Gli “indici di fraudolenza” nella bancarotta fraudolenta per distrazione, quale reato di pericolo concreto

28 Aprile 2025

La Corte di cassazione affronta il tema dell’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, alla luce dei c.d. “indici di fraudolenza”, sviluppati dalla giurisprudenza di legittimità.

Massima

In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa.

Il caso

Il Tribunale di Busto Arsizio aveva ritenuto Ca.Sa e Ca.An. colpevoli del delitto di bancarotta per distrazione per aver sottratto dal patrimonio della Società L. M. – da entrambi gestita -, non solo le rimanenze di magazzino (dapprima cedute, senza il versamento di alcun corrispettivo, alla società N. F. e, poi, da questa rivenduti alla società E. M., facente capo ai medesimi, per l’importo – non effettivamente corrisposto – di Euro 143.777); ma anche la somma di complessivi Euro 80.000, prelevati in varie riprese dai conti correnti della fallita a titolo di “restituzione anticipo soci”.

La Corte d’Appello ha condiviso integralmente le conclusioni del giudice di prime cure, osservando come l’attività della fallita fosse poi proseguita mediante una nuova società, a cui i dipendenti e i fornitori erano stati “ceduti”, identificata, invero, nella E. M., facente sempre capo agli stessi imputati.

Infatti, era proprio a favore di quest’ultima che si erano consumate le condotte contestate, servendosi dell’intermediazione della N. F. (i cui amministratori, invece, erano già stati assolti in primo grado, perché non ritenuti consapevoli dello stato di decozione della società venditrice), avendo gli imputati trasferito, senza il versamento di alcun corrispettivo, le rimanenze di magazzino; operazione compiuta (nel 2009) quando si era già prospettato l’insanabile squilibrio economico-finanziario della Società, poi verificatosi nel 2010, con la perdita del capitale sociale.

Analoghe riflessioni sono state utilizzate dalla Corte d’Appello per ribadire la corretta qualificazione giuridica dell’ulteriore condotta distrattiva contestata, dal momento che la restituzione delle somme era avvenuta in un momento in cui la società risultava già in decozione.

La difesa degli imputati ha proposto, dunque, ricorso per cassazione sostenendo, in particolare, l’insufficienza della prova della responsabilità dei ricorrenti, la compartecipazione alla condotta distrattiva anche degli amministratori della N. F., nonché l’eccessività del trattamento sanzionatorio.

La questione

Con il provvedimento in esame, la Corte di Cassazione affronta il tema dell’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, alla luce dei c.d. “indici di fraudolenza”, sviluppati dalla giurisprudenza di legittimità.

La pronuncia risulta di particolare interesse poiché chiarisce l’essenziale funzione selettiva ai fini dell’incriminazione svolta dai menzionati indici; indici che, parametrati alla natura di reato di pericolo concreto della bancarotta, consentono di discriminare tra fatti dotati di intrinseca aleatorietà – come tali fisiologicamente riconducibili alle iniziative imprenditoriali – e condotte, invece, poste in essere in presenza di concreti indicatori di pericolosità per l’integrità della garanzia patrimoniale a tutela dei creditori.

La soluzione giuridica

La Suprema Corte ha, innanzitutto, ribadito la correttezza dell'assoluzione dei coimputati dei ricorrenti – amministratori della N. F. -, in quanto, nonostante l'evidente contributo materiale offerto e la sussistenza di indizi che dovevano far apparire, quanto meno, sospetta l'operazione, non risultava raggiunta la prova oltre ogni ragionevole dubbio circa la consapevolezza da parte loro dello stato di decozione della L. M. al momento dell'operazione; non desumibile dai bilanci conoscibili da terzi al momento della vendita.

Completamente diversa risulta, invece, la conclusione cui giunge la Suprema Corte quanto alla posizione di Ca.Sa e Ca.An., certamente consci dello stato di dissesto in cui versava L. M., tanto da distrarre dal patrimonio della predetta i beni indicati nel capo di imputazione, per trasferirli, senza corrispettivo e servendosi di una società “schermo” (la N. F.), a una diversa società (la E. M.), sempre facente capo a loro e destinata a proseguire l'attività della società ormai in procinto di fallire.

