Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 3 - Accertamento dello stato di insolvenza 1 .

Rosaria Giordano

Accertamento dello stato di insolvenza1.

1. Se un'impresa avente i requisiti previsti dall'articolo 2 si trova in stato di insolvenza, il tribunale competente ai sensi dell'articolo 27, comma 1, del codice della crisi e dell'insolvenza, su ricorso dell'imprenditore, di uno o più creditori, del pubblico ministero, ovvero d'ufficio, dichiara tale stato con sentenza in camera di consiglio 2.

2. Il tribunale provvede a norma del comma 1 anche quando, in base alle disposizioni contenute nei titoli III e IV del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 ("legge fallimentare"), si dovrebbe far luogo alla dichiarazione di fallimento di un'impresa ammessa alla procedura di concordato preventivo o di amministrazione controllata.

[1] A norma dell'articolo 10, comma  1, del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla Legge 5 giugno 2020, n. 40, tutti i ricorsi ai sensi del presente articolo, depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 sono improcedibili.

[2] Comma modificato, a decorrere dal 16 marzo 2019,  dall'articolo 350, comma 1, del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.

Note operative

Il deposito del ricorso e il tribunale competente per la dichiarazione dello stato di insolvenza
Deposito ricorso Il ricorso va depositato al tribunale competente ai sensi dell'art. 27, comma 1, del codice della crisi del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14.
Competenza Per i procedimenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza e le controversie che ne derivano relativi alle imprese in amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione è competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese di cui all'art. 1 del d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168. Il tribunale sede della sezione specializzata in materia di imprese è individuato a norma dell'art. 4 del d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, avuto riguardo al luogo in cui il debitore ha il centro degli interessi principali.

Inquadramento

Diversamente dalla legge «Prodi», che si rivolgeva alle imprese «in crisi», il d.lgs. n. 270/1999 si applica alle imprese «insolventi».

La disciplina contenuta nella nuova normativa non si esaurisce nella previsione dell'apertura di una procedura amministrativa che possa evolversi sia nel senso di conservare l'impresa, sia di liquidarla, ma è contraddistinta da una fase interlocutoria durante la quale occorre accertare se può essere realizzato un programma di risanamento oppure se bisogna dichiarare il fallimento.

Il concetto di insolvenza è quello di cui all'art. 5, che fa riferimento all'impossibilità di adempiere regolarmente e con mezzi normali alle proprie obbligazioni, con la particolarità della presunzione di reversibilità laddove l'impresa sia dotata dei requisiti dimensionali e patrimoniali sanciti dall'art. 2 (ossia abbia almeno 200 dipendenti e sussista un determinato rapporto tra indebitamento e patrimonio), nel qual caso viene attribuita priorità alle finalità conservative.

Ai fini del prosieguo è necessario, inoltre, che sussistano concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali.

Alla tradizionale alternativa tra interesse generale al salvataggio di strutture imprenditoriali e di posti di lavoro e interesse dei creditori, si inserisce altresì il rispetto della concorrenza così come tutelato dalle istituzioni comunitarie (cfr. Oppo).

Il richiamo alla procedura di amministrazione controllata, pur nelle differenti «comprovate possibilità di risanamento» è evidente.

Ciò che conta è la sussistenza di una situazione economica reversibile, pur prescindendo l'amministrazione controllata dalla dichiarazione dello stato di insolvenza e dal requisito patrimoniale di cui all'art. 2.

Con l'abolizione dell'istituto dell'amministrazione controllata è stato superato ogni problema di delimitazione dell'ambito applicativo di entrambe le procedure, anche se problemi di coordinamento si pongono con le altre figure di composizione concordata della crisi del debitore-imprenditore.

La riforma in tema di crisi e di insolvenza, introdotta dal d.lgs. n. 14/2019, emanato in attuazione della l. n. 155/2017, non ha dettato una disciplina organica in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza.

Il legislatore ha, infatti, ritenuto di inserire la riforma in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza in un disegno di legge a parte, il n. 3671-ter, che è stato approvato dalla Camera il 10 maggio 2017, per poi passare all'esame del Senato. L'iter si è poi interrotto perché è iniziata la XVIII legislatura. L'unica norma dettata dalla riforma che ha interessato l'istituto dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza è l'art. 350 (Modifiche alla disciplina dell'amministrazione straordinaria) del d.lgs. n. 14/2019, di cui di dirà di seguito.

