riguardo, che in tal modo alcune imprese – con riferimento alle quali non è consentito il trasferimento ad altri dell'attività – non potrebbero fare ricorso alla procedura di amministrazione straordinaria, con la conseguenza di non potere perseguire, in loro favore, alcuna finalità conservativa e che tali imprese, per ciò solo, sarebbero destinate alla eliminazione dal mercato attraverso la procedura di liquidazione.

Sono state sollevate diverse critiche in merito alla riformulazione delle soglie di accesso.

Da un lato è stato evidenziato che il numero dei lavoratori (che nella precedente normativa era di 300 unità e in quella vigente è stato ridotto a 200) non si conforma alla normativa comunitaria, che con la Raccomandazione della Commissione Europea del 3 aprile 1996 ha definito impresa media quella che occupa fino a 250 lavoratori.

Dall'altro lato si è cercato di spiegare la previsione di duecento lavoratori con l'intenzione di recuperare anche le imprese di piccole dimensioni.

In ogni caso, non va sottaciuto che l'introduzione di una soglia di indebitamento molto elevata ha, di fatto, ristretto moltissimo la possibilità di accesso alla procedura di amministrazione straordinaria, quanto meno per ciò che concerne la seconda fase, quella del risanamento. Riesce, infatti, difficile ipotizzare il risanamento di imprese che abbiano un indebitamento pari a due terzi sia del fatturato, che dell'attivo patrimoniale.

Sul punto accreditata dottrina ha evidenziato altresì che il parametro dell'esposizione debitoria non consente di individuare il tipo d'impresa per la quale si impone il recupero (Belvedere, 13).

Il riferimento ai debiti è da intendersi comprensivo sia delle obbligazioni scadute, sia di quelle da scadere (App. Torino 12 gennaio1982, in Dir. fall., 1982, II, 390 e 391).

Ancora, alcuni autori hanno osservato che le possibilità di risanamento dell'impresa insolvente sono tanto più elevate, quanto meno accentuato risulti il rapporto tra indebitamento ed attivo (Maffei Alberti, 1068).

Infine, vanno escluse le imprese in stato di insolvenza che intendano avvalersi della opzione di ristrutturazione biennale prevista dall'art. 27, comma 2, lett. b), della l. n. 39/2004 (che ha convertito il d.l. n. 347/2003) e che hanno almeno 500 lavoratori subordinati, ivi compresi quelli in cassa integrazione.

Presupposto soggettivo

Il d.lgs. n. 270/1999 si applica a tutte le imprese commerciali e, quindi, a tutte le imprese che svolgono le attività di cui all'art. 2195 c.c., iscritte nel registro delle imprese, fatta eccezione per quelle che hanno una speciale normativa che le sottrae al fallimento come le Società di assicurazione, le banche, i consorzi per le case popolari, le Società fiduciarie e le Società di intermediazione finanziaria.

La legge parla di imprese e mai di imprenditori, ponendo un particolare accento alla oggettivizzazione della procedura.

Sono assoggettabili alla procedura di amministrazione straordinaria tutte le imprese «fallibili», in presenza degli altri presupposti previsti dalla legge, sia in forma individuale, sia in forma collettiva e anche le Società irregolari in nome collettivo e le Società di fatto, non escluse dalla declaratoria di fallimento.

Pure le Società cooperative possono essere sottoposte ad amministrazione straordinaria, ivi comprese le Società cooperative di produzione e lavoro, con la precisazione che anche il socio lavoratore deve intendersi alla stregua di un dipendente e, in quanto tale, facente parte dei 200 dipendenti richiesti dall'art. 2 della legge.

Riscontrano il delineato ambito soggettivo le Sezioni Unite della Cassazione che, nella sentenza 30 ottobre 2008, n. 10906, hanno ritenuto la competenza del giudice del lavoro nelle controversie instaurate fra la cooperativa e il socio, e quindi, hanno ritenuto la qualifica di dipendente in capo al socio della cooperativa che ivi presta anche attività lavorativa.

