Il ruolo del PM nelle procedure concorsuali: liquidazione giudiziale e concordato preventivo (2/3)

Ciro Santoriello
23 Aprile 2025

Prosegue l’approfondimento sul ruolo del PM nelle procedure concorsuali, questa volta con un focus sulla liquidazione giudiziale, il concordato preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio.  

Premessa

Il ruolo assegnato al pubblico ministero nelle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza è stato ampliato dal codice della crisi.

Se, da un lato, il legislatore – con la previsione di cui all'art. 38 d.lgs. n. 14/2019, che ricalca il contenuto dell'art. 7 r.d. n. 267/1942 – individua nella proposizione della richiesta di apertura della liquidazione giudiziale il compito più rilevante da attribuire al pubblico ministero, onde favorire la rapida emersione della crisi (conformemente a quella che è l'ispirazione di fondo e la ratio del nuovo codice della crisi), non può sottacersi che alla parte pubblica è attribuito anche il compito di garantire il corretto svolgimento delle procedure di risoluzione della crisi, come reso evidente dal terzo comma dell'art. 38 c.c.i.i. che la legittima a intervenire in tutti i procedimenti diretti all'apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza.

In quest'ottica il pubblico ministero è collettore della notitia decoctionis e destinatario degli atti che costituiscono gli snodi essenziali delle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza. La sua partecipazione si caratterizza perciò come essenziale affinché sia garantita la tutela delle posizioni soggettive coinvolte nella crisi dell'imprenditore commerciale; d'altronde il PM può esercitare i compiti che ineriscono a tutte le altre parti processuali, anche con riferimento al rilievo di profili patologici che potrebbero verificarsi nel corso delle procedure di regolazione alternative alla liquidazione giudiziale, diverse dalle vicende fisiologiche determinate dalla non fattibilità giuridica od economica del piano di risanamento – si pensi ad esempio all'accertamento dei cd. atti in frode, la cui emersione può determinare la richiesta di revoca dell'ammissione della proposta di concordato, o abbreviazione dei termini ex art. 44, comma 2, c.c.i.i., la declaratoria di inammissibilità, di revoca o di diniego dell'omologazione del concordato preventivo, con eventuale richiesta di liquidazione giudiziale che determina la conversione della procedura.

In questo senso, l'accresciuto – rispetto al passato - potere d'azione della parte pubblica, si manifesta nelle diverse previsioni presenti nel d.lgs. n. 14/2019 che indicano come il pubblico ministero debba esercitare le funzioni per lui previste dal codice della crisi allo scopo di garantire il buon andamento dell'economia e della legalità nello svolgimento della risoluzione della crisi di impresa che deve mirare alla conservazione dell'impresa, compatibilmente con la tutela di tutti gli altri interessi coinvolti. Gli appartenenti agli uffici di Procura, dunque, sono chiamati a porre la propria attenzione sia alle situazioni imprenditoriali di difficoltà (di pre-insolvenza), sia a quelle avviate ad una regolazione concordata, sia alla liquidazione, muovendosi in una prospettiva di compatibilità tra esigenze punitive e di perseguimento dell'interesse generale anche attraverso il risanamento delle imprese.

Il ruolo del pubblico ministero nella liquidazione giudiziale. L'istanza di liquidazione

Come già accennato, la centralità del ruolo del pubblico ministero nella procedura di liquidazione giudiziale emerge con riferimento alla legittimazione allo stesso riconosciuta di presentare la relativa istanza al competente tribunale.

Non è rilevante la competenza per territorio del pubblico ministero richiedente bensì quella del tribunale, determinata ai sensi dell'art. 27 c.c.i.i. in base al luogo dove l'imprenditore commerciale svolge l'attività principale; ne deriva che il pubblico ministero dell'ufficio non competente deve trasmettere gli atti al collega presso il tribunale competente. Non può comunque costituire ostacolo alla procedibilità della richiesta di declaratoria di liquidazione giudiziale il fatto che essa sia stata indirizzata ad un tribunale diverso da quello presso il quale il pubblico ministero richiedente esercita le sue funzioni nell'ambito dei procedimenti penali a norma dell'art. 51 c.p.p.

