Il diritto di prelazione nell’acquisto di botteghe storiche

06 Maggio 2025

Il d.lgs. 27 dicembre 2024, n. 219 (“Costituzione dell'Albo nazionale delle atti­vità com­merciali, delle botteghe artigiane e degli esercizi pubblici”) introduce la di­sci­plina diretta a regolare le “botteghe storiche”, attraverso “misure uniformi per la tutela e la valorizzazione dei luoghi storici del commercio e delle botteghe artigiane, che presentano particolare rile­vanza e importanza sotto il pro­filo storico, culturale e commer­ciale” anche con la creazione di “appositi albi in ambito locale e di un albo nazionale”. Tra le disposizioni introdotte dal decreto, vi è la previsione del riconoscimento del diritto di prelazione nel caso di cessione o vendita dell'immobile costituente la sede della bottega storica: nel testo che segue, si prende in considerazione alcune delle questioni che la previsione del di­ritto di prelazione pone agli interpreti ed agli operatori.

Introduzione. Il quadro normativo

Il d.lgs. 27 dicembre 2024, n. 219 (“Costituzione dell'Albo nazionale delle atti­vità com­merciali, delle botteghe artigiane e degli esercizi pubblici, tipizzati sotto il profilo sto­rico-cultu­rale o commerciale, ai fini della valorizzazione turistica e commerciale di dette attività, in attua­zione dell'articolo 27, comma 1, lettera l-bis della l. 5 agosto 2022, n. 118”) introduce una di­sci­plina nuova diretta a regolare le “botteghe storiche”.

Il decreto prevede la creazione di “misure uniformi per la tutela e la valo­rizzazione dei luoghi storici del commercio e delle botteghe artigiane, che presentano particolare rile­vanza e importanza sotto il pro­filo storico, culturale e commer­ciale, anche attraverso l'istitu­zione di appo­siti albi in ambito locale e di un albo nazionale” (art. 1 del decreto). Vengono considerate le figure della “attività com­merciale sto­rica”, della “bottega artigiana” e dell'“esercizio pubblico storico” (art. 2).

È disposta la creazione a livello di comuni, città metropolitane o province di “albi delle attività com­merciali, delle botteghe arti­giane” e “degli esercizi pubblici sto­rici” nei quali “sono elencate le atti­vità esistenti da al­meno 50 anni […] connotate da un par­ticolare interesse merceologico o culturale o storico o artistico o turistico ovvero legato alle tradi­zioni lo­cali”.

Nel caso di subentro nella titolarità o nella gestione dell'attività, la qualifica è con­ser­vata se “i sog­getti subentranti garantiscano la continuità nell'attività per quanto concerne il set­tore mer­ceo­logico, le modalità di vendita o di produzione e, ove possi­bile, le caratteristiche strutturali dei locali”: il su­bentro “è ammissibile in favore del dipendente che abbia operato presso l'attività per almeno dieci anni e sia in possesso di adeguata qualificazione”.

Si prevede, poi, che la qualifica “può essere mantenuta anche in un locale diverso da quello cui era stata originariamente attribuita, qualora, esperita senza esito la procedura conciliativa di cui all'art. 5, comma 2, non­ché in casi di forza maggiore, l'at­tività sia gestita dal precedente titolare, sia man­tenuta l'area d'in­sediamento e sia garantita la continuità nell'attività, con riferi­mento al set­tore mer­ceologico e alle modalità di vendita o produzione”.

Sono regolati anche l'aggiornamento periodico degli albi e la pubblicizzazione dell'ini­ziativa.

L'art. 4 del decreto è dedicato alle “attività storiche di eccellenza”,  cioè le attività commerciali e gli esercizi pubblici storici che “abbiano svolto nello stesso locale, da almeno 70 anni con­tinua­tivi […] un'attività di produzione, som­ministrazione o vendita al dettaglio nello stesso settore mer­ceolo­gico”, che “siano gestite per almeno tre generazioni consecutive da una medesima fami­glia con continuità dell'attività storica e con il mantenimento della qualità e dell'ec­cellenza ov­vero dal sog­getto suben­trante” e “connotate da un particolare interesse storico, culturale, arti­stico, turi­stico o merceolo­gico ovvero legato alle tradizioni locali” e che “abbiano conservato, per quanto possibile, l'aspetto sto­rico, gli interni e gli arredi, ivi com­prese mo­stre, vetrine e insegne della ditta”.

L'art. 5 del decreto riconosce nel caso di cessione o vendita di beni che siano “sede operativa” di botteghe storiche “in forza di un contratto di locazione o di altro legit­timo titolo che ne consente la deten­zione o il pos­sesso il diritto di prelazione di cui all'art. 38 l. 27 luglio 1978, n. 392” e ciò, nel limite dei locali dete­nuti, “anche in caso di vendita dell'in­tero complesso immobiliare”.

Lo stesso art. 5 prevede la possibilità di fissazione di “per­corsi conciliativi che agevolino la con­clu­sione di accordi tra gli esercenti di attività commer­ciali, bot­teghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza e i proprietari dei locali, volti a evitare fe­nomeni di espul­sione di operatori commer­ciali qualificati dai centri storici e dalle aree commerciali classificate di pregio” e la possi­bilità della classificazione quali beni culturali delle “attività commer­ciali, botte­ghe artigiane ed eser­cizi pubblici storici o di eccellenza” con possibile impo­sizione di “vincoli di destinazione e ob­blighi di conserva­zione in capo ai soggetti proprie­tari degli immobili sede di beni o di attività definiti come culturali, tali da consen­tire il mantenimento della qualifica di stori­cità o di eccellenza”.

È, infine, prevista (dall'art. 6 del decreto) l'“istituzione dell'albo nazionale delle imprese commerciali e artigiane storiche e delle relative sottosezioni”.

Dedicheremo qui di seguito attenzione alla disposizione del comma 1 dell'art. 5 relativa al diritto di prelazione nel caso di trasferi­mento dell'immobile che ospita la bottega storica.

Il diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978

Secondo quanto prevede il comma 1 dell'art. 5 del d.lgs. n. 219/2024, dunque, il diritto di prela­zione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 trova applicazione anche nei confronti degli im­mobili costituenti la sede delle botteghe storiche. Per comprendere la portata della nuova disposi­zione è necessario ricordare innanzitutto il contenuto della norma richiamata.

Questa prevede che, nel caso in cui “il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immo­bile locato deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudizia­rio” indi­cando “il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, le altre condi­zioni alle quali la com­pravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione”.

