Il diritto di prelazione nell’acquisto di botteghe storiche
Paolo Scalettaris
06 Maggio 2025
Il d.lgs. 27 dicembre 2024, n. 219 (“Costituzione dell'Albo nazionale delle attività commerciali, delle botteghe artigiane e degli esercizi pubblici”) introduce la disciplina diretta a regolare le “botteghe storiche”, attraverso “misure uniformi per la tutela e la valorizzazione dei luoghi storici del commercio e delle botteghe artigiane, che presentano particolare rilevanza e importanza sotto il profilo storico, culturale e commerciale” anche con la creazione di “appositi albi in ambito locale e di un albo nazionale”. Tra le disposizioni introdotte dal decreto, vi è la previsione del riconoscimento del diritto di prelazione nel caso di cessione o vendita dell'immobile costituente la sede della bottega storica: nel testo che segue, si prende in considerazione alcune delle questioni che la previsione del diritto di prelazione pone agli interpreti ed agli operatori.
Introduzione. Il quadro normativo
Il d.lgs. 27 dicembre 2024, n. 219 (“Costituzione dell'Albo nazionale delle attività commerciali, delle botteghe artigiane e degli esercizi pubblici, tipizzati sotto il profilo storico-culturale o commerciale, ai fini della valorizzazione turistica e commerciale di dette attività, in attuazione dell'articolo 27, comma 1, lettera l-bis della l. 5 agosto 2022, n. 118”) introduce una disciplina nuova diretta a regolare le “botteghe storiche”.
Il decreto prevede la creazione di “misure uniformi per la tutela e la valorizzazione dei luoghi storici del commercio e delle botteghe artigiane, che presentano particolare rilevanza e importanza sotto il profilo storico, culturale e commerciale, anche attraverso l'istituzione di appositi albi in ambito locale e di un albo nazionale” (art. 1 del decreto). Vengono considerate le figure della “attività commerciale storica”, della “bottega artigiana” e dell'“esercizio pubblico storico” (art. 2).
È disposta la creazione a livello di comuni, città metropolitane o province di “albi delle attività commerciali, delle botteghe artigiane” e “degli esercizi pubblici storici” nei quali “sono elencate le attività esistenti da almeno 50 anni […] connotate da un particolare interesse merceologico o culturale o storico o artistico o turistico ovvero legato alle tradizioni locali”.
Nel caso di subentro nella titolarità o nella gestione dell'attività, la qualifica è conservata se “i soggetti subentranti garantiscano la continuità nell'attività per quanto concerne il settore merceologico, le modalità di vendita o di produzione e, ove possibile, le caratteristiche strutturali dei locali”: il subentro “è ammissibile in favore del dipendente che abbia operato presso l'attività per almeno dieci anni e sia in possesso di adeguata qualificazione”.
Si prevede, poi, che la qualifica “può essere mantenuta anche in un locale diverso da quello cui era stata originariamente attribuita, qualora, esperita senza esito la procedura conciliativa di cui all'art. 5, comma 2, nonché in casi di forza maggiore, l'attività sia gestita dal precedente titolare, sia mantenuta l'area d'insediamento e sia garantita la continuità nell'attività, con riferimento al settore merceologico e alle modalità di vendita o produzione”.
Sono regolati anche l'aggiornamento periodico degli albi e la pubblicizzazione dell'iniziativa.
L'art. 4 del decreto è dedicato alle “attività storiche di eccellenza”, cioè le attività commerciali e gli esercizi pubblici storici che “abbiano svolto nello stesso locale, da almeno 70 anni continuativi […] un'attività di produzione, somministrazione o vendita al dettaglio nello stesso settore merceologico”, che “siano gestite per almeno tre generazioni consecutive da una medesima famiglia con continuità dell'attività storica e con il mantenimento della qualità e dell'eccellenza ovvero dal soggetto subentrante” e “connotate da un particolare interesse storico, culturale, artistico, turistico o merceologico ovvero legato alle tradizioni locali” e che “abbiano conservato, per quanto possibile, l'aspetto storico, gli interni e gli arredi, ivi comprese mostre, vetrine e insegne della ditta”.
L'art. 5 del decreto riconosce nel caso di cessione o vendita di beni che siano “sede operativa” di botteghe storiche “in forza di un contratto di locazione o di altro legittimo titolo che ne consente la detenzione o il possesso il diritto di prelazione di cui all'art. 38 l. 27 luglio 1978, n. 392” e ciò, nel limite dei locali detenuti, “anche in caso di vendita dell'intero complesso immobiliare”.
Lo stesso art. 5 prevede la possibilità di fissazione di “percorsi conciliativi che agevolino la conclusione di accordi tra gli esercenti di attività commerciali, botteghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza e i proprietari dei locali, volti a evitare fenomeni di espulsione di operatori commerciali qualificati dai centri storici e dalle aree commerciali classificate di pregio” e la possibilità della classificazione quali beni culturali delle “attività commerciali, botteghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza” con possibile imposizione di “vincoli di destinazione e obblighi di conservazione in capo ai soggetti proprietari degli immobili sede di beni o di attività definiti come culturali, tali da consentire il mantenimento della qualifica di storicità o di eccellenza”.
È, infine, prevista (dall'art. 6 del decreto) l'“istituzione dell'albo nazionale delle imprese commerciali e artigiane storiche e delle relative sottosezioni”.
Dedicheremo qui di seguito attenzione alla disposizione del comma 1 dell'art. 5 relativa al diritto di prelazione nel caso di trasferimento dell'immobile che ospita la bottega storica.
Il diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978
Secondo quanto prevede il comma 1 dell'art. 5 del d.lgs. n. 219/2024, dunque, il diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 trova applicazione anche nei confronti degli immobili costituenti la sede delle botteghe storiche. Per comprendere la portata della nuova disposizione è necessario ricordare innanzitutto il contenuto della norma richiamata.
Questa prevede che, nel caso in cui “il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario” indicando “il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione”.
