Principio di integralità del risarcimento danni e ingiustificato arricchimento
09 Maggio 2025
La signora Sp.Pa. accusava forti dolori all'addome e ai reni. Il marito, Di.Ma., chiamava il servizio di Guardia medica (ASL Roma H) senza ottenere - nonostante specifiche richieste, avanzate anche nel corso dei successivi contatti telefonici - una visita domiciliare: il medico di base si limitava ad una (errata) diagnosi telefonica di influenza. Nei giorni successivi il medico di base, a causa delle insistenze della donna, decideva infine di eseguire una visita domiciliare della paziente, diagnosticandole (erroneamente) una malattia esantematica, oltre ad una patologia di addome acuto per probabile appendicite e predisponeva un immediato ricovero ospedaliero. La signora veniva ricoverata in ospedale, i cui sanitari, nonostante una corretta diagnosi di sepsi e addome acuto, non provvedevano tempestivamente ad un intervento e trascuravano di predisporre l'immediato trasferimento della paziente in altra struttura sanitaria, più opportunamente attrezzata. La donna moriva. Il marito citava in giudizio ASL Roma H e l'ospedale per il risarcimento danni a lui e ai due figli minori: il processo si concludeva con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere con l'ospedale per avere le parti raggiunto un accordo transattivo e la condanna di ASL Roma H al risarcimento del danno parentale previa detrazione dell'importo corrisposto dall'ospedale in esecuzione dell'accordo transattivo. La Corte d'appello, adita da Di.Ma. in relazione alla quantificazione del risarcimento, aumentava gli importi previsti a titolo dell'attore e dei suoi figli minori e, quanto agli effetti della transazione con l'ospedale, riteneva che la decisione del Tribunale costituisse, in parte qua, una pronuncia di merito anche nei confronti del nosocomio transigente (assente in giudizio perché mai evocatovi), e che l'estensione degli effetti della detta transazione disposta in prime cure all'appellata ASL, pur non avendovi quest'ultima aderito, fosse viziata da ultrapetizione, con conseguente revoca della relativa statuizione sulla detrazione delle somme già versate dall'ospedale in transazione. Ricorreva in Cassazione la ASL. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, sottolineando che il giudice di prime cure aveva semplicemente rilevato l'esistenza di una causa impeditiva al riconoscimento, in favore dei familiari della signora defunta, dell'intera somma liquidata a titolo risarcitorio, pena un (evidente quanto illegittimo) indebito arricchimento che si sarebbe realizzato in capo agli attori. Alla somma liquidata in sentenza, espressamente rappresentativa del riconoscimento di un integrale risarcimento del danno lamentato, andava, pertanto, inevitabilmente sottratta quella già corrisposta dalla casa di cura, la cui indeterminatezza nel quantum - fermo il suo pacifico e incontestato riconoscimento nell'an - avrebbe dovuto costituire, al più, questione da risolvere in sede esecutiva. Il giudice di legittimità, dunque, ha enunciato il seguente principio di diritto: «Il principio della integralità del risarcimento del danno non patrimoniale deve essere inteso, nei rapporti tra danneggiante e danneggiato, e nella relativa, reciproca dimensione speculare, oltre che nel senso che al danneggiato va riconosciuto tutto quanto è suo diritto conseguire, anche in quello della illegittimità di un ingiustificato arricchimento conseguente ad una pronuncia giurisdizionale che gli riconosca una somma maggiore di quella a lui dovuta». |