Ricevuta la comunicazione “il conduttore deve esercitare il diritto di prelazione entro il termine di 60 giorni […] con atto notificato al proprietario […] offrendo condizioni uguali a quelle comunica­tegli”. 

È, poi, previsto che, “ove il diritto di prelazione sia esercitato, il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore, deve essere effettuato entro […] 30 giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo” alla comunicazione del proprietario “con­te­stualmente alla stipulazione del con­tratto di compravendita o del contratto preliminare”.

Se l'immobile sia locato a più persone la denuntiatio “deve essere effet­tuata” nei confronti di cia­scuna di esse ed “il diritto di prelazione può essere eser­citato congiunta­mente da tutti i conduttori, ovvero, qualora taluno vi rinunci, dai rimanenti o dal rimanente condut­tore”.

Completa la norma la previsione che “l'avente titolo che, entro 30 giorni dalla notifica­zione di cui al 1° comma, non abbia comunicato agli altri aventi diritto la sua intenzione di avva­lersi della prela­zione, si considera avere rinunciato alla prelazione medesima”.

Infine, viene precisato che le norme così fissate “non si applicano nelle ipotesi previste dall'art. 732 c.c., per le quali la prelazione opera a favore dei coeredi, e nella ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado”.

Come si vede, l'art. 38 della l. n. 392/1978 disegna la prelazione quale figura caratterizzata dalla pre­senza di due elementi: la preferenza in relazione alla conclusione di un negozio che con­cerna un determinato im­mobile (l'ac­quisto della proprietà dell'im­mobile oggetto della loca­zione) accordata a parità di condizioni ad un determinato soggetto (il con­duttore dell'im­mobile). Sono que­sti i due elementi che contano per la definizione del diritto di pre­la­zione in base alle previsioni della norma indicata (analogamente - del resto - alle altre disposizioni che nel nostro ordinamento intro­ducono altre ipotesi di prelazione: si pensi all'art. 732 c.c., all'art. 8 della l. 26 maggio 1965, n. 590 in tema di prela­zione agraria, all'art. 40 della stessa legge n. 392/1978).

Proprio la considerazione degli elementi indicati ha consentito di dare soluzione ad uno dei problemi più delicati che si pongono in tema di prelazione urbana: la questione della vendita in blocco. Si ritiene che, nel caso della vendita di un insieme di immobili di cui faccia parte il bene og­getto della locazione, debba distinguersi il caso della vendita in blocco dal caso della vendita cumulativa: nella prima ipotesi (ipotesi in cui l'immobile locato fa parte di un in­sieme costituente un uni­cum) non trovi ap­plicazione la prelazione mentre nella seconda ipotesi (corrispondente alla situa­zione in cui si ab­biano più vendite comunque distinte) il diritto predetto debba riconoscersi, in coe­renza con il prin­cipio per cui il diritto di pre­lazione concerne solo il bene oggetto della locazione e po­stula la parità delle con­dizioni tra negozio divisato dal locatore e risultato dell'esercizio della prelazione.     

Da notare che la disciplina dell'art. 38 della l. n. 392/1978 trova il suo completa­mento nelle previsioni - contenute nell'art. 39 della stessa legge - che attribui­scono al titolare del diritto di pre­lazione nel caso di violazione di questo il diritto di riscatto (da esercitarsi peraltro secondo specifici tempi e specifiche modalità). Ciò, del resto, in linea con le altre disposizioni del nostro ordina­mento che disciplinano altre ipo­tesi di prelazione (l'art. 732 c.c. in tema di prela­zione tra coeredi e l'art. 8 della l. n. 590/1965 in tema di prela­zione agraria).

Il diritto di prelazione secondo l'art. 5 del d.lgs. n. 219/2024

Come detto, il diritto di prelazione nell'acquisto dell'immobile viene ora attribuito dal d.lgs. n. 219/2024 anche nel caso di immobili costituenti sede delle botteghe storiche.

Il comma 1 dell'art. 5 del d.lgs. n. 219/2024 prevede, infatti, che, nel “caso di ces­sione o vendita di beni immobili di pro­prietà di soggetti pubblici o privati, che siano sede operativa di attività com­mer­ciali, botteghe arti­giane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza, in forza di un contratto di lo­cazione o di altro legittimo titolo che ne consente la deten­zione o il possesso” viene “riconosciuto” in favore del gestore di tale attività “il diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. 27 luglio 1978, n. 392”.

Il diritto in questione è riconosciuto “limitatamente ai locali detenuti” anche nell'ipotesi della “ven­dita dell'in­tero complesso immobiliare”.

Numerosi sono i profili specifici della nuova disposizione che vanno qui segnalati.

  • Innanzitutto, si nota che la norma fa richiamo non già ad un diritto di prelazione generica­mente inteso ma specificamente al diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978.
  • La norma, poi, nel fissare il quadro della ma­teria, menziona sia l'ipotesi della “cessione” sia l'ipo­tesi della “ven­dita” dell'im­mo­bile.
  • Viene fatto riferimento, inoltre, non già alla semplice intenzione del proprietario di vendere il bene, ma all'evento costituito dalla effettiva cessione o ven­dita di questo.
  • La norma considera il trasfe­rimento di beni immobili di pro­prietà sia privata sia pubblica.
  • Il diritto di prelazione è riconosciuto non solo in caso di detenzione, ma anche nel caso di pos­sesso del bene.
  • Viene richiesta l'esistenza di un titolo legittimo alla base dell'occupazione dell'immobile.
  • Quanto all'ipotesi della vendita dell'intero complesso immobiliare, il diritto di prelazione viene riconosciuto ma limitatamente ai locali detenuti.
  • La norma, infine, non fa alcun cenno al diritto di riscatto del bene oggetto della prelazione.

In relazione a ciascuno degli aspetti ora segnalati pare opportuno confrontare la nuova disposizione con le pre­visioni dell'art. 38 della l. n. 392/1978 affinché possano emergere i caratteri pecu­liari e gli aspetti pro­blematici del diritto di prelazione introdotto dalla nuova norma.

Il confronto tra la nuova disposizione e le previsioni dell'art. 38 della l. n. 392/1978

Un primo aspetto della nuova norma che emerge dal confronto con la disci­plina della prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 concerne il differente ambito di applicazione delle due ipotesi. Al proposito, si segnalano numerosi aspetti.

