L’ente può patteggiare anche il quantum della confisca?

Ciro Santoriello
18 Aprile 2025

Il tema più rilevante esaminato nella pronuncia attiene all'individuazione delle conseguenze della sentenza di patteggiamento ed ai vincoli che incontra il giudice nella sua decisione rispetto al contenuto dell'accordo negoziale intercorso fra ente imputato e pubblico con riferimento alla tematica della confisca.

Massima

Nell'ambito di un procedimento nei confronti degli enti collettivi ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, in caso di applicazione di pena su accordo fra le parti, la confisca di cui all'art. 19 d.lgs. n. 231/2001 non è nella disponibilità delle parti e quindi deve essere obbligatoriamente disposta dal giudice, essendo del tutto irrilevante la circostanza che non avesse formato oggetto dell'accordo tra le parti.

Il caso

In sede di merito, un soggetto accedeva ad un patteggiamento per i delitti di cui agli artt. 648 e 648-ter.1 c.p.: nel caso di specie la condotta di autoriciclaggio era consistita nel rivendere un dipinto di notevole valore, a sua volta oggetto di precedente reato di furto e poi di ricettazione ad opera di un terzo soggetto. Essendo l'imputato amministratore di una società ed avendo agito per conto e nell'interesse di quest'ultima, alla persona giuridica era applicata la sanzione per l'illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a), 6 e 25-octies d.lgs. n. 231/2001, disponendo la confisca del profitto del reato e dell'illecito amministrativo, quantificato in euro 750.000, ai sensi degli artt. 648-quater c.p. e 19 d.lgs. n. 231/2001. In particolare, deciso che andasse confiscata la somma corrispondente alla somma ricevuta dall'ente amministrato da uno degli imputati quale corrispettivo della vendita dell'opera d'arte, si prevedeva che, nel caso di incapienza dell'ente, la confisca si estendesse al patrimonio dell'imputato, che aveva materialmente realizzato la condotta di autoriciclaggio.

In sede di ricorso per cassazione si contestava l'errata individuazione del profitto del reato di autoriciclaggio, nella parte in cui si era ritenuto che il profitto del reato corrispondesse all'ammontare della intera somma incassata dalla vendita del dipinto mentre andava considerato solo individuato nella plusvalenza che era derivata dall'attività di sostituzione dei beni; la misura del profitto del reato di autoriciclaggio, in sostanza, doveva essere determinata considerando solo l'effettivo incremento patrimoniale di cui aveva goduto il soggetto autore delle operazioni di autoriciclaggio, atteso che trattasi di profitto diverso ed ulteriore rispetto al valore del profitto del reato presupposto, che l'autoriciclatore consegue attraverso le condotte di sostituzione ed impiego dei beni di provenienza delittuosa. In sostanza, secondo i ricorrenti, all'importo che essi avevano ricavato dalla vendita del dipinto in precedenza rubato da altro soggetto andava detratta la somma spesa per acquistare tale dipinto poi rivenduto.

Inoltre, si sosteneva che tali principi dovessero trovare applicazione anche con riferimento alla confisca diretta ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001, atteso che il profitto confiscabile è quello che rappresenta un risultato positivo, cioè una utilità ulteriore rispetto a quelle che l'ente aveva prima della commissione dell'illecito, dunque, un beneficio aggiunto di tipo patrimoniale pertinente al reato secondo un rapporto di causa-effetto.

In secondo luogo, il ricorrente contestava la possibilità di procedere a confisca dell'importo del delitto di autoriciclaggio. Infatti, secondo la difesa dell'imputato, nell'accedere al rito di applicazione di pena, lo stesso aveva fatto legittimo affidamento, con riferimento al quantum della confisca, sull'uniforme orientamento giurisprudenziale in materia di individuazione del profitto confiscabile.

La questione

La decisione in esame presuppone una ricostruzione – e la relativa distinzione – fra le diverse nozioni di prodotto, profitto e prezzo del reato.