Ricevuta la comunicazione “il conduttore deve esercitare il diritto di prelazione entro il termine di 60 giorni […] con atto notificato al proprietario […] offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli”.
È, poi, previsto che, “ove il diritto di prelazione sia esercitato, il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, deve essere effettuato entro […] 30 giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo” alla comunicazione del proprietario “contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto preliminare”.
Se l'immobile sia locato a più persone la denuntiatio “deve essere effettuata” nei confronti di ciascuna di esse ed “il diritto di prelazione può essere esercitato congiuntamente da tutti i conduttori, ovvero, qualora taluno vi rinunci, dai rimanenti o dal rimanente conduttore”.
Completa la norma la previsione che “l'avente titolo che, entro 30 giorni dalla notificazione di cui al 1° comma, non abbia comunicato agli altri aventi diritto la sua intenzione di avvalersi della prelazione, si considera avere rinunciato alla prelazione medesima”.
Infine, viene precisato che le norme così fissate “non si applicano nelle ipotesi previste dall'art. 732 c.c., per le quali la prelazione opera a favore dei coeredi, e nella ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado”.
Come si vede, l'art. 38 della l. n. 392/1978 disegna la prelazione quale figura caratterizzata dalla presenza di due elementi: la preferenza in relazione alla conclusione di un negozio che concerna un determinato immobile (l'acquisto della proprietà dell'immobile oggetto della locazione) accordata a parità di condizioni ad un determinato soggetto (il conduttore dell'immobile). Sono questi i due elementi che contano per la definizione del diritto di prelazione in base alle previsioni della norma indicata (analogamente - del resto - alle altre disposizioni che nel nostro ordinamento introducono altre ipotesi di prelazione: si pensi all'art. 732 c.c., all'art. 8 della l. 26 maggio 1965, n. 590 in tema di prelazione agraria, all'art. 40 della stessa legge n. 392/1978).
Proprio la considerazione degli elementi indicati ha consentito di dare soluzione ad uno dei problemi più delicati che si pongono in tema di prelazione urbana: la questione della vendita in blocco. Si ritiene che, nel caso della vendita di un insieme di immobili di cui faccia parte il bene oggetto della locazione, debba distinguersi il caso della vendita in blocco dal caso della vendita cumulativa: nella prima ipotesi (ipotesi in cui l'immobile locato fa parte di un insieme costituente un unicum) non trovi applicazione la prelazione mentre nella seconda ipotesi (corrispondente alla situazione in cui si abbiano più vendite comunque distinte) il diritto predetto debba riconoscersi, in coerenza con il principio per cui il diritto di prelazione concerne solo il bene oggetto della locazione e postula la parità delle condizioni tra negozio divisato dal locatore e risultato dell'esercizio della prelazione.
Da notare che la disciplina dell'art. 38 della l. n. 392/1978 trova il suo completamento nelle previsioni - contenute nell'art. 39 della stessa legge - che attribuiscono al titolare del diritto di prelazione nel caso di violazione di questo il diritto di riscatto (da esercitarsi peraltro secondo specifici tempi e specifiche modalità). Ciò, del resto, in linea con le altre disposizioni del nostro ordinamento che disciplinano altre ipotesi di prelazione (l'art. 732 c.c. in tema di prelazione tra coeredi e l'art. 8 della l. n. 590/1965 in tema di prelazione agraria).
Il diritto di prelazione secondo l'art. 5 del d.lgs. n. 219/2024
Come detto, il diritto di prelazione nell'acquisto dell'immobile viene ora attribuito dal d.lgs. n. 219/2024 anche nel caso di immobili costituenti sede delle botteghe storiche.
Il comma 1 dell'art. 5 del d.lgs. n. 219/2024 prevede, infatti, che, nel “caso di cessione o vendita di beni immobili di proprietà di soggetti pubblici o privati, che siano sede operativa di attività commerciali, botteghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza, in forza di un contratto di locazione o di altro legittimo titolo che ne consente la detenzione o il possesso” viene “riconosciuto” in favore del gestore di tale attività “il diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. 27 luglio 1978, n. 392”.
Il diritto in questione è riconosciuto “limitatamente ai locali detenuti” anche nell'ipotesi della “vendita dell'intero complesso immobiliare”.
Numerosi sono i profili specifici della nuova disposizione che vanno qui segnalati.
Innanzitutto, si nota che la norma fa richiamo non già ad un diritto di prelazione genericamente inteso ma specificamente al diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978.
La norma, poi, nel fissare il quadro della materia, menziona sia l'ipotesi della “cessione” sia l'ipotesi della “vendita” dell'immobile.
Viene fatto riferimento, inoltre, non già alla semplice intenzione del proprietario di vendere il bene, ma all'evento costituito dalla effettiva cessione o vendita di questo.
La norma considera il trasferimento di beni immobili di proprietà sia privata sia pubblica.
Il diritto di prelazione è riconosciuto non solo in caso di detenzione, ma anche nel caso di possesso del bene.
Viene richiesta l'esistenza di un titolo legittimo alla base dell'occupazione dell'immobile.
Quanto all'ipotesi della vendita dell'intero complesso immobiliare, il diritto di prelazione viene riconosciuto ma limitatamente ai locali detenuti.
La norma, infine, non fa alcun cenno al diritto di riscatto del bene oggetto della prelazione.
In relazione a ciascuno degli aspetti ora segnalati pare opportuno confrontare la nuova disposizione con le previsioni dell'art. 38 della l. n. 392/1978 affinché possano emergere i caratteri peculiari e gli aspetti problematici del diritto di prelazione introdotto dalla nuova norma.
Il confronto tra la nuova disposizione e le previsioni dell'art. 38 della l. n. 392/1978
Un primo aspetto della nuova norma che emerge dal confronto con la disciplina della prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 concerne il differente ambito di applicazione delle due ipotesi. Al proposito, si segnalano numerosi aspetti.
