La natura giuridica del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria: riflessioni sistematiche, giurisprudenziali e normative alla luce della L. 160/2019
L'ordinanza pronunciata il 7 aprile 2025 dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Vicenza nel procedimento RG 599/2024, ci fornisce l'opportunità di esaminare e approfondire una questione di primario interesse concernente la natura del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria.
Premessa
La questione sollevata dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Vicenza
Il caso concreto vedeva come protagonista la società Medio Chiampo S.p.A., che aveva impugnato un avviso di accertamento relativo al CUP per l'anno 2023, emesso dalla concessionaria del Comune di Montebello Vicentino L'atto impugnato, nel testo notificato alla società, indicava il giudice ordinario come autorità titolata a decidere la controversia. Tuttavia, nel ricorso, la società ha ritenuto che la giurisdizione spettasse alla giustizia tributaria. La divergenza tra le parti sull'autorità giudiziaria competente ha fatto emergere, con forza, il problema sottostante, cioè la qualificazione giuridica del CUP e la conseguente individuazione del giudice munito di giurisdizione.
La Corte vicentina ha preso atto che la questione non è di immediata soluzione, né può considerarsi pacificamente risolta.
Al contrario, essa è al centro di un dibattito dal momento che ci si trova infatti dinanzi a un canone che, per volontà del legislatore, accorpa istituti precedenti eterogenei, alcuni dei quali tradizionalmente ritenuti tributari (come la TOSAP, l'ICP o il CIMP), altri invece patrimoniali o corrispettivi (come il COSAP o i canoni autorizzativi del codice della strada). Dinanzi a tale incertezza, la Corte ha esaminato i diversi orientamenti emersi. Alcune decisioni, soprattutto in ambito tributario, hanno ritenuto che il CUP, al di là della sua etichetta formale, debba essere considerato sostanzialmente come un tributo, valorizzando la sua doverosità, l'origine legale dell'obbligo e il carattere autoritativo dell'atto impositivo. Altre decisioni, invece, hanno sostenuto che si tratti di una mera entrata patrimoniale, con la conseguenza che la giurisdizione dovrebbe spettare al giudice ordinario.
Un terzo orientamento, mosso dalla cosiddetta natura “bicefala” del canone, propone di distinguere caso per caso, in base alla concreta articolazione della pretesa: la componente del canone riferita alla pubblicità, in continuità con l'imposta comunale sulla pubblicità, sarebbe da considerarsi tributaria, mentre la componente riferita all'occupazione di spazi pubblici conserverebbe natura patrimoniale.
Consapevole della rilevanza sistemica della questione e della necessità di una soluzione autorevole e uniforme, la Corte ha ritenuto sussistenti tutti i presupposti per avvalersi del rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c., strumento che consente al giudice di merito, anche tributario, di sottoporre alla Corte di Cassazione una questione di diritto nuova, controversa e di particolare importanza.
La Corte ha scelto di sospendere il giudizio e rimettere alla Suprema Corte la seguente questione: se la giurisdizione nelle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento relativi al CUPspetti sempre al giudice tributario, oppure al giudice ordinario, o ancora se debba essere individuata in concreto, a seconda del contenuto specifico della pretesa.
Tributi e corrispettivi: natura giuridica a confronto
La distinzione tra tributi e corrispettivi non è meramente teorica, ma ha conseguenze sia sul piano processuale sia sostanziale. Ci si può soffermare sui principi elaborati dalla Corte di Cassazione riguardo al Canone per l'occupazione permanente di spazi e aree pubbliche (COSAP) e al Canone per l'Installazione di Mezzi Pubblicitari (CIMP).
Come noto, l'adozione di un particolare “nomen iuris” non è sufficiente, secondo la giurisprudenza, a modificare la natura sostanziale del prelievo. Nonostante la terminologia utilizzata dal Legislatore, ad esempio il Canone per l'occupazione permanente di spazi e aree pubbliche è stato qualificato come corrispettivo dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 509 dell'11 gennaio 2022, Cass. S.U. n. 12167/2003), mentre la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 141 dell'8 maggio 2009, ha affermato con altrettanta chiarezza che il Canone per l'Installazione di Mezzi Pubblicitari conserva natura tributaria.
