Un “grande classico” della procedura civile, la legittimazione ad agire in giudizio, torna all'attenzione in ambito condominiale.
La questione attiene alla valutazione della sussistenza della legittimazione sussidiaria del singolo condomino ad agire in giudizio, opponendosi al decreto ingiuntivo notificato al condominio, nell'ipotesi in cui quest'ultimo non possa/voglia proporre l'opposizione.
È ben noto che la legittimazione ad agire, come categoria generale del processo civile, si stima alla luce del petitutm dedotto in lite.
La domanda giudiziale deve contenere, infatti, l'identificazione del “bene della vita” di cui si discute, che costituisce al contempo l'oggetto del giudizio devoluto alla cognizione del giudice e il parametro per stimare chi siano i soggetti legittimati a partecipare al processo.
Una regola che nella prassi può essere di individuazione più difficoltosa di quanto appare in astratto.
Non è infrequente, infatti, che il giudizio abbia per oggetto rapporti giuridici che non fanno capo a persone fisiche singole, ma a una pluralità di soggetti, per ognuno dei quali andrà quindi effettuato il controllo della sussistenza di una relazione qualificata con l'oggetto della lite, tale da identificare la relativa legittimazione a parteciparvi.
Ancora più complicata è l'indagine nell'ipotesi in cui l'oggetto del giudizio coinvolga non già persone fisiche, bensì soggetti di diritto collettivi ed entificati, cioè, creati dalla regola giuridica per rappresentare una pluralità di persone fisiche accomunate da interessi comuni. In tale evenienza, infatti, la legittimazione a partecipare al processo deve essere valutata alla luce del rapporto che sussiste tra l'ente rappresentativo della pluralità delle persone fisiche e i diritti personali delle singole persone fisiche rappresentate dall'ente collettivo.
La circostanza che ci si trova in presenza di un fenomeno di rappresentanza (volontaria o legale, poco importa) comporta soluzioni diverse a seconda dell'accento che si intende porre sul fenomeno stesso: se, cioè, si ritiene che la rappresentanza collettiva assorba in sé l'interesse ad agire del rappresentato ovvero se si opina per la sussistenza di ipotesi in cui il rappresentato può rivendicare il diritto ad agire in giudizio in luogo o insieme all'ente rappresentativo.
In materia condominiale, la questione si pone in conseguenza del fatto che il condominio, come è noto, è un “ente di gestione”, ovvero è dotato di soggettività giuridica autonoma rispetto a quella dei singoli condomini che lo compongono in tutte le questioni attinenti alla disciplina e all'uso delle cose comuni inerenti all'edificio e alle sue pertinenze.
Resta da capire, tuttavia, se tale qualificazione debba ritenersi assorbente di ogni legittimazione concorrente da parte dei singoli condomini che lo compongono, ovvero se, a determinate condizioni, possa permanere una legittimazione autonoma anche in capo a questi ultimi.
In disparte delle ipotesi in cui è la stessa norma di legge a regolare il potere di “supplenza” (si pensi, a mo' di esempio, alla legittimazione ex art. 1105 c.c. - operante giusta il rinvio di cui all'art. 1139 c.c.), resta da capire se anche in tutte le ipotesi in cui l'ente esponenziale sia l'unico astrattamente legittimato ad agire in giudizio (tanto dal lato attivo, che da quello passivo) sussista o meno una legittimazione concorrente del singolo componente per l'ipotesi in cui l'ente collettivo non si sia costituito nel giudizio.
La soluzione dipende, al vertice, dall'accento più o meno marcato che, sul tema generale della legittimazione, si intende mettere sulla circostanza astratta della identificazione processuale delle parti legittimate o sulla circostanza sostanziale della identificazione della lesione indiretta che l'accoglimento (o il rigetto) della domanda proposta potrebbe avere sugli interessi dei soggetti rappresentati.
La sentenza Cass. civ., sez. II, 15 marzo 2024, n. 7053 opta decisamente per un approccio processuale affermando che, nelle ipotesi in cui oggetto della lite è un bene comune, sussiste una legittimazione esclusiva del condominio a tutelare la relativa posizione soggettiva. Tanto accade sia in astratto, poiché i diritti dei singoli partecipanti alla comunione sono esercitabili solo all'interno della dinamica assembleare, laddove prende forma la volontà collettiva dell'ente attraverso il meccanismo deliberativo, sia in concreto, su un piano strettamente processuale, allorquando l'avvenuta proposizione del provvedimento monitorio nei confronti del condominio legittima solo quest'ultimo, e non i singoli componenti, quand'anche in via di supplenza per ipotesi di inerzia, ad agire o resistere nel relativo giudizio.
L'ordinanza Cass. civ., sez. II , 20 dicembre 2021, n. 40857, al contrario, enfatizza maggiormente l'aspetto sostanziale della questione, argomentando che l'interesse effettivo nella gestione delle cose comuni è dei singoli soggetti che partecipano alla comunione, i quali sono meramente rappresentati in lite dall'ente esponenziale dei loro interessi, ma che, proprio per essere gli effettivi titolari del diritto dedotto in lite, conservano una legittimazione concorrente a quella dell'ente di gestione.
Tanto consente a questo diverso orientamento (da ritenersi maggioritario nella giurisprudenza edita della Corte Suprema) di concludere nel senso che il singolo condomino è legittimato ad agire nel processo in cui si controverta di un bene inerente alla comunione nell'edificio sia nell'ipotesi di inerzia dell'ente collettivo sia nell'ipotesi in cui intenda intervenire ad adiuvandum, siccome in entrambe le ipotesi è rinvenibile un interesse autonomo del singolo partecipante, quantomeno per la parte di quota comune a lui attribuita e di cui è chiamato a rispondere nella ripartizione delle spese generali di gestione del condominio.
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