In proposito, si afferma che il prodotto del reato è costituito dalle cose create, trasformate o acquisite mediante esso, dunque, è il risultato empirico del reato, ciò che l'agente ottiene direttamente dalla attività illecita posta in essere. Il profitto è il beneficio patrimoniale, l'utile, il lucro, il vantaggio economico che si ricava dal reato, in via diretta ovvero indiretta o mediata. Infine, il prezzo è costituito dal compenso o dall'utilità dati o promessi per la commissione del reato. Queste nozioni sono state ricostruite dalle Sezioni Unite (Cass. pen., sez. un., 3 luglio 1996, n. 9149) e mai più messe in discussione (da ultimo, Cass. pen., sez V, 5 ottobre 2023, n. 47553).

La menzionata distinzione è importante in quanto nella sentenza resa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. la confisca può essere disposta solo per le cose che costituiscono il prezzo del reato ovvero la cui fabbricazione, porto, uso, detenzione o alienazione costituiscono reato, ovvero ancora per le ipotesi speciali espressamente previste anche per i casi di applicazione di pena su richiesta delle parti, e con esclusione, quindi, per le cose che rappresentano il prodotto o il profitto del reato.

In particolare, nella menzionata decisione delle Sezioni unite– pronunciata con riferimento al sequestro di una somma di denaro, ritenuta "prezzo" della cessione di una modica quantità di sostanza stupefacente -, la Cassazione si soffermò sulla possibilità di disporre la confisca in presenza di un accordo di patteggiamento, indicando anche quali potessero essere i rimedi che l'imputato poteva esperire laddove ritenesse la confisca erroneamente disposta. Vennero in proposito formulate una serie di ipotesi per cui a) allorché il giudice di merito avesse, sulla base di un accertamento di fatto, affermato in sentenza e correttamente motivato che la somma sequestrata costituisce "prezzo" del reato, legittimamente viene disposta, nel rito del patteggiamento, la confisca, e l'eventuale ricorso per cassazione doveva essere rigettato; b) allorché il giudice di merito avesse provveduto, con la sentenza in sede di patteggiamento, alla confisca del somma in sequestro, pur qualificata, dopo l'accertamento di fatto, "prodotto" o "profitto" del reato, l'eventuale ricorso per cassazione andava dichiarato inammissibile per carenza di interesse (mancando, in capo all'imputato, parte di un negozio illecito per contrarietà a norme imperative, il diritto a rientrare nella disponibilità della somma costituente la controprestazione della cessione), e sempre che l'imputato non contestasse in radice il rapporto di connessione tra bene e reato; c) allorché il giudice di merito, senza curarsi di provvedere alla qualificazione e senza accertamenti e motivazione al riguardo, avesse provveduto alla confisca del bene, si riteneva sussistente l'interesse all'impugnazione da parte dell'imputato, sempre però che costui avesse contestato, nel giudizio di merito, ovvero anche solo con i motivi di ricorso, l'esistenza di un qualsiasi nesso tra il reato e il danaro, adducendo al riguardo una qualsivoglia motivazione.

Negli ultimi due casi, essendo precluso qualsiasi accertamento in fatto in sede di legittimità e non potendo essere annullata con rinvio una sentenza resa in sede di patteggiamento, sempre che sul punto non esistesse una clausola concordata, la disposizione relativa alla confisca andava eliminata, al fine di consentire all'interessato di far valere le sue ragioni in sede esecutiva.