Il ragionamento della Corte di Cassazione in merito al Canone per l'occupazione permanente di spazi e aree pubbliche si fonda sull'analisi della struttura del rapporto giuridico che lega il soggetto obbligato all'ente esattore. Il COSAP è stato ritenuto avente natura di corrispettivo per avere come presupposto l'effettivo godimento, anche di fatto e senza titolo, di uno spazio pubblico, con modalità che implicano un'utilizzazione esclusiva o particolare del bene. Ciò che giustifica l'esigibilità del canone non è dunque la manifestazione di una capacità contributiva, ma la concreta utilizzazione di un bene demaniale o patrimoniale indisponibile. Ne consegue che il canone ha natura di corrispettivo per l'uso di un bene pubblico, configurando un rapporto giuridico di tipo sinallagmatico, ancorché in senso lato: a fronte della disponibilità del bene pubblico, l'utilizzatore versa un canone, anche se l'utilizzo è abusivo e privo di concessione formale.
Questo rapporto, anche in assenza di un contratto o di un provvedimento concessorio, è sufficiente a fondare un'obbligazione patrimoniale qualificabile come entrata patrimoniale e non tributaria. Il fatto che il canone sia determinato unilateralmente dall'ente pubblico e previsto da un regolamento non è, in sé, decisivo per escludere la natura sinallagmatica dell'obbligazione, giacché la prestazione è comunque riferibile a un vantaggio patrimoniale specifico ottenuto dal soggetto obbligato, e non ad un'imposizione fiscale generale.
La Corte Costituzionale, invece, con la sentenza n. 141/2009, si è confrontata con la diversa questione della natura del Canone per l'Installazione di Mezzi Pubblicitari, prelievo previsto dall'art. 62 del d.lgs. n. 446/1997 in alternativa all'imposta comunale sulla pubblicità. La Corte sottolinea che, pur trattandosi formalmente di un canone, esso condivide con l'imposta sulla pubblicità tutti gli elementi essenziali:
il presupposto economico (la pubblicità in sé),
la doverosità della prestazione in capo al soggetto passivo,
l'assenza di una controprestazione da parte del Comune e il legame con un'attività soggetta a controllo pubblico.
La pubblicità, infatti, può aver luogo anche su strada non comunale e il pagamento del canone non sarebbe giustificato dall'uso di un bene dell'ente locale. In tal senso, il Comune non offre nulla in cambio del pagamento: non cede un bene, non presta un servizio, non consente un'utilizzazione specifica, ma si limita ad esercitare un potere regolatorio sull'attività privata, subordinandola ad autorizzazione e imponendo un prelievo. Non vi è dunque alcun rapporto di tipo contrattuale o paracontrattuale, né reale né presunto, tra Comune e soggetto passivo. Di conseguenza, non vi è alcuna sinallagmaticità, nemmeno in senso lato. Per tale sua continuità con l'Imposta Comunale sulla Pubblicità ne deriverebbe la natura tributaria del Canone. Le conclusioni esaminate non dipendono, dunque, da una divergente concezione teorica, ma dall'applicazione dei medesimi principi generali a due istituti strutturalmente differenti: il Canone per l'occupazione permanente di spazi e aree pubbliche, fondato su un uso esclusivo e individualizzato di beni pubblici; il Canone per l'Installazione di Mezzi Pubblicitari, basato su un obbligo impositivo collegato all'esercizio di un'attività economica. In quest'ultimo caso, manca ogni forma di corrispettività, e il prelievo si configura come una manifestazione tipica della potestà impositiva pubblica.
CUP e ICP: discontinuità normativa e sistematica
A questo punto, al fine della risoluzione della questione sottoposta dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Vicenza, si pone una domanda di per sé assorbente: può sostenersi che il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria costituisca una forma di continuità e riproposizione della previgente Imposta Comunale sulla Pubblicità, disciplinata dal D.lgs. 507/1993?
