Il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali, qualora relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia. Il codice delinea un rito speciale dedicato a tale giudizio, che coniuga le esigenze di celerità con quelle di effettività della tutela del diritto di chi partecipa alla competizione elettorale, disciplinando legittimazione, forme, termini e poteri del giudice.
Inquadramento
Il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali, qualora relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.
Il codice delinea un rito speciale dedicato a tale giudizio, che coniuga le esigenze di celerità con quelle di effettività della tutela dei diritti di chi partecipa alla competizione elettorale, disciplinando legittimazione, forme, termini e poteri del giudice. La ratio del regime delineato dal codice in relazione al contenzioso elettorale è da ravvisarsi nel fatto che esso è volto a realizzare il preminente interesse pubblico di garantire la stabilità degli organi elettivi, di favorire il rispetto della volontà degli elettori, di assicurare la certezza dei risultati elettorali e di conservare l'efficacia degli atti del procedimento elettorale
Le disposizioni comuni al contenzioso elettorale: ambito di applicazione del rito
Gli artt. 126, 127 e 128 contengono disposizioni comuni al contenzioso elettorale.
L'art. 126 attribuisce la giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.
Si tratta di una giurisdizione che ha ad oggetto la regolarità delle operazioni elettorali, che si caratterizza per l'attribuzione al giudice amministrativo di poteri sostitutivi, idonei a indicare direttamente sulla proclamazione degli eletti.
La giurisdizione non copre le controversie relative alle elezioni politiche, che rimangono rimesse al potere di autodichia delle Camere, nonché le controversie relative ai diritti di elettorato attivo, a situazioni di decadenza, incompatibilità e ineleggibilità, di competenza del giudice ordinario.
Più in generale è utile inquadrare la tutela che il codice offre in materia elettorale, anche in rapporto a quella offerta dagli altri giudici. Infatti, il contenzioso elettorale può riguardare, da un lato, i diritti di elettorato attivo, ossia lo status di elettore ed è devoluto al giudice ordinario.
Dall'altro, figurano i diritti di elettorato passivo, ossia a conseguire o mantenere la carica elettiva. Con riferimento a tale ultima dimensione, è possibile individuare a sua volta due diversi ordini di posizioni oggetto di tutela: le questioni di eleggibilità, incompatibilità e decadenza dall'ufficio, rimessa al giudice ordinario, essendo coinvolte situazioni giuridiche concernenti la capacità delle persone e, pertanto, diritti soggettivi; la tutela in tema di regolarità delle operazioni elettorali, affidata, invece, al giudice amministrativo sul presupposto che, in questo caso, siano in discussione interessi legittimi al corretto svolgimento del procedimento elettorale.
Il sistema di riparto nella materia elettorale è stabilito da un lato, dall'art. 126 e, dall'altro dagli artt. 82 del d.P.R. 570/1969 e 22 del d.lgs. n.150/2011, ai sensi dei quali al giudice ordinario spetta la cognizione delle controversie in tema di ineleggibilità, decadenza ed incompatibilità dei consiglieri (Cass. n. 348/1990; Cons.St., n. 5695/2001; Cons. St., n. 717/2002; Giunta Camera 2002, I, 1594; Cons. St.Ad. plen., n. 10/2005).
Al riguardo la giurisprudenza ha richiamato la figura del doppio binario di tutela, in base alla consistenza della situazione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo della quale si chiede la tutela: per cui sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie afferenti questioni di ineleggibilità, decadenza ed incompatibilità dei candidati, perché concernenti diritti soggettivi di elettorato passivo, mentre appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo le questioni afferenti la regolarità delle operazioni elettorali, in quanto relative a posizioni di interesse legittimo (Cons.St. V, n. 3826/2013; Cons. St. V, n. 1708/2011; Cons. St.,Ad. plen., nn. 3/2010 e 10/2005; Cass.S.U.ord. n. 21262/2016; n. 23682/2009). La giurisdizione del giudice ordinario in tema di controversie relative ai diritti di elettorato attivo o passivo non viene meno per il fatto che la questione è stata introdotta mediante l'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti (Cons. St., V, n. 216/2021; Cass.S.U. ord 13403/2017).
La giurisdizione del G.A. sussiste in materia elettorale, quindi, nei casi in cui si faccia questione di interessi legittimi, o allorquando le questioni di ineleggibilità attinenti a diritti soggettivi palesino un nesso di pregiudizialità necessaria rispetto alla decisione della questione principale (Cons. St. V, n. 3673/2012; Cons. St., n. 908/2002; Cons. St. n. 1052/1999; il giudice amministrativo può in particolare conoscere incidenter tantum la questione relativa all'elettorato passivo del candidato, in quanto pregiudiziale necessaria all'ammissibilità del ricorso avente ad oggetto la legittimità delle operazioni elettorali relative alle elezioni per il rinnovo del consiglio comunale).
L'esclusione del contenzioso elettorale politico
La fase preparatoria delle elezioni politiche trova la sua disciplinata nell' art. 87 del d.P.R. n. 361/1957, richiamato in tema di elezioni del Senato dall' art. 27 del d.lgs. n. 533/1993, che espressamente riservano all'assemblea elettiva la convalida dell'elezione dei propri componenti, nonché il giudizio definitivo su ogni contestazione, protesta o reclamo presentati ai singoli uffici elettorali ed all'ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente. Per cui, ogni questione concorrente le operazioni elettorali, ivi comprese quelle relative all'ammissione delle liste, compete in via esclusiva al giudizio di dette Camere, restando, così preclusa qualsivoglia possibilità di intervento in proposito di qualsiasi autorità giudiziaria ( Cass. S.U., n. 9151/2008).
Tale conclusione è stata motivata con la considerazione che la circostanza che la tutela giurisdizionale competa ad un organo speciale, quale è la giunta parlamentare, non implica un inammissibile vuoto di tutela, quantunque comporti il differimento della tutela medesima ad un momento successivo alla conclusione della consultazione elettorale (essendo espressa dalla Camera del Parlamento eletto), in coerenza del resto con le medesime indifferibili esigenze di speditezza del procedimento elettorale che l' art. 61 Cost. postula.
Con la pronuncia della Corte Costituzionale (Corte cost., n. 259/2009, che ha dichiarato inammissibile la q.l.c. degli art. 23 e 87 d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, censurati, in riferimento agli art. 3,24, comma 1, 51, comma 1, 103, comma 1, 113 e 117 cost., quest'ultimo in relazione all' art. 6 della Cedu, nella parte in cui non prevedono l'impugnabilità davanti al g.a. delle decisioni emesse dall'ufficio elettorale centrale nazionale aventi per effetto l'arresto della procedura, per la definitiva esclusione del candidato o della lista dal procedimento elettorale), si era evidenziato che il quadro normativo e giurisprudenziale prevedeva una tutela specifica per le situazioni giuridiche soggettive nel procedimento elettorale preparatorio delle elezioni alle Camere del Parlamento, avendo la Corte di cassazione indicato nello stesso organo parlamentare il giudice competente.
Tuttavia, la stessa Corte rilevava che a partire dalla XIII Legislatura, la Camera dei deputati ha negato la propria competenza a conoscere i ricorsi riguardanti atti del procedimento elettorale preparatorio (sono inammissibili i ricorsi proposti alla Camera relativi agli atti del procedimento elettorale preparatorio delle elezioni politiche, in quanto «la verifica dei titoli di ammissione degli eletti esclude per definizione che nella stessa possa ritenersi ricompreso anche il controllo sulle posizioni giuridiche soggettive di coloro i quali (singoli o intere liste) non hanno affatto partecipato alla competizione elettorale» (Giunta elez. Camera, 13 dicembre 2006)).
La Corte ha, al riguardo, rilevato che tale circostanza implica che sulla questione possa sorgere un conflitto di giurisdizione, che non spetta alla Corte risolvere (nello stesso senso, v. anche la precedente Corte cost., ord. n. 117 del 2006), oppure, qualora ricorrano i presupposti soggettivi ed oggettivi, un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
Con l'art. 44 della legge n. 69/2009 era stato introdotto un criterio di delega per il riassetto della disciplina del processo amministrativo che introduceva la giurisdizione del g.a. anche sulle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Tale delega non fu esercitata.
La successiva sentenza della Corte cost. n. 48/2021 ribadiva come l'art. 66 Cost. non precludeva di affermare in linea di principio la giurisdizione del g.o. nei riguardi degli atti del procedimento pre-elettorale delle elezioni delle Camere (“il tenore dell'art. 66 Cost. non sottrae affatto al giudice ordinario, quale giudice naturale dei diritti, la competenza a conoscere della violazione del diritto di elettorato passivo nella fase antecedente alle elezioni, quando non si ragiona né di componenti eletti di un'assemblea parlamentare né dei loro titoli di ammissione” Corte cost., n. 48/2021).
Si determinava dunque un empasse, in cui era evidente il vuoto di tutela con riguardo alle liste escluse dalla competizione elettorale (in dottrina, v. Chieppa, Il processo amministrativo dopo il correttivo al codice, Milano, Giuffré, 2012, p. 700), come anche riconosciuto dalla successiva giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. III, sent. n. 999/2018; T.A.R. Lazio – Roma, sez. II bis, n. 18991/2023 e n. 1719/2018).
Si deve quindi dare atto del consolidamento di un orientamento (qualificato come “diritto vivente”, da ultimo, da Corte cost., n. 48/2021) secondo cui rispetto alle decisioni dell'Ufficio centrale nazionale sussiste difetto assoluto di giurisdizione, sia del giudice ordinario che del giudice amministrativo, perché proprio l'art. 66 Cost. riserverebbe esclusivamente alle Camere, tramite le rispettive Giunte, anche il giudizio sul contenzioso pre-elettorale, compreso quello relativo all'ammissione delle liste, restando così precluso qualsiasi intervento giurisdizionale, anche di natura cautelare.
Pertanto, nel caso del diritto di elettorato passivo e, particolarmente per ciò che concerne le elezioni politiche nazionali, manca una disciplina legislativa che assicuri accesso tempestivo alla tutela giurisdizionale nei confronti di decisioni lesive dell'esistenza stessa del diritto (ad es., i provvedimenti di ricusazione di liste o d'incandidabilità). Infatti, ai sensi dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 235/2012, l'accertamento dell'incandidabilità alle elezioni politiche nazionali è demandato agli Uffici elettorali in occasione della presentazione delle liste e l'unico rimedio ammesso avverso la decisione è il ricorso all'Ufficio centrale nazionale. Ciò determina che di fatto, il controllo di legittimità è precluso per le fattispecie d'incandidabilità.
I procedimenti azionabili
Così delimitato l'ambito della giurisdizione amministrativa, i successivi artt. 129 e 130-132, dettano due differenti procedimenti a seconda che la tutela sia chiesta avverso un atto di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali oppure avverso l'atto di proclamazione dei risultati.