La nuova norma chiarisce che essa concerne gli immobili “che siano sede operativa di attività com­merciali, botteghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza”: deve trattarsi dun­que del luogo in cui si svolge direttamente l'attività prevista (la norma utilizza assai significativa­mente l'espressione “sede operativa”). La disposizione ri­corda la previsione dell'art. 35 della l. n. 392/1978 (che fa richiamo agli im­mobili utilizzati “per lo svolgimento di atti­vità che comportino contatti diretti con il pub­blico degli utenti e dei consumatori”): ma nel caso in esame entrano nel campo di applicazione della norma anche i locali utiliz­zati per lo svolgimento di atti­vità sola­mente “interna” (quali, per esempio, i laboratori artigiani).

Anche l'immobile in cui si svolga attività che non comporti contatti diretti con gli utenti ed i con­sumatori - se sede di bottega storica - è oggetto, dunque, del diritto di prela­zione in esame.

La norma precisa, poi, che l'immobile deve essere detenuto o posseduto “in forza di un contratto di lo­cazione o di altro legittimo titolo che ne con­sente la de­tenzione o il possesso”.

La previsione allarga considerevolmente l'ambito di applicabilità del diritto di prela­zione esten­den­dolo ad ipotesi anche diverse da quelle previste dall'art. 38 della l. n. 392/1978.

Quanto alla considerazione della detenzione del bene, viene in campo non solo l'ipotesi della deten­zione che derivi da un contratto di locazione ma ogni ipotesi di detenzione che trovi giusti­ficazione in titoli pur diversi dalla lo­cazione (si pensi al como­dato o all'affitto avente ad oggetto un'azienda che comprenda l'immobile che ne sia la sede).

Quanto alla considerazione del possesso del bene, la norma sembra riferirsi non solo al caso del diritto derivante da un contratto di natura per­sonale, ma anche al caso del possesso che si col­leghi ad un diritto reale (si pensi al possesso dell'usufruttua­rio).

La previsione della norma conduce a formulare anche un'altra osservazione: il richiamo (espresso con chia­rezza con il riferimento ad un “le­gittimo titolo che con­sente la detenzione o il pos­sesso”) al fatto che alla base del diritto vi debba essere un titolo legittimo fa pensare che il diritto di prelazione possa ricono­scersi in favore del possessore o del detentore dell'immobile nel quale sia posta la bot­tega storica solo se e solo fino a quando il possesso o la detenzione deriverà da un titolo valido. Il che corrisponde al principio - af­fermato dalla giurisprudenza a proposito del di­ritto di prelazione ex art. 38 della l. n. 392/1978 - per cui il diritto è riconosciuto solo durante la vigenza de iure del con­tratto di locazione e non compete al conduttore una volta che il contratto di lo­cazione sia giunto a scadenza (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2008, n. 27666).

Da osservare poi che la nuova norma - a differenza di ciò che prevede la l. n. 392/1978 - sembra concernere ogni ipotesi di trasferimento del bene: sia quella della cessione sia quella della ven­dita dell'immobile (ipotesi che la norma indica come se fossero distinte l'una dall'al­tra).

Parrebbe dunque - in base ad una prima lettura - che sia compreso tanto il caso della cessione a titolo oneroso diverso dalla vendita quale per esempio la per­muta (ipotesi nella quale la giu­risprudenza esclude invece l'appli­cazione della pre­lazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978: v. Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2006, n. 14455) quanto anche il caso della cessione del bene a titolo gratuito (consi­derazione questa che sembrerebbe trovare con­ferma nel fatto che la norma indica appunto quali ipotesi distinte quella della cessione e quella della ven­dita).

La questione - che deriva dalla differenza di formulazione delle norme - è assai deli­cata e non è, di certo, di agevole soluzione.

Si noti, infatti, che l'estensione della pre­lazione anche al caso della permuta e - ancor più - al caso della cessione a titolo gratuito costi­tuirebbe profonda modifica dei caratteri di fondo dell'isti­tuto della prelazione traducendosi nell'obbligo, per il proprietario che volesse ce­dere l'immobile a titolo gra­tuito o comunque a titolo diverso dalla vendita, di offrire l'acqui­sto del bene a colui il quale lo occu­passe indi­cando un prezzo e mo­dificando così comple­ta­mente i propri intendi­menti. Verrebbe così a mancare la parità delle condi­zioni, che costitui­sce elemento es­senziale della figura della prelazione. Il diritto del proprieta­rio dell'immobile ver­rebbe inciso in modo ben più pro­fondo di quanto di norma avvenga con il di­ritto di prelazione: e lo stesso di­ritto di prela­zione, se la previ­sione in esame fosse intesa nel senso ipotizzato, perderebbe il suo si­gnificato speci­fico - volto all'at­tribuzione di una posi­zione di preferenza a parità di con­dizioni - divenendo invece attribuzione di una posizione di pre­ferenza ma a condizioni non uguali.

A questa osservazione di carattere generale, si aggiunge poi - per una corretta lettura della norma - l'elemento di carattere te­stuale fornito dalla previsione della vendita in blocco (il diritto di pre­lazione, infatti, viene “riconosciuto […] anche in caso di ven­dita dell'in­tero complesso im­mobiliare): questa indicazione potrebbe orientare l'interprete verso la limitazione del campo di ap­plicazione della norma al solo caso della vendita.

Alla luce di quanto osservato pare dunque si possa ritenere che la lettura della nuova norma non possa prescindere dalla considerazione del significato e della fisionomia di fondo della figura della pre­lazione, la quale consiste necessariamente nell'at­tribu­zione della prefe­renza a parità di con­dizioni: ne deriverebbe che anche l'ambito della prelazione prevista dalla nuova norma do­vrebbe consi­de­rarsi limitato all'ipotesi della vendita dell'immobile.

Altro profilo da segnalare è quello che deriva dal fatto che - come già si è detto - la nuova norma concerne sia gli immobili di proprietà privata sia gli immobili di proprietà pubblica. Atteso che l'art. 38 della l. n. 392/1978 non fa menzione della diversa natura degli immobili oggetto del diritto, vi è da chiedersi se ciò significhi che l'ambito di applicazione delle disposizioni sia differenziato.

La questione si collega anche alla differenza della natura del contratto che è alla base del diritto di prelazione: nel caso della prelazione di cui alla legge del 1978 il titolo è costituito dal solo contratto di locazione mentre nel caso della prelazione qui in esame è costi­tuito da ogni titolo anche di natura reale.

