Restituzione di somme di denaro ai soci: bancarotta preferenziale o fraudolenta?
12 Maggio 2025
Massima Assume natura distrattiva la restituzione ai soci di somme di denaro che erano state da loro versate quando la società si trovava in un periodo di grave squilibrio finanziario della società, tale da fare ragionevolmente assumere a tale immissione di denaro la sostanziale natura di conferimento. In assenza di tale requisito, il finanziamento del socio, avente carattere acclarato e comunque non contestato di mutuo ex art. 1813 c.c., dà luogo al diritto alla restituzione nei termini convenuti. Il caso In sede di merito, l’amministratore di una società fallita era condannato per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva. Secondo l'impostazione accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l'imputato aveva distratto dal patrimonio della società – per quanto di interesse in questa sede – una somma di denaro complessiva di euro 32.050,00. In sede di ricorso per cassazione, la difesa affermava che i prelevamenti delle somme di denaro contestate quale ipotesi di bancarotta patrimoniale costituivano una compensazione con i crediti vantati dall'amministratore verso la società, in relazione a somme di denaro da lui concesse a titolo di mutuo. Il fatto, pertanto, alla luce della giurisprudenza di legittimità, avrebbe dovuto essere riqualificato come bancarotta preferenziale. La questione Con riferimento alla qualificazione giuridica – con l'alternativa fra la contestazione di una bancarotta fraudolenta patrimoniale o di bancarotta preferenziale – da attribuire alle restituzioni dei finanziamenti concessi dai soci in favore della fallita la giurisprudenza di legittimità ha elaborato differenti orientamenti. Secondo un primo orientamento, tale fatto integra il reato di bancarotta preferenziale, atteso che si tratta della restituzione di crediti liquidi ed esigibili, fatta in pregiudizio degli altri creditori (Cass., sez. V, 22 gennaio 2018, n. 10117; Cass., sez. V, 2 ottobre 2013, n. 13318). Secondo un diverso orientamento, integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale la condotta dell'amministratore di una società che, in un periodo di difficoltà della società, proceda al rimborso di finanziamenti erogati dai soci. Secondo questa impostazione, la restituzione di un finanziamento, in un periodo di difficoltà della società, invero, oltre a violare il divieto di postergazione di cui all'art. 2467 c.c., assume un significato diverso e più grave rispetto alla mera volontà di privilegiare un creditore in posizione paritaria rispetto a tutti gli altri (Cass., sez. V, 20 febbraio 2019, n. 25773; Cass., sez. V, 14 giugno 2018, n. 50495). Decisiva, dunque, in base a tale orientamento, è la situazione di difficoltà finanziaria della società "al momento della restituzione" delle somme di denaro. Infine, deve rammentarsi l'affermarsi, in tempi recenti, di un orientamento più articolato secondo cui la risposta al quesito dipende dalla natura del versamento che era stato effettuato dall'amministratore della società e di cui lo stesso pretende la restituzione. Secondo questa posizione, quando l'amministratore, della cui responsabilità penale si discute, è anche socio della società, si deve verificare se il contributo in denaro versato alla persona giuridica avesse costituito:
oppure, piuttosto,
Nei primi due casi il rimborso può configurare la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti a un credito esigibile nel corso della vita della società, mentre, nel terzo caso, il prelievo di somme quale restituzione dei versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale (Cass., sez. V, 8 marzo 2024, n. 27446; Cass., sez. V, 21 giugno 2021, n. 32930). Secondo questa posizione, i versamenti a titolo di mutuo comportano il sorgere, in capo ai soci, di un credito chirografario, effettivo ed esigibile, senza che dalla sua restituzione consegua un effettivo depauperamento dell'asse patrimoniale. Così insegna la giurisprudenza civile di legittimità (Cass., civ., sez. I, 8 giugno 2018, n. 15035), secondo cui i versamenti operati dai soci in “conto-capitale”, pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti a una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno tuttavia una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio: siffatti versamenti, dunque, non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo in caso di scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione. I