In particolare il Codice prevede:
a) la tutela anticipata avverso gli atti (di esclusione o ammissione) immediatamente lesivi adottati nell'ambito dei procedimenti elettorali preparatori per le elezioni comunali, provinciali e regionali (art. 129; v. infra);
b) la tutela avverso gli atti diversi da quelli sub a) e avverso la proclamazione degli eletti in relazione alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e Parlamento europeo (artt. 130, 131 e 132; v. infra).
Disposizioni comuni
L'art. 126 conferma in primo luogo la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.
Non si tratta di una giurisdizione esclusiva, ma - come si vedrà - di una giurisdizione estesa al merito (art. 7, comma 6 e art. 134, comma 1, lett. b), c.p.a.) e tale estensione è giustificata non dall'attribuzione al giudice amministrativo di veri e propri poteri di merito, intesi come esercizio di valutazioni di opportunità, chiaramente estranee al contenzioso elettorale, ma come attribuzione al g.a. di poteri sostitutivi, idonei a incidere direttamente sulla proclamazione degli eletti.
La successiva norma di cui all'art. 127 dispone, in deroga alla regola generale, che gli atti relativi al contenzioso elettorale sono esenti dal contributo unificato e da altri oneri fiscali.
La norma persegue la finalità di facilitare l'accesso ai rimedi giurisdizionali in materia elettorale, eliminando alcuni oneri che normalmente gravano sul ricorrente. Analoga ratio agevolatrice va ricondotta alla previsione di cui all'art. 23 che consente alla parte, nel giudizio in materia elettorale, di stare in giudizio personalmente, senza l'assistenza del difensore.
L'esenzione è richiamata all' art. 10 del d.P.R. n. 115/2002 (nonché al par. E.3 della circolare 18 ottobre 2011 (agg. 22 ottobre 2014) del Segretario generale del Consiglio di Stato, recante Istruzioni sull'applicazione della disciplina in materia di contributo unificato) ed è applicabile qualora il ricorso sia diretta a tutelare secondo le forme proprie del rito elettorale, il diritto di elettorato attivo dei ricorrenti (cfr. T.A.R. Lombardia, ordinanza n. 841/2016, non estensibile ad altri tipi di controversie elettorali, quale, ad esempio, quella in tema di referendum; cfr. T.A.R. Lazio, n. 243/1982).
Sempre con riguardo alle norme comuni, con l'art. 128 c.p.a. si sancisce l'inammissibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
La ragione risiede nel carattere speciale e della estrema celerità del rito processuale, oltre che nell'esercizio di poteri di merito non previsti in sede di ricorso straordinario.
La norma recepisce un indirizzo consolidato delle sezioni consultive del Consiglio di Stato, che si fondava sulla “natura peculiare del contenzioso elettorale amministrativo, per il quale è previsto uno speciale sistema procedimentale e di tutela giurisdizionale accelerata.” (Corte cost., n. 85/2004).
Invero, gli artt. 129 e ss. – come si vedrà infra – prevedono un termine breve per la proposizione del ricorso giurisdizionale, nonché per l'instaurazione del contraddittorio e per l'emanazione del dispositivo, oltre alla fissazione in via d'urgenza della udienza di trattazione del ricorso giurisdizionale.
In dottrina si è osservato come determinante profilo di incompatibilità tra i due rimedi sia quello relativo al deposito del ricorso, atteso che la definizione del ricorso straordinario potrebbe anche essere più celere della definizione di due gradi di giudizio (cfr. G. PELLEGRINO, “Articolo 127”, in Quaranta-Lopilato, Il processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 2011, p. 1048, il quale osserva altresì come la norma, pur codificando un indirizzo giurisprudenziale preesistente, abbia in misura ecceduto i confini della delega di cui all' art. 44 l. n. 69/2009, che si limitava a definire il criterio del riassetto della tutela davanti ai tribunali amministrativi, non comprendendo anche il diverso ambito del riordino dei ricorsi amministrativi).
Giudizio avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali
L'art. 129 reca la disciplina del contenzioso amministrativo riguardante il procedimento elettorale preparatorio, relativo alle elezioni comunali, provinciali, regionali e — per effetto dell' art. 7 comma 8 dell'art. 7, comma 8-quater, d.l. 31 agosto 2016, n. 168, come modificato dalla legge di conversione 25 ottobre 2016, n. 197 — applicabile anche alle elezioni delle città metropolitane (con tale norma infatti si è previsto che: “[l]e disposizioni in materia di contenzioso sulle operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province e delle regioni, previste dal libro quarto, titolo VI, del codice del processo amministrativo, di cui all'allegato 1 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, si applicano anche al contenzioso sulle operazioni elettorali delle città metropolitane”).
In particolare, la disposizione introduce un rito speciale e accelerato che si fonda sul principio dell'immediata impugnabilità dei provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni ed è stata introdotta nel codice, nella sua formulazione vigente, dal d.lgs. n. 160/2012.
Invero, il procedimento elettorale (in senso ampio) può distinguersi in due diversi sub-procedimenti, ossia il procedimento elettorale preparatorio, in cui si colloca la fase dell'ammissione delle liste e delle esclusioni dei candidati, ed il procedimento elettorale in senso stretto, caratterizzato dalle operazioni elettorali e dalla successiva proclamazione degli eletti.
L'art. 129 riguarda, come detto, il procedimento elettorale preparatorio. Nella sua originaria formulazione dava facoltà ai delegati delle liste e dei gruppi di candidati esclusi di impugnare immediatamente i soli provvedimenti concernenti l'esclusione delle liste o candidati (la formulazione si riferiva infatti ai “provvedimenti relativi al procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali concernenti l'esclusione di liste o candidati” e stabiliva che questi potessero “essere immediatamente impugnati, esclusivamente da parte dei delegati delle liste e dei gruppi di candidati esclusi, innanzi al tribunale amministrativo regionale competente, nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, ovvero dalla comunicazione, se prevista, degli atti impugnati”).
L'art. 129 è stato successivamente novellato dal d.lgs. n. 160/2012, c.d. «secondo correttivo» al codice del processo amministrativo, che ha ridefinito il campo di applicazione comprendendo i «provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali e per il rinnovo dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia».
Per effetto dell'intervento legislativo del 2012, quindi, risultano ora impugnabili tutti i provvedimenti “immediatamente lesivi” del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio.
Al di fuori dei provvedimenti appena indicati, per effetto del comma 2 dello stesso art. 129, ogni altro atto relativo al procedimento, anche preparatorio, per le elezioni è impugnabile soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'atto di proclamazione degli eletti (v. infra).
Evoluzione del rimedio
La questione dell'immediata impugnabilità, o meno, degli atti preparatori del procedimento elettorale, con particolare riguardo a esclusioni e ammissioni è stata affrontata già in epoca anteriore all'approvazione del d.lgs. n. 104/2010.
Prima del codice, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, aveva affermato che gli atti endoprocedimentali finalizzati alla proclamazione degli eletti nelle elezioni comunali (comprese, quindi, ammissioni ed esclusioni) non possono essere autonomamente impugnati. Solo l'atto finale di proclamazione poteva essere impugnato nel termine di 30 giorni dal suo compimento ( Cons. St.Ad. plen., n. 10/2005).
A sostegno di questa soluzione si richiamava la necessità di garantire la rapidità e la speditezza voluta dal legislatore per il procedimento elettorale senza il rischio di comprometterne la continuità, nonché la considerazione che l'interpretazione accolta non rappresenta la negazione di ogni tutela giurisdizionale quanto piuttosto l'espressione della volontà legislativa di accorpare tutte le impugnazione riferibili a uno stesso procedimento elettorale in un momento successivo alla proclamazione degli eletti per giustificate esigenze di concentrazione dell'impegno politico e amministrativo legato alle tornate elettorali.
In dottrina si rilevava che la soluzione individuata dalla Adunanza Plenaria fosse il frutto di una attenta valutazione degli effetti distorsivi che l'immediata impugnabilità degli atti interni al procedimento elettorale può causare. Si tratta in particolare del rischio di generare fenomeni di «strumentalizzazione propagandistica» dei ricorsi e delle misure cautelari ad opera dei ricorrenti ammessi con riserva o che hanno ottenuto l'esclusione cautelare di una lista concorrente, a fronte della esigenza di tutelare posizioni giuridiche qualificate a fronte di provvedimenti amministrativi immediatamente lesivi corrono il rischio. In ragione dei risultati elettorali, infatti, questi potrebbero anche decidere di rinunciare al ricorso originario o di renderlo improcedibile non impugnando la successiva proclamazione degli eletti. Così facendo, si produce la caducazione retroattiva della pronuncia cautelare provvisoria e non confermata con le prevedibili conseguenze sulla competizione avvenuta (Pellizzari, Il contenzioso in materia elettorale: il difficile percorso verso l'appianamento dei contrasti, in Dir. form., 2009, 79).
Nel testo del Codice predisposto dal Consiglio di Stato tale principio veniva superato in via normativa, al fine di fornire una tutela immediata nei confronti di provvedimenti di ammissione ed esclusione, con l'ulteriore conseguenza che, in caso di accoglimento di tali ricorsi dopo le elezioni, sarebbe inevitabile la ripetizione della procedura elettorale. Altro argomento a favore dell'ammissibilità della tutela immediata era la considerazione che, una volta introdotto il contenzioso sugli atti del procedimento elettorale preparatorio di Camera e Senato, coerenza logica e sistematica, e soprattutto equità sostanziale, inducevano a prevedere siffatta tutela anticipata anche per le elezioni del Parlamento europeo e le elezioni amministrative (Chieppa, Il processo amministrativo, cit., 709).
Il testo finale del Codice, approvato dal Governo, oltre a eliminare le norme sul contenzioso per le elezioni politiche, codificava i principi dettati dalla citata Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10 del 2005, nel senso di prevedere che tutti gli atti relativi al procedimento, anche preparatorio, per le elezioni comunali, provinciali e regionali e del Parlamento europeo devono essere gravati unitamente all'atto di proclamazione degli eletti. Unica eccezione era prevista per i provvedimenti di esclusione delle liste e dei candidati per le elezioni di regioni, province e comuni che, ove gravati dai delegati delle liste e dei gruppi di candidati esclusi, devono essere impugnati immediatamente. Gli stessi provvedimenti sono impugnabili solo unitamente alla proclamazione degli eletti se si propone l'azione popolare.
Nella relazione si legge che ragioni di opportunità volte a garantire il libero convincimento dell'elettore hanno indotto a non aderire, sul punto, all'osservazione formulata dalla Commissione Affari costituzionali della Camera che avrebbe voluto estendere la tutela anticipata a tutti gli atti del procedimento elettorale preparatorio, inclusi i provvedimenti di ammissione delle liste e quelli relativi ai contrassegni e ai collegamenti.