Il d.lgs. n. 83/2022, recante le modifiche al codice della crisi e dell'insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l'esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedura di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la Direttiva (UE) 2017/1132 (Direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza, all'art. 49, rubricato «Modifiche al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270», dispone: «1. Al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all'articolo 8, comma 1, lettera b), dopo le parole «ovvero autonomamente,» sono inserite le seguenti: «osservati gli articoli 356 e 358 del codice della crisi e dell'insolvenza,».

b) all'articolo 15, comma 3, le parole «articoli 37,38, primo e secondo comma, e 39 della legge fallimentare» sono sostituite dalle seguenti: «articoli 134, 135, 136, commi 1, 2 e 3, e 137 del codice della crisi e dell'insolvenza»;

c) all'articolo 19:

1) al comma 3, le parole «articoli 42,43,44,46 e 47 della legge fallimentare» sono sostituite dalle seguenti: «articoli 142, 143, 144, 146 e 147 del codice della crisi e dell'insolvenza» e le parole «articoli 31,32,34 e 35 della legge fallimentare» sono sostituite dalle seguenti: «articoli 104, 128, 129, 131 e 132 del codice della crisi e dell'insolvenza»;

2) il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. Al termine del proprio ufficio, il commissario giudiziale cui è affidata la gestione dell'impresa deve rendere il conto a norma dell'articolo 231 del codice della crisi e dell'insolvenza.»;

d) all'articolo 43:

1) dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti:

«1-bis. Il debitore e i creditori ammessi possono chiedere la sostituzione del commissario straordinario per conflitto di interessi, indicandone nella richiesta le specifiche ragioni. Il Ministro dello sviluppo economico, sentito il comitato di sorveglianza, se ritiene fondata la richiesta, provvede alla nomina del nuovo commissario straordinario.

1-ter. Il debitore e i creditori ammessi possono altresì chiedere al comitato di sorveglianza la revoca dell'autorizzazione concessa al commissario straordinario ai sensi dell'articolo 41, comma 2, alla nomina per la designazione di coadiutori in presenza di conflitto di interessi, indicandone nella richiesta le specifiche ragioni. Il comitato di sorveglianza provvede sentito il commissario straordinario.»;

2) la rubrica è sostituita dalla seguente: «(Revoca e sostituzione del commissario straordinario e dei coadiutori)».

e) dopo l'articolo 76 è inserito il seguente:

«Articolo 76-bis (Esdebitazione dei soci illimitatamente responsabili) 1. Ai soci illimitatamente responsabili cui sono stati estesi gli effetti della dichiarazione dello stato di insolvenza si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 278, 279, 280 e 281 del codice della crisi e dell'insolvenza.».

Presupposto oggettivo

Il presupposto oggettivo è lo stato di insolvenza.

È stato osservato che l'insolvenza non deve essere più individuata avuto riguardo all'incapacità dell'imprenditore di soddisfare i creditori, ma in senso oggettivo, come squilibrio funzionale dell'impresa, ossia considerando la sua incapacità di permanere utilmente nel contesto produttivo (De Angelis, 272 e ss.).

L'impresa, pur versando in stato di insolvenza, deve presentare le condizioni che rendano presumibile un recupero delle capacità di adempimento in futuro sulla base di un giudizio basato su motivate previsioni di carattere imprenditoriale, economico e finanziario, idonee ad individuare gli specifici presupposti del programma di risanamento (cfr. App. Milano 9 settembre 2002; Trib. Arezzo 26 maggio 2010; Trib. Pavia 25 luglio 2002).

Infatti, laddove la crisi sia irreversibile (ancorché sulla base di una valutazione sopravvenuta), e ricorrano gli altri presupposti previsti dalla legge (ed in particolare risulti superato il limite minimo dell'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dall'art. 15 r.d. n. 267/1942 (art. 41 d.lgs. n. 14/2019, come modificato con d.lgs. n. 147/2020), è precluso l'accesso alla procedura ed è previsto l'immediato passaggio al fallimento (cfr. Trib. Roma 23 gennaio 2012).

I giudici di merito hanno affermato che gli inadempimenti sono le manifestazioni esteriori più significative dello stato d'insolvenza, ma non le sole perché l'incapacità economica e patrimoniale del debitore può rilevarsi anche prima che essi si verifichino ed attiene non soltanto alla valutazione di un comportamento pregresso del debitore, ma anche futuro. Cosicché si può presumere che egli, in relazione all'esistenza di debiti scaduti o di prossima scadenza, non sia più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (Trib. Napoli 28 febbraio 1996, in Fall., 1996, 706).

Deve premettersi che sono molte le cause che possono influire sul funzionamento dell'impresa, come il difetto di adeguatezza strutturale, la scarsa programmazione, oppure il sopravvenire di eventi economici eccezionali o transitori.

Si può verificare una diminuzione della produzione per ragioni tecnologiche o una perdita di quota di mercato per la riduzione della domanda o un realizzo inferiore alle previsioni.

L'insolvenza è quella dell'art. 5 r.d. n. 267/1942. (e, ora, art. 2, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 14/2019) «Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni» (Trib. Novara 26 aprile 2010).

