Legittima l’imposizione IMU dei beni-merce: il pagamento è dovuto anche per la sola possibilità di avvalersi dell’immobile
14 Maggio 2025
Massima In tema di IMU, non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13 d.l. n. 201/2011 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge n. 214/2011 (nel testo applicabile ratione temporis), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, nella parte in cui non prevede l'esenzione dall'imposta municipale unica a favore dell'impresa che possieda immobili destinati alla vendita e non utilizzati ad altri fini, iscritti a bilancio come “beni-merce”, posto che ai fini dell'obbligo del pagamento dell'IMU rileva l'astratta possibilità di avvalersi delle facoltà proprie del diritto reale e non già il loro effettivo esercizio, che dipende esclusivamente dal possessore, potendo l'imprenditore decidere autonomamente e liberamente la destinazione dei suddetti beni e mantenerne il possesso entro la sua sfera di controllo. Il caso Una società proponeva ricorso alla Corte di giustizia tributaria di I grado avverso un avviso di accertamento con il quale il locale Comune richiedeva il pagamento dell'IMU, per l'annualità 2012, relativamente ad immobili di proprietà posseduti al solo scopo di essere ceduti a terzi e dunque - ad avviso della contribuente - non tassabili. Nonostante la società avesse dimostrato di aver contabilizzato gli immobili in questione tra le rimanenze dello Stato patrimoniale in quanto appartenenti alla categoria dei “beni merce”, la Corte di giustizia di I grado rigettava, sul punto, il ricorso richiamando – quanto alla proposta questione di legittimità costituzionale) – le argomentazioni rese da altra autorità giurisdizionale. Interposto appello, la Corte di giustizia di II grado, in accoglimento delle doglianze della contribuente, sollevava la già eccepita questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 d.l. n. 201/2011, convertito nella legge n. 214/2011 (nel testo applicabile ratione temporis), in relazione ai principi di ragionevolezza, uguaglianza tributaria e capacità contributiva (artt. 3 e 53 Cost.), con ricadute sulla tutela della concorrenza, nella parte in cui non prevede l'esenzione dall'imposta municipale unica a favore dell'impresa che possieda fabbricati destinati alla vendita e non utilizzati ad altri fini. Ad avviso della Corte rimettente, nella fattispecie in esame la società, sebbene proprietaria di immobili contabilizzati come beni merce, non ha esercitato sugli stessi alcun diritto e non avrebbe dovuto essere, pertanto, considerata soggetto passivo ai fini IMU, stante l'assenza dei requisiti minimi affinché possa configurarsi una situazione materiale idonea e, conseguentemente, una capacità contributiva idonea a giustificarne il prelievo. Ciò perché, ai fini del verificarsi o meno del presupposto impositivo dell'IMU, nei casi come quello di specie, assumerebbe precipuo rilievo la natura di “merce” dei fabbricati, difettando la capacità contributiva del proprietario. Di qui il ritenuto contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost. e con il principio di uguaglianza tributaria di cui all'art. 3 Cost., in base al quale a situazioni uguali dovrebbero corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse dovrebbe corrispondere un trattamento tributario disuguale. La questione Il tema di cui il giudice rimettente ha investito la Corte costituzionale attiene all'idoneità del possesso di immobili qualificati in bilancio come “beni-merce”, detenuti dall'impresa al solo scopo di essere ceduti, a costituire legittimamente indice di capacità contributiva e, dunque, titolo idoneo a giustificarne l'imposizione a fini IMU. Secondo il giudice a quo, il dato letterale della disciplina di cui all'art. 13 d.l. n. 201/2011 (nel testo applicabile ratione temporis) – che ha anticipato l'istituzione dell'imposta municipale propria a decorrere dall'anno 2012 in tutti i Comuni del territorio nazionale «in base agli artt. 8 e 9 d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23», quest'ultimo a sua volta (sempre nel testo applicabile ratione temporis), individua quali soggetti passivi «il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività d'impresa, ovvero il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi» – includerebbe inequivocabilmente, nell'ambito applicativo dell'imposta, tutti i beni immobili posseduti dall'impresa, in tal modo parificando irragionevolmente le ipotesi in cui l'impresa li possieda come strumenti dell'apparato produttivo (beni-strumentali) a quelle in cui siano destinati a una futura cessione (beni-merce). Siffatta equiparazione – secondo la Corte rimettente – sarebbe irragionevole, a causa del differente rapporto materiale con il bene, dal momento che, nel caso di beni strumentali, si verterebbe nell'ambito di una relazione utilitaristica (essendo il bene immobile destinato alla realizzazione dell'attività di impresa) mentre la mera titolarità di beni destinati alla vendita integrerebbe un'ipotesi di detenzione vincolata, che escluderebbe una