Va rilevato che nel frattempo, a seguito di alcune controversie sorte per le elezioni regionali del 2010, era stato emanato il d.l. 5 marzo 2010, n. 29, avente ad oggetto l'interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione.
L'art. 1, comma 3, di tale d.l. prevedeva che «Il quinto comma dell'articolo 10 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che le decisioni di ammissione di liste di candidati o di singoli candidati da parte dell'Ufficio centrale regionale sono definitive, non revocabili o modificabili dallo stesso Ufficio. Contro le decisioni di ammissione può essere proposto esclusivamente ricorso al Giudice amministrativo soltanto da chi vi abbia interesse. Contro le decisioni di eliminazione di liste di candidati oppure di singoli candidati è ammesso ricorso all'Ufficio centrale regionale, che può essere presentato, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, soltanto dai delegati della lista alla quale la decisione si riferisce. Avverso la decisione dell'Ufficio centrale regionale è ammesso immediatamente ricorso al Giudice amministrativo».
Il successivo comma disponeva che «le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle operazioni e ad ogni altra attività relative alle elezioni regionali, in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto».
Come è noto, il d.l. non è stato convertito in legge (comunicato 14 aprile 2010, pubblicato nella G.U. 14 aprile 2010, n. 86) e a norma dell' art. 1, comma 1, l. 22 aprile 2010, n. 60 restavano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base dell'originario provvedimento legislativo.
Il d.l. prevedeva espressamente l'immediata impugnabilità delle decisioni di esclusione dalla competizione elettorale e tale conclusione era sostenibile anche per le ammissioni alla procedura. Al riguardo, la Corte cost., ord. 18 marzo 2010 n. 107 ha respinto la richiesta di sospensione del d.l. (Chieppa, Processo amministrativo, 1197).
Peraltro, nella stessa giurisprudenza amministrativa si registravano soluzioni di segno opposto rispetto al principio definito dall'Adunanza Plenaria. In particolare si registrava la posizione per cui gli atti di esclusione di una lista da una competizione elettorale debbono ritenersi immediatamente impugnabili innanzi al giudice amministrativo, «non potendosi condividere al riguardo il diverso orientamento espresso dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (la sopra citata n. 10/2005), secondo cui anche in tal caso occorrerebbe attendere l'adozione della delibera di proclamazione degli eletti» (T.A.R. Lombardia (Milano) IV, 9 marzo 2010, n. 208).
La scelta del Codice di limitare l'immediata impugnabilità alle sole esclusioni dalle elezioni amministrative con legittimazione limitata ai delegati delle liste e dei gruppi di candidati esclusi poneva alcuni problemi di coerenza e di compatibilità costituzionale, accentuati dalla decisione della Corte cost. n. 236/2010 (pubblicata in G.U. lo stesso giorno di pubblicazione del Codice).
La Corte costituzionale dichiarava l'illegittimità costituzionale dell' art. 83-undeciesdel decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali), introdotto dall' art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147 (Modificazioni alle norme sul contenzioso elettorale amministrativo), nella parte in cui — secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, costituente diritto vivente — escluderebbe la possibilità di un'autonoma impugnativa degli atti del procedimento preparatorio alle elezioni, ancorché immediatamente lesivi, anteriormente alla proclamazione degli eletti (Corte cost. n. 236/2010).
La declaratoria di incostituzionalità colpiva, quindi, l'interpretazione della norma censurata fornita dalla decisione n. 10 del 2005 della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, intesa quale regola di «diritto vivente». La fattispecie esaminata dalla Consulta era relativa all'impugnazione di un provvedimento di esclusione, ma alcune considerazioni svolte nella motivazione si attagliano anche alle ammissioni.
La sentenza incideva inevitabilmente sulla sorte dell'art. 129, nel testo introdotto dal d.lgs. n. 104/2010. In sede di adozione del primo decreto correttivo, il principio della immediata impugnabilità degli atti lesivi dei procedimenti preparatori, pur presente nello schema sottoposto all'approvazione del Consiglio dei Ministri, è stato successivamente espunto. Si è dovuto quindi attendere il secondo decreto correttivo al codice (d.lgs. n. 160/2012) che, come anticipato, riformulando l'art. 129, ha adeguato la disciplina alla sentenza della Corte Cost. n. 236/2010.
L'impugnabilità degli atti preparatori «immediatamente lesivi»
L'art. 129, al comma 1, codifica quindi il principio della impugnabilità degli atti «immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio». La locuzione riprende testualmente la formula utilizzata dalla citata sentenza della Corte Costituzionale e allo stesso tempo lascia al giudice l'apprezzamento su quali atti siano in concreto idonei a produrre immediata lesione.
Sul versante oggettivo, la norma riguarda anche gli atti dei procedimenti elettorali per il rinnovo dei membri del Parlamento europeo e, per effetto dell' art. 7 co. 8 dell'art. 7, comma 8-quater, d.l. 31 agosto 2016, n. 168, come modificato dalla legge di conversione 25 ottobre 2016, n. 197, in vigore dal 30 ottobre 2016, è applicabile anche alle elezioni delle città metropolitane.
La formulazione attuale è quindi tale da includere sia gli atti di ammissione, che quelli di esclusione delle liste. Ciò che è dirimente è la presenza di una lesione immediata e diretta del diritto di partecipare al procedimento elettorale, in mancanza della quale si ritiene non consentito il ricorso allo speciale rito accelerato previsto dal codice.
Se parte della giurisprudenza ha interpretato la norma nel senso che tra i provvedimenti lesivi del «diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale» vadano inclusi gli atti di ammissioni di candidati o liste differenti da quelle del ricorrente (respingendo qualsiasi differenziazione di tipo oggettivo, quale risulterebbe, in ipotesi, quella tra atti di esclusione ed ammissione; cfr. T.A.R. Piemonte, 22 ottobre 2014, n. 2005; T.A.R. Potenza, (Basilicata) I, 4 dicembre 2014, n. 816), il Consiglio di Stato ha tuttavia seguito una impostazione più restrittiva, in base alla quale ai sensi dell' art. 129 c.p.a., come novellato dal d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160, fra i provvedimenti che vanno immediatamente impugnati, in quanto lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale, non vanno inclusi anche gli atti di ammissione di candidati o liste differenti da quelle del ricorrente, non potendo detta norma applicarsi al di là dei casi da essa specificamente previsti, attesa la sua natura derogatoria rispetto ad altre regole processuali di portata generale (Cons. St. III, n. 2073/2016; v. in senso conforme, Cons. St. V, n. 5069/2015; Cons. St. V, n. 3361/2016).
Tale orientamento si fonda su una lettura della norma maggiormente aderente alla natura eccezionale e derogatoria del rito individuato dall'art. 129, che valorizza i seguenti elementi:
- la rubrica dell'articolo, rimasta inalterata rispetto alle previgenti versioni della norma, riguarda specificamente il giudizio «avverso gli atti di esclusione»;
- l'elemento di lesività richiamato è rappresentato dal «diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale», condizione sussistente «unicamente in presenza di un'esclusione della lista interessata, laddove l'ammissione altrui non incide, per converso, sul «diritto a partecipare al procedimento»;
- la natura eccezionale e di «stretta interpretazione» della norma (v. Cons. St. V, n. 1410/2013, nonché 23 febbraio 2012, n. 1058), in considerazione della rilevante compressione del contraddittorio processuale che caratterizza tutti i termini del rito disciplinato dall'articolo e che «non tollera che di una simile disciplina, sotto questo profilo di natura probabilmente eccezionale, sia fatta applicazione al di là della stretta indispensabilità, la quale è riscontrabile appunto unicamente rispetto alle impugnative degli atti di esclusione»;
- la natura derogatoria della fattispecie, anche tenuto conto della previsione del comma 1 dell'art. 130 (anticipata già dal comma 2 dell'articolo precedente), la quale pone la regola generale di settore che «contro tutti gli atti del procedimento elettorale... è ammesso ricorso soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti», rispetto alla quale le ipotesi di tutela anticipata ammesse dall'art. 129 rivestono carattere eccezionale;
- l'esistenza di un principio generale, in tema di gare e concorsi, per cui le ammissioni di terzi debbano essere impugnate unicamente in occasione dell'impugnativa dell'atto di conclusione dei relativi procedimenti (ciò conformemente al più ampio canone della non impugnabilità degli atti endoprocedimentali se non unitamente all'atto che definisce la procedura interessata).
In senso conforme ai principi qui esposti, v. T.A.R. Napoli (Campania) II, 17 maggio 2016, n. 2486, secondo cui il rimedio giurisdizionale di cui all' articolo 129 c.p.a. è previsto per impugnare i provvedimenti di esclusione di candidature o di liste da parte dei diretti interessati (in quanto ostativi alla partecipazione alla competizione elettorale), non già gli atti di ammissione di liste o di candidature concorrenti (che non ledono il diritto di partecipare al procedimento elettorale), pertanto è inammissibile il ricorso proposto avverso l'ammissione alla competizione elettorale di una lista il cui contrassegno sia asseritamente confondibile con quello del partito dei ricorrenti. Sul punto, si veda anche la posizione di T.A.R. Lazio (Latina) I, 23 ottobre 2015, n. 672, secondo cui l'art. 129 deve essere interpretato nel senso che sussiste l'onere dell'impugnazione attraverso lo speciale rito da esso disciplinato soltanto per gli atti di esclusione di candidature o liste da parte del diretto interessato o dei diretti interessati: non può, invece, assoggettarsi a tale rito accelerato anche l'impugnazione degli atti di ammissione di liste e candidature concorrenti che, non ledendo immediatamente il diritto di chi partecipi al procedimento elettorale, possono essere gravati attraverso il ricorso ex art. 130, con la previsione di termini compatibili con l'esercizio del pieno diritto alla difesa.
In giurisprudenza si è tuttavia ammesso in alcune occasioni l'impugnazione degli atti di ammissione di liste concorrenti nei limitati casi in cui da ciò derivi un evidente e diretto effetto perturbatore della partecipazione della lista concorrente, tale per cui una tutela successiva ai sensi dell'art. 130 sarebbe priva di reale utilità per il ricorrente (cfr. T.A.R. Torino (Piemonte) I, 25 febbraio 2015 n. 352). Secondo tale orientamento, non alternativo ma complementare a quello appena riferito, è ammessa l'impugnazione dell'ammissione di una lista qualora vengano dedotte censure di illegittimità fondate sull'astratto pericolo di confusione nell'elettorato determinato dall'uso di un contrassegno asseritamente confondibile con quello utilizzato dalla lista ricorrente e sul connesso interesse ad evitare un possibile sviamento dell'elettorato (cfr. Cons. St V, n. 2551/2011 e Cons. St V, n. 2145/2012).
