Quale rilevanza va attribuita all’archiviazione in sede penale dei fatti di violenza domestica o di genere addotti in ambito civile?
29 Aprile 2025
Massima In tema di ascolto del minore di età inferiore ai dodici anni, è necessario che la parte che formuli la richiesta di ascolto fornisca al giudice utili elementi ai fini dell’accertamento della sua capacità di discernimento, non essendo possibile procedere a tale valutazione nel corso dell’audizione stessa, che avrebbe in tal caso finalità esplorativa. In tema di esercizio della responsabilità genitoriale, l’esistenza di situazione di violenza domestica o di genere devono essere prontamente e accuratamente accertate dal giudice, anche attraverso l’acquisizione degli atti dell’eventuale procedimento penale esistente in relazione ai medesimi fatti, rispetto al quale, tuttavia, l’archiviazione delle denunce proposte appare irrilevante, potendo costituire mero elemento di valutazione al fine della verifica dell’esistenza o meno delle condotte addotte. Il caso A seguito di ricorso ex art. 709 ter c.p.c., proposto dal padre di due minori che lamentava di non riuscire ad esercitare il diritto di visita dei figli, il Tribunale adito disponeva il loro affidamento ai Servizi Sociali a cui assegnava l'incarico di regolamentare le frequentazioni con il ricorrente e avviare un percorso a sostegno della genitorialità. Avverso il menzionato provvedimento proponeva reclamo la ex coniuge chiedendo, sul punto, la modifica del provvedimento impugnato e l'affidamento esclusivo in suo favore della prole. Detta richiesta veniva rigettata dalla Corte adita sulla scorta delle risultanze della CTU espletata nell'ambito del procedimento di primo grado, dalla quale era emersa la sussistenza di comportamenti disfunzionali posti in essere dalla madre nei confronti della figura genitoriale paterna, volti a denigrare e delegittimare l'altro genitore, che sostanzialmente avallavano la teoria della PAS, pur non citandola espressamente. La pronuncia resa in sede di reclamo veniva impugnata dalla madre dei minori con ricorso per cassazione nell'ambito del quale venivano formulati molteplici motivi di doglianza. In primo luogo, la ricorrente eccepiva la nullità del provvedimento impugnato per la violazione, sia da parte del Tribunale che della Corte territoriale, di tutte le disposizioni previste dall'ordinamento interno e dalle convenzioni internazionali, relative all'obbligo di procedere all'ascolto dei minori, essendo indubbio che la questione, afferendo a situazioni volte ad incidere direttamente sulla vita di questi ultimi, imponeva il coinvolgimento dei minori anche al fine di comprendere quali le effettive ragioni del rifiuto dei figli a incontrare il padre, essendovi, peraltro la necessità di appurare la sussistenza di situazioni di c.d. violenza assistita. Quale ulteriore motivo di lagnanza, la ricorrente contestava l'acritico recepimento delle risultanze della CTU espletata nel corso del procedimento, poste a fondamento del provvedimento di limitazione della responsabilità genitoriale e di affidamento dei minori ai Servizi Sociali, per il richiamo a una presunta e ascientifica teoria della alienazione parentale (PAS) evidenziata dal nominato consulente al fine di giustificare il rifiuto dei minori a incontrare il padre e per la totale sottovalutazione, invece, della situazione di violenza subita dai minori, spesso costretti ad assistere ad aggressioni perpetrate dal padre nei confronti della di loro madre. All'esito della disamina della questione la Corte ha accolto parzialmente le proposte censure, rimettendo il procedimento alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione per il nuovo esame della questione limitatamente all'accertamento dell'esistenza di situazioni di violenza domestica o di genere rigettando, invece, quelle concernenti l'ascolto del minore. La questione La pronuncia in commento esamina due aspetti di assoluto rilievo, il primo relativo all’ascolto del minore con particolare riferimento alle modalità per