Rispetto alla confisca a carico delle persone fisiche va distinta, per natura e finalità, l'analogo istituto previsto con riferimento agli enti collettivi ritenuti responsabili di un illecito da reato ai sensi del d.lgs. n. 231/2001. Trattasi di istituto disciplinato dagli artt. 9 e 19 d.lgs. n. 231/2001, disposizioni che configurano la confisca come sanzione e che si fonda su presupposti assolutamente diversi rispetto a quelli che giustificano tale misura se applicata ai sensi del codice penale ed in connessione con la commissione di un reato da parte di una persona fisica – si ricorda che nel processo in tema di responsabilità delle persone giuridiche, la confisca non ha solo un carattere punitivo, ma ha una finalità che potremmo definire genericamente equitativa: infatti, anche nel caso in cui il reato sia stato commesso da un soggetto collocato in posizione apicale e l'ente non risponda dell'illecito posto in essere nel suo interesse o a suo vantaggio, viene comunque disposta - a norma dell'art. 6, comma 5, d.lgs. n. 231/2001 - la confisca del profitto che l'ente abbia comunque conseguito mediante la violazione della legge penale: in questo caso, dunque, la confisca perde il suo carattere afflittivo-punitivo, «per acquisire la fisionomia di uno strumento di compensazione dell'equilibrio economico violato» (Lottini, Il sistema sanzionatorio, in AA.VV., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di Garuti, Padova, 2002, 168).

Con riferimento alla categoria dei cd. reati-contratto, la definizione di tale nozione si rinviene in un'importantissima decisione (Cass. pen., sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, cd. sentenza Fisia Italimpianti) secondo cui si è in presenza di “reato-contratto” «nel caso in cui la legge qualifica come reato unicamente la stipula di un contratto a prescindere dalla sua esecuzione [e si è in presenza di] una immedesimazione del reato col negozio giuridico (c.d. "reato contratto") e quest'ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, con l'effetto che il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca».

Sul tema, ex multis, Epidendio – Rossetti, La nozione di profitto oggetto di confisca a carico degli enti, in Dir. Pen. Proc., 2008, 1263; Pistorelli, Confisca del profitto del reato e responsabilità degli enti nell'interpretazione delle sezioni unite, in Cass. pen. Pen., 2008, 351; Lottini, Il calcolo del profitto del reato ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001, in Società, 2009, 351; Mongillo, La confisca del profitto nei confronti dell'ente in cerca d'identità: luci e ombre della recente pronuncia delle Sezioni Unite, in Riv. It. Dir. Pen. Proc., 2008, 1738.

In ordine al tema dei rapporti fra accordo di patteggiamento fra pubblico ministero e ente collettivo e confisca con riferimento ai poteri del giudice in tale circostanza ci si chiede quali possa essere la decisione del giudice a) nel caso le parti nulla abbiamo disposto nel loro negozio processuale sulla confisca del profitto, b) quando l'accordo investa anche tale profilo ma l'organo decidente non concordi sul contenuto dello stesso, c) di quali rimedi disponga l'imputato in caso il giudice modifichi l'accordo in tema di quantum confiscabile.

Sulle diverse questioni sono rinvenibili una pluralità di soluzioni.

Con riferimento al quesito sub a), una prima posizione avanzata soprattutto in dottrina si esprime nel senso che la confisca non potrebbe in alcun caso trovare applicazione a seguito del patteggiamento ex art. 63 d.lgs. n. 231/2001, posto che tale norma indica, quale oggetto dell'accordo, esclusivamente le sanzioni pecuniarie e quelle interdittive; inoltre, l'art. 19 consentirebbe la confisca solo in caso di sentenza di condanna, alla quale non potrebbe equipararsi la sentenza di applicazione della pena (Lorenzetto, "Patteggiamento" dell'ente e rigetto illegittimo in limine iudicii: quale rimedio?, in Soc., 2018, 779).