La nuova norma chiarisce che essa concerne gli immobili “che siano sede operativa di attività commerciali, botteghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza”: deve trattarsi dunque del luogo in cui si svolge direttamente l'attività prevista (la norma utilizza assai significativamente l'espressione “sede operativa”). La disposizione ricorda la previsione dell'art. 35 della l. n. 392/1978 (che fa richiamo agli immobili utilizzati “per lo svolgimento di attività che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori”): ma nel caso in esame entrano nel campo di applicazione della norma anche i locali utilizzati per lo svolgimento di attività solamente “interna” (quali, per esempio, i laboratori artigiani).
Anche l'immobile in cui si svolga attività che non comporti contatti diretti con gli utenti ed i consumatori - se sede di bottega storica - è oggetto, dunque, del diritto di prelazione in esame.
La norma precisa, poi, che l'immobile deve essere detenuto o posseduto “in forza di un contratto di locazione o di altro legittimo titolo che ne consente la detenzione o il possesso”.
La previsione allarga considerevolmente l'ambito di applicabilità del diritto di prelazione estendendolo ad ipotesi anche diverse da quelle previste dall'art. 38 della l. n. 392/1978.
Quanto alla considerazione della detenzione del bene, viene in campo non solo l'ipotesi della detenzione che derivi da un contratto di locazione ma ogni ipotesi di detenzione che trovi giustificazione in titoli pur diversi dalla locazione (si pensi al comodato o all'affitto avente ad oggetto un'azienda che comprenda l'immobile che ne sia la sede).
Quanto alla considerazione del possesso del bene, la norma sembra riferirsi non solo al caso del diritto derivante da un contratto di natura personale, ma anche al caso del possesso che si colleghi ad un diritto reale (si pensi al possesso dell'usufruttuario).
La previsione della norma conduce a formulare anche un'altra osservazione: il richiamo (espresso con chiarezza con il riferimento ad un “legittimo titolo che consente la detenzione o il possesso”) al fatto che alla base del diritto vi debba essere un titolo legittimo fa pensare che il diritto di prelazione possa riconoscersi in favore del possessore o del detentore dell'immobile nel quale sia posta la bottega storica solo se e solo fino a quando il possesso o la detenzione deriverà da un titolo valido. Il che corrisponde al principio - affermato dalla giurisprudenza a proposito del diritto di prelazione ex art. 38 della l. n. 392/1978 - per cui il diritto è riconosciuto solo durante la vigenza de iure del contratto di locazione e non compete al conduttore una volta che il contratto di locazione sia giunto a scadenza (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2008, n. 27666).
Da osservare poi che la nuova norma - a differenza di ciò che prevede la l. n. 392/1978 - sembra concernere ogni ipotesi di trasferimento del bene: sia quella della cessione sia quella della vendita dell'immobile (ipotesi che la norma indica come se fossero distinte l'una dall'altra).
Parrebbe dunque - in base ad una prima lettura - che sia compreso tanto il caso della cessione a titolo oneroso diverso dalla vendita quale per esempio la permuta (ipotesi nella quale la giurisprudenza esclude invece l'applicazione della prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978: v. Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2006, n. 14455) quanto anche il caso della cessione del bene a titolo gratuito (considerazione questa che sembrerebbe trovare conferma nel fatto che la norma indica appunto quali ipotesi distinte quella della cessione e quella della vendita).
La questione - che deriva dalla differenza di formulazione delle norme - è assai delicata e non è, di certo, di agevole soluzione.
Si noti, infatti, che l'estensione della prelazione anche al caso della permuta e - ancor più - al caso della cessione a titolo gratuito costituirebbe profonda modifica dei caratteri di fondo dell'istituto della prelazione traducendosi nell'obbligo, per il proprietario che volesse cedere l'immobile a titolo gratuito o comunque a titolo diverso dalla vendita, di offrire l'acquisto del bene a colui il quale lo occupasse indicando un prezzo e modificando così completamente i propri intendimenti. Verrebbe così a mancare la parità delle condizioni, che costituisce elemento essenziale della figura della prelazione. Il diritto del proprietario dell'immobile verrebbe inciso in modo ben più profondo di quanto di norma avvenga con il diritto di prelazione: e lo stesso diritto di prelazione, se la previsione in esame fosse intesa nel senso ipotizzato, perderebbe il suo significato specifico - volto all'attribuzione di una posizione di preferenza a parità di condizioni - divenendo invece attribuzione di una posizione di preferenza ma a condizioni non uguali.
A questa osservazione di carattere generale, si aggiunge poi - per una corretta lettura della norma - l'elemento di carattere testuale fornito dalla previsione della vendita in blocco (il diritto di prelazione, infatti, viene “riconosciuto […] anche in caso di vendita dell'intero complesso immobiliare): questa indicazione potrebbe orientare l'interprete verso la limitazione del campo di applicazione della norma al solo caso della vendita.
Alla luce di quanto osservato pare dunque si possa ritenere che la lettura della nuova norma non possa prescindere dalla considerazione del significato e della fisionomia di fondo della figura della prelazione, la quale consiste necessariamente nell'attribuzione della preferenza a parità di condizioni: ne deriverebbe che anche l'ambito della prelazione prevista dalla nuova norma dovrebbe considerarsi limitato all'ipotesi della vendita dell'immobile.
Altro profilo da segnalare è quello che deriva dal fatto che - come già si è detto - la nuova norma concerne sia gli immobili di proprietà privata sia gli immobili di proprietà pubblica. Atteso che l'art. 38 della l. n. 392/1978 non fa menzione della diversa natura degli immobili oggetto del diritto, vi è da chiedersi se ciò significhi che l'ambito di applicazione delle disposizioni sia differenziato.
La questione si collega anche alla differenza della natura del contratto che è alla base del diritto di prelazione: nel caso della prelazione di cui alla legge del 1978 il titolo è costituito dal solo contratto di locazione mentre nel caso della prelazione qui in esame è costituito da ogni titolo anche di natura reale.
Accanto alle divergenze segnalate deve notarsi però che sono certamente presenti anche molti profili di coincidenza relativamente agli ambiti di applicazione delle due ipotesi.