Quanto alle condizioni in presenza delle quali tale legittimazione può essere correttamente esercitata, il codice della crisi sembra aver significativamente ampliato i poteri del pubblico ministero rispetto a quanto previsto in precedenza dall'art. 7 r.d. n. 267/1942. Mentre in precedenza, infatti, l'istanza in parola poteva essere avanzata quando l'insolvenza risultava: a) nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore; b) dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile; oggi si fa generico riferimento alla circostanza che l'inquirente abbia avuto notizia dell'esistenza di uno stato di insolvenza.  Trattasi di una chiara novità, giacché non solo è scomparso il riferimento al procedimento penale, come luogo “naturale” di acquisizione della notitia decoctionis, ma non si fa nemmeno richiamo ad altri possibili sintomi da cui l'ufficio inquirente avrebbe potuto acquisire tale dato e l'unico presupposto è quindi che la notizia in parola sia stata acquisita dal pubblico ministero nell'ambito della sua attività istituzionale, e non attraverso una mera ricerca di iniziativa ex novo dell'insolvenza.

Ne consegue, in primo luogo, che la legittimazione a chiedere l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale potrà essere esercitata anche a seguito di segnalazioni di terzi, diverse ed ulteriori rispetto a quelle dell'autorità giudiziaria – si pensi, ad esempio, a creditori che intendano, per varie ragioni, “delegare” al PM il vaglio e l'eventuale deposito dell'istanza (per tutti, i lavoratori dipendenti nei confronti del datore di lavoro incapiente, ipotesi nelle quali l'istanza di apertura della procedura di liquidazione rappresenta, sovente, soltanto un “costo” necessario per accedere al fondo di garanzia dell'INPS).

In secondo luogo, viene ad essere confermata per tabulas la lettura assai largheggiante che la giurisprudenza aveva fornito del significato del menzionato art. 7 oggi abrogato (Cass. sez. un., 18 aprile 2013, n. 9409) ovvero è escluso che il giudice fallimentare possa negare la legittimazione all'azione in capo al pubblico ministero per ragioni inerenti alla regolarità dell'indagine penale (Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 2019, n. 646), così come è da escludere che la pendenza di un procedimento penale sia un presupposto indefettibile per l'esercizio dell'azione civile.

Medesimo ampliamento oggettivo, rispetto all'attuale disciplina, si riscontra anche nel secondo comma dell'art. 38 c.c.i.i., in forza del quale «l'autorità giudiziaria che rileva l'insolvenza nel corso di un procedimento lo segnala al pubblico ministero». Anche in questo caso, la segnalazione da parte del giudice viene svincolata dai vincoli soggettivi e procedimentali di cui all'art. 7, comma 2, l. fall. che poneva l'obbligo della segnalazione di insolvenza al solo giudice che l'avesse rilevata «nel corso di un procedimento civile». Peraltro, l'art. 38, comma 2, c.c.i.i., fa riferimento all'“autorità giudiziaria”, senza, quindi, alcuna distinzione né tra quella ordinaria e speciale, né, nell'ambito di quella ordinaria, tra settori di appartenenza, con la conseguenza che tutti i giudici avranno l'obbligo di segnalare l'insolvenza rilevata nell'ambito di un qualunque “procedimento”, che potrà, dunque, essere anche un procedimento amministrativo o tributario o di qualsiasi altro tipo.

Si ricorda infine che, ai sensi del comma 4 dell'art. 256 c.c.i.i., il pubblico ministero può proporre il ricorso per l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti dei soci illimitatamente responsabili nei casi in cui dopo l'apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società risulti l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili.

Segue: La scelta circa la presentazione dell’istanza di liquidazione

La scelta se procedere o meno a presentare istanza di liquidazione è rimessa ovviamente alla discrezionalità di chi riveste le funzioni di pubblico ministero con riferimento alla valutazione della sussistenza dei presupposti per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale.

Ci si chiede, tuttavia, se il PM sia o meno obbligato a richiedere senza indugio l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale laddove venga a conoscenza dello status decoctionis.