La Corte di Cassazione arriva a tale decisione proprio sulla scorta dei cd. indici di fraudolenza - esemplificati dalla V Sezione dell'anzidetta Corte con la sentenza Sgaramella (Cass., sez. V, 23 giugno 2017, n. 38396, rv 270763) -, «rinvenibili nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa».

Nel caso oggetto di analisi, proprio il trasferimento senza corrispettivo delle rimanenze dei beni ad una società riconducibile agli stessi amministratori della fallita, per restare alla prima condotta contestata, è stato valorizzato per affermare la penale responsabilità degli imputati.

Anche la seconda operazione è stata ritenuta dalla Suprema Corte distrattiva, sulla scorta di due motivazioni: i) quando il prelevamento è stato effettuato, la società era già in uno stato di dissesto evidente; ii) tale somma è pervenuta alla L. M. non dagli imputati, bensì dalla E. M. (sempre attraverso lo schermo de N. F.), così che non vi era credito alcuno che Ca.Sa e Ca.An. potessero vantare nei confronti della fallita.

Osservazioni

Tale pronuncia si colloca nell'alveo della oramai consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale occorre valutare la pericolosità della condotta distrattiva – sia in relazione al profilo oggettivo (della concreta idoneità a esporre a pericolo l'entità del patrimonio della società rispetto alla massa dei creditori), sia in relazione al profilo soggettivo del dolo generico – alla luce del criterio della prognosi postuma; fondata sull'accertamento ex ante della sussistenza di plurimi elementi indicativi - i cd. indici di fraudolenza -, la cui valenza dimostrativa deve in ogni caso essere oggetto di specifica motivazione da parte dell'organo giudicante.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, al fine di adeguare la fattispecie in discorso ai principi costituzionali (ex multis, il principio di offensività), è giunta, ormai da tempo, a ritenere il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare reato di pericolo concreto (Cass., Sez. V, 1.8.2017, n. 38396, Sgaramella, rv 270763, pag. 13. Conf., Cass., Sez. V, 30.4.2018, n. 18517, Lapis, rv 273073, pag. 27; Cass., Sez. V, 7 aprile 2017, n. 17819, Palitta, rv 269562; Cass., Sez. V, 2 novembre 2017, n. 50081, Zazzini, rv 271437; Cass., Sez. V, 1 agosto 2017, n. 38396, Lapis, rv 270763, pag. 7; Cass., Sez. V, 19 febbraio 2015, n. 33527, Giacomini, pag. 15; Cass., Sez. V, 9 gennaio 2015, n. 19548, Merodi, pag. 6; Cass., sez. V, 24 febbraio 2015, n. 13590, Nardelli, pag. 2; Cass., Sez. V, 13 marzo 2014, n. 33181, Gatti Kraus, pag. 12; Cass., Sez. V, 3 ottobre 2013, n. 38325, Ferro, pag. 13).

In particolare, la stessa giurisprudenza, nell'approfondire il tema in esame, ha puntualmente osservato che: «il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in quanto l'atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie» (Cass., Sez. V, 2.11.2017, n. 50081, Zazzini, rv 271437).

La Suprema Corte, poi, nella sua più logica evoluzione, ha precisato che la concretezza del pericolo – derivante dall'ingiustificato distacco patrimoniale – debba essere apprezzata nella prospettiva della (prevedibile) futura insolvenza dell'impresa. La distrazione crea pericolo concreto per le ragioni creditorie, in sostanza, quando l'insolvenza appaia una prospettiva oggettivamente realistica, in base alla effettiva situazione aziendale (Cass., Sez. V, 1.8.2017, n. 38396, Sgaramella, ev 270763, in motivazione, pag.7).