versamenti operati dai soci in favore della società a titolo di mutuo fanno sorgere, invece, il diritto alla restituzione della somma mutuata anche durante la vita della società, ove nel corso di essa maturi la scadenza del credito. Altra e diversa posizione è stata assunta dalla recente Cass., sez. V, 20 giugno 2024, n. 29670. In tale sentenza - pur senza contraddire «l'indiscussa distinzione tra versamenti in conto capitale, in conto futuro aumento di capitale e finanziamenti del socio a titolo di mutuo», operata dalla giurisprudenza formatasi negli ultimi anni – è stato affermato che assume rilievo decisivo, in ogni caso, la situazione finanziaria della società «nel momento in cui il socio aveva effettuato il versamento di denaro». In particolare, se in quel momento la società si trovava «in un periodo di significativo squilibrio finanziario», all'immissione di denaro nella società, «in qualsiasi forma effettuata», deve essere riconosciuta la veste di finanziamento «sostitutivo del capitale» e come tale deve essere assoggettato alla medesima disciplina dei conferimenti o dei versamenti a salvaguardia del capitale di rischio. Dalla sostanziale equiparazione legale (ex art. 2647, comma 2, c.c.) di tali immissioni di denaro ai conferimenti discende la conseguenza della natura distrattiva del prelevamento effettuato a fini di restituzione al socio. Tale ultimo orientamento trova fondamento, appunto, nel secondo comma dell'art. 2467 c.c., che prevede che tutti i finanziamenti effettuati in un momento in cui la società si trova in una situazione di grave squilibrio finanziario vengano sottoposti alla disciplina della postergazione, che determina per i creditori una situazione non molto diversa da quella in cui essi si trovano rispetto a un conferimento in conto capitale. Tali forme di finanziamento, sostanzialmente, rispetto alla posizione dei creditori, sono ex lege equiparate agli apporti destinati al capitale. In dottrina, si veda Portale, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Colombo, Portale (a cura di), Trattato delle Società per azioni, Torino, 2004, 44; ID., Riforma delle società di capitali e limiti di effettività del diritto nazionale, in Soc., 2003, 263; Caccavale, Magliulo, Maltoni, Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2003, 126; Garesio, Aumento di capitale sociale e compensazione: un passo innanzi della Cassazione, in Giur. It., 2018, 1917; Balp, I finanziamenti dei soci "sostitutivi" del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. Soc., 2007, 345; Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, V, Padova, 2007, 105. La soluzione giuridica Il ricorso è stato dichiarato parzialmente fondato. In particolare, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione di condanna con riferimento a parte delle somme contestate come distratte, rispetto alle quali non poteva ipotizzarsi alcuna ipotesi di compensazione. Quanto alle somme rimanenti che, come detto, l'imputato sosteneva essere state oggetto di una compensazione con i crediti da lui vantati in relazione a somme di denaro che aveva concesso a titolo di mutuo alla persona giuridica, la sentenza in esame ritiene di dover aderire all'orientamento esposto per ultimo nel precedente paragrafo. Secondo la presente pronuncia, il pregio di questa posizione – che, a dire dei giudici di legittimità, non si contrapporrebbe ai precedenti arresti – risiederebbe nella sua capacità di cogliere con maggiore profondità la complessità della questione, valorizzando a tal fine la particolare rilevanza che assume in tale ambito il disposto di cui all'art. 2647 c.c. Questa disposizione, infatti, equipara – quanto meno rispetto alla posizione dei creditori – i versamenti dei soci, effettuati in un periodo di grave squilibrio finanziario della società, ai conferimenti. In tal senso, appare quantomai significativo che l'art. 2467, comma 2, c.c. faccia riferimento non solo allo specifico momento in cui «risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto», ma anche più genericamente alla «situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento»: da tale formulazione emergerebbe dunque che non rileva la forma che gli interessati abbiano dato al versamento («in qualsiasi forma effettuati»), ma la situazione finanziaria della società al momento del versamento; rileva, in particolare, la situazione che consente, in base alla presunzione del legislatore, di attribuire a