Non è idonea ad escludere l'insolvenza la circostanza che l'attivo patrimoniale risulti superiore al passivo, mentre la prevalenza degli elementi passivi del patrimonio del debitore, rispetto a quelli attivi può costituire presunzione grave della sussistenza di tale stato (Cass. n. 5736/1993, in Fall., 1993, 1135, che richiama Cass. n. 1439/1990, secondo cui «...Al fine della dichiarazione di fallimento, lo stato d'insolvenza, consistente nell'incapacità di adempimento delle obbligazioni assunte, alle previste scadenze e con mezzi normali (a prescindere dalle relative cause e dall'eventualità che la situazione patrimoniale presenti un'eccedenza delle poste attive su quelle passive), può essere escluso da un pactum de non petendo, anche quando non vi abbiano prestato adesione tutti i creditori, ove esso risulti idoneo a rimuovere la suddetta incapacità, con riferimento al momento della pronuncia del fallimento, in esito all'indagine sull'entità e scadenza delle posizioni creditorie residue, rimaste estranee all'accordo dilatorio...»).

Parimenti il fatto che vi sia un unico creditore istante non è rilevante, in quanto l'insolvenza può essere desunta dalla complessiva situazione patrimoniale del debitore (Cfr., tra la giurisprudenza di merito, Trib. Bologna 14 agosto 1996, in Fall., 1996, 1237, nonché Cass. n. 12383/1992, secondo cui «...Lo stato d'insolvenza dell'imprenditore commerciale, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza in presenza di una situazione d'impotenza, funzionale e non transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessario alla relativa attività, mentre resta in proposito irrilevante ogni indagine sull'imputabilità o meno all'imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all'impresa, così come sull'effettiva esistenza ed entità di un determinato credito, incluso quello di chi ha proposto l'istanza di fallimento, qualora la sua eventuale mancanza o minore entità non varrebbe comunque ad escludere la indicata situazione).

L'accertamento della sussistenza dello stato d'insolvenza va effettuato con riferimento al momento della pronuncia e, con riguardo al gruppo d'imprese, prima che il legislatore introducesse la disciplina di cui agli artt. 80 e ss. della legge in commento, poiché il gruppo di Società controllate o collegate costituisce una formula che descrive un fenomeno avente natura meramente economica, che non si traduce sul piano giuridico nella configurazione di un nuovo ente autonomo rispetto alle Società collegate, l'accertamento dello stato d'insolvenza andava compiuto non in relazione all'intero gruppo, ma con riguardo alla situazione economica di ciascuna delle Società, conservando ciascun ente distinta personalità ed autonoma qualità di imprenditore e rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti e considerato che le speciali regole dettate per l'amministrazione straordinaria non erano estensibili al di fuori delle peculiari ipotesi contemplate (Cass. n. 8656/1992).

In dottrina si è discusso se quello dell'insolvenza sia un requisito neutro che consente l'accesso a tutti i tipi di procedure, salvo poi scegliere tra quelli astrattamente applicabili o se di contro debba essere un'insolvenza reversibile con conseguente preclusione a priori alla procedura di amministrazione straordinaria in presenza di un'impresa che non abbia la capacità di permanere utilmente sul mercato.

Alcuni autori negano una aprioristica distinzione tra insolvenza reversibile e insolvenza irreversibile, rilevando che trattasi di una differenziazione che ha avuto origine dal fatto che l'amministrazione straordinaria si riferisce alle imprese insolventi, ed evidenziano che non è possibile individuare una situazione di crisi economica che preceda quella d'insolvenza (Pacchi Pesucci).

In giurisprudenza si afferma che lo stato di insolvenza necessario per disporre l'apertura della procedura, ai sensi dell'art. 3, deve consistere in una situazione d'impotenza economica funzionale non transitoria, tale da non consentire al titolare dell'impresa di soddisfare regolarmente con mezzi normali le proprie obbligazioni, precisando che tale situazione può concretizzarsi nei due poli della irreversibilità e della reversibilità, la cui valutazione è rimessa alla fase successiva dell'apertura dell'amministrazione straordinaria (Trib. Perugia 1° marzo 2000, in Fall., 2000, 575).

La giurisprudenza di merito, peraltro, ha evidenziato che, sebbene la valutazione sulla reversibilità sia rimessa ad un momento distinto ed ulteriore, successivo al cosiddetto periodo di osservazione, sia preferibile che già con la precisazione della domanda di ammissione alla procedura speciale, la prospettiva di reversibilità debba essere, anche se non rigorosamente provata, almeno seriamente prospettata (Trib. Roma 7 agosto 2003, in Giur. mer., 2004, 685).

Ed ancora i giudici di merito hanno sottolineato come sia da evidenziare, ai fini della corretta interpretazione del requisito dello stato di insolvenza, il profilo oggettivo della procedura e non già quello soggettivo dell'imprenditore.