La soluzione prospettata, invero, è in linea con le coordinate costituzionali (si veda l'ordinanza n. 268 del 1989, nonché  le sentenze n. 265 del 2005 e n. 225 del 2008 della Corte Costituzionale), dal momento che solo il pericolo concreto di pregiudizio evita di rifluire nella ben più problematica categoria del “pericolo astratto o presunto” (si veda, in proposito, ex multis, Fiandaca, Musco, Diritto Penale, p.te generale, pagg. 173 – 178; Cass., Sez. V, 7.4.2017, n. 17819, cit., in motivazione, pag. 9); incompatibile, nella materia in esame, con la responsabilità penale personale, come declinata dalla Corte Costituzionale, nella nota sentenza n. 1085/1988 (Cass., Sez. V, 7.4.2017, n. 17819, Palitta, cit., in motivazione, pag. 9).

L'impatto concretamente offensivo della distrazione, nei termini dianzi chiariti, infine, deve sussistere in due diversi momenti.

In primo luogo, al tempo della realizzazione della condotta contestata. Occorre, cioè, attraverso il noto procedimento della c.d. prognosi postuma (si veda Cass., Sez. V, 1.8.2017, n. 38396, Sgaramella, cit., in motivazione, pag. 11), dimostrare, con valutazione ex ante, che il distacco patrimoniale sarebbe stato idoneo a penalizzare, in sede di eventuale successivo dissesto, la posizione dei creditori; già sussistendo, al momento della condotta – in ragione della effettiva situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell'impresa - le condizioni per poter oggettivamente prevedere le future difficoltà dell'impresa medesima (con conseguente esclusione di «fattori non imputabili come un tracollo economico» o non prevedibili, interni o esterni all'impresa) (Cass., Sez. V, 7.4.2017, n. 17819, cit., in motivazione, pag. 10: «Il pericolo previsto dalla bancarotta pre-fallimentare (…) non può che essere correlato alla idoneità dell'atto di depauperamento a creare un vulnus alla integrità della garanzia dei creditori in caso di apertura di procedura concorsuale - non dunque come singoli, ma come categoria – (…) e che certamente deve poggiare su criteri "ex ante", in relazione alle caratteristiche complessive dell'atto stesso e della situazione finanziaria della società, laddove l'"anteriorità" di regola è tale relativamente al momento della azione tipica, senza però che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della stessa situazione, fino all'epoca che precede l'atto di apertura della procedura e senza, comunque, che possano acquisire rilevanza, nella prospettiva che qui interessa, fattori non imputabili come un tracollo economico»).

In secondo luogo, la condotta deve mantenere intatta la propria valenza pericolosa, sino al diverso momento in cui sia stato dichiarato il fallimento (Cass., Sez. V, 7.4.2017, n. 17819, rv 269562). Occorre dimostrare (Cass., Sez. V, 23.10.2007, n. 39043, rv 238212), in altre parole, che la condotta contestata abbia determinato uno squilibrio patrimoniale, tra attività e passività, perdurante e sussistente ancora al momento della dichiarazione di fallimento (come tale in grado di pregiudicare la consistenza della garanzia offerta, ai creditori, con i beni sociali. Cass., Sez. V, 7 aprile 2017, n. 17819, cit., in motivazione, pag. 9).

Secondo la più evoluta giurisprudenza di legittimità, inoltre, per stabilire se l'insolvenza, al momento della condotta, fosse o meno oggettivamente prevedibile, si deve tener conto di una serie di elementi, che sono stati appunto qualificati come “indici di fraudolenza”: si tratta, in particolare, (i) del presumibile sviluppo dell'attività di impresa; (ii) della distanza temporale della condotta dal verificarsi del dissesto/fallimento; (iii) delle condizioni finanziarie, economiche e patrimoniali della impresa medesima; (iv) della natura della singola operazione; v) dei rapporti soggettivi.

Il pericolo deve essere dunque misurato, anzitutto, in relazione alle presumibili prospettive di sviluppo dell'impresa (Cass., Sez. V, 1.8.2017, n. 38396, rv 270763, in motivazione, § 4.2.). L'atto, quindi, deve potersi apprezzare - ora per allora -, in previsione della futura potenziale insolvenza dell'impresa, già valutabile, oggettivamente, sulla base degli elementi di fatto evidenti al momento del compimento della condotta; ed escludendo, perciò, «fattori non imputabili come un tracollo economico», che, in quanto successivi e non (oggettivamente) prevedibili, non consentono di orientare efficacemente il giudizio, in ordine alla pericolosità concreta della contestata distrazione (Cass., Sez. V, n. 17819/2017, Palitta, cit., in motivazione, pag. 10). Tale conclusione è fatta propria dalla Suprema Corte di Cassazione (anche) nella nota sentenza Geronzi (Cass., Sez. V, 5 dicembre 2014, n. 15613, Geronzi, rv 263805, in motivazione § 6.6.3 - 6.6.5.).

