Decreti di convalida e di proroga del trattenimento dei migranti richiedenti protezione internazionale

16 Aprile 2025

Il processo di cassazione dopo la sentenza della Corte costituzionale 10 aprile 2025, n. 39. La Corte, accogliendo la questione di legittimità sollevata dalla Prima Sezione penale della Corte di cassazione, con ordinanza del 31 gennaio 2025, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, determinando la rivisitazione del processo di cassazione sui decreti di convalida e di proroga dei migranti richiedenti protezione internazionale.

La questione di illegittimità costituzionale 

Con la sentenza n. 39 del 2025 la Corte costituzionale ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 […], come modificato dall'art. 18-bis, comma 1, lett. b), n. 2), d.l. n. 145/2024 […], convertito, con modificazioni, nella legge 9 dicembre 2024, n. 187, richiamato dall'art. 6, comma 5-bis, d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142 […], come introdotto dall'art. 18, comma 1, lettera a), n. 2), d.l. n. 145/2024, come convertito, nella parte in cui, al terzo periodo, rinvia all'art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, l. n. 69/2005, anziché ai commi 3 e 4 di quest'ultimo articolo» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

La declaratoria è intervenuta a seguito della rimessione della questione di costituzionalità sollevata dalla Corte di cassazione con ordinanza del 25 gennaio 2025, con cui era stata dichiarata «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, richiamato dall'art. 5-bis d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, nella parte in cui, rinviando alle disposizioni di cui all'art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, della legge 22 aprile 2005, n. 69, prevede che la Corte di cassazione giudichi in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori, in tal modo affidando alla creazione dell'autorità giudiziaria l'individuazione delle scansioni processuali idonee a realizzare il contraddittorio nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti previsto per la decisione, in relazione agli articoli 3, 24,111, commi 1 e 2, 117 Cost., quest'ultimo con riferimento all'art. 6, par. 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali» (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia).

Occorre, in proposito, precisare che la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione, in relazione agli artt. 3,24,111, commi 1 e 2, 117 Cost., 6, par. 1, CEDU, riguarda la nuova formulazione dell'art. 14, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, che disciplina i provvedimenti di trattenimento, presso un centro di permanenza per i rimpatri, degli immigrati clandestini che avanzano richiesta di protezione internazionale (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia).

Deve, inoltre, precisarsi che la complessità della declaratoria di incostituzionalità in esame discende dal complesso di norme stratificato su cui è intervenuta, che discende dal fatto che l'art. 14, comma 6, d.lgs. n. 286 del 1998, è richiamata, in relazione alla presentazione del ricorso per cassazione nella materia migratoria in questione, dalla previsione dell'art. 6, comma 5-bis, d.lgs. n. 142 del 2015, che veniva aggiunto in sede di conversione dall'art. 18, comma 1, lett. a), n. 2, d.l. 145/2024.

L'originaria vicenda processuale

In questa, stratificata, cornice normativa si inserisce la vicenda giurisdizionale che dava origine alla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione, che prende le mosse dal decreto adottato il 10 gennaio 2025 dal Questore di Nuoro. Con tale provvedimento, in particolare, veniva disposto il trattenimento del migrante presso un centro di permanenza per i rimpatri degli stranieri che richiedono protezione internazionale, che veniva convalidato dal Giudice di pace di Oristano il 13 gennaio 2015 (Si rinvia, in proposito, a A. Centonze, Primi dubbi di costituzionalità sui provvedimenti di trattenimento dei migranti, in IUS Penale, 10 gennaio 2025).

Per inquadrare la vicenda processuale presupposta, occorre evidenziare che, nel procedimento celebrato davanti al Giudice di Pace di Oristano, si accertava che il migrante di cui si controverte non aveva presentato alcuna richiesta di protezione internazionale, pur essendo entrato clandestinamente nel nostro Paese nel dicembre del 2021.

Si accertava, inoltre, che la richiesta di protezione internazionale del migrante era stata formalizzata soltanto il 15 gennaio 2025, dopo l'adozione del decreto di convalida sopra citato.