Dal 2007 con la l. n. 244/2007, che con l'art. 1, comma 257, ha aggiunto il comma 1-bis all'art. 1 del d.lgs. n. 270/1999, sono ammesse alla procedura anche le imprese confiscate ai sensi della l. n. 575/1965, anche in mancanza dei requisiti di cui alle lett. a) e b) del comma 1 dell'art. 1, allargandosi in tal modo l'ambito di applicazione della procedura concorsuale, al fine di garantire una gestione amministrativa quanto più efficiente e flessibile e mantenere in vita le imprese confiscate ove ancora produttive.

Il d.l. 25 marzo 2010, convertito con modifiche dalla l. n. 73/2010, ha previsto che in ipotesi di crisi di una Società di riscossione delle entrate degli enti locali è ammessa, di diritto, su domanda della Società ovvero della Società capogruppo, alle procedure di amministrazione straordinaria, con programma di ristrutturazione, previste dal d.l. n. 347/2003, convertito dalla l. n. 39/2004.

Si chiede tuttavia che tale Società abbia esercitato, singolarmente o appartenendo al medesimo gruppo di imprese, le funzioni di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 446/1997, per conto di non meno di 50 enti locali e che sia stata cancellata dall'albo di cui all'art. 53 del d.l. n. 446/1997 con deliberazione anche non definitiva.

Sono ammessi alla procedura di amministrazione straordinaria con programma di ristrutturazione anche le Società per le quali il Tribunale abbia dichiarato lo stato di insolvenza in assenza di domanda e, quindi, d'ufficio, e con nomina del commissario del ministro dello sviluppo economico su proposta del ministro dell'economia e delle finanze.

Le convenzioni vigenti con gli enti locali immediatamente prima della data di cancellazione dall'albo di cui all'art. 53 del d.l. n. 446/1997 continuano ad esplicare i loro effetti e il commissario, al fine di migliorare il servizio di riscossione, certifica se il credito degli entri locali sia certo, liquido ed esigibile, anche nell'ottica di una cessione pro soluto del credito in favore di banche e di Società di intermediazione finanziaria.

È possibile ricorrere all'amministrazione straordinaria anche in caso di impresa cessata, purché per cessazione si intenda la dismissione dell'attività imprenditoriale e non anche dell'organizzazione di persone e di beni: diversamente opinando non sussisterebbe il requisito richiesto dalla legge dei 200 dipendenti nell'ultimo anno di cui all'art. 2 e non vi sarebbe alcuna prospettiva di recupero dell'equilibrio economico di cui all'art. 27 della legge (Marano, 414).

Una parte della dottrina ritiene incompatibile il ricorso all'amministrazione straordinaria di un'impresa in liquidazione, poiché lo scopo liquidatorio non si concilia con quello conservativo, con la conseguenza di considerare necessaria la revoca della delibera di liquidazione (Alessi, 17).

Altra parte della dottrina, invece, ha affermato che proprio il requisito patrimoniale previsto dalla legge, che richiede un preciso rapporto tra indebitamento ed attivo, induce a ritenere assoggettabili alla procedura anche le imprese che si trovino in stato di liquidazione, ancorché la messa in liquidazione non venga decisa con specifica delibera assembleare.

Sempre sotto il profilo soggettivo, la giurisprudenza di merito ha ritenuto che il legislatore abbia espressamente previsto, nelle norme che disciplinano le condizioni di ammissione all'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, l'assoggettamento alla procedura delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali e per l'effetto al fallimento (cfr. App. Napoli 27 maggio 2013, in Fall., 2013, 10, 1290, con nota di Fimmanò).

Ancora, sotto il profilo soggettivo, è stato evidenziato che ciò che rileva al fine di ritenere l'assoggettabilità di un ente ecclesiastico ad una procedura concorsuale disciplinata dalla legge italiana è il reale ed effettivo svolgimento di attività commerciale organizzata in forma di impresa sul territorio italiano e, dunque, l'instaurazione di rapporti a contenuto patrimoniale con altri soggetti la cui disciplina è regolata dal diritto italiano, posto che ogni debitore che svolge attività imprenditoriale sul territorio italiano è soggetto all'accertamento dello stato di insolvenza, salvo che sussistano specifiche ipotesi di immunità dalla giurisdizione italiana (cfr. Trib. Roma 30 maggio 2013).

Le soglie di accesso

Le soglie di accesso hanno la finalità di selezionare le imprese meritevoli di accedere alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria.

