Accogliere e mantenere il figlio in casa sostituisce il mantenimento?
30 Maggio 2025
Per rispondere a tale quesito, partiamo dal considerare che l'assegno di mantenimento del figlio deriva direttamente dal rapporto di filiazione, come previsto dall'art. 30 della Costituzione, e deve far fronte a una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, essendo estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento corrispondente al tenore di vita economico e sociale goduto dalla famiglia quando era unita. Il diritto del figlio al mantenimento, al pari degli altri diritti che compongono il suo status di figlio, ha un fondamento solidaristico ed è finalizzato a soddisfare interessi anche di carattere non patrimoniale, pur determinando il sorgere di obbligazioni dal contenuto economico. Il contenuto del mantenimento, allora, deve essere definito in ragione della sua funzione, che non si esaurisce nell'apporto economico necessario per il soddisfacimento dei bisogni necessari a vivere, ma include ogni apporto finalizzato a una crescita e formazione adatta alla sua personalità e alle sue inclinazioni. L'elasticità e la flessibilità che caratterizza il rapporto intersoggettivo tra genitori e figlio determina una variazione nel tempo del contenuto del dovere di mantenimento, correlata alle mutevoli esigenze e all'età del figlio, la cui crescita implica, di regola, un incremento delle necessità di spesa per i suoi bisogni e una progressiva riduzione degli impegni legati all'accudimento materiale del medesimo, fino a quando, con la maggiore età, il compito dei genitori diventa essenzialmente un supporto al percorso del figlio verso l'indipendenza economica. Come è noto, il comma 1 dell'art. 443 c.c. stabilisce che “Chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto ”. La somministrazione degli alimenti, dunque, è un'obbligazione che nasce come un'obbligazione alternativa, ove la scelta è rimessa all'obbligato. Tuttavia, come rilevato da attenta dottrina, nell'ambito della tutela alimentare vi sono alcune peculiarità che impongono specifici limiti all'applicazione in toto della disciplina propria delle obbligazioni alternative. In particolare, l'art. 443 c.c., al comma 2, stabilisce che “l'autorità giudiziaria può, però, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione”. La facoltà di determinare le modalità di adempimento delle obbligazioni alimentari consente al giudice di discostarsi dalla scelta eventualmente operata dal debitore. A differenza delle obbligazioni alternative vere e proprie, dunque, l'esercizio del diritto di scelta da parte dell'obbligato non dà luogo necessariamente alla concentrazione ovvero alla riduzione delle prestazioni, con la trasformazione dell'obbligazione alternativa in obbligazione semplice, secondo la scelta operata dal debitore, poiché le modalità di somministrazione degli alimenti non sono rimesse alla mera volontà del soggetto passivo del rapporto, ma sono sottoposte a una valutazione da parte del giudice che, nel determinare il modo di somministrazione, non è vincolato dalla scelta operata dall'obbligato. La norma prevede che salvo diversi accordi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio della proporzionalità, da determinare considerando vari fattori, tra i quali, le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. In tale quadro, si colloca la più recente giurisprudenza di legittimità, che ha più volte evidenziato che, nel quantificare l'ammontare del contributo dovuto dal genitore non convivente per il mantenimento del figlio, anche se maggiorenne e non autosufficiente, deve osservarsi il principio di proporzionalità che, nei rapporti interni tra i genitori, richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi. In conclusione sul tema specifico, in tema di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente, l'adempimento del relativo obbligo è disciplinato dal combinato disposto degli artt. 337 ter e 337 septies c.c., non potendo applicarsi la disciplina previsa dall'art. 443 c.c. per l'adempimento delle obbligazioni alimentari, diverse per finalità e contenuto, con la conseguenza che la decisione di accogliere e mantenere il figlio in casa non può integrare una modalità alternativa di adempimento dell'obbligazione che può scegliere unilateralmente il genitore obbligato, costituendo, semmai, un elemento da valutare, ove esistente, ai fini della quantificazione dell'assegno ai sensi dell'art. 337 ter, comma 4, c.c.. |