Patti con opzione di vendita sulle partecipazioni sociali
13 Maggio 2025
È lecito un patto parasociale che preveda la possibilità che, in caso di finanziamento partecipativo, il socio finanziatore possa rivendere le proprie quote ad un prezzo non inferiore rispetto a quello dell'investimento iniziale? L'art. 2341-bis, comma 1, c.c., definisce i patti parasociali come quei patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società, hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano; hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali società, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore. Essi sono rinnovabili alla scadenza. Si tratta, quindi, di accordi contrattuali tra soci o tra soci e terzi che disciplinano situazioni giuridiche relative alla vita della società o relative all'esercizio di alcuni diritti derivanti dalle partecipazioni detenute. Il quesito odierno attiene all'ipotesi di finanziamento societario attraverso la partecipazione del finanziatore al capitale di rischio (finanziamento in forma partecipativa), con l'attribuzione al socio finanziatore del diritto di rivendere le azioni ad un prezzo non inferiore a quello dell'investimento iniziale, qualunque sia il valore reale di esse nel momento in cui l'opzione viene esercitata. In tale ipotesi, come è evidente, il socio finanziatore beneficia di una garanzia di tutela del proprio investimento poiché potrà rivendere le azioni al prezzo al quale le ha acquistate. La Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. I, 22 ottobre 2024, n. 27283), richiamando la propria giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. 1, ord. n. 27227/2021) ha affermato che anche un patto di opzione c.d. “put”, per effetto del quale l'acquirente acquista il diritto, ma non l'obbligo, di vendere un determinato bene a un prezzo specifico (Cass. Sez. 3, sent. n. 763/2016), è qualificabile nell'ambito dei patti parasociali, se ha come obiettivo finale quello di stabilizzare l'assetto della partecipazione di uno degli stipulanti nel capitale della società. La stessa pronuncia del 2021 ha affermato che il patto di opzione appare meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322 c.c., in quanto finalizzato ad “assecondare iniziative imprenditoriali specifiche, tutelate quali espressioni dell'autonomia negoziale privata ex artt. 41 Cost. e 1322 c.c., con il sorgere di reciproci diritti ed obblighi delle parti al cui adempimento un contraente non può strumentalmente sottrarsi invocando ex post e secundum eventum un preteso insussistente contrasto con norme imperative”. Pertanto, secondo i giudici di legittimità (Cass. Civ., Sez. I, 22 ottobre 2024, n. 27283, cit.) “può, quindi, essere affermato che è valido e meritevole di tutela un patto parasociale che, attraverso un'opzione put, consenta ai soci di vedersi garantita la remunerazione del valore della partecipazione a un prezzo predeterminato”. Alcuna giurisprudenza di merito (Trib. Milano, 23 luglio 2020 n. 4628) ha sostenuto che l'opzione di vendita della partecipazione sociale a prezzo predefinito, realizza l'ipotesi di violazione del c.d. patto leonino, quel patto secondo cui uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite, nullo ex art. 2265 c.c. A questo proposito la suprema Corte ha chiarito che “è lecito e meritevole di tutela l'accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l'uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l'altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l'attribuzione del diritto di vendita (c.d. “put”) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell'acquisto, pur con l'aggiunta di interessi sull'importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società” (Cass. Civ. n. 17498/2018). Secondo Cass. Civ. Sez. I, 22 ottobre 2024, n. 27283, cit. “il principio affermato dalla predetta sentenza, peraltro ancor più di recente ribadito da questa stessa Sezione (Ord. n. 25594 del 2023), è che l'elemento caratterizzante del patto leonino è che lo “stravolgimento” del ruolo del socio per effetto della sua stipulazione sia a) totale e b) costante. Totale (a), in quanto deve avere come effetto un'alterazione completa della causa societatis, che per effetto di esso subisca una completa modificazione dell'assetto, sì da porsi con essa in totale contrasto (in tal modo dovendo interpretarsi la locuzione normativa laddove menziona l'esclusione del socio “da ogni” partecipazione agli utili o alle perdite); costante (b), perché l'effetto di totale alterazione deve risultare tendenzialmente irreversibile per effetto della pattuizione vietata e non risolversi in un'alterazione transeunte dei diritti patrimoniali del socio”. Ancora, secondo diffusa giurisprudenza (Cfr. Memento Pratico, Società Commerciali 2025, Giuffrè Francis Lefebvre) “il patto non esclude il socio dalla partecipazione agli utili o alle perdite e quindi, non altera la causa del contratto sociale, ma realizza un trasferimento del rischio di impresa da un socio a un altro socio o a un terzo (privo di rilevanza “reale” rispetto all'ente collettivo) che si pone sul piano della circolazione delle partecipazioni e non su quello della ripartizione di utili e perdite (Cass. 25 marzo 2024 n. 7934, Cass. 7 ottobre 2021 n. 27227, Cass. 4 luglio 2018 n. 17500, Cass. 4 luglio 2018 n. 17498, Trib. Genova 22 giugno 2023 n. 1538, Trib. Roma 16 febbraio 2022)”. In conclusione, un patto parasociale che preveda un'opzione “put”, un'opzione, cioè, che preveda la possibilità che un socio finanziatore garantisca il proprio investimento con il diritto di rivendere le proprie azioni ad un prezzo non inferiore rispetto a quello al quale le aveva acquistate è da ritenersi valido. La paventata violazione del patto leonino, non del tutto peregrina posto che il socio finanziatore ha la garanzia di non perdere il proprio investimento con l'opzione di rivendita delle azioni ad un prezzo predeterminato, è stata superata dalla giurisprudenza di legittimità sulla base della circostanza che, in realtà, il socio non è escluso dalla partecipazione agli utili o alle perdite ma trasferisce il rischio ad un altro socio o ad un terzo. Si versa, quindi, secondo i supremi giudici, sul piano della circolazione delle partecipazioni e non su quello della ripartizione degli utili o delle perdite. |