Due sono le soglie di accesso, una dimensionale e una patrimoniale.

La soglia dimensionale prevede la presenza di almeno 200 lavoratori subordinati da almeno un anno, anche se posti in cassa integrazione guadagni.

È stato così ridotto il numero richiesto dalla Commissione Pajardi (pari a 500) e dalla Commissione Trovato (pari a 400), al fine di consentire il ricorso alla procedura alle imprese medie.

Si è posto un problema di raccordo con la normativa comunitaria (certamente più flessibile nella politica degli aiuti alle piccole e medie imprese, piuttosto che alle grandi imprese), poiché la Raccomandazione della Comunità europea del 3 aprile 1996 fissa in duecentocinquanta unità il limite entro il quale l'impresa viene definita media.

Tale discrasia è stata oggetto di rilevanti critiche in dottrina, che ha evidenziato altresì il rischio che la scelta effettuata dal legislatore possa provocare una inopportuna dilatazione dei soggetti ai quali la procedura risulti applicabile (cfr. Simonati, 242 e ss.).

La soluzione è stata avallata dai giudici di legittimità che hanno affermato che le raccomandazioni sono atti comunitari non obbligatori e di indirizzo e, in quanto tali, non vincolanti per il legislatore nazionale (Cass. n. 18620/2003, secondo cui «...Le raccomandazioni emanate dalla Commissione europea costituiscono atti comunitari tipici, non obbligatori, preordinati allo scopo di assicurare il funzionamento e lo sviluppo della Comunità europea, mediante la prospettazione della soluzione che appare preferibile adottare nell'ottica comunitaria e, conseguentemente, essendo privi di carattere vincolante nei confronti del legislatore nazionale, il giudice ordinario non è tenuto a disapplicare la norma statale che, eventualmente, si ponga in contrasto con esse»). (In applicazione del succitato principio di diritto, la S.C. ha escluso il potere-dovere di disapplicazione dell'art. 2, d.lgs. n. 270/1999 che, nello stabilire i requisiti dimensionali necessari per l'assoggettamento dell'impresa in crisi all'amministrazione straordinaria, prevede che l'impresa debba avere un numero di dipendenti inferiore a quello stabilito da una raccomandazione della Commissione europea) ...»).

Altro profilo, che è stato ritenuto tendenzialmente incompatibile con la disciplina comunitaria, riguarda il venir meno di una tutela in favore di particolari categorie di creditori, essendo il parametro patrimoniale correlato all'indebitamento complessivo.

L'art. 1 della l. n. 95/1979 (la cosiddetta legge «Prodi») parlava di addetti (che dovevano essere di numero non inferiore a trecento) termine che aveva creato non pochi problemi e che aveva portato gli interpreti a ricomprendere nel novero anche gli agenti e i lavoratori autonomi stabilmente collaboranti.

La nuova terminologia va preferita rispetto alla precedente in quanto la dizione «lavoratori subordinati» deve reputarsi dotata di maggiore tecnicismo.

Tra questi vanno ricompresi anche i lavoratori non assunti regolarmente, purché abbiano ottenuto una sentenza che accerti l'esistenza della natura subordinata del rapporto di lavoro.

Dette sentenze debbono essere state già emesse all'atto della domanda di accesso alla procedura di amministrazione straordinaria e ciò all'evidente fine di evitare strumentalizzazioni finalizzate all'accesso della procedura concorsuale.

Anche il socio lavoratore delle Società cooperative di produzione e lavoro va qualificato come lavoratore subordinato.

Sul punto va infatti evidenziato l'orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità, cui sopra si è accennato, secondo il quale «...La controversia fra il socio e la cooperativa di produzione e lavoro, attinente a prestazioni lavorative comprese fra quelle che il patto sociale pone a carico dei soci per il conseguimento dei fini istituzionali, rientra nella competenza del giudice del lavoro, in quanto il rapporto da cui trae origine, pur da qualificare come associativo invece che di lavoro subordinato, è comunque equiparabile – al pari di quelli relativi all'impresa familiare – ai vari rapporti previsti dall'art. 409 c.p.c. in considerazione della progressiva estensione operata dal legislatore di istituti e discipline propri dei lavoratori subordinati (da ultimo ai fini della procedura dell'intervento straordinario di integrazione salariale e di quella di mobilità ex art. 8 d.l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito. in l. 19 luglio 1993, n. 236), dovendo alla graduale applicazione al socio cooperatore della tutela sostanziale propria del lavoratore subordinato corrispondere un'analoga estensione della tutela processuale...» (cfr. Cass. S.U., n. 10906/1998).