Accanto alle divergenze segnalate deve notarsi però che sono certamente presenti anche molti pro­fili di coincidenza relativamente agli ambiti di applicazione delle due ipotesi.

In questo senso, si nota che il principio elaborato dalla giurisprudenza per cui il diritto di pre­la­zione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 non spetta nel caso in cui “il locatore in­tenda alienare, ad un terzo ovvero al compro­prie­tario dell'immobile locato, la quota del bene og­getto del rap­porto di locazione” (Cass. civ., sez. un., 14 giugno 2007, n. 13886; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2023, n. 22063; Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2020, n. 17992), prin­cipio che trova applicazione an­che nel caso in cui il bene sia stato oggetto di divisione tra gli originari proprietari ed uno di essi alie­ni la porzione di proprietà esclusiva (Cass. civ., sez. III, 11 gen­naio 2011, n. 449), trova certamente applicazione anche nel caso del diritto di prelazione per le bot­teghe sto­riche.  

Deve ritenersi che trovi applicazione nel caso delle botteghe storiche anche il principio - affer­mato a proposito del diritto di prelazione di cui alla l. n. 392/1978 - che il fatto che l'immobile sia utilizzato per una desti­na­zione di­versa da quella autorizzata dalla disciplina urbanistica non rileva ai fini dell'attri­buzione del diritto di prelazione (si affer­ma in argo­mento che “in materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso di­verso da quello di abitazione, vanno rico­no­sciuti al conduttore che svolga nell'unità immobi­liare locata un'attività commerciale conforme all'uso contrattuale, il diritto di prelazione e il diritto di riscatto ai sensi degli artt. 38 e 39 della l. n. 392/1978, anche nel caso in cui l'immobile abbia destinazione abitativa se­condo il titolo autorizza­tivo origi­nario e il mutamento di destina­zione d'uso non sia stato previa­mente autorizzato ai sensi della normativa ur­banistica ed edi­lizia vigente. L'eventuale non con­formità dell'immobile locato a tale nor­mativa, quanto al mutamento di destinazione d'uso, non determina l'illiceità dell'og­getto né della causa del con­tratto di locazione, salvo che questo non si ponga direttamente in contrasto con vincoli di desti­nazione posti da disposizioni urbanistiche po­ste in leggi speciali ov­vero negli strumenti urba­nistici generali e di attuazione”: Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2013, n. 11964).

Da ricordare, infine, che vale certamente anche quanto al diritto di prelazione in esame il principio per cui (dal mo­mento che il rapporto di sublocazione non fa venire meno il rap­porto di locazione con il condut­tore: v. Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2011, n. 6725) non può riconoscersi al sub­con­duttore la tito­la­rità del diritto di pre­lazione.

La finalità del diritto di prelazione

Anche alla luce di quanto si è considerato fino ad ora vi è da chiedersi quale sia, nel caso delle botteghe storiche, la finalità del diritto di prelazione.

Non è agevole dare risposta al quesito.

Si noti che il diritto di prelazione non sembra strettamente legato al manteni­mento nell'immo­bile della qualifica­zione di bottega storica. Lo stesso d.lgs. n. 219/2024, infatti, prevede espres­sa­mente che la qualifica “può essere mante­nuta anche in un locale diverso da quello cui era stata origi­nariamente attribuita” (ciò “qualora, esperita senza esito la procedura con­ciliativa di cui all'art. 5, comma 2, non­ché in casi di forza maggiore, l'at­tività sia gestita dal pre­cedente tito­lare, sia man­te­nuta l'area d'in­sediamento e sia garantita la continuità nell'attività, con riferi­mento al set­tore mer­ceologico e alle modalità di vendita o produ­zione”). Essendo con­sentito, dunque, il man­te­ni­mento della qualifica anche ove muti il lo­cale nel quale l'at­tività si svolga, pare debba esclu­dersi che scopo della prelazione sia il man­tenimento della qualifica quanto all'immo­bile.

Vi è da chiedersi se, invece, la finalità del diritto di prelazione debba vedersi nello scopo di evitare la possibilità che il gestore dell'attività possa trovarsi nella condizione di do­vere rila­sciare l'im­mobile nel quale sia ubicata la bottega storica.

Va ricordato però che lo stesso art. 5 del d.lgs. n. 219/2024 prevede che le Regioni possono “in­divi­duare per­corsi conciliativi che age­volino la conclusione di ac­cordi tra gli eser­centi di attività com­mer­ciali, botteghe artigiane ed esercizi pubblici storici o di eccellenza e i proprie­tari dei locali, volti a evitare fenomeni di espulsione di operatori com­merciali qualificati dai centri storici e dalle aree com­merciali clas­sificate di pregio”: la previsione - come si vede - è diretta ad evitare o comun­que a ridurre il rischio del rilascio degli immobili utilizzati quali sedi delle botteghe sto­riche.

D'altro lato lo stesso art. 5 del decreto dispone che “le attività com­mer­ciali, botteghe artigiane ed eser­cizi pubblici storici o di eccellenza di cui agli artt. 3 e 4, qualora siano espressioni di identità culturale collettiva ai sensi dell'art. 7-bis del Codice dei beni cul­turali e del paesaggio […] possono essere classi­ficati, su istanza degli interessati, quali beni culturali” e che in tal caso “il Ministero dei beni culturali può apporre vin­coli di destinazione e obblighi di conser­va­zione in capo ai sog­getti proprie­tari degli immobili sede di beni o di attività definiti come cul­turali, tali da consentire il mantenimento della qualifica di storicità o di eccellenza”. Anche questa disposizione (nei cui confronti - si nota per inciso - sono state sollevate cri­tiche proprio perché essa appare diretta ad imporre ai proprie­tari degli immobili vincoli e limiti in relazione all'attività del condut­tore oltre a tutto senza previ­sione di alcun indennizzo o risarci­mento) è volta a mantenere e conservare la destinazione dell'immobile che sia sede della bottega storica (anche se i vincoli di destinazione così previsti non potrebbero vietare l'esercizio da parte del proprietario del diritto al ri­lascio dell'im­mobile per la scadenza del contratto di locazione: v., in questo senso, Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2024, n. 19350; Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2001, n. 6814).

In questa prospettiva, potrebbe vedersi pertanto nel diritto di prelazione del quale stiamo discor­rendo uno stru­mento atto a contribuire a ridurre l'eventualità del rilascio dell'immobile.