La convalida del trattenimento veniva giustificata dal Giudice di pace di Oristano per i precedenti, penali e di polizia, dell'immigrato clandestino, che imponevano di considerarlo pericoloso per l'ordine e la sicurezza pubblica, ai sensi dell'art. 6, comma 2, lett. c), d.lgs. n. 142/2015. Tale giudizio di pericolosità, a sua volta, veniva integralmente recepito dalla Corte di appello di Cagliari, che, investita dell'impugnazione, esprimeva un giudizio di piena condivisibilità della motivazione dell'originario provvedimento di trattenimento adottato nei confronti dell'immigrato clandestino.

Il percorso argomentativo seguito dai Giudici di merito, quindi, veniva censurato dalla difesa del ricorrente sotto una pluralità di profili ermeneutici, che, nella sostanza, concernevano la legittimità costituzionale della nuova formulazione dell'art. 14, comma 6, d.lgs. n. 286/1998, sia sul piano del diritto interno sia sul piano del diritto sovranazionale.

Secondo la difesa del ricorrente, sul piano del diritto interno, la disciplina del novellato art. 14, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 comportava la violazione degli artt. 3,24,111, commi 1 e 2, Cost., determinando un'ingiustificabile compressione del diritto alla difesa del migrante nel processo instaurato davanti alla Corte di cassazione, come conseguenza diretta della lesione del principio del contraddittorio tra le parti processuali.

Sul piano del diritto sovranazionale, invece, la norma censurata contrastava con il combinato disposto degli artt. 10,117 Cost. e 3CEDU, prevedendo la possibilità di rimpatriare l'immigrato clandestino inaudita altera parte, senza tenere in adeguata considerazione i pericoli per la sua incolumità fisica, che dovevano essere valutati alla luce delle condizioni politiche e istituzionali del Paese di provenienza del soggetto trattenuto, dal vaglio delle quali non si poteva prescindere.

I dubbi di costituzionalità sulle garanzie del contraddittorio nel procedimento in Cassazione

Le censure difensive, nel loro nucleo essenziale, incidente sull'ingiustificata limitazione del diritto di difesa del migrante, venivano recepite dalla Prima Sezione penale della Corte di cassazione, competente ratione materiae, investita dell'impugnazione avverso l'ordinanza emessa dalla Corte di appello di Cagliari il 17 gennaio 2024 (Si rinvia, ancora, a A. Centonze, Primi dubbi di costituzionalità sui provvedimenti di trattenimento dei migranti, in questo portale, cit.).

Secondo il Giudice rimettente, che riteneva non manifestamente infondate e rilevanti le questioni di legittimità costituzionale sollevate, la disciplina del procedimento celebrato davanti alla Corte di cassazione, in tema di trattenimento nei centri di permanenza dei migranti che richiedono protezione internazionale, introdotta dall'art. 14, comma 6, d.lgs. n. 286/1998, non forniva adeguate garanzie in ordine al rispetto del principio del contraddittorio tra le parti processuali, tenuto conto delle modalità con cui gli obiettivi di celerità perseguiti dal legislatore venivano assicurati.

Si riteneva, infatti, che le finalità di speditezza processuale cui tende il novellato art. 14, comma 6, d.lgs. n. 286/1998, pur essendo espressione dei poteri discrezionali di cui disponeva il legislatore, non potevano non armonizzarsi con le garanzie del contraddittorio tra le parti, assicurate dalle disposizioni degli artt. 24, comma 2, e 111, commi 1 e 2, Cost. Gli obiettivi di celerità perseguiti dal legislatore nella materia in esame, dunque, in assenza di adeguati contrappesi procedurali, non potevano pregiudicare le prerogative difensive del migrante, che, sebbene trattenuto per effetto della sua richiesta di protezione internazionale, non poteva disporre di garanzie, ex se, limitate (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

D'altra parte, l'inquadramento del diritto al contraddittorio tra le parti traeva il suo fondamento normativo, oltre che dalle norme costituzionali, dalla disposizione dell'art. 6, par. 1, CEDU, secondo cui ogni persona sottoposta a un processo penale ha diritto «a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti […]».