forma di utilità immediata. L'irragionevolezza della disposizione censurata discenderebbe anche dall'impossibilità di applicare retroattivamente il comma 9-bis dell'art. 13 d.l. n. 201/2011, come convertito, e come modificato dall'art. 2, comma 2, lett. a), d.l. n. 201/2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 124/2013, che a decorrere dal 1 gennaio 2014 ha invece previsto l'esenzione dall'IMU dei beni-merce, ossia dei «fabbricati costruiti e destinati dall'impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati». Difatti, l'“ondivago” incedere del legislatore tributario, manifestatosi nell'escludere i “beni-merce” per determinati periodi d'imposta (quale quello di specie), per poi reintrodurne l'imponibilità e, infine, scongiurarla definitivamente, risulterebbe arbitrario secondo il giudice a quo, perché tali beni non dovrebbero mai entrare nell'ambito impositivo IMU. La soluzione giuridica Dopo aver ricostruito il quadro normativo in tema di IMU relativo agli immobili destinati dalle imprese esclusivamente alla vendita, il giudice delle leggi ha preso le mosse dalla propria giurisprudenza in tema di capacità contributiva, per tale intendendosi ai sensi dell'art. 53 Cost. – ha rammentato – l'idoneità del soggetto all'obbligazione d'imposta, desumibile dal presupposto economico cui l'imposizione è collegata, consistente in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo le valutazioni riservate al legislatore tributario, cui spetta decidere in merito a eventuali esenzioni o agevolazioni nell'ambito della sua discrezionalità, salvo il controllo di legittimità costituzionale sotto il profilo della loro arbitrarietà o irrazionalità (v. Corte cost. n. 34/2025; Corte cost. n. 108/2023; nel senso che “ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza” v., ex plurimis, Corte cost. n. 34/2024; Corte cost. n. 60/2024; Corte cost. n. 10/2023). Ciò premesso, la Consulta ha ribadito che l'IMU – imposta sul patrimonio immobiliare che ha sostituito «per la componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati» (così Corte cost. n. 72/2018) – ha come presupposto il possesso, la proprietà o la titolarità di altro diritto reale. Richiamandosi a Corte cost. n. 60/2024 (che ha dichiarato incostituzionale la disciplina dell'IMU nella parte in cui non prevede che siano soggetti a tale imposta gli immobili non utilizzati né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all'autorità giudiziaria) ha quindi riaffermato il principio che un immobile non costituisce un valido indice di capacità contributiva solo se sia inutilizzabile per fatti estranei rispetto alla sfera di controllo diligente del proprietario, mentre nel caso oggetto del giudizio a quo la scelta di non utilizzare l'immobile è dipesa esclusivamente da una libera scelta dell'imprenditore. Secondo il giudice delle leggi, anche gli immobili d'impresa destinati alla vendita e non locati costituiscono un valido indice di capacità contributiva perché quel che rileva ai fini dell'obbligo del pagamento dell'IMU è l'astratta possibilità di avvalersi delle facoltà proprie del diritto reale e non il loro effettivo esercizio, che dipende esclusivamente dal possessore. Dunque l'equiparazione, a fini impositivi, tra beni-strumentali e beni-merce non è irragionevole perché – spiega la decisione in commento (§ 4.2) – in entrambi i casi è «l'imprenditore possessore dell'immobile a decidere autonomamente e liberamente la destinazione di quest'ultimo e a mantenerne il possesso entro la sua sfera di controllo, potendo sempre esercitare tutte le prerogative possessorie. Tra l'altro, sotto il profilo più squisitamente aziendalistico, anche per i “beni-merce” può predicarsi la loro funzionalità rispetto alle esigenze economiche dell'impresa nel momento in cui si realizzi la loro vendita». Infine, la Corte ha respinto anche la doglianza sull'asserita arbitrarietà che sarebbe derivata dal mutamento della disciplina legislativa nel corso degli anni prevedendo, in tutto o in parte, per alcune annualità d'imposta, l'esenzione per gli immobili destinati alla vendita rispetto alle esigenze dell'impresa: applicare un trattamento differenziato alla stessa categoria di soggetti, per effetto di un sopravvenuto mutamento di disciplina, non contrasta con l'art. 3 Cost. poiché – ha concluso, rifacendosi ai propri precedenti – «il trascorrere del tempo costituisce, già di per sé, un elemento idoneo a giustificare un diverso trattamento» (Corte cost. n. 108/2023; Corte cost. n. 240/2019; Corte cost. n. 104/2018). Osservazioni La sentenza in commento si inserisce nel solco dei precedenti interventi della Consulta in materia tributaria, secondo i quali spetta al legislatore, nell'ambito della sua discrezionalità e nei limiti della non palese irragionevolezza, decidere non solo in ordine all'an, ma anche in ordine al quantum e ad ogni altra modalità e condizione afferente alla determinazione di agevolazioni e benefici fiscali secondo un criterio che concili, nel corso degli anni, le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva. |