Le modalità di esercizio del diritto di prelazione

Altro profilo sotto il quale le nuove disposizioni vanno esaminate è quello relativo alle modalità ope­rative per l'esercizio del diritto di prelazione. In questa prospettiva deve ritenersi che il richiamo ope­rato dalla norma al “diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. 27 luglio 1978, n. 392” comprenda certamente anche le modalità di esercizio del diritto.

Ricordiamo, dunque, le modalità di esercizio del diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 per verificarne la compatibilità con il diritto che stiamo esa­minando.

Se consideriamo la denuntiatio del proprietario dell'immobile, ricordiamo che si afferma che la co­munica­zione della volontà di trasfe­rire il bene a titolo oneroso non ha natura di proposta con­trat­tuale né di mera informativa di un generico intento di avviare trattative negoziali ma riveste carat­tere di atto for­male di inter­pello, vincolato nella forma e nel contenuto; cosicché la corri­spon­dente di­chiarazione del con­duttore di esercizio della prelazione non costituisce accetta­zione di una proposta e non comporta l'immediato acquisto dell'immobile. Essa comporta invece la nascita dell'obbligo, a carico di en­trambe le parti, di addivenire entro un preciso termine alla sti­pula del negozio di alienazione, con contestuale pagamento del prezzo indicato dal loca­tore (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671). Ne de­riva, da un lato, che la comunicazione deve necessariamente pro­venire dal proprietario dell'immobile e, dall'altro, che ogni possibilità di li­bera trattativa tra le parti è esclusa, essendo interdetta al conduttore la facoltà di incidere sul contenuto del con­tratto già predeterminato dal proprietario, pena l'invalidità della prelazione.

Da ricordare, poi, che la denuntiatio deve indicare non solo il corrispettivo, ma anche le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere con­clusa: la rigorosità del contenuto della denuntiatio prescinde quindi dalla sua natura poiché la completezza della stessa è requisito essenziale e trova la sua giustificazione nel fatto che il con­duttore deve essere posto nelle condi­zioni di valutare compiutamente la convenienza o meno dell'acquisto del bene loca­togli” (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671).

A proposito della modalità di comunicazione dell'atto in questione, è pacifico che la de­nuntiatio deve provenire dal locatore proprietario e deve essere effettuata con atto notifi­cato a mezzo dell'ufficiale giudiziario (Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25415), salva la possibilità che siano seguite, in concreto ed in modo uni­voco, modalità equipollenti di co­municazione tali (quali la lettera raccomandata) da porre il condut­tore in condizione di esercitare la prela­zione (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 20807).

Da ricordare che il locatore che intenda alienare a terzi l'immobile è tenuto ad effettuare una nuova denuntiatio se dalla prima comunicazione sia trascorso un intervallo di tempo incidente sulle condizioni di vendita in ra­gione della variazione dei valori monetari (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2011, n. 15708), ed inoltre che nel caso di immobile di proprietà di più soggetti la comu­nicazione del locatore di volere vendere l'immobile deve provenire da tutti i proprietari, richie­dendosi, ove provenga da uno solo di essi, la spendita del nome degli altri nonché, ex artt. 1324,1350 e 1312 c.c., la loro procura per iscritto (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 20807).

Quanto all'atto con il quale il conduttore esercita il diritto di prelazione, va segnalato che l'eser­cizio della prelazione, fermi gli oneri di contenuto e di forma delle comunicazioni del locatore e del conduttore, si realizza e si perfe­ziona con la manifesta­zione della vo­lontà del conduttore di acquistare l'immobile al prezzo ed alle altre condizioni propo­ste: la prelazione è infatti eser­citata con la formale e tempestiva di­chiara­zione recettizia, da parte del condut­tore al proprieta­rio lo­catore, di volere ac­quistare il bene alle condizioni comunicategli. Il versamento del prezzo e la stipula dell'atto contrat­tuale intervengono invece in una fase successiva, di adempi­mento e di esecuzione del rapporto ob­bli­gatorio che si è instaurato tra le parti. Ciò corrisponde alla natura stessa della prelazione, che a differenza dell'opzione configura un diritto esercita­bile in una fase antece­dente al momento con­trat­tuale e richiede pertanto una fase successiva volta alla stipu­la­zione del negozio (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2022, n. 6601).

Quanto alle modalità di esercizio del diritto, questo deve essere esercitato dal condut­tore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudizia­rio o con atto che, in concreto e univo­camente, sia idoneo ad informare il locatore della volontà del conduttore e che consenta di verificare la tem­pestività della comuni­cazione e del suc­cessivo versa­mento del prezzo (Cass. civ., sez. III, 25 set­tembre 2009, n. 20671; Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25415).

A proposito dei termini previsti dall'art. 38 della l. n. 392/1978, va ricordato poi che il termine per l'esercizio di prelazione, essendo previsto a pena di de­ca­denza, deve considerarsi perentorio (Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2010, n. 3078).

Pare chiaro che i principi ora ricordati debbano essere richiamati - in linea generale - anche con riguardo alla prelazione riconosciuta dalle nuove norme in tema di botteghe storiche. Del resto, il richiamo della norma all'art. 38 della l. n. 392/1978 appare in questo senso chiarissimo.

Non può escludersi però che il richiamo alle modalità di cui all'art. 38 possa dare luogo anche a qualche problema applicativo. Ciò che soprattutto sembra che possa essere fonte di incertezza sono le conseguenze della circostanza che la previsione della norma attuale non fa riferi­mento alla fatti­specie (richiamata invece dall'art. 38 anzidetto) dell'intendi­mento (del locatore) del tra­sferi­mento dell'immobile, ma richiama invece la condizione del trasferimento stesso del bene. Si noti: nel caso della prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 si considera il caso in cui “il loca­tore intenda trasferire a titolo oneroso l'immo­bile locato” mentre nel caso della prelazione qui in esame si considera il “caso di ces­sione o vendita di beni immobili”. Se­condo quanto pre­vede la di­sciplina della l. n. 392/1978, parrebbe dunque che il meccanismo proprio della pre­lazione si attivasse nel momento in cui il locatore maturasse l'intenzione di trasferire l'immo­bile mentre nel caso della pre­lazione per le botteghe storiche si prevede che il mec­canismo operi con riferi­mento alla cessione o alla vendita.