quell'immissione di denaro la sostanza di un conferimento. Di conseguenza, considerato che la riconduzione delle operazioni in esame alla fattispecie della bancarotta distrattiva è subordinata alla natura di conferimento riconosciuta alla somma versata dal socio, una volta che il legislatore - per quel che riguarda la posizione dei creditori, la cui tutela assume primario rilievo in materia di bancarotta - ha sostanzialmente equiparato ai conferimenti le immissioni di denaro effettuate in situazioni di grave squilibrio finanziario della società, appare coerente ritenere che l'intempestiva restituzione di tali versamenti di denaro assuma il rilievo di una distrazione. Peraltro, secondo la pronuncia in esame, la sostanziale equiparazione tra conferimenti e versamenti dei soci, effettuati in un momento di eccessivo squilibrio finanziario della società, trova fondamento non solo nella lettera dell'art. 2467 c.c., ma anche nella ratio della norma, come ricostruita dalla giurisprudenza e dalla dottrina civilistica. Entrambe, invero, hanno evidenziato che il legislatore, introducendo tale norma, ha inteso occuparsi del problema della c.d. sottocapitalizzazione nominale (molto diffusa nelle società a ristretta compagine o a carattere "familiare"), in presenza della quale la società dispone sicuramente dei mezzi per l'esercizio dell'impresa, ma questi sono in minima parte imputati a capitale, perché risultano per lo più concessi sotto forma di finanziamento. La giurisprudenza civile, nel ricostruire il «fondamento della disposizione», ha richiamato anche «la Relazione alla riforma del diritto societario del 2003», che significativamente «parla di "capitale di credito formale", contrapposto alla "sostanza economica di capitale proprio"» (Cass. Civ., sez. I, 5 maggio 2019, n. 12994). La ratio della norma è stata individuata «nell'intento di contrastare la non infrequente sottocapitalizzazione delle società, quale tecnica di traslazione sui creditori e sui terzi del rischio da continuazione dell'attività in regime di crisi, con eventuale profitto dei soci ed aggravamento del dissesto a scapito dei creditori: fenomeno determinato dalla convenienza dei soci a ridurre l'esposizione al rischio d'impresa, apportando nuove risorse a disposizione dell'ente collettivo nella forma del finanziamento, anziché in quella appropriata del conferimento» (Cass. civ.. sez. I 1, 15 maggio 2019, n. 12994; Cass. Civ., sez. I, 20 giugno 2018, n. 16291; Cass. Civ., sez. I, 7 luglio 2015, n. 14056). Il legislatore ha così inteso «reagire alla possibile traslazione del rischio d'impresa dalla società al mercato: il finanziamento è "anomalo" o "sostitutivo del capitale", in quanto un creditore sul mercato del credito non lo avrebbe concesso, o non a quelle condizioni, a causa della situazione finanziaria della società». La dottrina – sopra menzionata – ha evidenziato come con l'introduzione della predetta disposizione civilistica si sia ridotta la rilevanza sotto il profilo pratico della distinzione tra finanziamenti e conferimenti in conto capitale, in conseguenza della sottoposizione di entrambe le operazioni alla regola della postergazione, quando il versamento del socio venga fatto nel periodo di grave squilibrio finanziario. Tale sostanziale equiparazione non può non ripercuotersi anche sulla natura da riconoscere alla restituzione dei versamenti in questione, prima della avvenuta liquidazione: se alla restituzione dei conferimenti deve essere riconosciuta natura distrattiva, uguale natura, coerentemente, deve essere riconosciuta alla restituzione del versamento che fu effettuato nel periodo di grave squilibrio finanziario della società. In conclusione, assume natura distrattiva la restituzione ai soci di somme di denaro che erano state da loro versate quando la società si trovava in un periodo di grave squilibrio finanziario della società, tale da fare ragionevolmente assumere a tale immissione di denaro la sostanziale natura di conferimento. In assenza di tale requisito, il finanziamento del socio avente carattere acclarato e comunque non contestato di mutuo ex art. 1813 c.c., dà luogo al diritto alla restituzione nei termini convenuti. Con l'effetto che il rimborso avvenuto prima della liquidazione e in violazione della par condicio creditorum, può dar luogo alla meno grave fattispecie di bancarotta preferenziale, volta a sanzionare anche prelievi o rimborsi che siano effettuati in epoca di difficoltà della società. Considerazioni