In sostanza, il buon andamento dell'attività imprenditoriale, il regolare svolgimento degli affari, la presenza di piani di sviluppo aziendale, impediscono di prevedere, oggettivamente, che possa invertirsi radicalmente l'andamento positivo dell'impresa.

La prova della concreta pericolosità, inoltre, dovrà misurarsi anche con la distanza temporale esistente tra condotta illecita e manifestazione del dissesto. Questo perché, quanto più ci si allontana dalla c.d. “zona di rischio penale”, rappresentata dalla prossimità della condotta al dissesto societario (ivi, pag. 11. Si veda anche Cass., Sez. V, 30 aprile 2018, n. 18517, rv. 273073); tanto più difficile diventa prevedere, oggettivamente, il successivo fallimento dell'impresa.

La pericolosità concreta dovrà, poi, anche rapportarsi con le condizioni finanziarie, economiche e patrimoniali dell'impresa. Ciò in quanto, all'evidenza, una situazione in bonis sfuma grandemente la prevedibilità oggettiva del futuro dissesto dell'impresa e, per l'effetto, la pericolosità, concreta, del distacco patrimoniale per le (future) ragioni creditorie (ivi, pag. 12). Tanto è vero che, quando la società è in bonis, ben potrebbe l'imprenditore destinare risorse societarie per proprie esigenze personali (ivi, pag. 8).

Qualora, poi, distanza temporale e condizione in bonis dovessero cumularsi, il successivo dissesto diverrebbe, evidentemente, ipotesi davvero remota, con conseguente inesistenza del pericolo concreto per gli interessi dei creditori (Cass., Sez. V, n. 17819/2017, cit., in motivazione, pagg. 5, 9).

I principi sin qui richiamati, sono stati ribaditi anche dalle più recenti sentenze della Suprema Corte, a dimostrazione di un orientamento ormai del tutto consolidato (Cass., Sez. V, 17 luglio 2024, n. 28941).

Proprio l'esigenza di concretezza, che deve permeare la pericolosità intrinseca della condotta distrattiva, impone, quindi, un accertamento accurato, in grado di far emergere, appunto, i c.d. indici di fraudolenza; rinvenibili, ad esempio, come si è detto, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l‘impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Cass., Sez. V, 17 luglio 2024, n. 28941 e, appunto, Cass., Sez. V, 19 luglio 2024, n. 29651 in commento.).

Riassumendo, possiamo dire che, in quanto reato di pericolo concreto, è necessario che il fatto di bancarotta abbia determinato un depauperamento economico e un effettivo pericolo per la conservazione dell'integrità del patrimonio sociale; da valutare, oggettivamente, nella prospettiva del prevedibile esito concorsuale, alla luce delle specifiche condizioni dell'impresa.

Occorre quindi provare, nella prospettiva accusatoria, la pericolosità concreta, dimostrando che la condotta realizzata, nel momento in cui è stata posta in essere, abbia rappresentato un effettivo pregiudizio per i creditori.

A tal fine è possibile e doveroso accertare la sussistenza degli indici di fraudolenza, che possono conferire concretezza al pericolo intrinseco alle operazioni (in tesi distrattive), poste in essere dal soggetto agente.

In conclusione, dunque, la sentenza in commento merita apprezzamento, perché si sforza di dare un contenuto concreto a quegli elementi che più siano in grado di materializzare, nella realtà sostanziale (e poi processuale), il pericolo per le ragioni creditorie: pericolo che rappresenta, in definitiva, l' “in sé” delle fattispecie penal-fallimentari, quali, fra tutte, la bancarotta per distrazione.

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