L'odierna previsione sembrerebbe richia­mare così piuttosto le condizioni proprie della pre­lazione agraria (per la quale le disposizioni in tema di prelazione devono trovare applicazione “in caso di trasferi­mento a titolo oneroso”). Va notato però che - a differenza della prelazione agraria - nel caso presente non è previsto che ai fini dell'esercizio della prelazione debba essere comunicato al soggetto avente il diritto di prela­zione il contratto preliminare stipulato con un terzo per la vendita dell'immobile: le moda­lità con­crete di svolgimento delle cose nel caso in esame ricalcano invece - lo si è visto sopra - le modalità proprie della prelazione urbana.

La differenza tra l'ipotesi della prelazione di cui alla l. n. 392/1978 e l'ipotesi della prelazione per le botteghe storiche è dunque più apparente che reale: la differenza di for­mulazione delle dispo­sizioni sembra essere solamente divergenza letterale, mentre la so­stanza delle vicende le­gate alle due ipotesi di prelazione risulta essere la medesima. Anche nell'ipotesi della pre­lazione per le bot­teghe storiche la denuntiatio del proprietario avrà la sostanza di un atto for­male di appello così come è atto formale di appello la denuntiatio nel caso della prela­zione ex art. 38 della l. n. 392/1978 e la comuni­cazione con la quale il titolare del diritto di prelazione relativo alla bot­tega storica dichiarerà di eser­citare il suo diritto manifestando la volontà di ac­quisto alle condi­zioni proposte dal proprietario co­stituirà - come per la prelazione ex art. 38 - appunto atto di eser­cizio del diritto, atto antecedente la fase contrattuale di acquisto. Nella sostanza può vedersi coincidenza di modalità di significato e di esercizio degli atti che nelle due ipotesi sono compiuti.

Le modalità di esercizio del diritto di prelazione

Altro profilo sotto il quale le nuove disposizioni vanno esaminate è quello relativo alle modalità ope­rative per l'esercizio del diritto di prelazione. In questa prospettiva deve ritenersi che il richiamo ope­rato dalla norma al “diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. 27 luglio 1978, n. 392” comprenda certamente anche le modalità di esercizio del diritto.

Ricordiamo, dunque, le modalità di esercizio del diritto di prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 per verificarne la compatibilità con il diritto che stiamo esa­minando.

Se consideriamo la denuntiatio del proprietario dell'immobile, ricordiamo che si afferma che la co­munica­zione della volontà di trasfe­rire il bene a titolo oneroso non ha natura di proposta con­trat­tuale né di mera informativa di un generico intento di avviare trattative negoziali ma riveste carat­tere di atto for­male di inter­pello, vincolato nella forma e nel contenuto; cosicché la corri­spon­dente di­chiarazione del con­duttore di esercizio della prelazione non costituisce accetta­zione di una proposta e non comporta l'immediato acquisto dell'immobile. Essa comporta invece la nascita dell'obbligo, a carico di en­trambe le parti, di addivenire entro un preciso termine alla sti­pula del negozio di alienazione, con contestuale pagamento del prezzo indicato dal loca­tore (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671). Ne de­riva, da un lato, che la comunicazione deve necessariamente pro­venire dal proprietario dell'immobile e, dall'altro, che ogni possibilità di li­bera trattativa tra le parti è esclusa, essendo interdetta al conduttore la facoltà di incidere sul contenuto del con­tratto già predeterminato dal proprietario, pena l'invalidità della prelazione.

Da ricordare, poi, che la denuntiatio deve indicare non solo il corrispettivo, ma anche le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere con­clusa: la rigorosità del contenuto della denuntiatio prescinde quindi dalla sua natura poiché la completezza della stessa è requisito essenziale e trova la sua giustificazione nel fatto che il con­duttore deve essere posto nelle condi­zioni di valutare compiutamente la convenienza o meno dell'acquisto del bene loca­togli” (Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2009, n. 20671).

A proposito della modalità di comunicazione dell'atto in questione, è pacifico che la de­nuntiatio deve provenire dal locatore proprietario e deve essere effettuata con atto notifi­cato a mezzo dell'ufficiale giudiziario (Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25415), salva la possibilità che siano seguite, in concreto ed in modo uni­voco, modalità equipollenti di co­municazione tali (quali la lettera raccomandata) da porre il condut­tore in condizione di esercitare la prela­zione (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 20807).

Da ricordare che il locatore che intenda alienare a terzi l'immobile è tenuto ad effettuare una nuova denuntiatio se dalla prima comunicazione sia trascorso un intervallo di tempo incidente sulle condizioni di vendita in ra­gione della variazione dei valori monetari (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2011, n. 15708), ed inoltre che nel caso di immobile di proprietà di più soggetti la comu­nicazione del locatore di volere vendere l'immobile deve provenire da tutti i proprietari, richie­dendosi, ove provenga da uno solo di essi, la spendita del nome degli altri nonché, ex artt. 1324,1350 e 1312 c.c., la loro procura per iscritto (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2010, n. 20807).

Quanto all'atto con il quale il conduttore esercita il diritto di prelazione, va segnalato che l'eser­cizio della prelazione, fermi gli oneri di contenuto e di forma delle comunicazioni del locatore e del conduttore, si realizza e si perfe­ziona con la manifesta­zione della vo­lontà del conduttore di acquistare l'immobile al prezzo ed alle altre condizioni propo­ste: la prelazione è infatti eser­citata con la formale e tempestiva di­chiara­zione recettizia, da parte del condut­tore al proprieta­rio lo­catore, di volere ac­quistare il bene alle condizioni comunicategli. Il versamento del prezzo e la stipula dell'atto contrat­tuale intervengono invece in una fase successiva, di adempi­mento e di esecuzione del rapporto ob­bli­gatorio che si è instaurato tra le parti. Ciò corrisponde alla natura stessa della prelazione, che a differenza dell'opzione configura un diritto esercita­bile in una fase antece­dente al momento con­trat­tuale e richiede pertanto una fase successiva volta alla stipu­la­zione del negozio (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2022, n. 6601).

Quanto alle modalità di esercizio del diritto, questo deve essere esercitato dal condut­tore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudizia­rio o con atto che, in concreto e univo­camente, sia idoneo ad informare il locatore della volontà del conduttore e che consenta di verificare la tem­pestività della comuni­cazione e del suc­cessivo versa­mento del prezzo (Cass. civ., sez. III, 25 set­tembre 2009, n. 20671; Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2017, n. 25415).

A proposito dei termini previsti dall'art. 38 della l. n. 392/1978, va ricordato poi che il termine per l'esercizio di prelazione, essendo previsto a pena di de­ca­denza, deve considerarsi perentorio (Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2010, n. 3078).