Sul versante soggettivo, il secondo correttivo al codice ha reso omogeneo l'ambito di legittimazione del ricorso immediato rispetto al ricorso successivo avverso la proclamazione degli eletti, eliminando, quindi, la previgente limitazione alla legittimazione alla immediata impugnazione dei soli delegati delle liste e dei gruppi di candidati esclusi. Cionondimeno, la norma non legittima la proposizione del ricorso – almeno quello di primo grado – da parte del cittadino elettorale.
La norma citata limita la legittimazione attiva alla proposizione del ricorso ai soli soggetti che lamentano la limitazione del proprio specifico diritto a partecipare al procedimento elettorale, con esclusione quindi del cittadino/elettore. Ciò diversamente dal caso di cui all'art. 130 che, riferendosi alla fase successiva a quella preparatoria, riconosce legittimazione attiva anche al cittadino/elettore (v. infra sub art. 130), ma non per impugnare atti relativi al procedimento di ammissione delle liste e di verifica della loro regolarità, qualora la fase contenziosa si sia già chiusa entro i ristretti ambiti previsti dall'art. 129 (T.A.R. Palermo, (Sicilia), II, 10 giugno 2016, n. 1438).
Al comma 2, si precisa che gli atti diversi da quelli «immediatamente lesivi» di cui al comma 1, devono essere impugnati soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'atto di proclamazione degli eletti e secondo il procedimento indicato dall'art. 130 relativo al contenzioso elettorale ordinario.
Per espressa previsione dell'art. 129, comma 2, gli atti diversi da quelli indicati al primo comma possono essere impugnati solo alla conclusione del procedimento unitamente all'atto di proclamazione degli eletti. La norma di cui all'art. 129 infatti è “da ritenersi di stretta interpretazione per la peculiare deroga alle regole ordinarie del processo (secondo le quali può essere impugnato il provvedimento conclusivo del procedimento) e non può applicarsi, pertanto, estensivamente all'impugnazione di atti di ammissione di liste e candidature, atti che non possono considerarsi immediatamente lesivi dell'elettorato passivo” (Cons. St. II, n. 4181/2021).
Al di fuori dei casi di tutela anticipata previsti dall'art. 129, contro tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all'emanazione dei comizi elettorali è ammesso ricorso soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, e ciò da parte di qualsiasi candidato o elettore dell'Ente della cui elezione si tratta (Cons. St. V, n. 5504/2012).
In merito all'esercizio dei poteri di autotutela, in giurisprudenza si è ritenuto legittimo il loro esercizio da parte degli uffici elettorali. In particolare, l'ufficio elettorale può correggere i propri atti illegittimi di esclusione delle liste fino al momento della pubblicazione del manifesto recante le candidature ufficiali. Tale essendo il momento che segna l'inizio della successiva fase del procedimento elettorale. Tale possibilità è ritenuta rispondente al principio generale che impone all'Amministrazione di provvedere alla cura dell'interesse pubblico anche dopo l'emanazione dell'atto amministrativo fino al momento in cui siano ancora disponibili gli effetti giuridici prodotti dall'atto, non sussistendo ragioni proprie del sistema del contenzioso elettorale sulle quali fondare una deroga a tale principio guida dell'esercizio del potere amministrativo (Cons. St. V, n. 2588/2011).
La presentazione del ricorso e la sua discussione
Come emerge dal dato positivo, la proposizione e la decisione del ricorso, in primo come in secondo grado, sono scanditi da termini stringenti che rendono evidente l'assoluta specialità della procedura, sia rispetto al paradigma del processo ordinario di cognizione, sia rispetto al rito elettorale comune avente ad oggetto la proclamazione degli eletti.
Il rito è applicabile limitatamente agli atti previsti dall'art. 129, il quale disciplina un caso autonomo di processo elettorale, le cui regole non sono applicabili alla diversa fattispecie del ricorso contro gli atti del procedimento elettorale successivi all'emanazione dei comizi elettorali, che ricadono nelle disposizioni di cui agli artt. 130 e ss. (T.A.R. Calabria (Reggio Calabria) I, 16 novembre 2012, n. 670).
L'art. 129 prevede, ai commi 1 e 3, modalità e termini per il ricorso estremamente stringenti. In particolare, si dispone che, entro tre giorni dalla comunicazione, anche mediante affissioni, degli atti impugnati, il ricorso debba essere:
(i)notificato, direttamente dal ricorrente o dal suo difensore, esclusivamente mediante consegna diretta, posta elettronica certificata o fax, all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato, alla Prefettura e, ove possibile, agli eventuali controinteressati.
Si noti che la notifica può essere svolta, oltre che tramite la forma tradizionale della consegna diretta, anche tramite Pec o fax, sia alla Prefettura che all'ufficio che ha emanato l'atto.
In ogni caso, l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato rende pubblico il ricorso notificato, mediante affissione di una sua copia integrale in appositi spazi all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico e tale pubblicazione ha valore di notifica per pubblici proclami per tutti i controinteressati. In tal caso, la notificazione si perfeziona il giorno stesso della predetta affissione.
(ii)depositato, nello stesso termine di tre giorni, presso la segreteria del tribunale adito, che provvede a pubblicarlo sul sito internet della giustizia amministrativa, oltre che ad affiggerlo in appositi spazi accessibili al pubblico.
Quindi, il termine di tre giorni (dalla pubblicazione ovvero comunicazione degli atti da impugnare) si applica tanto per la notifica quanto per il deposito del ricorso, senza distinzione alcuna tra i due adempimenti (Cons. St. V, n. 2202/2012; TAR Sicilia (Catania), IV, 7 giugno 2017, n. 2017; T.A.R. Milano (Lombardia) III, 1 marzo 2013, n. 550).
L'interpretazione della disposizione contenuta nella lettera b) del secondo comma dell'articolo 129, (a mente del quale il ricorso in materia elettorale deve essere notificato all'ufficio che ha emanato l'atto e alla Prefettura), coerente con la ratio acceleratoria cui è ispirato il giudizio elettorale, ne determina l'incompatibilità con l'applicazione della normativa generale in tema di notifica dei ricorsi alle amministrazioni e agli uffici statali presso la competente Avvocatura Distrettuale dello Stato: ciò sia in ragione della ristrettezza dei termini imposti dal legislatore sia dagli specifici compiti cui deve adempiere, proprio secondo il citato articolo 129, l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato, adempimenti inconciliabili con la natura e le funzioni dell'Avvocatura dello Stato e strettamente conseguente alla ricevuta notificazione del ricorso (Cons. St. V, n. 2559/2011. In termini T.A.R. Catanzaro (Calabria) II, 6 maggio 2014, n. 634).
Il ricorso è comunque inammissibile qualora non sia stato notificato ad altra parte necessaria del giudizio elettorale, ossia l'”ufficio che ha emanato l'atto impugnato”, identificato nella Commissione elettorale, ciò anche avuto riguardo agli incombenti che l'art. 129 pone espressamente a carico di detto ufficio e consistenti nel rendere pubblico il ricorso mediante affissione di una copia integrale in appositi spazi all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico (affissione che ha valore di notificazione per pubblici proclami per tutti i controinteressati con effetti dal giorno stesso della affissione) (T.A.R. Abruzzo (L'Aquila) I, 24 maggio 2016, n. 322).
Altra peculiarità del rito è la mera eventualità della notifica ai controinteressati. Infatti la norma prevede, per quanto concerne i contro interessati, la notificazione del ricorso nei loro confronti alla duplice condizione che essi siano effettivamente rintracciabili e solo «ove possibile».
Sono dunque da ritenersi controinteressati i soli candidati delle liste eventualmente ammesse nel procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali (ossia, tutti i candidati delle liste fino a quel momento ammesse che potrebbero subire un pregiudizio dalla presenza nella competizione elettorale di una ulteriore lista).
Con riferimento alle condizioni previste dalla norma per la notifica ai controinteressati, la prima presuppone una deroga ai principi giurisprudenziali in materia di inconfigurabilità di controinteressati nei giudizi aventi ad oggetto atti di esclusione. In questo senso la norma impone l'evocazione obbligatoria anticipata dei controinteressati nel contenzioso elettorale preparatorio.
Sono prive di soggettività giuridica e dunque non sono legittimate passive della domanda di annullamento delle operazioni elettorali, le liste in quanto tali e i loro delegati (Cons. St. V, n. 496/2008; Cons. St. V, n. 1058/2012). Si tratta di un principio valevole sia nel contenzioso elettorale ordinario sia in quello speciale sugli atti preparatori.
In tale prospettiva, il carattere eventuale della notificazione si giustifica, invece, alla luce della possibilità pratica che la lista esclusa risulti l'unica partecipante alla competizione (in assoluto, ovvero in relazione al momento della esclusione e della successiva impugnazione).
Per compensare tale vulnus al principio del contraddittorio, la norma prevede che, in ogni caso, l'ufficio che ha proceduto all'esclusione renda pubblico il ricorso mediante affissione di una sua copia integrale in appositi spazi all'uopo destinati sempre accessibili al pubblico e ricollega a tale pubblicazione «valore di notifica per pubblici proclami per tutti i controinteressati; la notificazione si ha per avvenuta il giorno stesso della predetta affissione».
In materia elettorale, e in particolare in tema di giudizio anticipato sull'esclusione delle liste, il giudicato, sotto il profilo soggettivo, produce effetti erga omnes. Il giudicato di rigetto formatosi sul ricorso proposto contro l'esclusione della lista ai sensi dell'art. 129 impedisce a qualsiasi soggetto di proporre un nuovo ricorso successivamente alla proclamazione degli eletti, mentre il giudicato di accoglimento non preclude l'impugnazione dell'ammissione per vizi diversi rispetto a quelli posti alla base dell'esclusione (Cons. St. II, n. 2601/2022; Cons. St. V, n. 1058/2012).
Anche per il ricorso incidentale si seguono le stesse modalità di proposizione del ricorso principale (art. 129, comma 5), con conseguente inammissibilità in caso di mancato rispetto dei termini previsti (cfr. T.A.R. Piemonte I, 15 gennaio 2014, n. 66).
Ai sensi del comma 5, l'udienza di discussione si celebra, senza possibilità di rinvio — e anche in presenza di ricorso incidentale — nel termine di tre giorni dal deposito del ricorso, senza avvisi.
L'estrema brevità di tale termine ha condotto ad auspicare un seppur minimo allungamento, al fine di consentire la costituzione delle parti interessate dalla vicenda. Si era quindi suggerito un aumento da tre a cinque giorni per la celebrazione dell'udienza, proposta non recepita nel testo del successivo decreto correttivo del 2012 (Chieppa, Il processo amministrativo, cit., 711).
Il giudizio è deciso all'esito dell'udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi nello stesso giorno. La relativa motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie (art. 129, comma 6).