Il riferimento temporale per il decorso dell'anno (il requisito dimensionale deve esistere da almeno un anno) è il deposito della sentenza che accerta lo stato di insolvenza e non anche l'emissione del decreto di apertura dell'amministrazione straordinaria.

Va, infatti, condiviso l'indirizzo ermeneutico della giurisprudenza di merito che ha così argomentato: «... La legge in esame non prevede esplicitamente quale sia il dies a quo per calcolare a ritroso il termine di almeno un anno e, dall'altro canto, nell'applicazione della legge fallimentare ai fini della verifica dei presupposti della dichiarazione di fallimento si fa sempre riferimento al momento della decisione del Tribunale e non a quello della presentazione dell'istanza; pertanto, può concludersi che il termine di un anno, stabilito dall'art. 2 del d.lgs. n. 270/1999, va conteggiato a partire dalla data della decisione del Tribunale e non dalla data della presentazione del ricorso...» (cfr. Trib. Trapani 12 settembre 2003).

Nella giurisprudenza di merito il requisito dimensionale è stato oggetto di interpretazioni dirette ad allargare ovvero a restringere l'ambito applicativo della norma.

E così sono stati considerati nel calcolo del requisito dimensionale i lavoratori di tutte le imprese del gruppo e che fanno capo ad una medesima holding in presenza di direzione unitaria (Trib. Cuneo 11 febbraio 2000, in Giur. it., 2000, 773) oppure si sono considerati nel numero i lavoratori distaccati presso altre imprese del gruppo o i lavoratori part time (ma conteggiando le frazioni di orario sino a raggiungere l'orario stabilito per i lavoratori ordinari).

I giudici di merito hanno, inoltre, specificato che «l'impresa priva, da sola, dei requisiti dimensionali di ammissione di cui all'art. 1, lett. a) del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347 (conv. con modif. nella l. 18 febbraio 2004, n. 39), in tanto può essere ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria disciplinata da tale decreto in quanto la stessa appartenga ad un gruppo di imprese, complessivamente in possesso dei requisiti dimensionali richiesti, costituito da almeno un anno» (Trib. Varese 27 agosto 2014).

È stato, poi, applicato il principio del computo medio nei casi in cui nel corso dell'anno il numero dei dipendenti era sceso sotto i duecento (Trib. Torre Annunziata 14 novembre 2001, in Fall., 2002, 1099).

Di contro altri giudici di merito hanno considerato nel numero solo i lavoratori della singola Società (Trib. Perugia 1° marzo 2000, in Fall., 2000, 575).

La Corte di Cassazione ha seguito un criterio diretto a non estendere l'ambito applicativo della norma e ha escluso che fossero computabili i dipendenti dell'azienda data in affitto quando fossero stati trasferiti all'affittuario.

In particolare, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 218/2000, ha evidenziato che «... In tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (in fattispecie anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. n. 270/1999), nel momento stesso in cui la norma di cui all'art. 1 della cosiddetta «legge Prodi» (sussistenza del cosiddetto «requisito dimensionale» per beneficiare della conversione della procedura fallimentare in amministrazione straordinaria) condiziona al solo rapporto di gruppo tra imprese l'effetto estensivo della previa ammissione alla procedura madre, resta indiscutibile che i requisiti dimensionali di ammissione devono esistere solo in capo all'impresa ammessa a tale procedura, e non anche a quelle beneficiarie dell'ammissione in estensione. Resta altresì indiscusso che, nell'intento legislativo, l'effetto estensivo del requisito deve ritenersi di tipo unidirezionale, essendo impensabile che quella stessa previsione esplicita di comunicazione degli effetti del requisito ne celi altra, implicita, per la quale, ad integrare il suddetto requisito in capo all'impresa ammessa alla amministrazione straordinaria (o procedura madre), siano computabili anche gli addetti delle imprese del gruppo»).