La Corte rimettente, al contempo, a ulteriore sostegno dei profili di criticità segnalati, rilevava che, pur in un contesto similare di celerità procedimentale, l'art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, legge n. 69/2005, che riguardava la disciplina del mandato di arresto europeo e costituiva il punto di riferimento sistematico della disciplina del procedimento davanti alla Corte di cassazione, ipotizzava per i casi di «assenza del consenso o della rinuncia cui fa riferimento l'art. 14, comma 1, l. n. 69/2005, un modello che, attraverso il richiamo all'art. 127 c.p.p. consente un ordinato svolgimento del contraddittorio attraverso il riferimento ad un procedimento adeguato al contrasto di posizioni delle parti» (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

Le criticità segnalate dalla Corte rimettente, infine, mettevano in rilievo «l'ulteriore profilo di problematicità costituzionale, relativo alla ragionevolezza della scelta legislativa di optare per una disciplina processuale costruita sul presupposto di una scelta consensuale del destinatario della richiesta di consegna laddove, nel caso di specie, il procedimento è contrassegnato da una manifesta contrapposizione degli interessi in gioco» (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

La riformulazione dell'art. 14 e il superamento del limite al sindacato della discrezionalità del legislatore in materia processuale

Le censure di costituzionalità dell'art. 14, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 mosse dalla Corte di cassazione hanno trovato sostanziale accoglimento nella pronuncia che si commenta, che ha ribadito l'ampia discrezionalità di cui dispone il legislatore italiano nell'introduzione di nuovi istituti processuali, precisando, però, che tali poteri discrezionali incontrano i limiti invalicabili della manifesta irragionevolezza e dell'arbitrarietà delle opzioni normative prescelte, che, più volte, anche in tempi recenti, sono stati richiamati dalla Corte costituzionale (C. cost., n. 36/2025; C. cost., n. 96/2024).

La Corte costituzionale, in proposito, richiamando un recente intervento chiarificatore (C. cost., n. 230/2022), ha precisato che il giudizio sull'irragionevolezza e sull'arbitrarietà delle scelte di politica legislativa compiute deve essere rigoroso, in quanto la disciplina del processo è «frutto di delicati bilanciamenti tra principi e interessi in naturale conflitto reciproco, sicché ogni intervento correttivo su una singola disposizione, volto ad assicurare una più ampia tutela a uno di tali principi o interessi, rischia di alterare gli equilibri complessivi del sistema» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

D'altra parte, è indubbio che la scelta legislativa di rimodulare forme e tempi del giudizio di legittimità, relativo al trattenimento in un centro di permanenza di un immigrato clandestino che richiede protezione internazionale, risponde a esigenze di politica giudiziaria particolarmente complesse, che coinvolgono profili valutativi non esclusivamente processuali, essendo «il legislatore chiamato a compiere una ponderazione tra l'esigenza di assicurare la sollecita definizione di un giudizio sulla libertà della persona e la necessità che il processo si dipani secondo cadenze temporali idonee a garantire un compiuto confronto tra le parti» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

A ben vedere, a questo delicato equilibrio, su cui si impone una comparazione tra interessi eterogenei, la Corte costituzionale ha fatto riferimento anche nel recente passato, evidenziando che il superamento del limite del sindacato di discrezionalità del legislatore nell'introduzione di nuovi istituti processuali è certamente ravvisabile in tutte quelle ipotesi in cui emerga un'ingiustificabile limitazione del diritto di difesa delle parti, che rappresenta un momento indispensabile e non surrogabile del giudizio. Tale momento trae origine da una prospettiva che mira alla ricerca dialettica della verità processuale, che deve indirizzare il giudice a emettere una pronuncia, in contraddittorio, per quanto possibile rispettosa delle regole procedurali e, al contempo, “giusta” (C. cost. n. 73/2022, cit.).

Il contraddittorio tra le parti, infatti, è una garanzia fondamentale del giusto processo prefigurato dall'art. 111 Cost., mirando a soddisfare la «necessità che tanto l'attore, quanto il contraddittore, partecipino o siano messi in condizione di partecipare al procedimento», fermo restando che «al legislatore è consentito di differenziare la tutela giurisdizionale con riguardo alla particolarità del rapporto da regolare» (C. cost. n. 73/2022, cit.).