Nella vigenza della legge fallimentare – alla luce della circostanza che la norma recitava «il pubblico ministero deve richiedere» ed in ragione del fatto che a legittimare l’azione del pubblico ministero degli affari civili era uno stato di insolvenza risultante in sede penale ove il pubblico ministero legittimato era quello che “procedeva contro l’imprenditore” sicché l’obbligatorietà dell’azione civile era in linea con l’obbligatorietà dell’azione penale ad essa collegata – si riteneva che in presenza delle situazioni tassativamente previste l’inquirente avesse l’obbligo di chiedere il fallimento; dopo la riforma operata con la l. n. 80/2005, allorquando il termine «deve» venne sostituito con «presenta», si sostenne la natura facoltativa dell’iniziativa – salvo che in caso di previo o contemporaneo esercizio dell’azione penale.

Anche nella versione attuale è scomparso ogni riferimento ad dovere del pubblico ministero di agire in sede civile quando ne ricorrano i presupposti, ma francamente pare difficile non concludere per l’esistenza di un tale obbligo, essendo – come detto in precedenza ed in presenza dei presupposti sopra menzionati – la valutazione circa la solidità economica delle imprese immanente al compito stesso dell’ufficio di Procura, con tutte le conseguenze sotto un profilo deontologico (ma non solo) derivanti dall’inerzia ingiustificata.

Quanto al contenuto di tale valutazione, la stessa va effettuata tenendo conto della ratio sottesa al ruolo assegnato alla parte pubblica nel sistema attuato dal codice che è, come si è detto, quello che l’azione miri alla rapida emersione della crisi. In quest’ottica si tratta di porre attenzione alla situazione di irreversibilità e all’allarme sociale che la prosecuzione dell’attività commerciale determina nell’ambiente economico. Al contempo, l’ufficio di Procura deve considerare la finalità di salvataggio dell’impresa, per l’effettivo mantenimento della produzione e dei livelli occupazionali, nel rispetto delle scelte rimesse alla libera disponibilità dell’imprenditore commerciale.

Il ruolo del pubblico ministero nella liquidazione giudiziale. La partecipazione al procedimento. Il potere di impugnazione della decisione del Tribunale fallimentare

Nel definire le modalità di partecipazione ed i contributi che il pubblico ministero può apportare alla procedura di liquidazione giudiziale – si ricorda che ai sensi del comma 3 dell'art. 38 c.c.i.i. il pubblico ministero, così come è legittimato a proporre istanza di apertura della liquidazione giudiziale, può intervenire in tutti i procedimenti diretti all'apertura di una procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza -, va in primo luogo sottolineata la possibilità per lo stesso di partecipazione alla relativa udienza, per ascoltare le ragioni dell'imprenditore. Tale partecipazione è consentita a prescindere dalla circostanza che l'istanza di  liquidazione sia stata o meno presentata dalla Procura - in ogni caso, la mancata partecipazione del pubblico ministero richiedente all'udienza non incide di per sé sulla persistenza della richiesta; affinché il giudice possa pronunciarsi nel merito, infatti, è sufficiente che il ricorso sia stato ritualmente notificato all'imprenditore, sicché è irrilevante la mancata partecipazione della parte pubblica all'udienza prefallimentare, non potendosi trarre da una simile condotta alcuna volontà, anche solo implicita, di rinunciare o desistere all'istanza presentata – posto che, da un lato, l'art. 40, comma 3, c.c.i.i. prescrive che la domanda di accesso alla procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza deve essere trasmessa, unitamente ai documenti allegati, al pubblico ministero ed il successivo art. 41, comma 5, c.c.i.i. prevede che il pubblico ministero possa intervenire, mediante il deposito di memorie o di pareri o anche presentandosi direttamente in aula di udienza, sino a che la causa non venga rimessa al collegio per la decisione. Si deve, tuttavia, escludere che si tratti di intervento necessario, anche tenuto conto della mancata previsione di un generale onere di comunicare al pubblico ministero ogni ricorso per la dichiarazione di apertura della procedura di liquidazione giudiziale

Fra le modalità con cui il pubblico ministero può influire sullo svolgimento della procedura vi è la facoltà per tale organo di rinunciare alla domanda di liquidazione giudiziale, determinandone così l'estinzione. Peraltro, allo scopo di evitare un uso strumentale del potere di rinunciare alla domanda, è previsto che, quando la originaria istanza di liquidazione sia presentata da un soggetto diverso dal pubblico ministero, quest'ultimo, quando abbia partecipato, può chiedere la liquidazione giudiziale, senza necessità di proporre un nuovo ed autonomo ricorso, quindi, ad esempio, anche oralmente ove la rinuncia sia stata formulata in udienza – con eccezione alla regola per la quale il PM, al pari di tutti gli altri soggetti legittimati, deve, di norma, depositare un ricorso nelle forme e nei modi di cui all'art. 40 c.c.i.i..