Altra tesi, presente in giurisprudenza, evidenzia come il sistema sanzionatorio delineato dal d.lgs. n. 231 qualifica espressamente la confisca del profitto – diversamente da quanto previsto in sede di codice penale - come una delle sanzioni principali ex art. 9, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 231/2001, “obbligatoria ed autonoma” rispetto alle altre previste a carico dell'ente, come ad esempio quella configurata dall'art. 6, quinto comma, del medesimo decreto di cui già si è detto. Valorizzando tale natura obbligatoria della confisca e l'equiparazione della sentenza di patteggiamento a quella di condanna, si sostiene che la confisca deve essere sempre ordinata nel caso di accordo sulla pena e la sua determinazione sarebbe rimessa al giudice, trattandosi di una componente non negoziabile attraverso l'accordo (Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 2022, n. 18652): disporre la confisca del profitto sarebbe un atto dovuto per il giudice, sottratto alla disponibilità delle parti e della cui applicabilità l'ente dovrebbe comunque tenere conto, nell'operare la scelta del patteggiamento, sicché ove pure il patto fosse esteso a tale aspetto, sia relativamente al quantum che all'an, dovrebbe considerarsi non vincolante per il giudice e non suscettibile di condizionare l'accoglimento della richiesta di patteggiamento.

In ogni caso, secondo la tesi che si espone e consente un intervento del giudice che va a modificare il contenuto dell'accordo concluso fra la parti, in tali ipotesi, non essendo stata la confisca oggetto del negozio processuale, sarebbe ammissibile il ricorso per cassazione per vizio di motivazione secondo le regole generali dettate dall'art. 606, comma 1, c.p.p. (Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 2022, n. 18652).

Infine, vi è chi sostiene che la natura di sanzione principale della confisca ne comporterebbe la necessaria inclusione nell'accordo tra le parti, idoneo a vincolare il giudice, salva restando la possibilità per quest'ultimo di rigettare in toto l'accordo ove ritenga l'incongruità del trattamento sanzionatorio. Secondo questa tesi, l'espressa qualificazione normativa della confisca - diretta e per equivalente - quale sanzione principale imporrebbe di estendere ad essa l'accordo sulla "pena", anche in ragione del fatto che il rito del patteggiamento deve avere ad oggetto dell'accordo tutte le tipologie di pena in concreto irrogabili in relazione all'illecito oggetto di patteggiamento, ivi compresa la confisca e d'altronde la lettera dell'art. 63 d.lgs. n. 231/2001 richiama in maniera omnicomprensiva l'applicazione della "sanzione" su richiesta, non introducendo alcuna distinzione tra le diverse tipologie di sanzioni applicabili.

In proposito, una recente decisione (Cass. pen., sez. IV, 20 giugno 2024, n. 30604) valorizza la modifica dell'art. 444, comma 1, c.p.p., lì dove si prevede che l'imputato e il pubblico ministero possono concordare l'esclusione della confisca facoltativa o ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato: se ciò vale con riferimento alla confisca facoltativa, avendo la confisca prevista dagli artt. 9 e 19 d.lgs. n. 231/2001, natura obbligatoria, le parti non potranno concordarne l'esclusione, se non nei casi in cui si ritenga che l'illecito non ha prodotto alcun profitto per l'ente, mentre dovrà sempre rientrare nell'oggetto dell'accordo la quantificazione della misura ablatoria, sia essa diretta o per equivalente.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato dichiarato infondato.

Come è noto, in presenza di reati di riciclaggio, impiego di denaro, beni o di utilità di provenienza illecita e di autoriciclaggio, accanto alla confisca di cui all'art. 648-quater c.p., che colpisce il patrimonio della persona fisica (il rappresentante legale o il dirigente o soggetto apicale o altri che abbia commesso il reato), l'ordinamento prevede la confisca nei confronti dell'ente ex artt. 19 e 25-octies d.lgs. n. 231/2001.