Pare chiaro che i principi ora ricordati debbano essere richiamati - in linea generale - anche con riguardo alla prelazione riconosciuta dalle nuove norme in tema di botteghe storiche. Del resto, il richiamo della norma all'art. 38 della l. n. 392/1978 appare in questo senso chiarissimo.

Non può escludersi però che il richiamo alle modalità di cui all'art. 38 possa dare luogo anche a qualche problema applicativo. Ciò che soprattutto sembra che possa essere fonte di incertezza sono le conseguenze della circostanza che la previsione della norma attuale non fa riferi­mento alla fatti­specie (richiamata invece dall'art. 38 anzidetto) dell'intendi­mento (del locatore) del tra­sferi­mento dell'immobile, ma richiama invece la condizione del trasferimento stesso del bene. Si noti: nel caso della prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978 si considera il caso in cui “il loca­tore intenda trasferire a titolo oneroso l'immo­bile locato” mentre nel caso della prelazione qui in esame si considera il “caso di ces­sione o vendita di beni immobili”. Se­condo quanto pre­vede la di­sciplina della l. n. 392/1978, parrebbe dunque che il meccanismo proprio della pre­lazione si attivasse nel momento in cui il locatore maturasse l'intenzione di trasferire l'immo­bile mentre nel caso della pre­lazione per le botteghe storiche si prevede che il mec­canismo operi con riferi­mento alla cessione o alla vendita.

L'odierna previsione sembrerebbe richia­mare così piuttosto le condizioni proprie della pre­lazione agraria (per la quale le disposizioni in tema di prelazione devono trovare applicazione “in caso di trasferi­mento a titolo oneroso”). Va notato però che - a differenza della prelazione agraria - nel caso presente non è previsto che ai fini dell'esercizio della prelazione debba essere comunicato al soggetto avente il diritto di prela­zione il contratto preliminare stipulato con un terzo per la vendita dell'immobile: le moda­lità con­crete di svolgimento delle cose nel caso in esame ricalcano invece - lo si è visto sopra - le modalità proprie della prelazione urbana.

La differenza tra l'ipotesi della prelazione di cui alla l. n. 392/1978 e l'ipotesi della prelazione per le botteghe storiche è dunque più apparente che reale: la differenza di for­mulazione delle dispo­sizioni sembra essere solamente divergenza letterale, mentre la so­stanza delle vicende le­gate alle due ipotesi di prelazione risulta essere la medesima. Anche nell'ipotesi della pre­lazione per le bot­teghe storiche la denuntiatio del proprietario avrà la sostanza di un atto for­male di appello così come è atto formale di appello la denuntiatio nel caso della prela­zione ex art. 38 della l. n. 392/1978 e la comuni­cazione con la quale il titolare del diritto di prelazione relativo alla bot­tega storica dichiarerà di eser­citare il suo diritto manifestando la volontà di ac­quisto alle condi­zioni proposte dal proprietario co­stituirà - come per la prelazione ex art. 38 - appunto atto di eser­cizio del diritto, atto antecedente la fase contrattuale di acquisto. Nella sostanza può vedersi coincidenza di modalità di significato e di esercizio degli atti che nelle due ipotesi sono compiuti.

L'ipotesi della vendita in blocco

La norma che stiamo esaminando si conclude con la disposizione - che, invece, non è presente nell'art. 38 della l. n. 392/1978 - per cui il diritto di prelazione “è rico­nosciuto, limitatamente ai locali detenuti, anche in caso di vendita dell'intero complesso im­mobi­liare”.

Va detto subito che la disposizione si presenta di difficile interpretazione poiché essa a prima vista sembre­rebbe contrastare con il principio che richiede la coin­cidenza del bene oggetto del trasferi­mento con il bene che il proprietario intenda trasferire a terzi e dunque la coincidenza del risultato della prelazione con l'obiettivo divisato dal proprietario.

Vi è da chiedersi, però, se possa individuarsi una lettura della disposizione che, pur rispettando il testo della norma, escluda un tale profondo contrasto con i principi di fondo dell'istituto della pre­lazione.

Se cerchiamo di affrontare la questione in questa prospettiva dobbiamo ricordare che il principio di fondo della prela­zione è la coincidenza dell'immobile oggetto del trasferimento e dell'immobile relativamente al quale viene riconosciuto il diritto di prelazione.

E' proprio il principio ora indicato che ha condotto la giurisprudenza a distinguere l'ipotesi della vendita in blocco dall'ipo­tesi della vendita cu­mulativa: si è al proposito affermato che in caso di vendita con un unico atto o con più atti collegati allo stesso sog­getto di una pluralità di unità immo­biliari tra cui quella oggetto del contratto di locazione, il condut­tore che invoca il diritto di prelazione deve dare la prova che le parti hanno considerato gli immobili ceduti come unità distinte, prive di qualsiasi ele­mento unificatore, che hanno inteso cioè concludere una vendita cumulativa facendola apparire si­mulatamente come vendita in blocco al solo scopo di pregiudicare le aspettative di esso conduttore (Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2013, n. 11965).

In argomento è stato osservato anche - quanto al diritto di prelazione previsto dall'art. 38 della l. n. 392/1978 - che ai fini dell'accertamento della sussistenza della vendita in blocco, l'indagine “non deve es­sere condotta solo sulla base della situazione oggettiva di fatto esi­stente al momento della vendita (o della denuntiatio), non potendosi prescindere dal tenore del contratto di vendita (o del prelimi­nare) nonché […] da even­tuali altri contratti che, pur se intervenuti tra sog­getti parzialmente diversi, possano dirsi collegati al primo. Proprio sulla base di questi, il giudice deve apprezzare se le parti, sotto un profilo soggettivo, hanno o meno con­si­derato la vendita dei vari ce­spiti come la vendita di un complesso unitario non frazionabile. A tal fine, deve essere adeguatamente apprezzata altresì, sotto il profilo soggettivo, sia la circostanza che l'alie­nante potrebbe riuscire ad ottenere, vendendo tutti i beni di cui è proprietario nello stesso complesso, un mag­gior corrispettivo; sia l'intenzione dell'acquirente (o del promittente acquirente) di utilizzare tutti i beni ac­quistati per un impiego che ne imponga l'accorpamento. Salva in ogni caso la facoltà per il conduttore di dedurre e dimostrare, con ogni mezzo, la natura fittizia dell'operazione” (Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2010, n. 9258). 

Come si vede, proprio gli approfondimenti operati dalla giurisprudenza a proposito della questione della vendita in blocco individuano la necessità del rispetto di due principi fermi ed in­superabili re­lativamente agli aspetti di fondo della prelazione:

  • il diritto di prelazione può e deve riguardare solo il bene oggetto del rapporto tra il proprie­tario ed il titolare del diritto di prelazione (nel caso dell'art. 38 della l. n. 392/1978, dunque, necessariamente e solamente l'immobile oggetto della locazione);
  • il diritto di prelazione implica necessariamente la parità delle condizioni con riguardo all'ac­quisto cui il diritto sia collegato.

Si tratta di principi che devono essere rispettati in ogni caso di appli­cazione del diritto di prela­zione.

Alla luce di queste considerazioni, se prendiamo in esame la fattispecie della vendita di un complesso di immobili quale considerata dalla parte finale della norma del d.lgs. n. 219/2024 a proposito delle bot­teghe storiche dobbiamo pensare che perché siano presenti e siano rispettati i due ele­menti sopra individuati (elementi da ritenere - si ripete - necessari in ogni ipotesi di prelazione) e perché dunque debba riconoscersi la sussistenza del diritto di prelazione debba essere presente la fattispecie della vendita cumulativa, restando invece esclusa la prelazione nell'ipotesi della vendita di un unicum da consi­derarsi non frazionabile (diversamente non sarebbe presente l'elemento - imprescindibile per la sussistenza del diritto di prelazione - della parità delle condizioni).

Da sottolineare che questa lettura della norma non escluderebbe che la disposizione considerata abbia comunque un suo significato ed una sua utilità: essa sarebbe diretta a confermare - ed enun­ciare esplicitamente - il principio anzidetto dell'applicazione dell'istituto della prelazione nel caso della vendita cumulativa, come la giurisprudenza ha da tempo affermato con ri­guardo alla prelazione di cui all'art. 38 della l. n. 392/1978.

Il mancato richiamo del diritto di riscatto 

Va, infine, notato che la norma in esame non fa alcun riferimento al diritto di riscatto di cui all'art. 39 della l. n. 392/1978, diritto che - rispetto alla disciplina della prelazione quale disegnata dalla legge citata - costituisce il completamento della figura della prelazione.

Vi è da chiedersi se il riscatto debba o non debba ritenersi consentito nel caso disciplinato dalla nuova normativa in tema di botteghe storiche.

Da ricordare che il diritto di riscatto è previsto espressamente quale comple­tamento del diritto di prelazione dall'art. 39 della l. n. 392/1978 (come del resto anche dalle altre norme che rico­noscono la prelazione legale: v. l'art. 732 c.c. e le norme in tema di prelazione agraria).

Ora: fermo restando che la complessità della questione richiede ulteriori ap­profondimenti, pare che in base ad una prima lettura della disposizione debba ritenersi che il fatto che il diritto di riscatto non sia menzionato dalla norma che stiamo esaminando debba orien­tare la lettura di questa nel senso di escludere che tale diritto nel caso in esame si confi­guri.

Il fatto che le altre norme in tema di prelazione abbiano previsto espressamente il riscatto induce a ritenere che il silenzio del legislatore nel caso che stiamo esaminando abbia un significato preciso.

Del resto, il silenzio del legislatore escluderebbe comunque che potessero individuarsi con certezza modalità concrete di esercizio del riscatto in questo caso: non sarebbe infatti possibile conoscere i tempi, le condizioni, le moda­lità che do­vrebbero essere nel caso rispettate (né potrebbe pensarsi che nel caso potessero trovare applicazione le regole fissate dall'art. 39 della l. n. 392/1978 perché - come si è visto - il diritto di prelazione ricono­sciuto dalla nuova norma in tema di botteghe storiche riguarda anche casi che non coincidono esattamente con le previsioni di cui all'art. 38). Pare dunque debba concludersi che nel caso in esame il diritto di riscatto non possa ritenersi esi­stente.

Ne deriverebbe che il gestore della bottega storica cui non fosse riconosciuto il diritto di prelazione non potrebbe fare valere il suo diritto sostituendosi nell'acquisizione dell'im­mobile al cessionario o acquirente del bene: egli dovrebbe limitarsi a fare valere invece la pretesa al risarci­mento del danno nei confronti del vecchio proprietario dell'immobile che non avesse rispettato il suo diritto.

In conclusione

Possiamo trarre le conclusioni dalle considerazioni che fino ad ora abbiamo formu­lato. Dalle osser­vazioni svolte emerge dunque che:

  • il diritto di prelazione introdotto a proposito delle botteghe storiche presenta molti punti in comune con il diritto di prelazione previsto dall'art. 38 della l. n. 392/1978: non mancano, però, aspetti - sia in chiave di inquadramento sia in chiave di applicazione - ri­spetto ai quali non vi è piena coincidenza tra le due ipotesi del diritto di prelazione;
  • peraltro, la stessa finalità del diritto di prelazione nel caso non risulta del tutto chiara;
  • problematica e delicata è la questione relativa alla vendita in blocco, rispetto alla quale pare preferibile una lettura della nuova norma che non sia in contrasto con la soluzione della que­stione raggiunta dalla giurisprudenza a proposito della prelazione di cui alla l. n. 392/1978;
  • da ultimo, pare corretto attribuire un significato preciso al mancato richiamo, da parte della nuova norma, all'ipotesi del diritto di riscatto nel caso di violazione del diritto di prela­zione.

Riferimenti

Astone, Prelazione e riscatto. Destinazione d'uso degli immobili: a rilevare non è il dato for­male, in Giust. civ., 2013, I, 2389;

Bellante, Prelazione urbana di immobili ad uso non abitativo: alienazione di porzione in pro­prietà esclusiva dell'immobile locato, in Giur. it., 2011, I, 2526;

D'Auria, Sul contenuto della denuntiatio nella prelazione urbana: profili problematici, in Giur. it., 2010, I, 804;

De Tilla, Prelazione locatizia e vendita cumulativa, in Arch. loc. e cond., 2014, 202;

Romano, Denuntiatio in materia di prelazione urbana e comproprietà, in Giur. it., 2011, I, 2291;

Salerno, Diritto di prelazione nelle locazioni immobiliari ad uso non abitativo e requisiti della cd. vendita in blocco, in Giur. it., 2011, I, 292.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario