IVA: Operazioni inesistenti e onere della prova

12 Maggio 2025

In materia di contestazioni relative alla detrazione IVA per operazioni soggettivamente inesistenti, spetta all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la colpevolezza del contribuente, oppure che con l’ordinaria diligenza egli avrebbe dovuto sapere la natura fittizia del contraente.

Massima

Tale obbligo implica la presentazione di elementi oggettivi e specifici che dimostrino la consapevolezza del contribuente dell’inserimento dell’operazione economica a cui partecipa in un meccanismo di evasione fiscale.

Se l’Amministrazione riesce a fornire tale prova, il contribuente è chiamato a dimostrare di aver preso tutte le misure necessarie per evitare di essere coinvolto, anche in modo inconsapevole, in operazioni fraudolente.

Il caso 

La contribuente impugnava un avviso di accertamento riguardante il periodo d'imposta 2015, con il quale si recuperava IVA derivante da operazioni di acquisto considerate soggettivamente inesistenti. Questo accertamento traeva origine da una precedente verifica effettuata nei confronti del fornitore della contribuente, il quale, secondo l'Ufficio, fungeva da intermediario privo di una struttura organizzativa. Il fornitore effettuava numerosi acquisti intracomunitari e intratteneva rapporti con vari clienti, tra cui la contribuente soggetta ad accertamento.

A seguito dell'invito a comparire, l'Ufficio riteneva indebita la detrazione dell'IVA operata dalla contribuente.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso presentato dalla contribuente.

In secondo grado, la Commissione Tributaria Regionale competente rigettava l'appello presentato dall'Ufficio. Il giudice d'appello riteneva che non vi fosse prova della consapevolezza della contribuente di partecipare a una frode IVA o di intrattenere rapporti con un fornitore privo di una reale organizzazione. Tra gli elementi valutati dal giudice si evidenziavano l'assenza di vicinanza geografica tra la contribuente e il fornitore, l'effettuazione di pagamenti tracciabili e la presenza di fatture inerenti alla commercializzazione dei beni. Inoltre, ai fini della decisione, il giudice considerava irrilevante il prezzo dei prodotti commercializzati.

L'Ufficio presentava ricorso per cassazione, articolato in diversi motivi di impugnazione. La contribuente intimata resisteva con un controricorso, ulteriormente supportato da una memoria esplicativa.

La questione

La sentenza in commento si focalizza sulla questione giuridica relativa alla possibile consapevolezza di un soggetto passivo IVA di prendere parte ad una frode IVA e, conseguentemente, alla sua responsabilità a riguardo

Nello specifico, la sentenza in commento mette in luce il principio ormai assodato secondo il quale se l'Amministrazione finanziaria contesta l’effettiva esistenza di alcune operazioni fatturate, ai fini del disconoscimento della detrazione IVA, incombe sull’amministrazione stessa l'onere di provare la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione di imposta. Da ciò ne consegue l’obbligo dell’Ufficio di dimostrare la consapevolezza del contribuente della sostanziale inesistenza della controparte, oppure almeno che il contribuente avrebbe dovuto saperlo usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta.

Nel caso in cui l'Amministrazione riesca ad assolvere tale onere probatorio, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di avere adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza n. 33492/2024 si è focalizzata innanzitutto su un principio fondamentale secondo il quale spetta al giudice di merito il compito di analizzare e apprezzare l'efficacia sintomatica di ciascun fatto noto, considerandone tanto il valore individuale quanto la rilevanza nel quadro complessivo. A tal fine, è essenziale che il giudice di merito adotti un approccio valutativo che tenga conto sia della dimensione analitica, attribuendo un peso specifico adeguato a ogni elemento, sia della prospettiva sintetica, ovvero capace di interpretare la combinazione di tali elementi nella loro interezza.

Il giudice, dunque, deve procedere a una valutazione complessiva degli indizi forniti dall'Ufficio, non limitandosi a considerarli separatamente, ma piuttosto integrandoli in un'analisi globale che consenta di cogliere il quadro d'insieme. Questo approccio è volto a determinare se la convergenza e la connessione tra i diversi indizi siano sufficientemente significative per configurare una prova presuntiva solida e attendibile, atta a giustificare la conclusione relativa alla consapevolezza del contribuente di partecipare a un meccanismo fraudolento.

L'Amministrazione finanziaria, dal canto suo, ha l'obbligo di fornire un insieme di indizi che non solo dimostrino la natura fraudolenta delle operazioni contestate, ma che siano in grado di delineare un quadro coerente e plausibile capace di sostenere la presunzione del fatto ignoto. Tale fatto, nella fattispecie, riguarda la conoscenza o la consapevolezza, da parte del contribuente, del carattere illecito delle operazioni e della sua partecipazione alla frode.

In secondo luogo, la Cassazione ha ricordato che se l'Amministrazione finanziaria intende contestare la detrazione dell'IVA a monte basandosi sull'asserita soggettiva inesistenza delle operazioni, essa è chiamata a sostenere l'onere probatorio dimostrando che il contribuente fosse consapevole che l'operazione a cui partecipava si inseriva in un'evasione d'imposta. In alternativa, l'amministrazione deve almeno dimostrare che il contribuente avrebbe dovuto essere a conoscenza dell'illeceità dell'operazione a cui partecipa applicando l'ordinaria diligenza.