la formulazione della richiesta di audizione soprattutto se riferita a bambini di età inferiore ai dodici anni e l’altra afferente all’autonoma rilevanza rispetto agli accertamenti compiuti in sede penale, della c.d. violenza domestica, anche nella forma della c.d. violenza assistita, a fondare un giudizio di decadenza della responsabilità genitoriale. Le soluzioni giuridiche Il primo motivo di doglianza ha portato la Corte adita ad una lunga disamina della questione concernente la disciplina dell'ascolto del minore rispetto al quale i giudici di legittimità, richiamando l'orientamento formatosi sul punto, hanno escluso l'assimilabilità tra quello condotto dal giudice e l'ascolto espletato, come nel caso di specie, dal consulente nell'ambito dell'incarico allo stesso affidato, poiché solo la prima modalità consente al fanciullo di partecipare al procedimento ove si assumono decisioni che lo riguardano e di esprimere le proprie opinioni ed esigenze (Cass. n. 1474/2021; Cass. n. 12957/2018). Tale precisazione ha portato i giudici ad escludere, nel caso di specie, l'avvenuto adempimento dell'onere in commento rilevato che, in primo grado, il Tribunale aveva delegato l'ascolto del solo figlio primogenito al CTU e la Corte territoriale, nel suo provvedimento, aveva richiamato genericamente le motivazioni rese sul punto in primo grado senza procedere a detto incombente. Siffatto modus operandi non è stato ritenuto sufficiente dalla Corte di legittimità secondo cui, anche in sede di gravame, il giudice non può semplicemente richiamare le motivazioni rese in primo grado ma deve, seppur sinteticamente, indicare le ragioni per cui condivide quelle espresse in primo grado (Cass. n. 9830/2024). La motivazione resa dalla Corte di Appello è stata, quindi, considerata deficitaria pur se priva di rilevanza in relazione al figlio primogenito per l'imminente raggiungimento della maggiore età che non avrebbe consentito la remissione degli atti al fine dell'espletamento del suo ascolto. Diversa, invece, la valutazione compiuta dalla Corte in relazione al secondogenito di età inferiore ai dodici anni, rispetto al quale i giudici di legittimità hanno escluso valenza ai motivi di doglianza esplicitati dalla ricorrente in considerazione delle modalità utilizzate dalla difesa ai fini della formulazione della richiesta di ascolto che, soprattutto per il caso in cui il fanciullo non abbia compiuto i dodici anni, deve contenere tutti quegli elementi che possano consentire al giudice di valutare l'effettiva e concreta capacità di discernimento del minore e che dovranno essere tanto più specifici quanto più l'età del minore si allontani da quella dei dodici anni, a cui si contrappone un obbligo motivazione inversamente proporzionale, ossia che va via via affievolendosi quando manchi all'età legale del discernimento un lasso temporale significativo, a meno che dagli atti del giudizio non emerga una eccezionale maturità del minore o specifiche ragioni per il suo ascolto. Fondate sono state, invece, considerate le censure formulate in relazione alla CTU sia per l'acritico recepimento delle stesse nel provvedimento impugnato, nonostante il riferimento in essa contenuto ad una teoria (PAS) non riconosciuta dalla comunità scientifica, che per l'omessa valutazione degli episodi di violenza domestica addotti dalla ricorrente a fondamento del rifiuto dei figli di incontrare il padre, integrante un'ipotesi di vittimizzazione secondaria. In particolare, in relazione al primo profilo, i giudici di legittimità non hanno potuto che ribadire l'inidoneità della diagnosi di una patologia, tanto più se non riconosciuta dalla comunità scientifica, al fine di pervenire alla modifica delle statuizioni concernenti l'affidamento dei minori, poiché il giudice, pur in caso di ammissione di una consulenza tecnica di ufficio, è tenuto ad accertare la veridicità di situazioni pregiudizievoli addebitate a una delle parti non potendosi prescindere dall'osservazione e dalla valutazione dei comportamenti tenuti da tutte le