In particolare, è stato rilevato che nella nuova amministrazione straordinaria si abbandona la prospettiva soggettiva, per porre al centro dell'attenzione l'impresa e l'azienda attraverso una considerazione degli aspetti soggettivi della crisi. Parallelamente l'iter si presenta totalmente diverso, dovendo la procedura rispondere all'interesse della collettività al mantenimento sul mercato di unità produttive che rappresentino un valore economico, così come risulta chiaramente dalla dichiarazione d'intenti di cui all'art. 1 del d.lgs. n. 270/1999 (Trib. Torre Annunziata 14 novembre 2001, in Fall., 2002, 1099).

Ciò detto in relazione allo stato di insolvenza, va osservato che la legge esige un peculiare rapporto tra indebitamento e attivo patrimoniale o fatturato dell'impresa (art. 2) e la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali (art. 27).

La valutazione delle prospettive di recupero deve comprendere la possibilità di perseguire il risanamento dell'impresa entro determinati limiti temporali secondo le modalità espressamente previste dalla legge: ossia entro un anno, attraverso un programma di cessione di complessi aziendali (cfr. art. 27, comma 2, lett. a); per le Società operanti nei servizi pubblici essenziali, anche attraverso la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno (cfr. art. 27, comma 1-bis); entro due anni, attraverso un programma di ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa.

In ogni caso, se la situazione di insolvenza viene accertata al momento della dichiarazione di insolvenza, la sussistenza della possibilità di recupero è valutata successivamente, ossia al momento della decisione in merito all'apertura della procedura.

Il risanamento può essere raggiunto sia attraverso il recupero economico e finanziario sia attraverso la cessione dell'azienda ovvero, nei casi previsti dalla legge, di complessi di beni e contratti.

Nell'effettuare la suddetta scelta, il giudice deve preliminarmente valutare la idoneità della cessione aziendale a far perseguire il risultato finale dell'equilibrio economico, potendo l'impresa restare sul mercato con le risorse acquisite dopo avere soddisfatto i creditori, anteponendo allo specifico interesse della Società debitrice e dei suoi creditori interessi di carattere generale e di rilevanza pubblicistica (cfr. Cass. n. 3769/2009 che ha così argomentato: «Il decreto con cui il Tribunale dichiara il fallimento, in difetto delle condizioni per l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, presuppone, ai sensi dell'art. 30 del d.lgs. n. 270/1999, che non sussistano concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali, da realizzarsi tramite la cessione dei complessi aziendali o la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, come prevede l'art. 27, comma 1, del d.lgs. citato; ne consegue che la predetta cessione implica un giudizio prognostico, rimesso al giudice di merito, avente ad oggetto l'idoneità della dismissione dell'azienda a condurre al risultato finale dell'equilibrio economico, potendo l'impresa restare nel mercato per effetto delle risorse così acquisite, e residuate dopo il soddisfacimento dei creditori o la liberazione delle passività»).

Quanto ai soggetti legittimati, possono chiedere l'accertamento dell'insolvenza: l'imprenditore (o i legali rappresentanti delle Società), uno o più creditori o il pubblico ministero.

In relazione alla posizione del debitore, ci si è chiesti se costui sia tenuto ad assumere l'iniziativa nelle ipotesi in cui la legge gli impone di chiedere il proprio fallimento al fine di evitare l'aggravarsi del dissesto dell'impresa.

Il legislatore delegato sul punto nulla ha disposto, né avrebbe potuto farlo, non contenendo la legge delega alcuna direttiva, di talché, a parte i rilievi penalistici, qualsiasi disposizione volta ad introdurre un comando ed a sanzionare la violazione dello stesso sarebbe stata costituzionalmente illegittima per eccesso di delega.

La richiesta del debitore, quindi, costituisce esercizio del potere di azione, che ha natura di domanda giudiziale e il procedimento che segue è definito con una pronuncia destinata ad acquisire autorità di cosa giudicata sullo status e sui diritti del debitore e degli altri soggetti interessati [cfr. Cass. n. 924/1985, in Fall., 1985, 817 e ss., secondo cui «... il procedimento prefallimentare, che si apre con la richiesta di fallimento del debitore proposta a norma dell'art. 6 r.d. n. 267/1942 (art. 37 d.lgs. n. 14/2019), pur se soggetto al rito camerale, e presentante peculiari caratteristiche rispetto al processo contenzioso ordinario, ha intrinseca natura giurisdizionale, in quanto tende ad una pronuncia suscettibile di incidere, con autorità di giudicato, sullo «status» e sui diritti del fallito e delle persone che hanno con esso avuto rapporti. Pertanto, in pendenza di detto procedimento, e prima cioè che il Tribunale decida su detta istanza, deve ritenersi esperibile da parte del debitore, soggetto passivo del procedimento stesso, il regolamento preventivo di giurisdizione, ai sensi dell'art. 41 c.p.c., sempreché la relativa istanza sia rivolta a sollevare una questione di giurisdizione, e non anche, quindi, a porre in contestazione i requisiti necessari per l'apertura della procedura concorsuale (ivi compresa la sussistenza di una situazione debitoria), che attengono al fondamento nel merito della domanda...»].

Inoltre, il Tribunale può accertare l'insolvenza anche d'ufficio, quando è stato adito per la dichiarazione di fallimento oppure se deve revocare il concordato preventivo e ritiene che sussistano i presupposti per l'accesso all'amministrazione straordinaria.

Sul punto va evidenziato che è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. in commento per violazione degli artt. 3 e 111 Cost. (cfr. Trib. Udine 9 luglio 2009) evidenziandosi la specialità dell'amministrazione straordinaria e la prevalenza di interessi pubblicistici.

Condivisibili appaiono le argomentazioni del Tribunale: «...la specialità e peculiarità della normativa dettata per le grandi imprese in crisi esclude che a tale procedura si possano e/o si debbano estendere in via analogica le norme ed i principi dettati per la procedura fallimentare. Per identica ragione, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma di cui all'art. 3 d.lgs. n. 270/1999 che consente (diversamente dall'attuale disciplina del fallimento) l'apertura d'ufficio della procedura di amministrazione straordinaria, per violazione dell'art. 3 Cost. L'impronta prettamente pubblicistica della normativa dettata per le imprese di particolari dimensioni, e quindi le peculiarità della stessa, portano infatti ad escludere che possa configurarsi un'ingiustificata disparità di trattamento processuale tra situazioni che tra loro non sono per nulla «analoghe». Manifestamente infondata è anche l'eccezione di incostituzionalità di detta disposizione per asserita violazione dell'art. 111 Cost., ossia per violazione dei principi di «terzietà» e imparzialità del giudice. Va innanzitutto rilevato che l'eliminazione ad opera della riforma della procedura fallimentare (d.lgs. n. 5/2006 e succ. d.lgs. n. 169/2007) del potere del tribunale. di aprire il «fallimento» d'ufficio ha rappresentato null'altro che una scelta discrezionale del legislatore. Tale scelta, in effetti, appare giustificata nella misura in cui si inserisce in una procedura concorsuale (quella fallimentare) che – proprio per effetto delle successive normative speciali dettate per le «grandi» o le «grandissime» imprese in crisi – rimane circoscritta ad imprese di piccole o medie dimensioni, la cui insolvenza non produce un significativo impatto sociale ed il cui «destino» si è ritenuto di rimettere sostanzialmente «in mano» ai creditori, e quindi al mercato. Nulla invece giustifica, e comunque impone, l'applicazione di un analogo principio nell'ambito della diversa procedura avente ad oggetto le «grandi imprese in crisi», dove è evidente che il mantenimento di tale potere d'ufficio in capo anche al Tribunale, lungi dal rappresentare (come sostiene il resistente) una mera svista del legislatore o un difetto di coordinamento, per i riflessi che l'insolvenza di tali imprese hanno sul mercato e sull'occupazione, certamente mantiene un significato pregnante di tutela di interessi pubblici e risponde ad esigenze di effettività della tutela giurisdizionale».

Va, in ogni caso, precisato che se l'imprenditore è deceduto prima dell'accertamento dello stato di insolvenza, i suoi eredi possono proporre la domanda entro un anno dalla morte dell'imprenditore purché l'eredità del de cuius non si sia confusa con il patrimonio degli eredi (cfr. art. 4 comma 2 che richiama l'art. 12 r.d. n. 267/1942, ora art. 35 d.lgs. n. 14/2019).

Nel nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, l'art. 350 reca, come già detto, le modifiche alla disciplina dell'amministrazione straordinaria in materia di competenza.

In particolare, l'art. 350 citato, dispone che, all'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 270/1999, le parole «del luogo in cui essa ha la sede principale» sono sostituite dalle seguenti: «competente ai sensi dell'art. 27, comma 1, del codice della crisi e dell'insolvenza».

Ed ancora precisa che, all'art. 2, comma 1, del d.l. n. 347/2003, convertito con modificazioni, dalla l. n. 39/2004, le parole «del luogo in cui ha la sede principale» sono sostituire dalle seguenti: «competente ai sensi dell'art. 27, comma 1, del codice della crisi e dell'insolvenza».

Si tratta di una disposizione che apporta le necessarie variazioni alla disciplina dell'amministrazione straordinaria in coerenza con le modifiche in tema di competenza introdotte in attuazione della legge delega.

Specificamente l'art. 27, in attuazione dello specifico principio di delega, dettato dall'art. 2, comma 1, lett. n), della l. n. 155/2017, prevede che «per i procedimenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza e le controversie che ne derivano relativi alle imprese assoggettabili ad amministrazione straordinaria e ai gruppi di imprese di rilevante dimensione sia competente il tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese di cui all'art. 1 del d.lgs. n. 168/2003».

Il tribunale sede della sezione specializzata in materia di imprese è individuato a norma dell'art. 4 del d.lgs. n. 168/2003 avuto riguardo al luogo in cui il debitore ha il contro degli interessi principali.

L'art. 2, comma 1, lettera m), della legge delega stabilisce il principio generale «di recepire, ai fini della disciplina della competenza territoriale, la nozione di «centro degli interessi principali del debitore» definita dall'ordinamento dell'Unione europea».

Si definisce, quindi, quale centro degli interessi principali del debitore (COMI) il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi.

Al riguardo, la Corte di Giustizia, con ordinanza del 24 maggio 2016, causa C-353/15, confermando precedenti orientamenti giurisprudenziali, ha confermato che sono competenti a decidere, in merito alle procedure d'insolvenza, i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato l'abituale centro degli interessi principali del debitore e che, per le Società e le persone giuridiche si presume che il centro d'interessi principali sia identificato, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria.

Si tratta di una presunzione che può essere superata anche con elementi indiziari che fanno ritenere che la collocazione formale della sede sociale sia fittizia.

La Corte di Cassazione, in senso conforme, ha affermato che, nel caso in cui una Società abbia trasferito la propria sede all'estero anteriormente all'apertura della procedura di insolvenza, è legittimamente dichiarata la giurisdizione del giudice italiano ove il giudice di merito abbia accertato, la presenza di indici, idonei a vincere la presunzione iuris tantum di corrispondenza tra la sede legale e la sede effettiva, prevista dall'art. 3 del regolamento CE n. 1346/2000, secondo cui la competenza ad aprire la procedura di insolvenza spetta al giudice dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi del debitore, da individuare fino a prova contraria, in caso di Società, in quello del luogo in cui si trova la sede statutaria (Cass. I, n. 7470/2017; Cass. S.U., n. 5945/2013).

In conclusione, la nozione di centro principale degli interessi correlata al luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi e il richiamo fatto da tale disposizione ai soggetti terzi evidenzia come i criteri, in base ai quali individuare il centro d'interesse, debbano essere oggettivi e passibili di verifica e che nonostante il centro principale degli interessi coincida con la sede sociale sia possibile superare la presunzione fornendo la prova contraria anche con elementi indiziari che riscontrino l'esistenza di una situazione reale diversa da quella formale.

Detti elementi indiziari possono identificarsi nel luogo dove si trovano i beni della Società, nel luogo dove sono conclusi i contratti riguardanti la gestione della Società ed ancora nella discontinuità dell'attività svolta successivamente al trasferimento, nell'assenza di collegamenti dell'organo amministrativo con lo Stato straniero e nella fittizietà del trasferimento del centro dell'attività direttiva, amministrativa ed organizzativa dell'impresa.

Il Tribunale è competente per tutti i giudizi attinenti alla procedura, che affondano le proprie radici nel dissesto e nella insolvenza dell'impresa e che comunque incidono sul patrimonio dell'impresa (cfr. art. 13). Rientrano nella competenza del Tribunale, quindi, anche le azioni revocatorie e le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i sindaci e i revisori, proposte dal commissario straordinario. Per contro, non rientrano nella competenza del Tribunale le cause reali immobiliari (oggetto di cognizione del Tribunale del luogo in cui si trovano i beni) e le cause ordinarie dirette a tutelare i diritti del patrimonio dell'impresa e quelle proposte nei confronti del commissario.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che «... Per azioni che derivano dal fallimento, a norma dell'art. 24 r.d. n. 267/1942 (art. 32 d.lgs. n. 14/2019), debbono intendersi – con principio estensibile anche alla procedura di amministrazione straordinaria (attesane la indiscutibile omogeneità di ratio sotto il profilo della tutela della par condicio) – non soltanto quelle che traggono origine dallo stato di dissesto, ma tutte quelle che incidono sul patrimonio del fallito e che, per la sopravvenienza del fallimento, sono sottoposte ad una speciale disciplina, con la conseguenza che deve essere affermata la competenza del Tribunale fallimentare ogni qual volta l'accertamento di un credito verso il fallito costituisca premessa di una pretesa nei confronti della massa. Pertanto, con riferimento alla controversia instaurata dal locatore, nei confronti della curatela del fallimento del conduttore, per denunciare l'inadempimento di detta curatela (e del corrispondente commissario nel caso dell'apertura della procedura di amministrazione straordinaria) subentrata nel rapporto locatizio ed ottenere la risoluzione del rapporto, nonché la condanna della convenuta al risarcimento dei danni, la competenza funzionale e inderogabile del Tribunale fallimentare deve essere affermata limitatamente alla domanda risarcitoria, che ha ad oggetto un credito verso la massa, mentre la domanda principale di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento resta disciplinata dalle ordinarie regole di competenza, in quanto esula dalle previsioni dell'art. 24 della cosiddetta legge fallimentare, e non è soggetta alla vis attractiva della competenza sulla domanda accessoria, con la conseguenza che deve essere proposta dinanzi al Tribunale del luogo in cui si trovi l'immobile locato, al quale resta devoluto anche l'esame di tutte le eccezioni formulate dall'intimato in ordine alla validità del titolo ed alla prosecuzione del rapporto da parte del fallimento (ovvero dell'amministrazione straordinaria) del conduttore ...» (cfr. Cass. n. 20350/2005; Cass. n. 8972/2011).