In questo senso, si nota che il principio elaborato dalla giurisprudenza per cui il diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 non spetta nel caso in cui “il locatore intenda alienare, ad un terzo ovvero al comproprietario dell'immobile locato, la quota del bene oggetto del rapporto di locazione” (Cass. civ., sez. un., 14 giugno 2007, n. 13886; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2023, n. 22063; Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2020, n. 17992), principio che trova applicazione anche nel caso in cui il bene sia stato oggetto di divisione tra gli originari proprietari ed uno di essi alieni la porzione di proprietà esclusiva (Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2011, n. 449), trova certamente applicazione anche nel caso del diritto di prelazione per le botteghe storiche.
Deve ritenersi che trovi applicazione nel caso delle botteghe storiche anche il principio - affermato a proposito del diritto di prelazione di cui alla l. n. 392/1978 - che il fatto che l'immobile sia utilizzato per una destinazione diversa da quella autorizzata dalla disciplina urbanistica non rileva ai fini dell'attribuzione del diritto di prelazione (si afferma in argomento che “in materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, vanno riconosciuti al conduttore che svolga nell'unità immobiliare locata un'attività commerciale conforme all'uso contrattuale, il diritto di prelazione e il diritto di riscatto ai sensi degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, anche nel caso in cui l'immobile abbia destinazione abitativa secondo il titolo autorizzativo originario e il mutamento di destinazione d'uso non sia stato previamente autorizzato ai sensi della normativa urbanistica ed edilizia vigente. L'eventuale non conformità dell'immobile locato a tale normativa, quanto al mutamento di destinazione d'uso, non determina l'illiceità dell'oggetto né della causa del contratto di locazione, salvo che questo non si ponga direttamente in contrasto con vincoli di destinazione posti da disposizioni urbanistiche poste in leggi speciali ovvero negli strumenti urbanistici generali e di attuazione”: Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2013, n. 11964).
Da ricordare, infine, che vale certamente anche quanto al diritto di prelazione in esame il principio per cui (dal momento che il rapporto di sublocazione non fa venire meno il rapporto di locazione con il conduttore: v. Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2011, n. 6725) non può riconoscersi al subconduttore la titolarità del diritto di prelazione.
La finalità del diritto di prelazione
Anche alla luce di quanto si è considerato fino ad ora vi è da chiedersi quale sia, nel caso delle botteghe storiche, la finalità del diritto di prelazione.
Non è agevole dare risposta al quesito.
Si noti che il diritto di prelazione non sembra strettamente legato al mantenimento nell'immobile della qualificazione di bottega storica. Lo stesso d.lgs. n. 219/2024, infatti, prevede espressamente che la qualifica “può essere mantenuta anche in un locale diverso da quello cui era stata originariamente attribuita” (ciò “qualora, esperita senza esito la procedura conciliativa di cui all'art. 5, comma 2, nonché in casi di forza maggiore, l'attività sia gestita dal precedente titolare, sia mantenuta l'area d'insediamento e sia garantita la continuità nell'attività, con riferimento al settore merceologico e alle modalità di vendita o produzione”). Essendo consentito, dunque, il mantenimento della qualifica anche ove muti il locale nel quale l'attività si svolga, pare debba escludersi che scopo della prelazione sia il mantenimento della qualifica quanto all'immobile.
Vi è da chiedersi se, invece, la finalità del diritto di prelazione debba vedersi nello scopo di evitare la possibilità che il gestore dell'attività possa trovarsi nella condizione di dovere rilasciare l'immobile nel quale sia ubicata la bottega storica.
Va ricordato però che lo stesso art. 5 del d.lgs. n. 219/2024 prevede che le Regioni possono “individuare percorsi conciliativi che agevolino la conclusione di accordi tra gli esercenti di attività commerciali, botteghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza e i proprietari dei locali, volti a evitare fenomeni di espulsione di operatori commerciali qualificati dai centri storici e dalle aree commerciali classificate di pregio”: la previsione - come si vede - è diretta ad evitare o comunque a ridurre il rischio del rilascio degli immobili utilizzati quali sedi delle botteghe storiche.
D'altro lato lo stesso art. 5 del decreto dispone che “le attività commerciali, botteghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza di cui agli artt. 3 e 4, qualora siano espressioni di identità culturale collettiva ai sensi dell'art. 7-bis del Codice dei beni culturali e del paesaggio […] possono essere classificati, su istanza degli interessati, quali beni culturali” e che in tal caso “il Ministero dei beni culturali può apporre vincoli di destinazione e obblighi di conservazione in capo ai soggetti proprietari degli immobili sede di beni o di attività definiti come culturali, tali da consentire il mantenimento della qualifica di storicità o di eccellenza”. Anche questa disposizione (nei cui confronti - si nota per inciso - sono state sollevate critiche proprio perché essa appare diretta ad imporre ai proprietari degli immobili vincoli e limiti in relazione all'attività del conduttore oltre a tutto senza previsione di alcun indennizzo o risarcimento) è volta a mantenere e conservare la destinazione dell'immobile che sia sede della bottega storica (anche se i vincoli di destinazione così previsti non potrebbero vietare l'esercizio da parte del proprietario del diritto al rilascio dell'immobile per la scadenza del contratto di locazione: v., in questo senso, Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2024, n. 19350; Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2001, n. 6814).
In questa prospettiva, potrebbe vedersi pertanto nel diritto di prelazione del quale stiamo discorrendo uno strumento atto a contribuire a ridurre l'eventualità del rilascio dell'immobile.
Le modalità di esercizio del diritto di prelazione
Altro profilo sotto il quale le nuove disposizioni vanno esaminate è quello relativo alle modalità operative per l'esercizio del diritto di prelazione. In questa prospettiva deve ritenersi che il richiamo operato dalla norma al “diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. 27 luglio 1978, n. 392” comprenda certamente anche le modalità di esercizio del diritto.
Ricordiamo, dunque, le modalità di esercizio del diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 per verificarne la compatibilità con il diritto che stiamo esaminando.