Inoltre, i giudici di legittimità hanno precisato che «In tema di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, deve ritenersi reclamabile avanti alla corte di appello il decreto con cui sia ritenuta inammissibile, per difetto dei requisiti indicati dall'art. 2, lett. a) e b), del d.lgs. n. 270/1999, la domanda di dichiarazione dello stato di insolvenza senza la contestuale dichiarazione di fallimento della stessa impresa, riconoscendo la legittimazione a proporlo a quest'ultima, e precisando, altresì, che il requisito dimensionale indicato nell'art. 2, lettera a), del citato decreto va accertato con riferimento alla singola impresa richiedente e non con riguardo al gruppo del quale essa eventualmente faccia parte, escludendosi, inoltre, dal computo dei dipendenti occupati nell'ultimo anno quelli che lavorano nelle aziende cedute in affitto a terzi» (cfr. Cass. I, n. 6648/2013).

Il criterio dell'accorpamento degli imprenditori tra tutte le Società del gruppo, tuttavia, ha trovato un avallo normativo con il d.l. n. 119/2004, che ha modificato la l. n. 347/2003 in tema di amministrazione straordinaria delle grandissime imprese, affermando che i 500 dipendenti devono essere intesi come facenti parte di tutte le imprese del gruppo e ciò per consentire alla compagnia aerea Volaweb di potere avere accesso alla procedura concorsuale.

Sempre con riguardo ai criteri di individuazione del numero dei dipendenti, la giurisprudenza di legittimità ha avuto altresì modo di precisare che «... il requisito dimensionale, in riferimento al numero dei lavoratori subordinati, va determinato, ex art. 6 del d.lgs. n. 61/2006, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 1 del d.lgs. n. 100/2001, computando i lavoratori a tempo parziale nel numero complessivo dei dipendenti in proporzione all'orario svolto riferito alle ore lavorative ordinarie effettuate in azienda con arrotondamento all'unità della frazione di orario superiore alla metà di quello normale e, quindi, calcolando il lavoratore a tempo parziale come una unità, qualora l'orario di lavoro sia superiore alla metà di quello osservato dal lavoratore a tempo pieno, risultando questa interpretazione conforme alla Direttiva 97/81/CE e dovendo altresì ritenersi che l'art. 1 del d.lgs. n. 100/2001 – in virtù del quale i lavoratori a tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all'orario svolto e l'arrotondamento del tempo parziale opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno – non ha natura interpretativa e, conseguentemente, non è applicabile alle fattispecie perfezionatesi anteriormente alla sua entrata in vigore (cfr. Cass. I, n. 18620/2003).

Il requisito patrimoniale esprime il rapporto, pari a due terzi, che deve esistere fra l'indebitamento e l'attivo dello stato patrimoniale (elemento statico) e fra l'indebitamento e il fatturato (elemento dinamico), inteso quale somma dei ricavi proveniente dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio.

È un requisito, così come prospettato, che non è stato ben accolto dalla dottrina, in quanto ritenuto favorevole agli imprenditori che attuano una cattiva gestione delle proprie imprese, così favorendo l'accesso ad imprese molto compromesse e impedendolo ad imprese che si trovano in situazioni meno critiche (Maffei Alberti, 1068).

È stato, inoltre, evidenziato che la quantificazione dell'indebitamento nei due terzi tanto del totale dell'attivo quanto dei ricavi dell'ultimo esercizio possa, in concreto, non esprimere una situazione di insolvenza, verificandosi anche in imprese che non versano in stato di difficoltà economica finanziaria.

Ancora, è stato osservato che le possibilità di recupero dell'equilibrio economico e finanziario di un'impresa risultano inversamente proporzionali rispetto al rapporto tra indebitamento ed attivo, con la conseguenza che l'eccessivo livello di indebitamento richiesto al fine di accedere alla procedura deve considerarsi incompatibile con la dichiarata intenzione del legislatore di valorizzare le prospettive di risanamento (cfr. Simonati, 242 e ss.).

Il requisito patrimoniale può essere conosciuto con qualunque mezzo, anche con l'ausilio della guardia di finanza, con il ricorso alle informazioni alla pubblica autorità ed anche con il ricorso alla consulenza tecnica d'ufficio.