Nel caso di accoglimento del ricorso avverso l'atto di esclusione, il giudice annulla i provvedimenti impugnati e dispone la riammissione del ricorrente nella lista (T.A.R. Lazio (Roma), II-bis, 22 maggio 2017, n. 6103).
La sentenza avverso gli atti di esclusione deve essere quindi redatta dal relatore e pubblicata nello stesso giorno in cui è stata celebrata l'udienza di discussione.
La sentenza non appellata è comunicata senza indugio dalla segreteria del tribunale all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato (art. 129, comma 7).
Un termine ancora più stretto è fissato per il ricorso in appello (art. 129, comma 8). Questo infatti deve essere proposto, a pena di decadenza, nel termine di 2 giorni dalla pubblicazione della sentenza, mediante:
(i) notifica, direttamente dal ricorrente o dal suo difensore, esclusivamente mediante consegna diretta, posta elettronica certificata o fax, all'ufficio che ha emanato l'atto impugnato, alla Prefettura e, ove possibile, agli eventuali controinteressati;
(ii) deposito in copia presso il tribunale amministrativo regionale che ha emesso la sentenza di primo grado, il quale provvede ad affiggerlo in apposite bacheche in spazi accessibili al pubblico;
(iii) deposito presso la Segreteria del Consiglio di Stato, che provvede a pubblicarlo sul sito internet della giustizia amministrativa, oltre che ad affiggerlo in apposite bacheche in spazi accessibili al pubblico.
Anche in tale fase, l'ufficio che ha emanato l'atto impugnato rende pubblico il ricorso mediante affissione di una sua copia integrale in apposite bacheche in spazi sempre accessibili al pubblico e tale pubblicazione ha valore di notifica per pubblici proclami per tutti i controinteressati; la notificazione si ha per avvenuta il giorno stesso della predetta affissione. Si noti che, per le parti costituite nel giudizio di primo grado, la trasmissione si effettua presso l'indirizzo di posta elettronica certificata o il numero di fax indicato negli atti difensivi.
Al giudizio di appello si applicano le disposizioni relative al giudizio di prime cure, con particolare riferimento ai tempi della discussione e della decisione del ricorso.
Legittimati all'appello figurano, per giurisprudenza costante, anche i cittadini elettori, a prescindere dalla loro partecipazione al giudizio di prime cure.
La legittimazione del cittadino elettore si spiega in ragione dell'impossibilità di attivare la tutela prevista dall'art. 130 dopo la proclamazione degli eletti, nella eventualità che sia passata in giudicato la decisione sull'esclusione o meno di una determinata lista. In tema di contenzioso elettorale, infatti, il giudicato formatosi acquista autorità ed efficacia erga omnes, non essendo compatibile con la natura popolare dell'azione, con il suo carattere fungibile e con le sue funzioni e finalità, che gli effetti della pronuncia rimangano limitati alle sole parti del giudizio. Una volta incardinato il rapporto processuale, tutti i soggetti legittimati possono contrastare il ricorso originario o appellare la sentenza di accoglimento al fine di evitare la formazione di un giudicato a loro opponibile ( Cons.St. V, n. 2500/2013; Cons. St. n. 5069/2015; Cons. St. n. 488/2011).
Infine, il comma 10, stabilisce l'eccezionale inapplicabilità a tali giudizi degli art. 52, comma 5 e 54, commi 1 e 2, riguardanti, rispettivamente, la proroga dei termini che scadono il sabato, la sospensione dei termini nel periodo feriale e la presentazione tardiva di memorie o documenti, al fine di assicurare il carattere di speditezza che connota l'intero procedimento in questione.
Giudizio avverso gli atti relativi alle operazioni elettorali
L'art. 130 c.p.a. disciplina il procedimento di primo grado relativo alle operazioni elettorali, disponendo che tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all'emanazione dei comizi elettorali possono essere impugnati alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti.
La norma in commento reca la disciplina unitaria e speciale del rito avverso le operazioni elettorali relative alle elezioni amministrative e a quelle del Parlamento europeo, prevedendo in via generale che, salvo quanto previsto dall'art. 129, contro tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all'emanazione dei comizi elettorali è ammesso ricorso soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti.
In sintesi – e rinviando ai successivi paragrafi per il dettaglio – il rito si differenza da quello avverso le esclusioni di cui all'art. 129 (v. supra), poiché:
- il ricorso proposto avverso l'esito delle operazioni elettorali deve essere prima depositato e poi notificato;
- a seguito del deposito, il presidente fissa con decreto l'udienza e ordina le notifiche.
- all'esito dell'udienza, il collegio pronuncia la sentenza, da pubblicarsi entro il giorno successivo.
- la norma attribuisce al giudice una giurisdizione estesa al merito, prevedendo che in caso di accoglimento del ricorso, il giudice corregge il risultato delle elezioni e sostituisce ai candidati illegittimamente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo (e nel caso di operazioni elettorali inerenti il Parlamento europeo, i voti delle sezioni le cui operazioni sono state annullate non hanno effetto).
L'atto impugnato
In giurisprudenza si è sottolineato come l'art. 130 – riferendosi a «tutti gli atti del procedimento elettorale successivi all'emanazione dei comizi elettorali», che sono impugnabili «soltanto alla conclusione del procedimento elettorale, unitamente all'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti» — appare univoca nel ritenere che l'atto conclusivo del procedimento elettorale deve individuarsi nella proclamazione degli eletti e ciò anche in coerenza col potere sostitutivo del G.A., previsto dal comma 9 del medesimo articolo in relazione al contenuto dell'atto di proclamazione. È solo con l'atto di proclamazione, infatti, che si determina l'effetto giuridico finale dell'esito delle elezioni, con la conseguenza che il controllo diffuso sulla correttezza e sulla legalità del procedimento elettorale, che la norma in esame ha inteso codificare, non può che essere esercitato con esclusivo riferimento all'unico atto idoneo a configurare e a costituire, in via definitiva, l'assetto degli organi elettivi del Comune ( Cons.St. III, n. 3019/2016; Cons. St.,Ad. plen., n. 16/1996; Cons. St. V, n. 1521/2001; Cons.St. n. 1618/1996).
Dall'atto di proclamazione degli eletti scaturisce, infatti, l'esatta e definitiva posizione di ciascun candidato in esito alla consultazione, con la conseguenza che la proclamazione diviene intangibile se non impugnata nei rigorosi termini previsti dalla disposizione. Non incide su tale rilievo l'esistenza di eventuali atti successivi, quali, ad esempio, le delibere amministrative che dispongono la decadenza di un eletto, le quali non possono consentire la contestuale impugnazione dell'atto presupposto di proclamazione, pena l'elusione del termine perentorio per il ricorso (Cons. St. V, 3826/2013).
Proposizione del ricorso
La disciplina processuale è improntata ad assicurare la celere definizione del giudizio, strettamente correlata all'esigenza di rendere effettivo il rispetto della volontà popolare.
Il termine per proporre ricorso è pari a 30 giorni, che decorrono dalla proclamazione degli eletti. A differenza del rito avverso gli atti preparatori (nonché del rito ordinario del processo amministrativo), il ricorso deve, entro tale termine essere depositato presso il tribunale competente.
Si tratta di un termine inderogabile, dimezzato rispetto a quello ordinario, così concepito in modo da contemperare il diritto di azione ex art. 24 Cost. con il principio di certezza dei rapporti di diritto pubblico costituitisi per effetto della proclamazione degli eletti, che non può essere derogato in ragione della difficoltà di conoscere il vizio al momento della proclamazione degli eletti, dovendosi salvaguardare le esigenze di certezza del risultato elettorale, che non possono risultare condizionate dall'effettiva conoscibilità dei vizi eventualmente sussistenti (Cons. St. n. 623/2016).
Come evidente, nel sistema processuale delineato dal legislatore con specifico riferimento al rito elettorale, la decorrenza del termine per proporre impugnazione non è ancorata al criterio della lesività dell'atto impugnato – come accade invece nel rito ordinario — ma alla data di «conclusione del procedimento elettorale» (art. 130; cfr. Cons. St. V, n. 755/2014, che ritiene irricevibile il ricorso incidentale notificato solo dopo che il controinteressato aveva avuto notizia di indagini penali concernenti l'eventuale falsità delle sottoscrizioni per una lista collegata alla parte ricorrente).
La decorrenza di un preciso e inderogabile termine decadenziale risponde ad una precisa scelta di politica legislativa che, nell'intento di agevolare la rapida conclusione del procedimento elettorale, ha inteso posticipare il controllo giurisdizionale di legittimità sugli atti del procedimento elettorale alla conclusione della stessa (ad eccezione come visto degli atti immediatamente lesivi del «diritto del ricorrente a partecipare alla competizione elettorale», i quali, come detto, vanno impugnati nei tre giorni successivi alla loro adozione; v. sub art. 129).
Più precisamente, il ricorso ex art. 130 ha ad oggetto il verbale di proclamazione degli eletti e la decorrenza è individuata non al momento della proclamazione, ma in quello di chiusura del relativo processo verbale, requisito di forma del provvedimento che conclude le operazioni (Cons. St.,Ad. plen.16/1996; Cons. St.,Ad. plen., n. 885/1998).
L'interpretazione formatasi nel vigore del precedente regime è stata confermata anche dalla giurisprudenza successiva che ha chiarito che il giorno iniziale non è quello della proclamazione orale bensì quello in cui tutte le operazioni preparatorie, effettuate dall'Ufficio centrale, risultino documentate e possano essere sottoposte a un giudizio di legittimità che, per le modalità di svolgimento e per gli strumenti istruttori tipici del giudice amministrativo, presuppone un atto scritto.
Nel caso in cui all'atto scritto di proclamazione degli eletti segua, a distanza di tempo, la chiusura del verbale, il g.a. ha precisato che è al primo momento a cui si deve fare riferimento per la decorrenza del termine, rispondendo all'esigenza che la proclamazione degli eletti trasfusa in un atto scritto possa essere adeguatamente aggredita attraverso la sottoposizione di congrue censure al vaglio del giudice amministrativo (Cons. St., n. 2363/2015). Analogamente, è da ritenersi irricevibile il ricorso proposto avverso l'adozione della delibera consiliare di convalida dei consiglieri eletti e non avverso quella di proclamazione degli eletti, atteso che l'interesse all'azione sorge esclusivamente da tale ultimo atto, che definisce l'esatta posizione di ciascun candidato all'esito della consultazione, laddove la convalida attiene al concreto esercizio della carica elettiva (Cons. St. V, n. 4244/2014).
Il comma 1 individua come tribunale competente a conoscere della controversia, in primo grado e nel caso di elezioni amministrative, nel tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede l'ente della cui elezione si tratta, secondo i criteri della competenza territoriale inderogabile (lett. a). Nel caso delle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, è individuata la competenza funzionale inderogabile del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.