Se consideriamo la denuntiatio del proprietario dell'immobile, ricordiamo che si afferma che la comunicazione della volontà di trasferire il bene a titolo oneroso non ha natura di proposta contrattuale né di mera informativa di un generico intento di avviare trattative negoziali ma riveste carattere di atto formale di interpello, vincolato nella forma e nel contenuto; cosicché la corrispondente dichiarazione del conduttore di esercizio della prelazione non costituisce accettazione di una proposta e non comporta l'immediato acquisto dell'immobile. Essa comporta invece la nascita dell'obbligo, a carico di entrambe le parti, di addivenire entro un preciso termine alla stipula del negozio di alienazione, con contestuale pagamento del prezzo indicato dal locatore (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671). Ne deriva, da un lato, che la comunicazione deve necessariamente provenire dal proprietario dell'immobile e, dall'altro, che ogni possibilità di libera trattativa tra le parti è esclusa, essendo interdetta al conduttore la facoltà di incidere sul contenuto del contratto già predeterminato dal proprietario, pena l'invalidità della prelazione.
Da ricordare, poi, che “la denuntiatio deve indicare non solo il corrispettivo, ma anche le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa: la rigorosità del contenuto della denuntiatio prescinde quindi dalla sua natura poiché la completezza della stessa è requisito essenziale e trova la sua giustificazione nel fatto che il conduttore deve essere posto nelle condizioni di valutare compiutamente la convenienza o meno dell'acquisto del bene locatogli” (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671).
A proposito della modalità di comunicazione dell'atto in questione, è pacifico che la denuntiatio deve provenire dal locatore proprietario e deve essere effettuata con atto notificato a mezzo dell'ufficiale giudiziario (Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25415), salva la possibilità che siano seguite, in concreto ed in modo univoco, modalità equipollenti di comunicazione tali (quali la lettera raccomandata) da porre il conduttore in condizione di esercitare la prelazione (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 20807).
Da ricordare che il locatore che intenda alienare a terzi l'immobile è tenuto ad effettuare una nuova denuntiatio se dalla prima comunicazione sia trascorso un intervallo di tempo incidente sulle condizioni di vendita in ragione della variazione dei valori monetari (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2011, n. 15708), ed inoltre che nel caso di immobile di proprietà di più soggetti la comunicazione del locatore di volere vendere l'immobile deve provenire da tutti i proprietari, richiedendosi, ove provenga da uno solo di essi, la spendita del nome degli altri nonché, ex artt. 1324,1350 e 1312 c.c., la loro procura per iscritto (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 20807).
Quanto all'atto con il quale il conduttore esercita il diritto di prelazione, va segnalato che l'esercizio della prelazione, fermi gli oneri di contenuto e di forma delle comunicazioni del locatore e del conduttore, si realizza e si perfeziona con la manifestazione della volontà del conduttore di acquistare l'immobile al prezzo ed alle altre condizioni proposte: la prelazione è infatti esercitata con la formale e tempestiva dichiarazione recettizia, da parte del conduttore al proprietario locatore, di volere acquistare il bene alle condizioni comunicategli. Il versamento del prezzo e la stipula dell'atto contrattuale intervengono invece in una fase successiva, di adempimento e di esecuzione del rapporto obbligatorio che si è instaurato tra le parti. Ciò corrisponde alla natura stessa della prelazione, che a differenza dell'opzione configura un diritto esercitabile in una fase antecedente al momento contrattuale e richiede pertanto una fase successiva volta alla stipulazione del negozio (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2022, n. 6601).
Quanto alle modalità diesercizio del diritto, questo deve essere esercitato dal conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario o con atto che, in concreto e univocamente, sia idoneo ad informare il locatore della volontà del conduttore e che consenta di verificare la tempestività della comunicazione e del successivo versamento del prezzo (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671; Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25415).
A proposito dei termini previsti dall'art. 38 della l. n. 392/1978, va ricordato poi che il termine per l'esercizio di prelazione, essendo previsto a pena di decadenza, deve considerarsi perentorio (Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2010, n. 3078).
Pare chiaro che i principi ora ricordati debbano essere richiamati - in linea generale - anche con riguardo alla prelazione riconosciuta dalle nuove norme in tema di botteghe storiche. Del resto, il richiamo della norma all'art. 38 della l. n. 392/1978 appare in questo senso chiarissimo.
Non può escludersi però che il richiamo alle modalità di cui all'art. 38 possa dare luogo anche a qualche problema applicativo. Ciò che soprattutto sembra che possa essere fonte di incertezza sono le conseguenze della circostanza che la previsione della norma attuale non fa riferimento alla fattispecie (richiamata invece dall'art. 38 anzidetto) dell'intendimento (del locatore) del trasferimento dell'immobile, ma richiama invece la condizione del trasferimento stesso del bene. Si noti: nel caso della prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 si considera il caso in cui “il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato” mentre nel caso della prelazione qui in esame si considera il “caso di cessione o vendita di beni immobili”. Secondo quanto prevede la disciplina della l. n. 392/1978, parrebbe dunque che il meccanismo proprio della prelazione si attivasse nel momento in cui il locatore maturasse l'intenzione di trasferire l'immobile mentre nel caso della prelazione per le botteghe storiche si prevede che il meccanismo operi con riferimento alla cessione o alla vendita.
L'odierna previsione sembrerebbe richiamare così piuttosto le condizioni proprie della prelazione agraria (per la quale le disposizioni in tema di prelazione devono trovare applicazione “in caso di trasferimento a titolo oneroso”). Va notato però che - a differenza della prelazione agraria - nel caso presente non è previsto che ai fini dell'esercizio della prelazione debba essere comunicato al soggetto avente il diritto di prelazione il contratto preliminare stipulato con un terzo per la vendita dell'immobile: le modalità concrete di svolgimento delle cose nel caso in esame ricalcano invece - lo si è visto sopra - le modalità proprie della prelazione urbana.