parti coinvolte, e a fornire adeguata motivazione alle scelte compiute (Cass. n. 3576/2024; Cass. n. 13217/2021). Il provvedimento impugnato è stato, altresì, ritenuto illegittimo nella parte in cui la Corte ha omesso di verificare l'effettiva esistenza di situazioni di violenza domestica o di genere addotte dalla ricorrente, trattandosi di fatti che, pur nel vigore del sistema previgente alla riforma attuata con il d.lgs. n. 149/2022, appaiono rilevanti e non trascurabili ai fini dell'espletamento della responsabilità genitoriale, a prescindere dall'esito di eventuali procedimenti penali intrapresi in conseguenza delle citate condotte. Sul punto i giudici di legittimità, richiamando le previsioni relative agli ordini di protezione, attualmente contenute all'art. 473-bis.69 e ss c.p.c., hanno sottolineato non solo l'autonomia degli abusi familiari rispetto alle ipotesi di reato che sanzionano le condotte antigiuridiche tenute all'interno della famiglia - rispetto alle quali non solo l'azione penale non è risolutiva al fine della tutela delle vittime, apparendo, invece, ben più idonee le misure adottate in sede civile, quali l'allontanamento del maltrattante dal domicilio o il divieto di avvicinamento - ma hanno precisato l'autonomia delle due fattispecie, fondate su una diversa valutazione dei fatti e delle responsabilità alle parti sottese, essendo ben possibile che a fronte del medesimo fatto, il giudice penale possa disporre, come nel caso in esame, l'archiviazione del procedimento, mentre quello civile possa ritenere sussistente un comportamento aggressivo e violento, rivelatore di non idoneità genitoriale. Da ciò ne consegue che il semplice rilievo, contenuto nella espletata CTU e posto a fondamento della omessa considerazione dei fatti di violenza addotti dalla ricorrete, non costituisce una motivazione sufficiente per escludere un comportamento illecito in sede civile, né esime il giudice dal compiere una autonoma valutazione anche basandosi sulle indagini eseguite in sede penale. Nulla di tutto ciò è stato fatto nel caso di specie dalla Corte territoriale adita la quale non ha neppure proceduto alla nomina del curatore speciale dei minori, che appare, invece, alquanto necessaria essendo evidente l'esistenza di un conflitto di interessi tra i genitori e i figli poiché l'affidamento dei fanciulli ai servizi sociali, non è stata disposto in funzione di supporto delle funzioni genitoriali ma si è accompagnato ad una pronuncia su questioni de potestate (Cass. n. 3229/2023). Perciò, nella rimessione degli atti alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, i giudici di legittimità hanno invitato alla rinnovazione degli atti del procedimento risultati viziati a causa della mancata partecipazione del curatore speciale del minore (Cass. n. 1832/2025). Osservazioni Molteplici sono gli spunti di riflessione e di approfondimento contenuti nella pronuncia in esame con riferimento ai diversi e fondamentali istituti che vengono in evidenza allorchè si tratti di responsabilità genitoriale, quali l'ascolto del minore, la nomina del curatore speciale del minore e la rilevanza della violenza domestica nell'adozione di provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale. Con riferimento a tale ultimo aspetto di assoluto rilievo appare la lunga disamina compiuta dalla Corte in relazione alle previsioni contenute nella Convenzione di Istanbul che costituisce il primo testo normativo che ha riconosciuto rilevanza alla violenza domestica, le cui previsioni sono state integralmente richiamate nelle disposizioni normative introdotte con il d.lgs. n. 149/2021. Chiara è apparsa, infatti, la volontà del legislatore della novella di attuare nel nuovo sistema processuale utili iniziative volte a contrastare il dilagante fenomeno della violenza intra familiare e ad evitare il rischio della c.d. vittimizzazione secondaria che si realizza tutte le volte in cui le stesse autorità chiamate a reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni di violenze stesse. |