Rapporti con le procedure minori

Non sussiste più un problema di coordinamento con la procedura di amministrazione controllata, che è stata soppressa dal 2006 (anche se deve affermarsi che, nella vigenza della amministrazione controllata, non vi erano motivi per escludere l'accesso ad ambedue le procedure, pur dovendosi dare, avuto riguardo alla struttura ed alle finalità delle stesse, la priorità, sotto il profilo temporale, alla procedura di amministrazione controllata e potendo la dichiarazione di insolvenza, quale presupposto dell'amministrazione straordinaria, trovare ingresso soltanto a fronte dell'esito negativo della procedura concorsuale minore).

Un problema di coordinamento potrebbe invece sorgere con la procedura concordata di cui all'art. art. 67 d.lgs. n. 14/2019) o con la procedura di cui all'art. 166 d.lgs. n. 14/2019.

L'art. 67 d.lgs. n. 14/2019 tratta degli accordi di ristrutturazione e prevede, per l'imprenditore che si trova in stato di crisi – la possibilità di domandare, depositando la documentazione di cui all'art. 161, l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d) sulla veridicità dei dati aziendali e sull'attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei termini previsti dalla legge.

L'amministrazione straordinaria, invece, si articola in due fasi: nella prima fase si accerta lo stato di insolvenza e si esegue un'indagine avente ad oggetto le condizioni dell'impresa e le concrete possibilità di risanamento, per poi elaborare un programma idoneo al recupero economico e finanziario. Accertate le effettive possibilità di risanamento, ha luogo la seconda fase, di apertura della procedura di amministrazione straordinaria, nel corso della quale il programma definito dai commissari viene approvato dal Tribunale e dall'autorità amministrativa.

A ben vedere, nessun problema di coordinamento sussiste tra l'accordo di ristrutturazione (procedura mista pattizia e giurisdizionale) e l'amministrazione straordinaria (procedura mista amministrativa e giurisdizionale), potendosi soltanto prevedere l'ipotesi in cui il Tribunale non ritenga di omologare l'accordo di ristrutturazione ed attivi un procedimento improntato su quello previsto dall'art. 15 r.d. n. 267/1942 (art. 41 d.lgs. n. 14/2019), per addivenire alla dichiarazione dello stato di insolvenza.

La giurisprudenza di merito ha precisato che, premesso che, ai sensi dell'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 270/1999, è possibile pronunciare la dichiarazione dello stato di insolvenza ai fini dell'amministrazione straordinaria di una Società già ammessa al concordato preventive, non è comunque possibile attribuire funzione sanzionatoria alla dichiarazione di fallimento che faccia seguito all'accertamento di atti di frode, perché la decisione relative all'amministrazione straordinaria riguarda interessi pubblici diversi ed ulteriori rispetto a quelli facenti capo alla Società debitrice e la dichiarazione di fallimento non è conseguenza automatica e necessaria della revoca del concordato preventive (Corte Appello Torino 20 gennaio 2012).

La natura non pubblica della procedura di cui all'art. 67, lettera d), l. fall. (che prevede la conclusione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria) pur avendo come presupposto l'insolvenza e rivolgendosi a soggetti fallibili, esclude ogni possibile coordinamento tra detta procedura di ripianamento e l'amministrazione straordinaria, ponendo tali procedure su piani ontologicamente distinti.

Rapporti con il concordato preventivo

L'ammissibilità della consecuzione tra concordato preventivo e amministrazione straordinaria è sancita dall'art. 3 comma 2.

Preliminarmente il Tribunale dovrà decidere se sussistono i presupposti per la procedura concordataria e nell'ipotesi in cui pendano richiesta di amministrazione straordinaria e domanda del creditore di un termine per presentare la domanda di concordato, il Tribunale può accogliere la seconda (Trib. Novara 24 febbraio 2010, in Fall., 2010, 625).

In seguito alle rilevanti modifiche processuali introdotte in tema di concordato preventivo, nell'ipotesi in cui il concordato non possa procedere (per esempio per la risoluzione o l'annullamento del concordato), la dottrina ritiene che ai sensi dell'art. 15 r.d. n. 267/1942 (art. 41 d.lgs. n. 14/2019), si debba disporre la comparizione delle parti per garantire il diritto di difesa e il rispetto del contraddittorio, potendo il Tribunale dichiarare lo stato di insolvenza ai fini dell'apertura dell'amministrazione straordinaria soltanto in un secondo momento.

Ciò in quanto il legislatore ha ritenuto di non ammettere le procedure minori per le imprese di grandi dimensioni sia al fine di evitare problemi di legittimità costituzionale sia avuto riguardo alle conseguenze, anche di natura penale, riconducibili al fallimento e alla dichiarazione di insolvenza (Maffei Alberti, 1069).

La dottrina si è posta il problema della coesistenza di domande di concordato preventivo e di amministrazione straordinaria e di quale procedura prevalga.

Secondo alcuni autori l'accertamento dello stato di insolvenza dovrebbe precludere ogni domanda di concordato perché l'eventuale dichiarazione di fallimento, pronunciata dopo, retroagirebbe alla sentenza (Alessi, 56).

Altri hanno evidenziato che le grandi imprese non potrebbero proporre domanda di concordato in quanto la fase di osservazione avrebbe funzione sostitutiva rispetto al concordato preventivo, senza possibilità di alternative e produrrebbe tutti gli effetti del concordato (Castiello D'Antonio, 83).

La soluzione, assai restrittiva in verità e condivisibile soltanto in presenza di una specifica norma che la preveda espressamente, sarebbe quella di delimitare l'ambito di applicazione dell'art. 3, comma 2, all'ipotesi in cui un'impresa ammessa al concordato – per la mancanza dei requisiti previsti dal d.lgs. n. 270/1999 per l'ammissione all'amministrazione straordinaria –, non possa addivenire alla fine fisiologica della procedura concordataria per il mancato raggiungimento delle maggioranze o per la carenza di omologa ed acquisisca nel corso della procedura concordataria i requisiti mancanti di cui al d.lgs. n. 270/1999.

Sempre in ordine ai rapporti tra l'amministrazione straordinaria ed il concordato preventivo, è stato evidenziato che la revoca all'ammissione del concordato (in seguito all'accertamento di atti di frode) non escluderebbe tout court l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, non comportando il suddetto accertamento automaticamente la dichiarazione dello stato di insolvenza. Le disposizioni penali, inoltre, troverebbero applicazione anche in seguito alla dichiarazione di insolvenza nella procedura di estensione alle imprese del gruppo (cfr. App. Torino 23 gennaio 2012).

Ancora, è stato affermato che «... Il provvedimento di rigetto della domanda di accertamento dello stato di insolvenza di un'impresa istante per l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria è inscindibilmente connesso con la (successiva) sentenza che, respingendo la (già proposta) istanza di concordato preventivo, ne dichiari il fallimento, con la conseguenza che gli eventuali vizi di quel provvedimento devono essere fatti valere in sede di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento ...» (cfr. Cass. n. 8160/2000).

Nella sentenza sopra menzionata, i giudici di legittimità hanno evidenziato che «... In tema di rapporti tra concordato preventivo, amministrazione straordinaria e fallimento, la cosiddetta «cristallizzazione» della massa passiva, conseguente all'applicazione degli artt. 55 e 59 r.d. n. 267/1942 (art. 154 e 158 d.lgs. n. 14/2019), opera nella procedura di concordato, in virtù del richiamo a tali disposizioni contenuto nell'art. 169 r.d. n. 267/1942 (art. 94 d.lgs. n. 14/2019, come modificato con d.lgs. n. 147/2020), indipendentemente dalla circostanza che sia stata avanzata istanza di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, poiché, tra l'altro, tale cristallizzazione è destinata a conservare i suoi effetti anche in detta procedura...».

Rapporti con la liquidazione coatta amministrativa

Una possibile connessione fra le due procedure potrebbe aversi quando non si è in presenza di un'impresa soggetta in via esclusiva alla procedura di liquidazione coatta amministrativa.

La dichiarazione dello stato di insolvenza è presente in ambedue le procedure, ma l'accertamento dell'insolvenza in tema di amministrazione straordinaria è più complesso dovendo involgere anche i requisiti di cui all'art. 2.

Non si tratta, quindi, di modelli fungibili.

Una parte della dottrina è orientata nel senso di ritenere revocabile la dichiarazione dello stato di insolvenza ai fini della liquidazione coatta amministrativa per poi addivenire all'amministrazione straordinaria, non essendo percorribile la strada della conversione per analogia (Castiello D'Antonio, 85); diversamente, nell'ipotesi inversa, reputa non necessario compiere alcun atto, potendo l'amministrazione straordinaria, nella mancanza dei presupposti di legge, dirigersi verso la procedura liquidatoria fallimentare.

Secondo altra dottrina l'amministrazione straordinaria è sempre prevalente rispetto a qualsiasi forma di liquidazione dell'impresa, avendo finalità dirette alla conservazione dell'impresa (Lo Cascio, 63).

Bibliografia

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