La differenza tra l'ipotesi della prelazione di cui alla l. n. 392/1978 e l'ipotesi della prelazione per le botteghe storiche è dunque più apparente che reale: la differenza di formulazione delle disposizioni sembra essere solamente divergenza letterale, mentre la sostanza delle vicende legate alle due ipotesi di prelazione risulta essere la medesima. Anche nell'ipotesi della prelazione per le botteghe storiche la denuntiatio del proprietario avrà la sostanza di un atto formale di appello così come è atto formale di appello la denuntiatio nel caso della prelazione ex art. 38 della l. n. 392/1978 e la comunicazione con la quale il titolare del diritto di prelazione relativo alla bottega storica dichiarerà di esercitare il suo diritto manifestando la volontà di acquisto alle condizioni proposte dal proprietario costituirà - come per la prelazione ex art. 38 - appunto atto di esercizio del diritto, atto antecedente la fase contrattuale di acquisto. Nella sostanza può vedersi coincidenza di modalità di significato e di esercizio degli atti che nelle due ipotesi sono compiuti.
Le modalità di esercizio del diritto di prelazione
Altro profilo sotto il quale le nuove disposizioni vanno esaminate è quello relativo alle modalità operative per l'esercizio del diritto di prelazione. In questa prospettiva deve ritenersi che il richiamo operato dalla norma al “diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. 27 luglio 1978, n. 392” comprenda certamente anche le modalità di esercizio del diritto.
Ricordiamo, dunque, le modalità di esercizio del diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 per verificarne la compatibilità con il diritto che stiamo esaminando.
Se consideriamo la denuntiatio del proprietario dell'immobile, ricordiamo che si afferma che la comunicazione della volontà di trasferire il bene a titolo oneroso non ha natura di proposta contrattuale né di mera informativa di un generico intento di avviare trattative negoziali ma riveste carattere di atto formale di interpello, vincolato nella forma e nel contenuto; cosicché la corrispondente dichiarazione del conduttore di esercizio della prelazione non costituisce accettazione di una proposta e non comporta l'immediato acquisto dell'immobile. Essa comporta invece la nascita dell'obbligo, a carico di entrambe le parti, di addivenire entro un preciso termine alla stipula del negozio di alienazione, con contestuale pagamento del prezzo indicato dal locatore (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671). Ne deriva, da un lato, che la comunicazione deve necessariamente provenire dal proprietario dell'immobile e, dall'altro, che ogni possibilità di libera trattativa tra le parti è esclusa, essendo interdetta al conduttore la facoltà di incidere sul contenuto del contratto già predeterminato dal proprietario, pena l'invalidità della prelazione.
Da ricordare, poi, che “la denuntiatio deve indicare non solo il corrispettivo, ma anche le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa: la rigorosità del contenuto della denuntiatio prescinde quindi dalla sua natura poiché la completezza della stessa è requisito essenziale e trova la sua giustificazione nel fatto che il conduttore deve essere posto nelle condizioni di valutare compiutamente la convenienza o meno dell'acquisto del bene locatogli” (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671).
A proposito della modalità di comunicazione dell'atto in questione, è pacifico che la denuntiatio deve provenire dal locatore proprietario e deve essere effettuata con atto notificato a mezzo dell'ufficiale giudiziario (Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25415), salva la possibilità che siano seguite, in concreto ed in modo univoco, modalità equipollenti di comunicazione tali (quali la lettera raccomandata) da porre il conduttore in condizione di esercitare la prelazione (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 20807).
Da ricordare che il locatore che intenda alienare a terzi l'immobile è tenuto ad effettuare una nuova denuntiatio se dalla prima comunicazione sia trascorso un intervallo di tempo incidente sulle condizioni di vendita in ragione della variazione dei valori monetari (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2011, n. 15708), ed inoltre che nel caso di immobile di proprietà di più soggetti la comunicazione del locatore di volere vendere l'immobile deve provenire da tutti i proprietari, richiedendosi, ove provenga da uno solo di essi, la spendita del nome degli altri nonché, ex artt. 1324,1350 e 1312 c.c., la loro procura per iscritto (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 20807).
Quanto all'atto con il quale il conduttore esercita il diritto di prelazione, va segnalato che l'esercizio della prelazione, fermi gli oneri di contenuto e di forma delle comunicazioni del locatore e del conduttore, si realizza e si perfeziona con la manifestazione della volontà del conduttore di acquistare l'immobile al prezzo ed alle altre condizioni proposte: la prelazione è infatti esercitata con la formale e tempestiva dichiarazione recettizia, da parte del conduttore al proprietario locatore, di volere acquistare il bene alle condizioni comunicategli. Il versamento del prezzo e la stipula dell'atto contrattuale intervengono invece in una fase successiva, di adempimento e di esecuzione del rapporto obbligatorio che si è instaurato tra le parti. Ciò corrisponde alla natura stessa della prelazione, che a differenza dell'opzione configura un diritto esercitabile in una fase antecedente al momento contrattuale e richiede pertanto una fase successiva volta alla stipulazione del negozio (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2022, n. 6601).
Quanto alle modalità diesercizio del diritto, questo deve essere esercitato dal conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario o con atto che, in concreto e univocamente, sia idoneo ad informare il locatore della volontà del conduttore e che consenta di verificare la tempestività della comunicazione e del successivo versamento del prezzo (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671; Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25415).
A proposito dei termini previsti dall'art. 38 della l. n. 392/1978, va ricordato poi che il termine per l'esercizio di prelazione, essendo previsto a pena di decadenza, deve considerarsi perentorio (Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2010, n. 3078).
Pare chiaro che i principi ora ricordati debbano essere richiamati - in linea generale - anche con riguardo alla prelazione riconosciuta dalle nuove norme in tema di botteghe storiche. Del resto, il richiamo della norma all'art. 38 della l. n. 392/1978 appare in questo senso chiarissimo.
Non può escludersi però che il richiamo alle modalità di cui all'art. 38 possa dare luogo anche a qualche problema applicativo. Ciò che soprattutto sembra che possa essere fonte di incertezza sono le conseguenze della circostanza che la previsione della norma attuale non fa riferimento alla fattispecie (richiamata invece dall'art. 38 anzidetto) dell'intendimento (del locatore) del trasferimento dell'immobile, ma richiama invece la condizione del trasferimento stesso del bene. Si noti: nel caso della prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 si considera il caso in cui “il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato” mentre nel caso della prelazione qui in esame si considera il “caso di cessione o vendita di beni immobili”. Secondo quanto prevede la disciplina della l. n. 392/1978, parrebbe dunque che il meccanismo proprio della prelazione si attivasse nel momento in cui il locatore maturasse l'intenzione di trasferire l'immobile mentre nel caso della prelazione per le botteghe storiche si prevede che il meccanismo operi con riferimento alla cessione o alla vendita.
L'odierna previsione sembrerebbe richiamare così piuttosto le condizioni proprie della prelazione agraria (per la quale le disposizioni in tema di prelazione devono trovare applicazione “in caso di trasferimento a titolo oneroso”). Va notato però che - a differenza della prelazione agraria - nel caso presente non è previsto che ai fini dell'esercizio della prelazione debba essere comunicato al soggetto avente il diritto di prelazione il contratto preliminare stipulato con un terzo per la vendita dell'immobile: le modalità concrete di svolgimento delle cose nel caso in esame ricalcano invece - lo si è visto sopra - le modalità proprie della prelazione urbana.
La differenza tra l'ipotesi della prelazione di cui alla l. n. 392/1978 e l'ipotesi della prelazione per le botteghe storiche è dunque più apparente che reale: la differenza di formulazione delle disposizioni sembra essere solamente divergenza letterale, mentre la sostanza delle vicende legate alle due ipotesi di prelazione risulta essere la medesima. Anche nell'ipotesi della prelazione per le botteghe storiche la denuntiatio del proprietario avrà la sostanza di un atto formale di appello così come è atto formale di appello la denuntiatio nel caso della prelazione ex art. 38 della l. n. 392/1978 e la comunicazione con la quale il titolare del diritto di prelazione relativo alla bottega storica dichiarerà di esercitare il suo diritto manifestando la volontà di acquisto alle condizioni proposte dal proprietario costituirà - come per la prelazione ex art. 38 - appunto atto di esercizio del diritto, atto antecedente la fase contrattuale di acquisto. Nella sostanza può vedersi coincidenza di modalità di significato e di esercizio degli atti che nelle due ipotesi sono compiuti.
L'ipotesi della vendita in blocco
La norma che stiamo esaminando si conclude con la disposizione - che, invece, non è presente nell'art. 38 della l. n. 392/1978 - per cui il diritto di prelazione “è riconosciuto, limitatamente ai locali detenuti, anche incaso divendita dell'intero complesso immobiliare”.
Va detto subito che la disposizione si presenta di difficile interpretazione poiché essa a prima vista sembrerebbe contrastare con il principio che richiede la coincidenza del bene oggetto del trasferimento con il bene che il proprietario intenda trasferire a terzi e dunque la coincidenza del risultato della prelazione con l'obiettivo divisato dal proprietario.
Vi è da chiedersi, però, se possa individuarsi una lettura della disposizione che, pur rispettando il testo della norma, escluda un tale profondo contrasto con i principi di fondo dell'istituto della prelazione.
Se cerchiamo di affrontare la questione in questa prospettiva dobbiamo ricordare che il principio di fondo della prelazione è la coincidenza dell'immobile oggetto del trasferimento e dell'immobile relativamente al quale viene riconosciuto il diritto di prelazione.
E' proprio il principio ora indicato che ha condotto la giurisprudenza a distinguere l'ipotesi della vendita in blocco dall'ipotesi della vendita cumulativa: si è al proposito affermato che in caso di vendita con un unico atto o con più atti collegati allo stesso soggetto di una pluralità di unità immobiliari tra cui quella oggetto del contratto di locazione, il conduttore che invoca il diritto di prelazione deve dare la prova che le parti hanno considerato gli immobili ceduti come unità distinte, prive di qualsiasi elemento unificatore, che hanno inteso cioè concludere una vendita cumulativa facendola apparire simulatamente come vendita in blocco al solo scopo di pregiudicare le aspettative di esso conduttore (Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2013, n. 11965).
In argomento è stato osservato anche - quanto al diritto di prelazione previsto dall'art. 38 della l. n. 392/1978 - che ai fini dell'accertamento della sussistenza della vendita in blocco, l'indagine “non deve essere condotta solo sulla base della situazione oggettiva di fatto esistente al momento della vendita (o della denuntiatio), non potendosi prescindere dal tenore del contratto di vendita (o del preliminare) nonché […] da eventuali altri contratti che, pur se intervenuti tra soggetti parzialmente diversi, possano dirsi collegati al primo. Proprio sulla base di questi, il giudice deve apprezzare se le parti, sotto un profilo soggettivo, hanno o meno considerato la vendita dei vari cespiti come la vendita di un complesso unitario non frazionabile. A tal fine, deve essere adeguatamente apprezzata altresì, sotto il profilo soggettivo, sia la circostanza che l'alienante potrebbe riuscire ad ottenere, vendendo tutti i beni di cui è proprietario nello stesso complesso, un maggior corrispettivo; sia l'intenzione dell'acquirente (o del promittente acquirente) di utilizzare tutti i beni acquistati per un impiego che ne imponga l'accorpamento. Salva in ogni caso la facoltà per il conduttore di dedurre e dimostrare, con ogni mezzo, la natura fittizia dell'operazione” (Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2010, n. 9258).
Come si vede, proprio gli approfondimenti operati dalla giurisprudenza a proposito della questione della vendita in blocco individuano la necessità del rispetto di due principi fermi ed insuperabili relativamente agli aspetti di fondo della prelazione:
il diritto di prelazione può e deve riguardare solo il bene oggetto del rapporto tra il proprietario ed il titolare del diritto di prelazione (nel caso dell'art. 38 della l. n. 392/1978, dunque, necessariamente e solamente l'immobile oggetto della locazione);
il diritto di prelazione implica necessariamente la parità delle condizioni con riguardo all'acquisto cui il diritto sia collegato.