Nell'ipotesi considerata nella presente decisione, la Cassazione deve in primo luogo confrontarsi con il tema della determinazione del quantum da sottoporre a sequestro. In proposito, la Cassazione evidenzia come nel caso di specie si era in presenza di un cd. reato-contratto ed alla luce di questa natura del delitto di autoriciclaggio contestato agli imputati doveva ritenersi che la somma di denaro oggetto della statuizione di confisca costituisse il profitto di tale autoriciclaggio commesso nell'interesse dell'ente avvantaggiato, dovendo rientrare nel profitto l'intero bene oggetto dello scambio illecito. Invero, nel caso di specie, conformemente a quanto si riscontro in ogni ipotesi di reato-contratto, lo strumento negoziale aveva costituito la sede di incontro delle volontà illecite, realizzando l'offesa stigmatizzata dalla norma incriminatrice (con la previsione di cui all'art. 648-ter.1 c.p. l'ordinamento sanziona la stipula del contratto, nel senso che viene specificatamente vietato di perfezionare il trasferimento di beni di provenienza illecita ad opera di chi ha concorso nel reato presupposto). Orbene, quando l'illecito penale si immedesima integralmente con il contratto concluso dalle parti, determinandone peraltro la nullità per contrarietà a norme imperative, la confisca deve attingere l'intero ricavo da esso derivante, poiché non vi è alcuna ragione di operare una differenziazione ai fini della quantificazione del profitto rilevante rispetto ai costi sostenuti. In conclusione, correttamente si era disposta la confisca dell'intero ricavato dalla vendita del quadro e non solo del ricavato della alienazione detratti i costi sostenuti per l'acquisto della preziosa tela.

Quanto alla tematica attinente alla possibilità di disporre la confisca del prezzo e del profitto del reato nei confronti dell'ente con la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, una prima questione concerneva il rilievo da riconoscere alla circostanza che il citato art. 19 prevede che la confisca obbligatoria del prezzo o del profitto del reato sia disposta con la sentenza di condanna.

A fronte delle considerazioni svolte dalla difesa in proposito, la Cassazione osserva che la sentenza pronunciata a norma degli artt. 444 e ss. c.p.p. è equiparata alla sentenza di condanna, fatte salve diverse disposizioni di legge, secondo il precetto contenuto nell'art. 445, comma 1-bis, c.p.p. (Cass. pen., sez. un., 29 novembre 2005, n. 17781 del 2006, nonché, con specifico riferimento alla confisca di cui all'art. 19 d.lgs. n. 231 del 2001, Cass. pen., sez. II, 4 febbraio 2011, n. 20046; Cass. pen., sez. VI, 5 maggio 2008, n. 35802). Giusta questa equiparazione – stabilita expressis verbis dallo stesso legislatore – fra i due tipi di sentenza, deve ritenersi che anche in caso di sentenza di patteggiamento vada disposta la confisca nei confronti dell'ente ai sensi del più volte citato art. 19 sia del prezzo che del profitto del reato di autoriciclaggio.

Quanto al tema della confiscabilità ad opera del giudice del prezzo o del profitto del reato ai sensi dell'art. 19 d.lgs. n. 231/2001, nonostante detto aspetto non abbia formato oggetto dell'accordo intercorso tra le parti, la pronuncia in commento espressamente sceglie di non aderire al menzionato orientamento espresso da Cass. pen., sez. VI, 20 giugno 2024, n. 30604, secondo cui, come detto, l'accordo delle parti, nel caso di patteggiamento, deve estendersi alla confisca di cui all'art. 19 menzionato, come a tutte le altre componenti sanzionatorie dell'illecito, la cui determinazione non può essere rimessa, nell'an e nel quantum, all'organo giudicante, dovendo il giudice, qualora ritenga che le parti sono addivenute all'erronea esclusione della confisca, individuando l'esistenza di un profitto derivante dall'illecito, ovvero nel caso in cui ritenga incongrua la quantificazione della confisca, rigettare l'accordo sulla pena.

Secondo la decisione in epigrafe, questo percorso logico argomentativo sottovaluta il dato per cui la confisca, a differenza delle altre sanzioni che prevedono una forbice edittale, non consente valutazioni discrezionali del giudice né in ordine all'an, né in ordine al quantum, poiché è la norma che la impone in relazione ad un catalogo di reati specificamente indicati e che ne determina la misura, parametrandola sull'entità del prezzo o del profitto derivato dall'illecito. La confisca di cui si discute, in sostanza, è una sanzione che non è commisurata alla gravità della condotta né alla colpevolezza dell'autore, circostanze queste che richiedono una valutazione discrezionale del giudice, ma è diretta a privare l'autore del beneficio economico tratto dall'illecito.