conclusive La sentenza della Cassazione è pienamente conforme al consolidato orientamento secondo cui può integrare l'ipotesi di bancarotta per distrazione la condotta dell'amministratore di una società, che, quale socio creditore della stessa, recuperi, in periodo di dissesto, finanziamenti da lui in precedenza concessi e ciò in quanto la disciplina della postergazione non individua un diverso grado del credito restitutorio ma rende inesigibile la pretesa alla restituzione, proprio perché il legislatore, espressamente, intende che le somme erogate debbano essere vincolate al perseguimento dell'oggetto sociale e non possano essere restituite se non quando, ormai soddisfatti tutti i creditori, viene meno la stessa esigenza di garanzia delle loro ragioni (Cass., sez. V, 14 giugno 2018, n. 50495; Cass., sez. V, 6 giugno 2014, n. 34505). La motivazione di tale conclusione va rinvenuta nella ratio attribuita dalla giurisprudenza civile di legittimità al principio di postergazione del rimborso del finanziamento dei soci posto dall'art. 2467 cod. civ., consistente nel contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società "chiuse", determinati dalla convenienza dei soci a ridurre l'esposizione al rischio d'impresa, ponendo i capitali a disposizione dell'ente collettivo nella forma del finanziamento, anziché in quella del conferimento (Cass. Civ., sez. I, 9 dicembre 2015, n. 24861). Va ricordato tuttavia che la qualificazione della condotta dell'amministratore il quale, in pendenza di una crisi dell'azienda, si ripaghi di crediti da lui vantati verso la società può essere diversa da quella assunta nella decisione in esame, giacché ben potrebbe sostenersi che nel caso di specie, stante il fatto che l'amministratore societario è un creditore dell'impresa fallita, si sia in presenza di una bancarotta preferenziale. Come detto, tale posizione non è accolta dalla giurisprudenza decisamente prevalente, orientata nel senso di qualificare tale ipotesi come bancarotta fraudolenta patrimoniale, non potendosi scindere la sua qualifica di creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall'obbligo di fedeltà e da quello della tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi (Cass., sez. V, 8 aprile 2019, n. 15280; Cass., sez. V, 29 ottobre 2018, n. 49506). Peraltro, si afferma che in caso di avvenuta riqualificazione come bancarotta per distrazione piuttosto che preferenziale del pagamento effettuato in favore dell'amministratore non si sia in presenza di una modifica dell'imputazione ma di una semplice modifica della qualificazione giuridica del fatto che rimane il medesimo, con conseguente mancata lesione del diritto della difesa (Cass., sez. V, 11 maggio 2018, n. 21129). La pronuncia in esame si confronta con questa divaricazione di orientamenti giurisprudenziali ritenendo che la soluzione – ovvero la contestazione della bancarotta fraudolenta o della meno grave ipotesi di bancarotta preferenziale – dipenda dalla natura del finanziamento, ovvero se a titolo di mutuo o quale conferimento di capitale, dovendosi contestare il delitto più grave solo nella seconda ipotesi. Tuttavia, secondo la decisione in commento, non vale ad escludere la natura di conferimento del finanziamento restituito la circostanza che la relativa corresponsione di denaro sia stata qualificata, al momento in cui si è proceduto in tal senso, come concessione di un mutuo o di un prestito, dovendosi riconoscere rilievo determinante al momento in cui il socio aveva effettuato il versamento in favore della società e la situazione finanziaria in cui quest'ultima versava in quel momento ovvero se all'epoca la società versasse o meno in condizioni finanziarie e patrimoniali fortemente critiche. A nostro parere, questa soluzione lascia assai incerti i criteri sulla base dei quali operare la distinzione fra conferimenti “restituibili” e conferimenti che non possono essere oggetto di distribuzione ai soci. In particolare, non soddisfano – per l'evanescenza dei criteri, inaccettabile in ambito penale, venendo la qualificazione illecita del fatto a dipendere da valutazioni assolutamente opinabili - né la tesi che richiama l'interpretazione della volontà delle parti, né quella che fa riferimento all'art. 2467 c.c., disposizione finalizzata a reagire alla sottocapitalizzazione nominale di molte imprese del nostro paese ma certo non ad individuare i conferimenti la cui restituzione può dar luogo ad una fattispecie di reato. |