Si tratta di principi che devono essere rispettati in ogni caso di applicazione del diritto di prelazione.
Alla luce di queste considerazioni, se prendiamo in esame la fattispecie della vendita di un complesso di immobili quale considerata dalla parte finale della norma del d.lgs. n. 219/2024 a proposito delle botteghe storiche dobbiamo pensare che perché siano presenti e siano rispettati i due elementi sopra individuati (elementi da ritenere - si ripete - necessari in ogni ipotesi di prelazione) e perché dunque debba riconoscersi la sussistenza del diritto di prelazione debba essere presente la fattispecie della vendita cumulativa, restando invece esclusa la prelazione nell'ipotesi della vendita di un unicum da considerarsi non frazionabile (diversamente non sarebbe presente l'elemento - imprescindibile per la sussistenza del diritto di prelazione - della parità delle condizioni).
Da sottolineare che questa lettura della norma non escluderebbe che la disposizione considerata abbia comunque un suo significato ed una sua utilità: essa sarebbe diretta a confermare - ed enunciare esplicitamente - il principio anzidetto dell'applicazione dell'istituto della prelazione nel caso della vendita cumulativa, come la giurisprudenza ha da tempo affermato con riguardo alla prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978.
Il mancato richiamo del diritto di riscatto
Va, infine, notato che la norma in esame non fa alcun riferimento al diritto di riscatto di cui all'art. 39 della l. n. 392/1978, diritto che - rispetto alla disciplina della prelazione quale disegnata dalla legge citata - costituisce il completamento della figura della prelazione.
Vi è da chiedersi se il riscatto debba o non debba ritenersi consentito nel caso disciplinato dalla nuova normativa in tema di botteghe storiche.
Da ricordare che il diritto di riscatto è previsto espressamente quale completamento del diritto di prelazione dall'art. 39 della l. n. 392/1978 (come del resto anche dalle altre norme che riconoscono la prelazione legale: v. l'art. 732 c.c. e le norme in tema di prelazione agraria).
Ora: fermo restando che la complessità della questione richiede ulteriori approfondimenti, pare che in base ad una prima lettura della disposizione debba ritenersi che il fatto che il diritto di riscatto non sia menzionato dalla norma che stiamo esaminando debba orientare la lettura di questa nel senso di escludere che tale diritto nel caso in esame si configuri.
Il fatto che le altre norme in tema di prelazione abbiano previsto espressamente il riscatto induce a ritenere che il silenzio del legislatore nel caso che stiamo esaminando abbia un significato preciso.
Del resto, il silenzio del legislatore escluderebbe comunque che potessero individuarsi con certezza modalità concrete di esercizio del riscatto in questo caso: non sarebbe infatti possibile conoscere i tempi, le condizioni, le modalità che dovrebbero essere nel caso rispettate (né potrebbe pensarsi che nel caso potessero trovare applicazione le regole fissate dall'art. 39 della l. n. 392/1978 perché - come si è visto - il diritto di prelazione riconosciuto dalla nuova norma in tema di botteghe storiche riguarda anche casi che non coincidono esattamente con le previsioni di cui all'art. 38). Pare dunque debba concludersi che nel caso in esame il diritto di riscatto non possa ritenersi esistente.
Ne deriverebbe che il gestore della bottega storica cui non fosse riconosciuto il diritto di prelazione non potrebbe fare valere il suo diritto sostituendosi nell'acquisizione dell'immobile al cessionario o acquirente del bene: egli dovrebbe limitarsi a fare valere invece la pretesa al risarcimento del danno nei confronti del vecchio proprietario dell'immobile che non avesse rispettato il suo diritto.
In conclusione
Possiamo trarre le conclusioni dalle considerazioni che fino ad ora abbiamo formulato. Dalle osservazioni svolte emerge dunque che:
il diritto di prelazione introdotto a proposito delle botteghe storiche presenta molti punti in comune con il diritto di prelazione previsto dall'art. 38 della l. n. 392/1978: non mancano, però, aspetti - sia in chiave di inquadramento sia in chiave di applicazione - rispetto ai quali non vi è piena coincidenza tra le due ipotesi del diritto di prelazione;
peraltro, la stessa finalità del diritto di prelazione nel caso non risulta del tutto chiara;
problematica e delicata è la questione relativa alla vendita in blocco, rispetto alla quale pare preferibile una lettura della nuova norma che non sia in contrasto con la soluzione della questione raggiunta dalla giurisprudenza a proposito della prelazione di cui alla l. n. 392/1978;
da ultimo, pare corretto attribuire un significato preciso al mancato richiamo, da parte della nuova norma, all'ipotesi del diritto di riscatto nel caso di violazione del diritto di prelazione.
Riferimenti
Astone, Prelazione e riscatto. Destinazione d'uso degli immobili: a rilevare non è il dato formale, in Giust. civ., 2013, I, 2389;
Bellante, Prelazione urbana di immobili ad uso non abitativo: alienazione di porzione in proprietà esclusiva dell'immobile locato, in Giur. it., 2011, I, 2526;
D'Auria, Sul contenuto della denuntiatio nella prelazione urbana: profili problematici, in Giur. it., 2010, I, 804;
De Tilla, Prelazione locatizia e vendita cumulativa, in Arch. loc. e cond., 2014, 202;
Romano, Denuntiatio in materia di prelazione urbana e comproprietà, in Giur. it., 2011, I, 2291;
Salerno, Diritto di prelazione nelle locazioni immobiliari ad uso non abitativo e requisiti della cd. vendita in blocco, in Giur. it., 2011, I, 292.
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Sommario
Il diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978
Il diritto di prelazione secondo l'art. 5 del d.lgs. n. 219/2024
Il confronto tra la nuova disposizione e le previsioni dell'art. 38 della l. n. 392/1978
La finalità del diritto di prelazione
Le modalità di esercizio del diritto di prelazione
Le modalità di esercizio del diritto di prelazione