Anche con riferimento alla rinuncia, ci si domanda se tale opzione possa essere praticata liberamente dal pubblico ministero o invece occorra che la stessa sia giustificata dal venir meno dei presupposti per l'apertura della liquidazione giudiziale. Analogamente a quanto sostenuto sopra, riteniamo che la decisione debba essere assunta sulla base di un'attenta valutazione relativamente alle circostanze concrete, con particolare riferimento alla insussistenza (originaria o sopravvenuta, in ragione ad esempio di intervento di finanza esterna) dello stato di insolvenza dell'azienda, fermo rimanendo che la rinuncia non può mai avere carattere definitivo, considerato che all'esito del procedimento, in ipotesi di desistenza, come di rinuncia, non si forma alcun giudicato, potendo il ricorso essere riproposto senza limiti (ovviamente ove ne siano sussistenti i presupposti normativi), senza pregiudizio dunque per gli interessi pubblicistici sottesi.

Al pubblico ministero, infine, è riconosciuto anche il potere di impugnare, mediante reclamo, la decisione del tribunale fallimentare che abbia rigettato la sua istanza di liquidazione. La norma di riferimento è l'art. 50 c.c.i.i., che al secondo comma indica il titolare dell'ufficio di Procura fra i soggetti legittimati alla presentazione di tale gravame; legittimato a proporre l'impugnazione è l'ufficio del pubblico ministero funzionante presso il giudice che ha pronunciato la sentenza. Il rappresentante di quest'ultimo ufficio del pubblico ministero, che è intervenuto nel procedimento di primo grado innanzi al Tribunale, può, ai sensi del comma 4 dell'art. 38 c.c.i.i., partecipare al successivo grado di giudizio quale sostituto del procuratore generale presso la Corte di Appello, sul modello tracciato dall'art. 570, comma 3, c.p.p., onde valorizzare le conoscenze già acquisite in merito alla procedura dal magistrato persona fisica che ha seguito il procedimento nel primo grado di giudizio.

Il pubblico ministero nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nel concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio

Con riferimento alle procedure alternative, la posizione del pubblico ministero si presenta parzialmente diversa rispetto a quanto si è detto con riferimento alla liquidazione giudiziale. All'organo inquirente, infatti, è preclusa la possibilità di avanzare istanza di accesso a tali modalità di gestione della crisi aziendale, mentre la disciplina dell'intervento del pubblico ministero dipende da quale procedura venga presa in considerazione, anche se, alla luce della previsione di cui all'art. 38, comma 3, c.c.i.i., si può affermare che tale soggetto, nelle procedure predette, oltre al potere di chiedere, nei casi espressamente previsti dalla legge, l'inammissibilità, la revoca dell'ammissione ed il diniego di omologa, ha, più in generale, un potere/dovere di interlocuzione con le parti delle stesse procedure, con il Giudice delegato e con il Tribunale, potere/dovere che può esercitare, anche in questo caso, mediante il deposito di memorie e di pareri.

Sicuramente un tale ruolo di interlocuzione del pubblico ministero è particolarmente rilevante e significativo nella procedura di concordato preventivo – che peraltro è, senz'altro, la procedura più rilevante. In questo procedimento, l'intervento del pubblico ministero è previsto come facoltativo e deve ritenersi finalizzato alla tutela dei pubblici interessi connessi alla disciplina delle procedure concorsuali; l'intervento si esplica esercitando i poteri ex art. 72 c.p.c. partecipando alle udienze davanti al collegio (o davanti al giudice delegato all'audizione) ovvero producendo documenti, deducendo prove quali la relazione di un (suo) consulente, prendendo conclusioni e proponendo domande anche oltre quelle proposte dalle parti private, potendo chiedere il fallimento dell'impresa ovvero di non ammettere il debitore alla procedura o la revoca del concordato ammesso ed infine impugnare il provvedimento non favorevole alla sua richiesta.