Anche al fine di non deprezzare il lavoro svolto dal Legislatore, sembrerebbe più logico concludere che si tratti di una vera e propria entrata nuova, avente una propria autonomia, che risponde a rigorosi principi di competenza. A tal proposito, si consideri la struttura della Legge 160/2019, articolo 1, commi 816 e seguenti.
Il comma 816 non ripropone il concetto di imposta comunale di cui all'articolo 1 del D.lgs. 507/1993 (istitutivo dell'ICP). La nuova normativa non qualifica il CUP come una entrata comunale, ma disciplina in termini rigorosi la potestà amministrativa, strutturandola sotto il profilo della "pertinenza".
Il canone, denominato tale dal comma 816 per i fini contemplati nei commi da 817 a 836, è istituito dai comuni, dalle province e dalle città metropolitane, con riferimento generale a una pluralità di fattispecie (il comma 816 fa espressamente menzione del “canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, ai fini di cui al presente comma e ai commi da 817 a 836”). Tale disposizione non distingue tra occupazione del suolo pubblico e pubblicità: si tratta, a tutti gli effetti, di un canone unitario, istituito da enti diversi ma secondo principi comuni. Il comma 818 specifica che sono da intendersi di pertinenza comunale i tratti di strada situati all'interno di centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti. Il criterio di pertinenza, dunque, è la chiave di volta del sistema introdotto dalla Legge 160/2019. La conferma della natura autonoma del CUP si rinviene anche nel comma 837, che disciplina un canone distinto per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati all'allestimento di mercati.
L'articolo specifica che, a decorrere dal 1° gennaio 2021, comuni e città metropolitane istituiscono tale canone, e che ai fini della sua applicazione rientrano anche i tratti di strada interni a centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti.
Il successivo comma 838 precisa che il canone di cui al comma 837 si applica in deroga alle disposizioni del canone di cui al comma 816.
La legge 160/2019 distingue così chiaramente due diversi canoni: quello di cui al comma 816 (CUP), e l'altro di cui al comma 837 (mercatale): tertium non datur.
Rispetto all'abrogato articolo 1 del D.lgs. 507/1993, si nota dunque una rilevante discontinuità. Il decreto legislativo dichiarava espressamente che l'imposta sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni erano tributi locali di spettanza comunale, con un'impostazione fiscale tipica. La L. 160/2019, invece, abbandona tale impostazione, evita accuratamente il termine "imposta" e affida l'istituzione del CUP alla competenza materiale degli enti, secondo criteri di titolarità amministrativa.
Pertanto, il CUP è una nuova entrata, fondata su presupposti specifici, non coincidenti con quelli delle entrate abrogate*. Pur ispirandosi a istituti preesistenti (TOSAP, Canone Patrimoniale di Occupazione Spazi ed Aree, Canone sulle Iniziative Pubblicitarie), il CUP si configura come istituto unitario e autonomo. Le tariffe previste ai commi 826, 827 e 828 si applicano indifferentemente sia per il presupposto pubblicitario sia per quello dell'occupazione, così come il potere regolamentare conferito dal comma 826 si riferisce a entrambe le ipotesi.
Il canone è sempre uno solo, quello istituito ai sensi del comma 816 (“ai fini di cui al presente comma e ai commi da 817 a 836”). Deve quindi escludersi che la disciplina del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria costituisca una mera riproposizione delle entrate sostituite e, per quanto concerne il caso specifico analizzato dalla Corte di Giustizia di primo grado di Vicenza, della previgente Imposta Comunale sulla Pubblicità.
* In tal senso la giustizia amministrativa: “il potere regolatorio è stato esercitato entro i suoi limiti, i quali non coincidono necessariamente con quelli dei canoni e dei tributi sostituiti, in quanto, come si è visto sopra, il canone unico patrimoniale si presenta come una disciplina unitaria e innovativa” TAR Veneto, sentenza n. 947 del 8.5.2024, si veda anche Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Milano, sentenza n. 1850 del 17.7.2023; Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione distaccata di Brescia, sentenza n. 576 del 10.7.2023.