La precedente dizione della legge, che prevedeva che i dati fossero estrapolati dall'ultimo bilancio approvato, non è stata riproposta, sicché può aversi riguardo alla situazione patrimoniale aggiornata depositata ai sensi dell'art. 5, comma 2, lett. c), unitamente alla domanda di dichiarazione dello stato di insolvenza o ancora dai dati dell'ultimo esercizio ai sensi dell'art. 2, lett. b) o dall'ultimo bilancio approvato.

I giudici di merito hanno affermato che ai fini dell'accertamento dei requisiti di ammissione all'amministrazione straordinaria il rapporto tra i debiti, l'attivo e i ricavi va verificato con riferimento alla realtà effettiva dell'impresa, che deve potere essere accertata e nella sua estrinsecazione con qualsiasi mezzo (Trib. Bari 8 febbraio 2004, in Fall., 2004, 821).

È stato fatto ricorso anche a dati risalenti nel tempo, anche a bilanci di due o tre anni prima, purché sia possibile fare una prognosi, inferendo dai dati disponibili l'andamento degli esercizi futuri, ma con la massima cautela e circospezione (Trib. Palermo 21 maggio 2001, in Fall., 2002, 547).

Nell'ipotesi di imprenditore individuale l'ammontare dei debiti deve essere quello riferibile sia all'attività economica, sia al patrimonio personale dell'imprenditore e così pure l'attivo da valutare, stante che la procedura coinvolge l'intero patrimonio dell'imprenditore sul quale debbono soddisfarsi anche i creditori personali.

Una certa dottrina, tuttavia, mettendo l'accento sulla circostanza che la legge non fa più riferimento all'imprenditore, ma all'impresa, afferma che sia più corretto, ai fini del limite dimensionale, valutare i soli debiti collegati all'attività imprenditoriale del soggetto e non a quelli estranei, pur rilevando la difficoltà a distinguere chiaramente la fonte deli uni o degli altri (Marraffa, 21).

Quanto agli orientamenti interpretativi della giurisprudenza di legittimità, la Corte ha precisato che «... Il requisito per l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria previsto dall'art. 2, lett. b), del d.lgs. n. 270/1999 («..debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi tanto del totale dell'attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni dell'ultimo esercizio..») deve essere inteso avendo riguardo all'ultimo esercizio chiuso nell'anno precedente, escludendo la possibilità di fare riferimento all'ultimo anno solare. Depongono in tal senso due fondamentali considerazioni. Infatti, da un lato, il chiaro riferimento della lettera della norma, la quale ha utilizzato termini tecnici in senso proprio, non consente di intendere l'espressione «ultimo esercizio» nel senso di «ultimo anno»; dall'altro, inoltre, una tale opzione ermeneutica darebbe luogo ad una incertezza nella individuazione del periodo, non essendo chiaro quale dovrebbe essere il momento dal quale calcolare a ritroso l'anno da prendere in considerazione» (cfr. Cass. I, n. 8228/2015).

Nel caso di specie, in applicazione degli enunciati principi, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la pronuncia impugnata con la quale la corte d'appello aveva rigettato il reclamo che una Società a responsabilità limitata, dichiarata fallita dal Tribunale, aveva proposto ai fini della conversione del fallimento in amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 35 del d.lgs. cit.

Ancora la giurisprudenza di merito ha precisato che la valutazione relative all'ammissione o meno di una Società alla procedura di amministrazione straordinaria non è ispirata al principio dispositivo di pare, ma ad interessi di ordine generale e di rilevanza pubblicistica, i quali consentono di travalicare lo specifico interesse della Società debitrice e dei suoi creditori (App. Torino 20 gennaio 2012).

La riforma del 2024 ha previsto che non sia necessario il requisito patrimoniale, ferma restando la presenza degli altri requisiti, per l'accesso alla procedura delle imprese che svolgono le attività di rilevanza strategica di cui agli artT.1 e 1-bis del d.l. n. 21/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 56/2012, nonché le imprese che detengono le reti e gli impianti di rilevanza strategica di cui all'art. 2 del medesimo d.l. n. 21/2012, quando impiegano un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a quaranta da almeno un anno.

Bibliografia

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