Con particolare riferimento al potere di opposizione all'omologazione del concordato preventivo, la relativa disciplina è contenuta nell'art. 48 c.c.i.i. Lo stesso va esercitato mediante la presentazione di memorie depositate entro il termine perentorio di almeno 10 giorni prima dell'udienza, anche se deve ritenersi che il pubblico ministero possa esprimere un parere anche prima della fissazione dell'udienza per il giudizio di omologa ovvero anche prima della concessione dei termini di cui all'art. 44 da parte del Tribunale, ovvero formulare una memoria contenente osservazioni critiche sulla situazione economica dell'impresa o sulla fattibilità del piano.

Il profilo più rilevante dell'ambito di intervento riservato al pubblico ministero è rappresentato dal compito di segnalazione e di monitoraggio dell'andamento della procedura con la finalità di evitare che eventuali condotte di frode o illecite vengano portate ad ulteriori conseguenze dannose. Ai sensi dell'art. 44, comma 2, infatti, il pubblico ministero (e il commissario giudiziale) devono segnalare al Tribunale ogni atto di frode ai creditori non dichiarato nella domanda ovvero ogni circostanza o condotta del debitore tali da pregiudicare una soluzione efficace della crisi: attraverso questa segnalazione il pubblico ministero può provocare la revoca del provvedimento di concessione dei termini entro i quali il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l'attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la relativa documentazione. La segnalazione del pubblico ministero può, inoltre, portate il Tribunale, pur senza revocare il decreto di concessione dei termini, a revocare o modificare le misure protettive (divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari) in caso di atti di frode o quando accerta che l'attività intrapresa da debitore non è idonea a pervenire alla regolazione della crisi e dell'insolvenza, nel senso di idoneità al deposito della domanda di accesso al concordato preventivo.

La disciplina del c.c.i.i. in tema di concordato preventivo contiene una serie di previsioni dirette altresì a rendere effettivo il ruolo del pubblico ministero nelle procedure in parola, evitando che l'adozione di comportamenti elusivi da parte del debitore impedisca alla Procura di esercitare in modo efficace i propri poteri. In primo luogo, il debitore non può evitare l'intervento del pubblico ministero e la richiesta di apertura della liquidazione, posto che l'art. 43, comma 1, c.c.i.i. fa salva (in caso di rinuncia alla domanda) la legittimazione a chiedere la liquidazione giudiziale in capo al pubblico ministero intervenuto; la lettera della norma sembra subordinare tale legittimazione alla circostanza che il titolare del potere inquirente sia effettivamente intervenuto nel procedimento precedentemente alla rinuncia, escludendo quindi la sua legittimazione nel caso in cui lo stesso, dopo la richiesta di concordato in bianco e/o dopo il deposito del piano, non avesse espresso ancora alcun parere o non fosse intervenuto in alcun modo.

In secondo luogo, è previsto che, qualora la domanda di concordato preventivo sia dichiarata inammissibile, il tribunale possa segnalare l'insolvenza del proponente al pubblico ministero, il quale, così acquisita la notitia decoctionis, ben potrà sollecitare la dichiarazione di liquidazione giudiziale, poiché la legittimazione a richiederla ai sensi dell'art. 47, comma 3, c.c.i.i. non esclude quella prevista dall'art. 38, comma 2, essendo il procedimento di concordato preventivo un procedimento civile ai sensi di quest'ultima norma.

Sempre con riferimento ai rapporti fra le procedure di concordato preventivo e liquidazione giudiziale, nell'ottica dell'iniziativa del pubblico ministero, è previsto che tale organo possa chiedere la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale anche quando è decorso inutilmente o è stato revocato il termine di cui all'art. 44, comma 1, lettera a), quando il debitore non ha depositato le spese di procedura di cui all'art. 44, comma 1, lettera d), ovvero nei casi previsti dall'art. 106 o in caso di mancata approvazione del concordato preventivo o quando il concordato preventivo non è stato omologato (art. 49, comma 2). Al contempo, però, in pendenza della procedura di composizione della crisi o dell'insolvenza, il pubblico ministero non potrebbe comunque esercitare l'azione prima della definizione della procedura pendente.

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