Il titolo autorizzativo come fonte dell'obbligazione patrimoniale
Il mutamento lessicale, da “imposta” a “canone patrimoniale”, non è casuale, ma pare riflettere un cambiamento profondo nel fondamento giuridico dell'obbligazione. In tal senso parrebbe condurre, come già evidenziato sopra, l'impianto della L. 160/2019, in particolare il comma 816 dell'articolo 1, strutturato secondo un criterio della competenza, ossia della pertinenza territoriale. Ulteriore conferma si rinviene nel comma 835, il quale prevede che il versamento del canone sia effettuato direttamente agli enti contestualmente al rilascio della concessione o dell'autorizzazione all'occupazione o alla diffusione dei messaggi pubblicitari. La richiesta di rilascio della concessione o dell'autorizzazione equivale, ai fini giuridici, alla presentazione della dichiarazione da parte del soggetto passivo. Questo aspetto sottolinea con forza la correlazione funzionale tra titolo abilitativo e pagamento, elemento del tutto estraneo alla logica dell'imposta (in tal senso la recente Corte d'Appello di Trieste, sentenza n. 21 del 4.2.2025).
Mantenendosi nel solco dell'Imposta Comunale sulla Pubblicità, appare evidente la discontinuità rispetto al D.lgs. 507/1993: in quest'ultimo, il pagamento era correlato all'esercizio di un'attività (pubblicitaria) e non al rilascio di una concessione. Oggi, invece, il pagamento del canone, sia esso destinato all'autorizzazione per impianti non pubblicitari, sia alla diffusione di messaggi pubblicitari, avviene in funzione del rilascio del titolo da parte dell'Ente proprietario della strada.
Il rilascio del titolo è condizionato al pagamento del canone. Si veda ancora il comma 822 dove è precisato che gli enti procedono alla rimozione delle occupazioni e dei mezzi pubblicitari per i quali non sia stato eseguito il pagamento del relativo canone: “nonché all'immediata copertura della pubblicità in tal modo effettuata”.
Ciò rafforza ulteriormente l'idea che si tratti di un'obbligazione patrimoniale connessa all'utilizzazione autorizzata di un bene pubblico, non a una manifestazione autonoma di capacità contributiva. Il sistema delineato dalla L. 160/2019 è, dunque, ispirato a un modello di entrata patrimoniale e non a una disciplina tributaria in senso stretto.
In conclusione
Attesa dell'intervento nomofilattico della Corte di Cassazione
In conclusione, l'analisi del quadro normativo, delle prassi applicative e dei precedenti giurisprudenziali, dimostra come il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria si collochi su un crinale interpretativo che esige un chiarimento autorevole. L'articolata riflessione condotta dalla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Vicenza, con ordinanza del 7 aprile 2025, si inserisce in questo contesto, rimettendo alla Corte di Cassazione, in sede di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., la questione fondamentale della giurisdizione competente nelle controversie relative al CUP.
Ai sensi della norma citata, il Primo Presidente della Corte di Cassazione, ricevuta l'ordinanza di rimessione, ha l'onere di assegnare la questione, entro il termine di novanta giorni, alle Sezioni Unite o alla sezione semplice per l'enunciazione del principio di diritto, ovvero di dichiararne l'inammissibilità con decreto.
Sarà dunque di estremo interesse e rilevanza sistemica comprendere quale sarà l'interpretazione fornita dalla Suprema Corte, attesa la ricaduta che tale pronuncia avrà non solo in termini di giurisdizione, ma anche nella più ampia qualificazione giuridica del canone stesso, elemento cruciale per la certezza del diritto in materia di finanza locale.
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Sommario
CUP e ICP: discontinuità normativa e sistematica
Il titolo autorizzativo come fonte dell'obbligazione patrimoniale