TARI: sì al pagamento del gestore della sosta pubblica anche per i parcheggi a pagamento aperti al pubblico non delimitati da sbarra

Fabio Gallio
11 Aprile 2025

Con la sentenza in commento la Corte di secondo grado del Veneto, con la sentenza n. 488 depositata il 3 giugno 2024 si è allineata all'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in merito all'assoggettabilità alla TARI delle aree pubbliche destinate alla sosta a pagamento.

Massima

In tema di TARI i Giudici di secondo grado hanno statuito che il tributo è dovuto dal soggetto che occupa o detiene un'area affidatagli in concessione per la gestione di un parcheggio a pagamento, essendo tale parcheggio destinato in via presuntiva alla produzione di rifiuti e non essendo di alcuna rilevanza il fatto che il parcheggio sia aperto o delimitato, non incidendo tale aspetto sull'attitudine dell'area a produrre rifiuti. L'eventuale presenza di sbarre o altri sistemi di controllo degli accessi riguarda, ad avviso della Corte, il diverso profilo della riscossione in modo certo della tariffa di sosta.

Il caso 

Nel caso di specie, la società incaricata della gestione della sosta pubblica per conto di un Comune asseriva di non essere tenuta al pagamento della TARI in quanto, nelle aree oggetto di accertamento, ovvero sei aree di parcheggio aperte al pubblico e non delimitate da sbarre, veniva svolto, ad opera della stessa società incaricata della riscossione del tributo, il solo servizio privatistico di spazzamento meccanizzato delle c.d. terre di spazzamento, per il quale già era previsto un corrispettivo annuale, senza che, da parte di quest'ultima società, venisse espletato  anche il servizio pubblicistico di smaltimento dei rifiuti in forza del quale la TARI è dovuta.

La ricorrente sosteneva, altresì, la non debenza del tributo per difetto del presupposto oggettivo, costituito dall'occupazione di suolo pubblico, trattandosi di parcheggi su spazi aperti e non delimitati da sbarre, cancelli o altre limitazioni all'ingresso, sui quali la stessa si limitava, a suo dire, a gestire la sosta, riscuotendo i relativi corrispettivi in nome e per conto del Comune, senza che vi fosse occupazione di suolo pubblico.

La questione

La Corte Veneziana, in riforma della sentenza di primo grado, che aveva ritenuto la TARI dovuta solo nella misura del 20% della tariffa applicata poiché, a suo avviso, il servizio pubblicistico di smaltimento dei rifiuti non era stato svolto nelle aree in questione, ha affermato, in primo luogo, che la società contribuente ha la detenzione delle aree di sosta in forza di contratto di servizio pubblico sottoscritto con il Comune, non limitandosi la stessa alla mera gestione della tariffazione, essendo contrattualmente previsto l'obbligo, ad esempio, di controllare le attrezzature per la riscossione della sosta e, in caso di avvenuto danneggiamento, di garantirne il ripristino, di effettuare costante vigilanza e controllo sulle aree e sugli spazi adibiti alla sosta, anche curando gli interventi di segnaletica stradale verticale, orizzontale e luminosa.

Tanto premesso, la Corte ha evidenziato che il servizio di spazzamento meccanizzato non può dirsi affatto equivalente ovvero anche solo sostitutivo di quello pubblicistico di raccolta e smaltimento dei rifiuti in ragione del quale è dovuta la TARI. Il primo, infatti, ai sensi del Capitolato speciale d'appalto, ha ad oggetto la sola attività di raccolta delle c.d. terre di spazzamento (nonché il trasporto dei rifiuti raccolti presso un apposito sito di conferimento), mentre il secondo ha ad oggetto la raccolta degli ulteriori rifiuti prodotti nelle aree in questione, inevitabilmente lasciati dagli avventori del parcheggio, mediante l'utilizzo di macchinari appositi (diversi da quelli utilizzati per lo spazzamento meccanizzato), e ha frequenze temporali più ravvicinate, così da non potersi dire sovrapponibile al primo.

Contrariamente a quanto affermato dai giudici di prime cure, ad avviso della Corte di secondo grado non ricorrono, pertanto, i presupposti per eventuali esenzioni o riduzioni previste dai commi 656 e 657 dell'art. 1, l. n. 147/2013, i quali stabiliscono, rispettivamente, che “in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti”, la TARI “è dovuta nella misura massima del 20 per cento della tariffa”, mentre, “nelle zone in cui non è effettuata la raccolta la Tari è dovuta in misura non superiore al 40 per cento della tariffa”. Il servizio pubblicistico di raccolta e smaltimento è stato correttamente espletato nelle aree in questione e, in ogni caso, si legge in sentenza, nessuna richiesta, con i relativi oneri di allegazione, è stata in tal senso avanzata dalla società ricorrente ai sensi di quanto previsto dall'art. 14 del regolamento TARI del Comune.

La soluzione giuridica

Punto di partenza è il disposto di cui all'art. 1, comma 641, l. 147/2013, il quale statuisce che il presupposto applicativo della TARI è il possesso o la detenzione di locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti, specificando, altresì, le aree esenti da tassazione, ovvero le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all'art. 1117 c.c. che non siano detenute o occupate in via esclusiva. In particolare, tale tributo è composto di una parte variabile, commisurata alla quantità e qualità di rifiuti prodotti, e di una quota fissa, volta ad assicurare, ai sensi dell'art. 1, comma 654, L. 147/2013, “la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio […]”. Secondo l'interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione, la TARI è quindi caratterizzata da una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione, connotata da una forte impronta pubblicistica, per cui i soggetti tenuti al pagamento non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei relativi servizi (Cass., sentenza n. 3355 del 3.02.2022); inoltre “la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l'utente utilizzi il servizio, al verificarsi della sola detenzione dei locali. Questo perché il presupposto impositivo del tributo si identifica con l'istituzione del servizio, non con la materiale fruizione” (Cass., n. 34635/2021).

Tanto premesso, con specifico riferimento all'applicazione della TARI alle aree destinate alla sosta pubblica a pagamento, la giurisprudenza di legittimità, sin dalle prime pronunce sul punto, ha affermato che le stesse costituiscono l'elemento strumentale di un'attività per un servizio dietro corrispettivo e come tali sono sottoposte a tassazione. In particolare, secondo la Cassazione, il presupposto impositivo è costituito dal solo fatto oggettivo della occupazione o della detenzione del locale o dell'area scoperta, a qualsiasi uso adibiti, e prescinde, quindi, del tutto, dal titolo, giuridico o di fatto, in base al quale l'area o il locale sono occupati o detenuti. Ne consegue che la tassa è dovuta dal soggetto che occupi o detenga un'area per la gestione di un parcheggio affidatogli dal Comune in concessione, restando del tutto irrilevante l'eventuale attinenza della gestione stessa alla fase sinallagmatica del rapporto con il Comune. La natura sinallagmatica della gestione dei parcheggi, anzi, attribuisce al gestore il titolo giuridico per un godimento in proprio del bene, in quanto la gestione medesima consente di realizzare dei proventi: “la gestione, quindi, è condotta nell'esclusivo interesse del gestore a conseguire il corrispettivo e tanto esclude qualsiasi gestione in nomine alieno essendo, comunque, una gestione in conto e nell'esclusivo interesse proprio” (si vedano, tra le altre, Cass., sentenza n. 1179 del 2004 e Cass., sentenza n. 7654 del 16.5.2012, con la quale era stato respinto il ricorso della società contribuente che assumeva di aver avuto in appalto la gestione di un servizio e di avere, in tale veste, agito per conto del Comune e nell'interesse della collettività, con ciò non avendo occupato l'area a fini ed interessi propri, essendosi limitata ad organizzarla secondo precise direttive dell'ente, dettagliatamente precisate nel disciplinare).

Con la sentenza n. 13100 del 25.07.2012, la Cassazione ha precisato che, in relazione all'area “stradale destinata a parcheggio con appositi “stalli” dipinti, in cui il gestore percepisce il compenso per la sosta dei veicoli” (trattasi dei parcheggi delimitati dalle c.d. linee blu), il concessionario del servizio è da considerarsi “detentore” dell'area e come e come tale soggetto passivo del tributo. In particolare, la Corte ha osservato che l'area stradale destinata a parcheggio con appositi stalli dipinti, in cui il gestore percepisce il compenso per la sosta dei veicoli, non è sottoposta all'uso indiscriminato della generalità dei cittadini, ma anzi è sottratta all'uso normale e collettivo proprio del suolo pubblico, attesa la sua funzione esclusiva oggetto della concessione. Il mero fatto che i pedoni possano attraversare l'area quando gli stalli non sono occupati, è fatto irrilevante rispetto all'uso specifico e limitato dell'area stessa, a cui nessuno è autorizzato a porre ostacolo o impedimento con una utilizzazione diversa. Ne consegue, ad avviso della Corte, che il concessionario del servizio è detentore dell'area e, quindi, soggetto passivo del tributo.

Più di recente, la giurisprudenza di legittimità, con la sentenza n. 19739 del 12 luglio 2021, ha ribadito – con riferimento alla TARSU, ma con principio estendibile chiaramente anche alla TARI – che “il presupposto impositivo è costituito, ai sensi del Decreto Legislativo 15 novembre 1993 n. 507, articolo 62, comma 1, dal solo fatto oggettivo della occupazione o della detenzione del locale o dell'area scoperta, a qualsiasi uso adibiti, e prescinde, quindi, del tutto dal titolo, di diritto o di fatto, in base al quale l'area o il locale sono occupati o detenuti, con la conseguenza che è dovuta la tassa dal soggetto che occupi o detenga un'area per la gestione di un parcheggio affidatagli dal Comune in concessione, restando del tutto irrilevante l'eventuale attinenza della gestione stessa alla fase sinallagmatica del rapporto con il Comune […] Peraltro, pur considerando che il Decreto Legislativo 15 novembre 1993 n. 507, articolo 62, comma 2, nell'escludere dall'assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti “per il particolare uso cui sono stabilmente destinati”, chiaramente esige che sia provata dal contribuente non solo la stabile destinazione dell'area ad un determinato uso (quale, nella fattispecie, il parcheggio), ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti […], questa Corte ha precisato che il concessionario deve pagare la tassa per i parcheggi in quanto i parcheggi sono aree frequentate da persone e, quindi, produttive di rifiuti in via presuntiva”. In particolare, la Corte ha precisato che “la soggezione alla T.A.R.S.U. trova sufficiente giustificazione nella strumentalità delle aree pubbliche – di cui l'affidataria del servizio ha, comunque, la detenzione, sebbene nell'interesse del Comune per l'assolvimento dei compiti previsti dal contratto di appalto – all'esercizio di un'attività imprenditoriale con finalità lucrativa, cioè alla gestione del parcheggio a pagamento, che è oggettivamente idonea (per l'afflusso quotidiano delle autovetture dei fruitori del servizio) alla produzione di rifiuti” (dello stesso tenore anche Cass., sentenza n. 5073 del 16 febbraio 2022)*.

*Con la pronuncia n. 29020 del 17 dicembre 2020, la Suprema Corte, decidendo in una fattispecie analoga, aveva inoltre precisato che “la previsione di cui al D. lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, ha carattere generale e subisce solo le deroghe indicate nel comma 2 dello stesso articolo, le quali non operano automaticamente al verificarsi delle situazioni previste, ma devono essere di volta in volta dedotte ed accertate con un procedimento amministrativo, la cui conclusione deve essere basata su elementi obiettivi direttamente rilevabili o su idonea documentazione”. Ciò premesso, la Corte aveva statuito che “Presupposto della Tarsu è, dunque, la produzione di rifiuti, che può derivare anche dall'occupazione di suolo pubblico per effetto di convenzione con il Comune, produzione alla cui raccolta e smaltimento sono tenuti a contribuire tutti coloro che occupano aree scoperte, come appunto stabilisce il Decreto Legislativo n. 507 cit., articolo 62, comma 1”.

Osservazioni

Con una successiva pronuncia, la n. 32215 del 21.11.2023, gli Ermellini hanno ravvisato la necessità di verificare in concreto se vi sia,  da parte del concessionario della sosta a pagamento, oltre alla mera gestione, anche la detenzione o l'occupazione dell'area pubblica. In particolare, ad avviso dei giudici di legittimità, il contratto che interviene tra il proprietario di una area (Comune) e il concessionario del servizio di parcheggio deve intrepretarsi mediante una lettura complessiva delle clausole, per verificare se, oltre alla gestione del servizio, sia stata affidata anche la detenzione e custodia di tutta o parte delle aree destinate a parcheggio. Sarà quindi onere del giudice tributario verificare, attraverso una lettura complessiva delle clausole della concessione, se, oltre alla gestione del servizio, sia stata affidata alla società contribuente anche la detenzione e custodia di tutte o di parte delle aree destinate a parcheggio, sì da potersi considerare sussistente il presupposto impositivo costituito dalla detenzione o occupazione di una “res” suscettibile di produrre rifiuti, il quale non può essere escluso per il solo fatto che il proprietario continui ad esercitare talune facoltà di dominio, a nulla rilevando, invero, la circostanza che il Comune, in forza della convenzione, possa estendere o diminuire le aree assegnate o introdurre delle restrizioni per soddisfare “esigenze pubbliche”*.

Alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, è possibile affermarsi, con specifico riferimento all'applicazione della TARI alle aree destinate alla sosta pubblica, che:

i) colui che ne ha la gestione per conto del Comune è sottoposto all'obbligo di pagamento della tassa sui rifiuti come ogni altro soggetto che occupi o detenga un'area o un locale, in quanto la tassa sui rifiuti è dovuta indipendentemente dal titolo su cui la detenzione o l'occupazione si fondano;

ii) l'obbligo in commento è correlato, altresì, alla idoneità dei pubblici parcheggi, in quanto frequentati da persone, alla produzione in via presuntiva di rifiuti;

iii) l'obbligo sussiste su tutte le aree adibite alla sosta pubblica, anche aperte, a prescindere dalla loro delimitazione da sbarre o cancelli.

Con riferimento a tale ultimo profilo, è, infatti, evidente come il presupposto oggettivo di applicabilità della tassa sui rifiuti – che è dovuta dai soggetti che occupano o detengono locali od “aree” – non possa dipendere dalla volontà del detentore di chiudere o meno l'area attraverso una sbarra, ma dipenda invece unicamente dalla oggettiva sussistenza di un'area, ben delimitata e catastalmente individuata, riservata alla sosta prolungata di veicoli, idonea alla produzione di rifiuti.

Tale principio era stato già affrontato da Cass., sentenza n. 25548 del 30.08.2022, secondo cui i gestori dei servizi di stalli di parcheggio a pagamento di veicoli, situati lungo le vie o piazze pubbliche (c.d. strisce blu), sono soggetti passivi ai fini della tassa sui rifiuti, se il relativo contratto conferisce al gestore la qualità di detentore e custode delle aree comunali, e quindi sono obbligati al pagamento della tassa sui rifiuti. Si veda, per un commento alla sentenza, A. Piccolo, I gestori dei parcheggi di autoveicoli sulle vie pubbliche pagano la tassa sui rifiuti, in Il Fisco, n. 38, 10 ottobre 2022, p. 3679.

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