Muovendo da questi, consolidati, parametri costituzionali, il Giudice delle leggi ha ritenuto che il legislatore italiano aveva superato i confini entro i quali avrebbe dovuto esercitare i suoi, pur irrinunciabili, poteri discrezionali in materia di politica migratoria. Tale superamento discendeva dal fatto, che, con la riforma dell'art. 14, comma 6, d.lgs. n. 286/1998, si era introdotta una disciplina normativa che sconfinava nella manifesta irragionevolezza, prefigurando un modello processuale strutturalmente inidoneo a garantire il contraddittorio nel giudizio di legittimità.

Si è evidenziato, in proposito, che la disciplina introdotta dal novellato art. 14, comma 5, d.lgs. n. 286/1998 comporta che la Corte di cassazione decida esclusivamente sulla base del ricorso e delle conclusioni formulate dal procuratore generale, senza che all'instaurazione del processo  introdotto con l'atto di impugnazione faccia seguito un confronto effettivo tra le parti di questo complesso procedimento, che, come segnalato dal Giudice rimettente, implica una verifica rigorosa del compendio processuale, che tenga conto della “manifesta contrapposizione degli interessi in gioco” (Cass. pen., sez. I, 31 gennaio 2025, n. 1959, Bouazdia, cit.).

L'incompletezza del contraddittorio, invero, è comprovata dal fatto che, nel procedimento che si svolge davanti alla Corte di cassazione, è esclusa la partecipazione all'udienza camerale del difensore dell'immigrato clandestino e del Pubblico ministero, che non possono chiedere di essere sentiti dal Collegio. Tale esclusione, peraltro, appare ancora più problematica alla luce del fatto che non è contemplata la possibilità di depositare memorie, attraverso le quali ci si possa confrontare con le deduzioni della controparte, limitando ulteriormente il diritto al contraddittorio, in evidente contrasto con le previsioni degli artt. 3,24 e 111 Cost.

Tutto questo comporta, ad esempio, in quella che rappresenta l'ipotesi più rappresentativa tra quelle che si stanno considerando, che «nel caso in cui sia la persona trattenuta ad impugnare il decreto di convalida, alla stessa è precluso replicare alle richieste della procura generale presso la Corte di cassazione non essendo, appunto, previsto il deposito di memorie. Neppure è prevista alcuna memoria per l'Amministrazione che ha adottato il provvedimento di trattenimento» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

Per altro verso, la Corte costituzionale ha evidenziato che, a sostegno della legittimità costituzionale del modello processuale prefigurato dall'art. 14, comma 5, d.lgs. n. 286/1998, così come modificato dall'art. 18-bis, comma 1, lett. b), n. 2), d.l. n. 145/2024, non può essere utilizzata la disciplina del mandato di arresto europeo consensuale, alla quale pure il legislatore mostra di riferirsi paradigmaticamente (C. cost., n. 39/2025, cit.).

Infatti, la particolare concentrazione «del rito in materia di mandato d'arresto europeo nell'ipotesi speciale in cui risulti il consenso della persona richiesta in consegna, in termini più ristretti rispetto all'ipotesi ordinaria in cui tale consenso non è stato espresso si giustifica non solo in ragione della garanzia dell'habeas corpus […] e della necessità di concludere l'intera procedura di consegna nel rispetto dei rigidi limiti temporali imposti dalla decisione quadro 2002/584/GAI e ribaditi dall'art. 22-bis l. n. 69/2005, ma anche per la limitatezza del thema decidendum» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

Né potrebbe essere diversamente, atteso che, in queste ipotesi, per effetto del consenso alla consegna al mandato di arresto europeo manifestato dall'arrestato, come affermato dalla Corte di cassazione in un risalente arresto ermeneutico, espressamente richiamato nella decisione che si commenta, la cognizione dell'autorità giudiziaria è limitata al controllo della legalità del procedimento attivato nei suoi confronti; alla validità della manifestazione del consenso prestato dallo straniero; all'insussistenza di motivi di rifiuto alla consegna; all'eventuale priorità di altri mandati di arresto europeo (Cass. pen., sez. VI, 3 dicembre 2015, n. 48943, Alexandroae).