Anche nel caso di eventuale scorporo dal quantum di profitto delle eventuali restituzioni in favore della persona offesa e da questa accettate si sarebbe comunque in presenza di un'operazione vincolata, matematica, che non imporrebbe valutazioni discrezionali, in quanto eseguibile sottraendo ad un valore definito (dato dal profitto complessivo inizialmente ottenuto) altro valore ben determinato (le restituzioni nelle more ipoteticamente intervenute).

In conclusione, secondo la pronuncia in commento, la confisca di cui all'art. 19 d.lgs. n. 231/2001 non è nella disponibilità delle parti ed è del tutto irrilevante la circostanza che non avesse formato oggetto dell'accordo tra le parti, essendo certa la determinazione dei beni profitto da reato destinati all'ablazione. Trattasi poi di confisca obbligatoria, e quindi di un atto dovuto per il giudice, sottratto alla disponibilità delle parti, e di cui l'imputato deve comunque tenere conto nell'operare la scelta del "patteggiamento".

Quanto al preteso affidamento della difesa dell'imputato sulla definizione del quantum da confiscare come limitato all'importo indicato nell'accordo di applicazione di pena, la decisione evidenzia come l'art. 19 d.lgs. n. 231/2001 faccia espresso riferimento alla confisca obbligatoria del prezzo e del profitto del reato e che per altro verso l'art. 648-quater prevede la confisca obbligatoria sia del profitto che del prodotto del reato. Dunque, la difesa avrebbe dovuto diligentemente prevedere la confisca anche della somma spesa per acquistare la tela poi ceduta a terzi e ciò anche in ragione del fatto che – considerato che il reato in contestazione era quello di autoriciclaggio - la normativa convenzionale e eurounitaria è ormai stabilmente orientata ad eliminare dal circuito commerciale tutti i beni illeciti complessivamente considerati, quindi, comprensivi sia dei vantaggi economici derivati, in via diretta o mediata, dai reati posti a monte rispetto all'attività di riciclaggio lato sensu, nonché di tutto ciò che formi oggetto della fasi successive di reinvestimento o trasformazione dei proventi della pregressa attività delittuosa.

Osservazioni

Il tema più rilevante esaminato nella pronuncia in esame attiene all'individuazione delle conseguenze della sentenza di patteggiamento ed ai vincoli che incontra il giudice nella sua decisione rispetto al contenuto dell'accordo negoziale intercorso fra ente imputato e pubblico con riferimento alla tematica della confisca.

La sentenza in proposito si allontana dall'orientamento che sembrava si stesse affermando in giurisprudenza, ribadendosi che, stante la natura obbligatoria della confisca prevista dall'art. 19 d.lgs. n. 231/2001, la stessa in caso di applicazione di pena su richiesta non può essere rimessa alla disponibilità delle parti e quindi deve essere necessariamente disposta dal giudice, essendo del tutto irrilevante la circostanza che non avesse formato oggetto dell'accordo. Questa severa posizione è conforme alla tesi delle Sezioni Unite secondo cui in tema di confisca e patteggiamento, le parti, nell'ambito della loro discrezionalità e autonomia possono sì includere nell'accordo, delimitato dal legislatore al solo trattamento sanzionatorio e alla eventuale applicazione della sospensione condizionale della pena, anche le misure di sicurezza, tuttavia «il giudice non è vincolato alle richieste delle parti, in quanto dette misure, sottratte alla loro disponibilità, esulano dall'area della negozialità individuata e delimitata dall'art. 444 c.p.p., ma, ove le disattenda, senza essere obbligato a recepire o non recepire per intero l'accordo, deve indicare le ragioni per le quali ha provveduto, al riguardo, in termini difformi da quelli concordemente prospettati dal pubblico ministero e dalla difesa [ed] al verificarsi del presupposto per la confisca obbligatoria o di quella facoltativa [...] è tenuto ad applicarla, a prescindere dall'intervenuto accordo delle parti sul punto» (Cass. pen., sez. un., 26 settembre 2019, n. 21368).

Inoltre, va ricordato che il secondo comma dell'art. 63 d.lgs. n. 231/2001 prevede che «nei casi in cui è applicabile la sanzione su richiesta, la riduzione di cui all'articolo 444, comma 1, c.p.p. è operata sulla durata della sanzione interdittiva e sull'ammontare della sanzione pecuniaria», venendo la confisca esclusa dalla riduzione premiale per il rito quasi che tale misura ablatoria possa essere esclusa dall'accordo sottostante alla richiesta di applicazione di pena. In proposito, si potrebbe argomentare evidenziando come la confisca-sanzione, in quanto diretta a privare l'ente del profitto del reato, non può subire riduzioni per effetto della scelta del rito e ciò preclude di ritenere che la delimitazione della riduzione alle sole sanzioni pecuniarie e interdittive sia indice della possibilità di non fare della confisca oggetto dell'accordo raggiunto dalle parti: in sostanza, il legislatore ha preso atto che in ragione della diversa tipologia di pene previste per gli enti collettivi l'incidenza del ricorso al patteggiamento sulla determinazione delle stesse opera diversamente, a seconda della natura e funzione delle rispettive sanzioni.

In proposito, va evidenziato come non sia pienamente corretto sostenere che, con riferimento alla quantificazione della confisca, l'ente imputato possa ottenere nessun vantaggio dalla conclusione di un accordo con il pubblico ministero. Se, infatti, non è possibile escludere l'adozione di tale misura dalla decisione finale, è altresì vero che la determinazione del profitto ovvero del quantum da sottrarre alle disponibilità delle società – anziché essere stabilito in modo unilaterale dal giudice, come si verifica nel rito ordinario - può essere oggetto di un patto tra imputato e pubblico ministero, sottoposto al controllo del giudice, al pari di quanto si verifica con riferimento alle sanzioni pecuniarie ed a quelle interdittive. L'unico elemento differenziale è rappresentato dal criterio di determinazione che, nel caso delle sanzioni pecuniarie e interdittive è basato sui parametri di commisurazione dettati dall'art. 11 d.lgs. n. 231/2001, mentre la confisca è parametrata sull'entità del prezzo o del profitto derivante dall'illecito, parametrazione però frutto di una serie di valutazioni – inerenti alla circostanza che l'illecito sia stato o meno, l'entità dello stesso che in alcune ipotesi, come ad esempio nei cd. reati in contratto o nei reati in tema di sicurezza sul lavoro, può essere assai complessa, la rilevanza di eventuali parziali restituzioni del maltolto ecc. – che la società, mediante il patteggiamento, può prospettare al giudice in termini per lei meno svantaggiosi, evitando che l'ente - dopo aver concordato le sanzioni pecuniarie e interdittive - si veda esposto all'applicazione di una confisca avente connotati particolarmente afflittivi e in relazione alla quale non ha avuto alcuna possibilità concreta di interlocuzione.

Non a caso, la giurisprudenza ammette una sia pur parziale impugnabilità delle decisioni di ratifica di accordi di patteggiamento, potendo l'ente ricorrere in cassazione avverso la parte della decisione che dispone la confisca del profitto nel solo caso in cui se ne deduca l'illegalità ovvero allorquando la sua applicazione non sia prevista dall'ordinamento giuridico ovvero risulti eccedente il limite legale ovvero quando il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata sia errato in ragione di un errore macroscopico (Cass. pen., sez. III, 8 giugno 2016, n. 45472; Cass. pen., sez. IV, 20 giugno 2024, n. 30604).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.