Questo fa sì che l'Amministrazione debba fornire evidenze concrete sul fatto che il contribuente sapesse, o non potesse ignorare, che le transazioni in oggetto fossero parte integrante di un meccanismo fraudolento volto all'evasione dell'IVA. A tal fine, è necessario che l'Ufficio presenti elementi oggettivi capaci di confermare che, considerata la qualità professionale e il ruolo ricoperto dal contribuente, questi avesse o dovesse avere consapevolezza della condizione soggettivamente inesistente del fornitore.

Nel momento in cui l'Amministrazione finanziaria riesce a soddisfare tale onere probatorio attraverso l'esibizione di elementi specifici, coerenti e rilevanti rispetto alla fattispecie contestata, il contribuente viene gravato da un diverso onere, ossia quello di dimostrare il contrario. In questa fase, al contribuente è richiesto di fornire prova di aver adottato tutte le misure possibili, secondo il massimo grado di diligenza ragionevolmente esigibile da un operatore accorto del settore, per evitare di partecipare, anche inconsapevolmente, a operazioni finalizzate all'evasione dell'imposta sul valore aggiunto.

In terzo luogo, la Suprema Corte ha evidenziato che i principi suddetti trovano piena conformità con il diritto dell'Unione Europea, che stabilisce come l'evasione tributaria in materia di IVA possa configurarsi anche nei casi in cui il soggetto passivo, pur non essendone direttamente consapevole, avrebbe dovuto sapere che l'operazione posta in essere, e in particolare l'acquisto effettuato, fosse parte integrante di un meccanismo di evasione dell'imposta sul valore aggiunto. Questa evasione potrebbe essere stata realizzata dal fornitore coinvolto direttamente nell'operazione oppure da un altro soggetto operante a monte o a valle nella catena di transazioni commerciali.

A fronte di tale quadro normativo, al contribuente è richiesto di conformarsi a standard particolarmente rigorosi di diligenza. Ciò significa che è suo dovere adottare ogni misura ragionevolmente esigibile da un operatore commerciale accorto e prudente per verificare, con attenzione e scrupolosità, che l'operazione posta in essere non lo esponga, neppure inconsapevolmente, a un coinvolgimento in attività fraudolente volte all'evasione dell'IVA.

Questo comporta un obbligo di verifica preventiva che si estende a molteplici aspetti, quali l'affidabilità dei soggetti con cui si intrattengono rapporti commerciali, la coerenza delle operazioni rispetto alle consuetudini di mercato e la tracciabilità dei pagamenti effettuati.

Questo standard di diligenza si configura come essenziale per prevenire il rischio di essere coinvolti, anche in modo indiretto, in frodi fiscali progettate e realizzate da altri soggetti della filiera commerciale.

Osservazioni

La sentenza n. 33492/2024 ha evidenziato i seguenti aspetti:

  • Il giudice di merito deve effettuare una valutazione complessiva degli indizi presentati, analizzandoli in un quadro d'insieme piuttosto che considerandoli separatamente.
  • La Cassazione ha stabilito che, in caso di contestazioni sulla detrazione dell'IVA basate sull'asserita inesistenza soggettiva delle operazioni, l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di dimostrare che il contribuente fosse consapevole (o avrebbe dovuto esserlo, applicando l'ordinaria diligenza) che tali operazioni erano parte di un'evasione d'imposta. Una volta soddisfatto questo onere, spetta al contribuente dimostrare il contrario.
  • Secondo il diritto dell'Unione Europea, l'evasione IVA si configura anche quando il soggetto passivo, pur non essendone consapevole, avrebbe dovuto sapere che l'operazione effettuata faceva parte di un meccanismo di evasione, potenzialmente messo in atto dal fornitore o da altri soggetti lungo la catena commerciale.

Riferimenti 

Cass., Sez. V, 17 settembre 2020, n. 26802; Cass., Sez. V, 17 settembre 2020, n. 19353; Cass., Sez. V, 31 maggio 2019, n. 14980; Cass., Sez. VI, 23 giugno 2017, n. 15777; Cass., Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 5374; Cass., Sez. V, 9 agosto 2016, n. 16719; Cass., Sez. V, 12 luglio 2022, n. 22003; Cass., 20 dicembre 2021, n. 40690; Cass., Sez. V, 17 agosto 2021, n. 22969; Cass., Sez. V, 3 agosto 2021, n. 22107; Cass., Sez. V, 20 luglio 2021, n. 20648; Cass., Sez. V, 8 luglio 2021, n. 19387; Cass., Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 25426; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851; Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9721; Cass., Sez. U., 12 settembre 2017, n. 21105; Corte GUE, 18 maggio 2017, Litdana, C624/15, punto 33; Corte GUE, 18 dicembre 2014, N. 1272 .G. 6di 11 Est. F. Schoenimport "Italmoda" Mariano Previti, C-131/13, C-163/13 e C-164/13, punti 49 e 50; Corte GUE, 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11, punti da 38 a 40; Corte GUE, 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona, C-273/11, punto 54; Corte GUE, 21 giugno 2012, Mahagében e David, C-80/11 e C/142/11, punto 46; Corte GUE; 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C- 439/04 e C440/04; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851.

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