A tali considerazioni deve aggiungersi che il sindacato della Corte di cassazione può estendersi alla verifica di profili che eccedono la regolarità della adozione della misura restrittiva oggetto di vaglio, implicando la valutazione di profili, strico iure, non processuali, come quelli afferenti alla sicurezza dello straniero nel suo Paese di origine.

Non può, in proposito, non rilevarsi che il trattenimento dell'immigrato clandestino in un centro di permanenza rappresenta «la modalità organizzativa prescelta dal legislatore per rendere possibile, nei casi tassativamente previsti dall'art. 14, comma 1, che lo straniero, destinatario di un provvedimento di espulsione, sia accompagnato alla frontiera ed allontanato dal territorio nazionale. Il decreto di espulsione con accompagnamento, che, giova ribadire, ai sensi dell'art. 13, comma 3, deve essere motivato, rappresenta quindi il presupposto indefettibile della misura restrittiva, e in quanto tale non può restare estraneo al controllo dell'autorità giudiziaria» (C. cost., n. 105/2001).

L'illegittima dell'art. 14 e la riconducibilità ai parametri costituzionali 

Il contrasto del novellato art. 14, comma 5, d.lgs. n. 286/1998 con le norme degli artt. 3,24 e 111 Cost., dunque, deve ritenersi pacifico, discendendo dal superamento del limite del sindacato di discrezionalità del legislatore nella materia processuale, che determina una compressione ingiustificata e irragionevole delle prerogative difensive del migrante trattenuto in un centro di permanenza per effetto della sua richiesta di protezione internazionale.

La Corte costituzionale, al contempo, ha evidenziato che la rimozione del terzo periodo del comma 6, dell'art. 14 d.lgs. n. 286/1998, nella parte in cui rinvia all'art. 22, comma 5-bis, quarto periodo, l. n. 69/2005 determina «un vuoto normativo, dal momento che, pur non incidendo sulle nuove regole […] concernenti l'introduzione del giudizio, l'ambito delle censure proponibili e le forme proprie della giurisdizione penale, determina il venir meno della disciplina relativa al successivo iter procedurale» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

Nell'emettere la pronuncia che si commenta, pertanto, il Giudice delle leggi si è posto il problema dell'individuazione di soluzione normative utili a fare fronte alle lacune disciplinatorie determinate dalla declaratoria di parziale incostituzionalità dell'art. 14 d.lgs. n. 286/1998, evidenziando che, tra i modelli processuali che possono consentire «di porre rimedio alle violazioni riscontrate, quella del giudizio di legittimità in materia di mandato d'arresto europeo ordinario […], costituisce la soluzione normativa più vicina alla logica perseguita dal legislatore nella fattispecie in scrutinio» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

Secondo il Giudice delle leggi, le affinità strutturali con il procedimento di cui all'art. 22, comma 5-bis, l. n. 69/2005, che rappresenta il punto di riferimento paradigmatico della norma censurata, derivano dalla funzione e dall'oggetto dei due modelli processuali, che pure si differenziano per i meccanismi procedimentali, diversamente articolati.

Le affinità strutturali con il procedimento di cui all'art. 22, comma 5-bis, l. n. 69/2005, inoltre, derivano «dal raffronto delle modalità di introduzione dei giudizi, posto che anche il processo in cassazione sul mandato d'arresto europeo non consensuale può essere promosso esclusivamente per far valere l'eccesso di potere giurisdizionale e la violazione di legge sostanziale e processuale, essendo stato espunto dalla relativa disciplina il riferimento alla proponibilità del ricorso ‘anche nel merito' ed essendo il sindacato della Corte di cassazione circoscritto ai soli motivi previsti dall'art. 606, comma 1, lettere a), b) e c) c.p.p.» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

Le affinità strutturali tra i due procedimenti penali, infine, derivano dai termini estremamente ristretti entro i quali, nelle ipotesi di trattenimento di un migrante in un centro di permanenza, il ricorso per cassazione deve essere presentato e in quelli, altrettanto brevi, nei quali la decisione deve essere pronunciata (C. cost., n. 39/2025, cit.).

Tenuto conto di tali, incontroverse, affinità strutturali tra i due modelli processuali, la Corte costituzionale ha ritenuto che la riconducibilità ai parametri costituzionali dell'art. 14, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 debba essere effettuata «integrando il contenuto del comma 6 dell'art. 14 d.lgs. n. 286/1998, là dove, nel terzo periodo, è stato privato del riferimento al quarto periodo dell'art. 22, comma 5-bis, l. n. 69/2005, con le regole procedurali dettate dai commi 3 e 4 del medesimo art. 22 l. n. 69/2005» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

Secondo tali regole processuali, che disciplinano il giudizio di legittimità sul mandato di arresto europeo, la «Corte di cassazione decide con sentenza entro dieci giorni dalla ricezione degli atti nelle forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale. L'avviso alle parti deve essere notificato o comunicato almeno tre giorni prima dell'udienza» e la «decisione è depositata a conclusione dell'udienza con la contestuale motivazione. Qualora la redazione della motivazione non risulti possibile, la Corte di cassazione, data comunque lettura del dispositivo, provvede al deposito della motivazione non oltre il secondo giorno dalla pronuncia» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

Il processo di cassazione sui decreti di convalida e di proroga del trattenimento dei migranti 

Per effetto dell'intervento operato dalla Corte costituzionale, il processo di cassazione relativo ai decreti di convalida e di proroga del trattenimento dei migranti che richiedono protezione internazionale, emessi ex art. 14 d.lgs. n. 286/1998, si articola nei termini enunciati dalla decisione che si commenta.

Più precisamente, secondo la sequenza procedimentale prefigurata dalla sentenza n. 39 del 2025, il giudizio davanti alla Corte di cassazione «è instaurato con ricorso proponibile entro cinque giorni dalla comunicazione, per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell'art. 606, c.p.p.; il ricorso, che non sospende l'esecuzione della misura, è presentato nella cancelleria della corte di appello che ha emesso il provvedimento, la quale lo trasmette alla Corte di cassazione, con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo, unitamente al provvedimento impugnato e agli atti del procedimento; la Corte di cassazione decide con sentenza entro dieci giorni dalla ricezione degli atti nelle forme di cui all'art. 127 c.p.p. e, quindi, in un'adunanza camerale nella quale sono sentiti, se compaiono, il pubblico ministero e il difensore; l'avviso alle parti deve essere notificato o comunicato almeno tre giorni prima dell'udienza; la decisione è depositata a conclusione dell'udienza con la contestuale motivazione; qualora la redazione della motivazione non risulti possibile, la Corte di cassazione, provvede al deposito della motivazione non oltre il secondo giorno dalla pronuncia».

In questo modo, la Corte costituzionale, sia pure allo stato, ha inteso porre rimedio alla violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa concretizzata dal novellato art. 14, comma 6, d.lgs. n. 286/1998, individuando, nel rigoroso rispetto della ratio legis e dei parametri costituzionali degli artt. 3,24 e 111 Cost., una disciplina compatibile con quella originariamente prefigurata dal legislatore.

Resta comunque ferma, per il legislatore, la possibilità «di intervenire in qualsiasi momento per individuare, nell'esercizio dell'ampia discrezionalità allo stesso riservata in subiecta materia, una eventualmente diversa configurazione dello speciale giudizio in questione, purché tale scelta sia rispettosa dei principi costituzionali e, in particolare, del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

Si ritiene, infine, opportuno evidenziare che la Corte costituzionale, in una prospettiva de iure condendo, ha  sottolineato che la «revisione delle scansioni temporali del processo in esame potrebbe, peraltro, divenire ineludibile nel caso in cui un significativo incremento dei ricorsi […] dovesse rendere non più conciliabile l'estrema concentrazione del rito, che la presente pronuncia ha, nella sostanza, preservato, con la stessa effettività del “diritto al processo in cassazione” […] garantito dall'art. 111, comma 7, Cost.» (C. cost., n. 39/2025, cit.).

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