Legittimato alla proposizione del ricorso è, secondo la formulazione della norma, «qualsiasi candidato o elettore dell'ente della cui elezione si tratta», nel caso delle elezioni amministrative (nel caso di elezioni dei membri del Parlamento europeo la legittimazione è estesa più genericamente a impugnazione è estesa più genericamente a «qualsiasi candidato o elettore»).
In dottrina è stato evidenziato che la norma consente due forme di azioni: da un lato un'azione popolare, proponibile da parte di qualsiasi cittadino elettore, a tutela del proprio diritto di elettorato attivo e finalizzata alla correzione di un determinato esito della competizione (azione popolare correttiva); dall'altro un'azione individuale da parte del candidato, direttamente interessato alla verifica del risultato elettorale (Caringella-Giustiniani, Manuale del processo amministrativo, 2023, 775 ).
La prova della legittimazione dei ricorrenti che agiscono in qualità di cittadini elettori, deve essere fornita mediante la produzione dei documenti attestanti tale qualità, ovvero quella di iscritto nelle liste dei partecipanti alla competizione. La mancata produzione di detti certificati nei termini per il deposito del ricorso notificato determina l'inammissibilità del ricorso (cfr. T.A.R. Firenze I, 12 gennaio 2022, n. 9, che ritiene che alla mancata produzione della prova della legittimazione attiva da parte dei ricorrenti non poteva supplire il Collegio con l'acquisizione d'ufficio).
L'instaurazione del giudizio elettorale assume dei caratteri peculiari che distinguono nettamente tale rito da quello ordinario, con particolare riferimento ai passaggi procedurali necessari per incardinare la controversia presso il giudice adito.
La fase successiva al deposito, disciplinata dal comma 2 dell'art. 130, prevede che il presidente del tribunale, con decreto: a) fissa l'udienza di discussione della causa in via di urgenza; b) designa il relatore; c) ordina le notifiche, autorizzando, ove necessario, qualunque mezzo idoneo; d) ordina il deposito di documenti e l'acquisizione di ogni altra prova necessaria; e) ordina che a cura della segreteria il decreto sia immediatamente comunicato, con ogni mezzo utile, al ricorrente.
Emesso il decreto, apposto in calce al ricorso o su foglio separato, questo è comunicato al ricorrente, su cui grava l'onere di provvedere alle notifiche, ai sensi del comma 3. La notifica del ricorso e del decreto di cui al comma 2, deve avvenire nei successivi 10 giorni, decorrenti dalla comunicazione della cancelleria del tribunale, e deve essere rivolta ai seguenti soggetti: - all'ente della cui elezione si tratta, nel caso delle elezioni di comuni, province, regioni; - all'Ufficio elettorale centrale nazionale, in caso dell'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia; - alle altre parti che vi hanno interesse, e, in ogni caso, ad almeno un controinteressato.
In giurisprudenza si è ritenuto che nel giudizio avente ad oggetto l'atto di proclamazione degli eletti, sono parti necessarie unicamente l'ente al quale l'elezione si riferisce ed a cui vanno imputati i risultati elettorali, nonché, in qualità di controinteressati, i candidati della cui avvenuta elezione si discute (i.e. soggetti proclamati come eletti) e che, dunque, possono restare pregiudicati dalla chiesta modificazione del provvedimento impugnato. Non sono invece ritenuti legittimati passivi gli altri organi o le amministrazioni diverse dal predetto ente (ad es., il Ministero dell'interno, il quale interviene nel procedimento elettorale esclusivamente ai fini organizzatori (Cons. St. n. 1982/2015; Cons. St. n. 4762/2013; Cons. St. n. 496/2008) o gli uffici elettorali, trattandosi di organi temporanei, non aventi interesse giuridicamente rilevante rispetto al mantenimento dei risultati derivanti dalle elezioni; T.A.R. Catania II, 10 marzo 2021, n. 728; T.A.R. Calabria (Catanzaro) I, 20 marzo 2015, n. 517; TAR Campania (Salerno), 6 dicembre 2012, n. 2255.
Ulteriore – e conclusivo – incombente per la corretta instaurazione del processo è costituito dalla necessità – prevista dal comma 4 della norma in commento – di depositare il ricorso e il decreto nella segreteria del tribunale adito entro dieci giorni dall'ultima notificazione di cui al comma 3. Il deposito deve comprendere anche la prova dell'avvenuta notificazione e gli atti e documenti del giudizio.
Costituzione delle parti e ricorso incidentale
Ai sensi del comma 5, l'amministrazione intimata ed i controinteressati devono depositare in segreteria le proprie controdeduzioni entro quindici giorni dalla avvenuta notifica nei suoi confronti del ricorso. Si tratta di un termine perentorio (T.A.R. Basilicata I, 4 dicembre 2014, n. 816; T.A.R. Piemonte I, 15 gennaio 2014, n. 66; nel previgente regime, Cons. St. V, n. 2002/1998).
I controinteressati possono anche proporre ricorso incidentale. Con riferimento alle modalità e i termini, la proposizione del ricorso incidentale segue le forme del ricorso principale ordinario, con termini dimezzati ai sensi dell'art. 130, comma 10, da individuarsi in rapporto a quelli del processo ordinario (Cons. St., II, n. 5428/2021T.A.R. Puglia (Bari) I, 1° aprile 2015, n. 522; che supera l'impostazione prima seguita per cui il dimezzamento dei termini previsto anche per il ricorso incidentale al comma 10 opererebbe rispetto al termine ordinario proprio del ricorso elettorale e pertanto il ricorso incidentale deve essere notificato entro 15 giorni dalla notifica del ricorso principale (v. T.A.R. Lombardia, n. 173/2017; Cons. St. V, n. 2087/2016, che dichiara improcedibile il ricorso incidentale notificato al sedicesimo giorno successivo alla notifica del ricorso principale).
In questo senso, in giurisprudenza si è affermato che, ove nel rito elettorale di cui all'art. 130 sia proposto ricorso incidentale, ai fini della valutazione sulla sua ricevibilità, occorre far riferimento non ai termini processuali fissati, con riferimento alle sole controdeduzioni, dall'art. 130, comma 5 (ossia quindici giorni successivi a quello in cui la notificazione si è perfezionata), ma a quelli previsti dall' art. 42, comma 2, c.p.a. per il ricorso incidentale nel rito ordinario, ridotti alla metà in forza della previsione di cui all'art. 130, comma 10. Si tratta di soluzione ritenuta «la più conforme, oltre che al dettato normativo, ai chiari principi espressi dal codice del processo amministrativo di parità delle armi ed effettività della tutela giurisdizionale» (T.A.R. Puglia (Bari) I, 1° aprile 2015, n. 522).
Dall'assenza di notifica del ricorso incidentale discende l'inammissibilità del gravame (cfr. Cons.St. V, n. 1631/2012; Cons. St. IV, n. 8280/2010; Cons. St. V, n. 3747/2009; Cons.St. VI, n. 2602/2008). Anche per il ricorso incidentale (rispetto al quale sussistono identiche esigenze di rispetto del principio della parità delle parti), si è ritenuta irrilevante la circostanza che l'elettore o il soggetto leso, intenzionato a proporre un ricorso giurisdizionale, abbia percepito tardivamente la sussistenza di specifici vizi delle operazioni ovvero non abbia avuto la concreta possibilità di essere a conoscenza di tutti i vizi delle operazioni elettorali.
Non può quindi ammettersi l'ampliamento sine die del thema decidendi dopo la scadenza del termine di decadenza, ad esempio dimostrando che la conoscenza di vizi delle operazioni elettorali è conseguita a indagini od informative, ovvero è derivata dalla cura con la quale si sia seguito l'andamento di un procedimento penale ( Cons.St. V, 17 febbraio 2014, n. 755, Cons. St. V, n. 3924/2002; Cons. St. V, n. 519/1999; Cons.St. V, n. 247/1997).
Analogamente inammissibile è stato ritenuto il ricorso incidentale con cui si fa valere una posizione autonoma, come incisa dall'atto di proclamazione degli eletti, dovendosi in tal caso proporre la relazione azione con autonomo ricorso da notificare nei termini previsti dal 130, comma 1, lett. a), c.p.a. e non utilizzare le forme del ricorso incidentale, pena un aggiramento dei perentori termini ivi stabiliti (Cons. St., II, n. 8756/2024).
Per tutti i termini non espressamente previsti dalla norma in commento, il comma 10 prevede la dimidiazione di tutti i termini processuali, nell'intento di rendere ancora più celere lo svolgimento del giudizio.
Ciò è applicabile non solo al ricorso incidentale (come appena visto), ma anche ad altri istituti, quali, ad es., i termini per l'intervento in giudizio (da trenta a quindici giorni prima dell'udienza), per le memorie di udienza (fino a 10 giorni liberi prima dell'udienza) e per i motivi aggiunti (notificati entro 30 giorni dalla conoscenza degli atti e depositati entro 15 giorni).
Nel processo elettorale, mentre sono ammissibili i motivi aggiunti che costituiscano svolgimento di censure tempestivamente proposte, non sono deducibili vizi inediti e cioè vizi che non trovano sufficiente e adeguato riscontro in quelli dedotti col ricorso introduttivo, come i nuovi motivi derivanti da verificazioni istruttorie, dovendosi conciliare i contrapposti interessi in gioco della effettività della tutela giurisdizionale e della celerità e speditezza che il giudizio elettorale deve in ogni caso assicurare (Cons. St. V, n. 1477/2016; Cons. giust. amm., n. 733/2012).
Nel rito elettorale trovano ingresso anche eventuali azioni di accertamento e condanna. L'elettore, legittimato a dedurre l'illegittimità degli atti del procedimento elettorale (ex art. 130), è a fortiori facultizzato — secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata sensibile ai principi di pienezza, effettività e tempestività della tutela giurisdizionale — a contrastare le condotte che illegittimamente impediscono o ritardano lo stesso avvio del procedimento elettorale (Cons. St. V, n. 6002/2012).
Motivi di ricorso e principio di prova
Una questione largamente dibattuta, che ha anche generato posizioni divergenti nella elaborazione giurisprudenziale, riguarda il principio della domanda e, in particolare, la specificità dei motivi di ricorso e delle allegazioni probatorie a loro supporto.
Invero, secondo un più risalente e maggioritario orientamento, di cui ancora si registrano decisioni in senso conforme, nel contenzioso elettorale sussiste un'attenuazione dell'onere di specificazione dei motivi di ricorso. Secondo tale orientamento, purché specificati i motivi di gravame, le allegazioni di parte non necessitano di alcun supporto probatorio, neppure sotto il profilo del mero principio di prova. In altri termini, si è ritenuto che la mera prospettazione specifica del vizio sarebbe idonea a eccitare il potere istruttorio officioso del Giudice, che si traduce nella verificazione del risultato elettorale attraverso la sostanziale ripetizione dello spoglio delle schede già scrutinate nell'ambito delle operazioni elettorali (Cons. St. V, n. 8200/2003, che richiama i precedenti della medesima sezione Cons.St. V, n. 1447/2003; Cons. St. V, 5692/2001; Cons. St. V, 796/2001; Cons. giust. amm., 18 maggio 2007, n. 392). Ciò in quanto, tanto più puntuali e dettagliati sono i motivi dedotti, tanto più si riduce la necessità di ancorare la verifica dell'ammissibilità del gravame ad ulteriori elementi fattuali che corroborino le allegazioni poste a base dell'azione. In altre parole è l'analiticità delle contestazioni che rappresenta indizio dell'attendibilità della ricostruzione proposta (Cons. St. V, 2 settembre 2004 n. 5742).
Secondo una diversa e più rigorosa prospettiva, maturata successivamente all'entrata in vigore del codice, sarebbe invece necessario distinguere i due piani, quello dell'onere di allegazione e dell'onere probatorio, richiedendo per entrambi una concreta indicazione degli elementi a sostegno. Invero, la prova dei fatti rappresenta un momento ontologicamente successivo al piano dell'allegazione di parte, che non può essere omesso in ragione dell'asserita vicinanza della prova alla controparte processuale.
Pertanto, nei giudizi elettorali al ricorrente incombe non soltanto l'onere di offrire una prospettazione dei fatti sufficientemente articolata, ma anche quello di fornire almeno un principio di prova delle circostanze di fatto poste a fondamento delle specifiche censure dedotte (Cons. St. V, n. 7131/2003; Cons. St. V, n. 2855/2003).
Quindi, seppure è attenuato l'onere della prova — come tipicamente avviene nel processo amministrativo — si richiede nondimeno che le censure dedotte debbano essere sostenute almeno da qualche riscontro oggettivo, quale ad esempio le contestazioni contenute nei verbali elettorali, dovendosi escludere che il ricorso elettorale possa limitarsi alla formulazione di censure sfornite di qualsiasi principio di prova, volte ad ottenere, tramite l'attività istruttoria del giudice, il riesame delle operazioni di scrutinio e l'eventuale correzione dei risultati elettorali.
Conseguentemente, non può ritenersi sufficiente la mera dichiarazione dell'elettore, non accompagnata da elementi oggettivi, quali riscontri nei verbali, atteso che la presenza dei rappresentanti di lista ha proprio lo scopo di garantire il corretto svolgimento delle operazioni elettorali e di far menzione e contestare nell'immediatezza eventuali irregolarità ( Cons.St., V, n. 2197/2014; Cons. St. V, n. 3931/2014; Cons. St. V, n. 4241/2014; Cons. St. V, n. 4474/2013; Cons. St. n. 2541/2012; T.A.R. Lazio (Roma) II, 1° dicembre 2014, n. 12034).
Tale posizione è stata avallata da Ad. Plen.20 novembre 2014, n. 32, che ha affermato il principio per cui nel giudizio elettorale l'onere di specificazione dei motivi, seppure lievemente temperato, richiede sempre, ai fini dell'ammissibilità del ricorso o delle singole doglianze, che vengano indicati, con riferimento a circostanze concrete, la natura dei vizi denunziati (in senso conforme, Cons. St. V, n. 3280/2016). È dunque necessario ai fini dell'ammissibilità del ricorso o delle singole doglianze, che l'atto introduttivo indichi, non in termini astratti ma con riferimento a fattispecie concrete, la natura dei vizi denunziati, il numero delle schede contestate e le sezioni cui si riferiscono, mentre si appalesano inammissibili azioni esplorative volte al mero riesame delle operazioni svolte svolte (Cons. St. II, n. 3483/2022; Cons. St. V, n. 1477/2016).
Fermo restando la necessità di dedurre motivi specifici e non generici, l'onere della prova che grava sul ricorrente può anche fondarsi su elementi indiziari, purché dotati di attendibilità sufficiente (T.A.R. Lazio II, n. 1081/2022). E' quindi da dichiararsi inammissibile un ricorso che, lungi dal far valere specifici motivi di annullamento della procedura, si limiti a richiedere il mero riesame dei risultati elettorali (Cons. St. V, n. 3921/2000).
Tale impostazione appare quella più idonea a conformarsi al principio acquisitivo, secondo cui il potere officioso del Giudice si innesta (non già sulla sola allegazione di parte, ma anche) su elementi che, pur non potendo assurgere al rango di prova piena e diretta del vizio allegato (in quanto il materiale elettorale — specialmente le schede votate- non è nella disponibilità del ricorrente), per la loro serietà e congruenza supportano validamente le allegazioni di fatto offerte dalla parte ricorrente (Cons. St. V, n. 3381/2015; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 23 gennaio 2015, n. 57; T.A.R. Trentino-Alto Adige (Trento) I, 9 ottobre 2015, n. 377). In tale ottica sono stati riconosciuti come principi di prova o elementi di riscontro la dichiarazione sostitutiva dell'atto notorio, prodotta a sostegno di un ricorso elettorale (T.A.R. Roma (Lazio), II, 8 febbraio 2022, n.1465) o le tabelle di scrutinio che di norma accompagnano i verbali (Cons. St. V, n. 401/2010; T.A.R. Umbria I, 23 luglio 2014, n. 408); pertanto, qualora non sia possibile ricavare con certezza dagli stessi i voti di preferenza espressi, il giudice può disporre in via istruttoria una verificazione, di norma affidata alla prefettura e da svolgersi in contraddittorio con le altre parti, sui voti effettivamente espressi dagli elettori, in relazione alle sezioni in contestazione(T.A.R. Lazio (Latina) ord. n. 139/2022; T.A.R. Lazio (Roma), n. 2525/2017).
Udienza di discussione, sentenza e comunicazioni
Secondo il generale principio di celerità e concentrazione del processo elettorale, in base al comma 6 dell'art. 130, dopo aver sentito le parti, se presenti, all'udienza di discussione, il collegio pronuncia la sentenza.
Ai sensi del successivo comma 7, la sentenza è pubblicata entro il giorno successivo alla decisione della causa. Nel caso in cui la «complessità delle questioni» oggetto del giudizio non consente la pubblicazione della sentenza in un termine così ristretto, si prevede in ogni caso la pubblicazione del dispositivo (sempre entro il giorno successivo all'udienza) e la sentenza è pubblicata entro i dieci giorni successivi (alla pubblicazione del dispositivo).
A differenza del rito di cui all'art. 129, che dispone espressamente la forma semplificata per la sentenza che definisce il relativo giudizio, nel caso del rito in commento la sentenza è redatta nella forma ordinaria.
Il comma 8 dispone, infine, la trasmissione immediata della sentenza, a cura della segreteria del tribunale amministrativo, all'ente cui si riferisce l'elezione (ossia, al Sindaco, alla giunta provinciale, alla giunta regionale, o al presidente dell'ufficio elettorale nazionale). Questi, ricevuta la sentenza, ha l'obbligo di pubblicare entro ventiquattro ore il dispositivo della sentenza nell'albo o nel bollettino ufficiale dell'ente interessato a mezzo del segretario. La pubblicazione dovrà durare almeno 15 giorni. Nel caso di elezioni relative a comuni, province e regioni la sentenza è comunicata anche al Prefetto. Il medesimo onere di pubblicazione sussiste anche una volta sia passata in giudicato la sentenza; in tal caso si annota sulla copia già pubblicata, la sua definitività.
Ulteriore obbligo di trasmissione incombe sull'ente della cui elezione si tratta, il quale dovrà comunicare, ai sensi del comma 11, «agli interessati la correzione del risultato elettorale» (nel caso di elezioni europee, la comunicazione dovrà essere eseguita, oltre che agli interessati, anche alla segreteria del parlamento europeo).
Il potere correttivo del giudice
Con riguardo al contenuto della sentenza, il comma 9 dell'art. 130 attribuisce al giudice, in caso di accoglimento del ricorso, il potere di correzione diretto del risultato delle elezioni, sostituendo ai candidati illegittimamente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo.
Si è osservato trattarsi di un'ipotesi particolare di giurisdizione estesa al merito, dove il giudice — non si sostituisce all'amministrazione nelle valutazioni di opportunità che le competono — ma interviene direttamente sul risultato elettorale, mediante un potere sostitutivo di tipo correttivo (Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2012, 776), che rappresenta espressione di potestà amministrative vincolate, quale è il potere di proclamazione degli eletti (Pellegrino, cit., 1067).
Il potere correttivo riguarda anche le elezioni relative al Parlamento europeo, riguardo alle quali la norma precisa che i voti delle sezioni le cui operazioni sono state annullate non hanno effetto (con ciò innovando rispetto al regime precedente in cui il potere correttivo spettava all'ufficio elettorale).
La peculiare natura del potere di correzione diretta dei risultati delle elezioni trova ragione anche nella natura temporanea degli organi elettorali che, una volta sciolti, non potrebbero in ogni caso intervenire in autotutela per correggere il risultato.
La giurisprudenza, nel procedere alla correzione dei risultati elettorali, ha delineato alcuni principi che guidano l'esercizio di tale potere sostitutivo. In particolare, si tratta de:
- il principio della strumentalità delle forme, in base al quale possono comportare l'annullamento delle operazioni elettorali un'irregolarità o la mancanza di requisiti aventi carattere sostanziale, ossia insuscettibili di essere rinvenuti aliunde e posti a presidio di una espressa manifestazione di volontà elettorale (e, di converso, non determinano annullamento delle operazioni i vizi di tipo formale o mere irregolarità, che non compromettono la libera espressione del diritto di voto) (cfr. Cons. St. III, n. 2159/2016, che ha ritenuto non invocabile il principio nel caso di mancanza dell'autenticazione della sottoscrizione del candidato di accettazione della lista, la quale è posta a presidio della effettiva e certa volontà di accettazione della candidatura nella lista per quella specifica Municipalità; v. anche Cons. St. V, n. 3151/2014). Il principio in questione comporta, anche alla luce dei generali principi di conservazione dell'atto, che deve considerarsi quale illegittimità non invalidante nel procedimento elettorale la presenza di vizi formali, qualora sia accertato che il contenuto del provvedimento non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, in ossequio al preminente interesse alla stabilità del risultato elettorale ( Cons.St. III, 4863/2016; Cons. St. V, n. 1374/2015; v. anche Cons. St., V, n. 2920/2015; Cons.St. n. 6089/2002; Cons. St. n. 6104/2000; Cons. St. n. 4830/2001; Cons. St. n. 3097/2011; T.A.R. Emilia-Romagna II, 16 maggio 2016, n. 512; T.A.R. Campania (Salerno) I, 9 febbraio 2016, n. 332; T.A.R. Campania (Napoli) II, 24 aprile 2015, n. 2362; T.A.R. Puglia (Bari) II, 6 maggio 2015, n. 673).
- il principio della c.d. prova di resistenza, in base al quale non è consentito al giudice di pronunciare l'annullamento dei voti in contestazione se l'illegittimità denunciata al riguardo non ha influito in concreto sui risultati elettorali, e quindi l'eliminazione di tale illegittimità non determinerebbe in ogni caso la modifica dei risultati medesimi. Così, ad esempio, un evidente disordine nello svolgimento delle operazioni elettorali, attesa la non corrispondenza tra i numeri delle schede autenticate, votate e residuate, non appare suscettibile di condurre all'annullamento delle operazioni, se non viene altresì dimostrata la sua concreta incidenza sul risultato elettorale, non essendo sufficiente un mero dubbio (Cons. St. II, n. 7294/2021; Cons. St. III, n. 275/2017; Cons. St. n. 2950/2016).
Tale regola non è tuttavia invocabile qualora le irregolarità siano così diffuse e generali da comportare una lesione profonda al diritto di voto e alla stessa trasparenza del procedimento elettorale, ovvero sono tali da far emergere un quadro di assoluta incertezza in ordine al corretto formarsi della volontà elettorale (Cons.St. III, n. 1489/2017; Cons. St. n. 610/2016; Cons. St. V, n. 1059/2016; Cons. St. V, n. 4241/2014; C.G.A. n. 46/2014; Cons. St. V, n. 5670/2011; T.A.R. Sardegna I, 28 aprile 2016, n. 374; T.A.R. Piemonte I, 25 febbraio 2015, n. 352).
- il principio della domanda che, nella peculiare materia elettorale, si traduce nel divieto per il GA di procedere ad un controllo generalizzato delle operazione elettorali, potendo lo stesso pronunciarsi solo su vizi specifici, dovendo rimanere nei limiti della domanda. Sarebbe illegittimo l'esercizio di un potere correttivo riferito, ad esempio, a candidati diversi che non hanno impugnato l'atto di proclamazione ( Cons.St., n. 610/2016; Cons. St. V, n. 3280/2016; Cons. St.Ad. plen., 32/2014;T.A.R. Lazio (Roma) II, 3468/2017; Cons.St. n. 12034/2014).
Nello stesso senso si è sottolineato come, nel giudizio elettorale, il giudice non esercita una giurisdizione di diritto obiettivo e non può rieffettuare alcun calcolo, se non in sede di esame di censure ritualmente proposte. Infatti, pur rientrando nella giurisdizione tradizionalmente definita «estesa al merito», nella quale cioè al giudice amministrativo sono attribuiti poteri di intervento aggiuntivi ed ulteriori rispetto a quello puramente demolitorio, tali giudizi non riguardano tanto la tutela di diritti soggettivi, quanto piuttosto l'interesse alla certezza dei rapporti di diritto pubblico, con la conseguenza che i poteri esercitabili dal giudice sono necessariamente circoscritti nell'ambito costituito dall'oggetto del giudizio, così come delimitato dal ricorrente con la tempestiva indicazione degli specifici vizi da cui sono affette le operazioni elettorali e, in particolare, dell'atto di proclamazione degli eletti che le conclude ( Cons.St. V, n. 2773/2014; Cons. St. n. 755/2014; v. anche Cons. St. V, n. 2009/2002; Cons.St. n. 796/2001; Cons. St. n. 3735/2002).
Cionondimeno, l'interesse generale alla correzione del risultato elettorale può giustificare l'accoglimento della impugnativa anche qualora l'addizione dei voti non conduca alla elezione del ricorrente (ma soltanto ad una sua migliore posizione nella graduatoria dei non eletti), anche avuto riguardo ad un possibile avvicendamento tra i candidati eletti e quelli non eletti ma collocati in graduatoria (T.A.R. Bologna, Emilia-Romagna, II, 31/10/2017, n. 699).
Se per effetto della decisione del giudice è disposto l'annullamento delle elezioni comunali, trova applicazione l' art. 85, d.P.R. n. 570/1960, a mente del quale il Prefetto provvede all'amministrazione del Comune a mezzo di un commissario sino a quando, a seguito di impugnativa, la decisione predetta non venga sospesa o il Consiglio comunale non sia riconfermato con decisione definitiva, oppure sino a quando il Consiglio medesimo non venga rinnovato con altra elezione. Si procede, quindi, al rinnovo delle elezioni al primo turno utile.
La proposizione dell'appello
La disciplina dei termini e delle modalità dell'appello avverso la sentenza con cui il giudice ha definito il giudizio di primo grado è contenuta nell'art. 131 c.p.a.
La norma in commento si applica alle sentenze emesse in relazione alle operazioni elettorali di comuni, province, regioni e città metropolitane (cfr. art. 7, comma 8-quater, d.l. 31 agosto 2016, n. 168, recante «Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l'efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa», come modificato dalla legge di conversione 25 ottobre 2016, n. 197 (in Gazz. Uff. 29 ottobre 2016, n. 254), entrata in vigore il 30 ottobre 2016, secondo cui «Le disposizioni in materia di contenzioso sulle operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province e delle regioni, previste dal libro quarto, titolo VI, del codice del processo amministrativo, di cui all'allegato 1 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, si applicano anche al contenzioso sulle operazioni elettorali delle città metropolitane»).
Per ciò che riguarda le elezioni del Parlamento europeo va integrata con le previsioni speciali di cui all'art. 132 (v. infra).
Le modalità di proposizione dell'appello sono quelle ordinarie: Pertanto, l'atto deve prima essere notificato e quindi depositato. La norma richiama, al comma 2, l'applicazione generale della disciplina del processo di appello dinnanzi al Consiglio di Stato, alla quale tuttavia si deroga per taluni aspetti.
La norma espressamente include tra i soggetti legittimati a proporre appello «coloro nei cui confronti è obbligatoria la notifica» della sentenza di prime cure, ossia, il ricorrente e i controinteressati, se costituiti, nel giudizio davanti al T.A.R. (è il caso, ad esempio dell'ente locale della cui elezione si tratta, al quale la sentenza deve essere trasmessa ai sensi dell'art. 130, comma 8).
La norma prevede altresì la legittimazione dei cittadini elettori, ancorché rimasti estranei al giudizio, secondo lo schema dell'azione popolare. Ciò in ragione del fine al quale è volto il processo elettorale, ossia alla salvaguardia dell'interesse pubblico generale nonché alla corretta applicazione della legge e della procedura elettorale, finalità che trovano compiuta realizzazione attraverso una più ampia iniziativa processuale rispetto al rito ordinario.
È quindi operante il c.d. principio di fungibilità dell'azione elettorale, in base al quale qualsiasi elettore, anche se estraneo al giudizio di primo grado, può proporre appello (cfr. Cons. St. V, n. 790/1996; T.A.R. Sicilia (Catania), II, 12 marzo 2012, n. 656).
Si ritiene che al processo di appello, in virtù del richiamo generale operato dal comma 2, si applichi la norma codicistica (art. 95, co. 2) relativa al necessario patrocinio del difensore abilitato all'esercizio innanzi alle giurisdizioni superiori (Cons. St. V, n. 999/2011 e Cons. St. n. 81/2011).
Il termine di impugnazione della sentenza di primo grado è di venti giorni, che decorrono dalla notificazione della decisione per «coloro nei cui confronti la notifica è prevista come obbligatoria», mentre per tutti gli altri candidati o elettori il termine di venti giorni decorre dalla data di pubblicazione della sentenza sull'albo pretorio del comune.
Con riferimento al termine lungo per impugnare, in mancanza di notificazione della sentenza di primo grado, lo stesso è disciplinato dal combinato disposto dell'art. 91, comma 3 e 130, comma 10, per cui risulta dimezzato rispetto a quello ordinario e pari a tre mesi decorrenti dalla pubblicazione della sentenza.
Anche in appello il presidente della sezione fissa l'udienza di discussione in via d'urgenza (art. 130, comma 2).
Al giudizio si applicano le norme che regolano il processo di appello innanzi al Consiglio di Stato, e i relativi termini sono dimezzati rispetto a quelli del giudizio ordinario.
Ciò vale in particolare per la disciplina dell'intervento in appello e per l'appello incidentale, per i quali valgono i termini ordinari dimidiati.
Anche in tale fase è attribuito al giudice di appello il potere, nel caso di accoglimento del ricorso, di annullare interamente le operazioni elettorali, ovvero correggere il risultato elettorale con la sostituzione dei candidati illegittimamente proclamati con quelli di cui si sia accertato il diritto (art. 130, comma 9).
Non è prevista la pubblicazione del dispositivo. La sentenza è immediatamente trasmessa ai soggetti di cui all'art. 130, comma 8, che provvedono agli adempimenti previsti in tema di comunicazioni e pubblicazione, anche ai sensi del comma 11 dello stesso art. 130 (si tratta, in particolare, della comunicazione agli interessati della correzione del risultato elettorale e della comunicazione da parte dell'Ufficio elettorale nazionale della correzione del risultato elettorale agli interessati ed alla segreteria del Parlamento europeo).
Si ritiene ammissibile il rimedio straordinario della opposizione di terzo, pur limitato ai soli liticonsorzi necessari pretermessi nel giudizio e non alla generalità degli elettori (cfr. Cons. St., V, n. 6012/2011). Analogamente, nel caso di revocazione, trovano applicazione i termini ordinari e le modalità procedurali propri del giudizio cui pertiene la sentenza di cui si domanda la revocazione (dovendosi, come visto, distinguere il rito di primo grado da quello in fase di appello) (cfr. Cons. St. V, n. 2727/2011; Cons. St. V, n. 547/1988).
Procedimento in appello in relazione alle operazioni elettorali del Parlamento europeo
Rispetto al procedimento generale appena esaminato, l'art. 132 introduce talune deroghe in relazione alle elezioni del Parlamento europeo.
Queste riguardano:
- le modalità di proposizione dell'appello, incombendo alle parti del giudizio di primo grado l'onere di depositare una dichiarazione contenente il gravame presso la segreteria del tribunale amministrativo regionale che ha pronunciato la sentenza;
- il termine entro cui depositare tale dichiarazione, ristretto a cinque giorni decorrenti dalla pubblicazione della sentenza o, in mancanza, del dispositivo (art. 132, comma 1).
Quindi, l'atto di appello contenente i motivi deve essere depositato entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla ricezione dell'avviso di pubblicazione della sentenza (art. 132, comma 2). La norma non chiarisce se entro tale termine l'atto deve essere anche notificato (stante il generale richiamo alle norme del giudizio di appello davanti al Consiglio di Stato, per il deposito si ritiene valgano i termini ordinari, dimezzati).
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Sommario
Giudizio avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali